6
critiche di cui è stata oggetto, mentre gli ultimi due relativi alle proposte
metodologiche per applicare il concetto e le metodologie di pianificazione
alle PMI nonché, in ultimo, allo studio di una realtà specifica qual è quella
delle imprese 44 presenti nella provincia di Caserta.
Il primo capitolo tratta della pianificazione approfondendo cinque tematiche
principali relativamente alla definizione dell’argomento ed alla necessità,
tutt’oggi fortemente sentita, di adottare sistemi formali per esplicitare la
strategia, alle modalità di svolgimento del processo di pianificazione,
all’identificazione dei soggetti impegnati nel processo ed ai tempi necessari
per esplicare le fasi dello stesso.
Il secondo capitolo riguarda l’evoluzione della pianificazione analizzata
seguendo due approcci storici complementari, l’uno teorico e l’altro
empirico, evidenziando il mutamento avvenuto nel concetto nelle modalità
di svolgimento del processo nonché nella filosofia di gestione dell’impresa.
Nel terzo capitolo sono state esaminate diverse critiche mosse alla pratica di
pianificazione, tra cui possono ricordarsi quelle di H. Mintzberg, nonché le
soluzioni alternative che hanno ridelineato le caratteristiche del processo
rendendolo più flessibile rispetto alle assunzioni della dottrina classica.
Nel quarto capitolo si analizza la possibilità di applicare la teoria
tradizionale al contesto delle PMI, esaminando i fattori di contesto critici
che impediscono la riproduzione del processo di pianificazione in scala
ridotta e proponendo soluzioni metodologiche alternative per una gestione
coerente delle strategie incrementali nelle aziende di piccola dimensione.
Il quinto capitolo conclude la tesi trattando di un’indagine empirica svolta
presso quindici imprese casertane finanziate dalla legge 44/86 con la quale
si è proceduto a verificare se le proposte teoriche trovano riscontro nella
pratica di pianificazione di tali aziende e se esse, alla luce del vincolo di
presentazione iniziale del business plan per poter accedere ai finanziamenti
della suddetta legge, sono propense naturalmente all’adozione di sistemi di
pianificazione formale. L’ultimo capitolo è seguito da tre appendici
riportanti l’elenco delle imprese che hanno avuto accesso ai finanziamenti,
così come fornito dalla società I.G. s.p.a., dal questionario somministrato
7
agli imprenditori intervistati e, infine, da una tabella riassuntiva dei risultati
del questionario medesimo.
Per la realizzazione della ricerca si desidera ringraziare la Società per
l’Imprenditoria Giovanile, nella persona del dott. Paolo Di Nola, per la
disponibilità dimostrata nel fornire dati ed informazioni sulle imprese
indagate, nonché il dott. Pasquale Monaco per la ditta Mobilsud s.r.l., il sig.
Goffredo Rossetti per la ditta Flor Rosa, il sig. Vincenzo De Matteis per la
ditta Sinopia Informatica, la dott.ssa M. Gabriella Marcaccio per il setificio
Bologna e Marcaccio, il dott. Nicola Di Maio per la ditta Fruttiflor, il dott.
Salvatore Montanino per la ditta Agrochimica Sud, e tutti gli altri
responsabili dei reparti amministrativi delle rimanenti imprese per la fattiva
collaborazione nella compilazione del questionario.
8
CAPITOLO PRIMO
1 LA PIANIFICAZIONE IN GENERALE
La questione strategica è stata in diversi modi studiata da diversi autori che
ne hanno enfatizzato ora alcuni aspetti, ora altri. L’argomento, certamente di
recente discussione ed interesse (basti pensare che negli anni ’70 so o poche
scuole aziendali italiane potevano effettivamente insegnare qualcosa sulle
politiche aziendali attraverso gli studi delle case history americane), ha
comportato non poche difficoltà a chi si avvicinava per la prima volta ai
libri culto della letteratura manageriale, come quelli di autori come Ansoff,
Chandler, Anthony e così via, in quanto la terminologia usata e le
argomentazioni trattate erano differenti e non facilmente collegabili. Oggi,
alla luce di un trentennio di studi sulla materi , è possibile delineare un
quadro di ciò di cui si è trattato e di conseguenza è possibile focalizzare
l’attenzione su ciò che interessa al fine del presente lavoro.
Le principali problematiche oggetto di studio sono quattro1:
1) Processo di formazione strategica: l’organizzazione e il procedimento
utilizzato per l’assunzione delle decisioni.
2) Problem solving: quale è il contenuto da dare a queste decisioni
(diversificare o meno, differenziare o meno ecc.).
3) Pianificazione: come tradurre in una sequenza temporal di azioni
logiche e coordinate le scelte strategiche.
4) Controllo strategico: verificare se e come sono state attuate le decisioni,
se le previsioni sono state corrette, se il problema deve essere rivisto e
riaffrontato ecc.
L’attenzione, nel corso di questa tesi, viene a focalizzarsi sul terzo punto,
ossia sul processo di pianificazione, sulla sua attuale valenza scientifica e
1
A. Hax, Alla Guida del futuro, 1989, IPSOA, pag. XII
9
operativa, sulla sua applicabilità a contesti diversi dalla grande impresa per
cui essa è stata concepita ed applicata.
Nel presente capitolo si procede ad introdurre il concetto di pianificazione
in un’ottica definitoria rispondendo a cinque domande fondamentali: cos’è,
perché è necessaria, come è fatta, chi la realizza e quando deve essere
effettuata.
1.1. La necessità di esplicitare la strategia.
Un’affermazione che ha ottenuto sempre più consensi dalla letteratura
specialistica è che tutte le imprese hanno una strategia in quanto, se si
considera l’essenza della stessa, ossia un insieme di scelte fondamentali e
dei relativi comportamenti riguardanti la struttura aziendale e la sua
interazione con l’ambiente, ogni impresa, solo per il fatto che esiste e
sceglie, ha una strategia2. Il problema che nasce, però, è se e come
diffonderla all’interno dell’organizzazione e ai vari interlocutori, cioè come
e se esplicitarla o meno. Bisogna, quindi, chiarire a priori il significato di
strategia esplicita. Rispoli3 ne ha delineato le caratteristiche ponendo come
elemento definitorio la presenza ed il sostegno di una procedura
formalizzata e la redazione di documenti scritti ad esplicazione della stessa:
quelle implicite risultano di conseguenza non supportate da alcun
procedimento formale mentre le altre sono coadiuvate da una procedura
formalizzata che ne rende palese il contenuto e le modalità di formu azione
e sono estrinsecate mediante documenti scritti come i piani ed i programmi.
Il problema è analizzato anche da un altro autore, H. E. Wrapp, che ha
supposto l’esistenza di diversi gradi di esplicitazione della strategia in base
ai destinatari e all’uso che della stessa si vuole fare.
Wrapp ha proposto quattro livelli definitori4:
2
G. Volpato, introduzione all’edizione italiana, in A. C. Hax, lla guida del futuro, op. cit.
3
M. Rispoli (a cura di), L’impresa industriale, Bologna, Il Mulino, 1984.
4
H. E. Wrapp Good Managers don’t make policy decisions, Harvard Business Review, n.4
Jul/Aug 1984.
10
1) la strategia per la redazione del bilancio d’esercizio: arà in tal caso
solo un’enunciazione di massima che dà agli azionisti un accenno
dell’orientamento futuro dell’azienda;
2) la strategia per il consiglio di amministrazione e per gli analisti
finanziari: più completa e corredata da indici finanziari;
3) la strategia per l’alta direzione: con un elevato livello di dettaglio sulle
informazioni;
4) la strategia per l’uso esclusivo dell’Amministratore delegato (A.D.):
include delle informazioni che non vengono divulgate e che sono solo di
sua competenza.
In queste definizioni, la strategia viene modificata non tanto nel contenuto
quanto nel suo grado di esplicitazione in funzione dell’organo che la deve
utilizzare: un esempio è dato dalla voce sub 4 che vede le informazioni più
riservate relegate al solo A.D. escludendo il resto dell’impresa, dato che
solo alcune persone possono venire a conoscenza di notizie riservate anche
se queste fanno comunque parte della strategia aziendale (che comunque
viene comunicata). Dunque, l’identificazione di determinati interlocutori
chiave a cui indirizzare la strategia esplicita – azionisti, consiglieri di
amministrazione, alta direzion , amministratore delegato – ne dimostra in
modo chiaro il legame con la realtà della grande impresa. Qui la ragione che
giustifica l’esplicitazione è di origine comunicativa ed organizzativa, ma
l’ottica di analisi può essere anche diversa.
Infatti altre ragioni in favore dell’esplicitazione possono essere5:
• la sempre maggiore complessità delle operazioni produttive aziendali,
che causano indubbiamente un allungamento dei tempi tra la
progettazione e l’introduzione del nuovo prodotto sul mercato che
genera una maggiore difficoltà nella gestione delle risorse e una
maggiore attenzione sulla dinamica concorrenziale che necessita di un
coordinamento attento sulla base di un cammino strategico coerente;
5
Queste ed altre ragioni a favore dell’esplicitazione della strategia vengono fornite ed
ampliate da G. Panati e G. M. Golinelli, Tecn ca economica industriale e commerciale,
Roma , La Nuova Scientifica, 1988.
11
• la professionalizzazione dei manager e degli imprenditori/di igenti che
propendono verso l’applicazione di tecniche di programmazione sempre
più sofisticate per ridurre il rischio globale sostenuto per una gestione
più coordinata e coerente;
• la sempre maggiore separazione tra la proprietà ed il comando, che
rende necessaria l’esplicitazione e la formalizzazione della strategia per
poter procedere ad un controllo dell’operato dei dirigenti;
• il crescente valore dell’aspetto sociale dell’impresa, per cui la stessa non
può fare a meno di considerare le varie ripercussioni socioeconomiche
delle proprie azioni: sulla disoccupazione, sul consumatore, sulla
sicurezza personale ed ambientale, ecc.;
• l’esigenza di guardare al futuro per “aggiustare il tiro” delle scelte
strategiche da effettuare, in modo che non si venga sp azzati da un
cambiamento dello scenario competitivo che ha origine nel presente ma
che si manifesterà solo in un futuro non proprio prossimo;
• l’esigenza, specialmente nelle imprese più grandi e con strutture
complesse, di avere una strategia che risulti unitaria, esplicita e
comprensibile a tutta la dirigenza, e se pianificata, che possa dare
origine ad un mezzo di controllo direzionale sulle scelte strategiche
effettuate e sulla coerenza di queste con gli obiettivi che l’azienda si
pone.
A questo punto si comprende come la formalizzazione risulta essere il
metodo più proficuo per una cristallizzazione delle idee strategiche ed una
comunicazione delle stesse a tutta l’organizzazione. Il processo che
permette una formalizzazione della strategia è detto “pi nificazione”.
1.2. Le ragioni della pianificazione
L’uso degli strumenti formali di pianificazione è stato più volte criticato in
passato per l’uso errato che se n’è fatto; oggi, invece, si tende sempre più a
rivalutare la formalizzazione della strategia purché si ponga la giusta
attenzione sul modo di pianificare.
12
Behavioral Theory
Una solita contrapposizione che
si riscontra in letteratura è quella
tra l’approccio analitico-formale,
della Management Science, e
quello potere-comportamento
della scuola della Behavioral
theory; in quest’ultimo caso le
decisioni strategiche all’interno
dell’impresa sono la risultan e di
una serie di compromessi, giochi
di potere, adattamenti alla
mutevolezza delle esigenze
interne ed esterne, secondo la
logica del muddling through
(sapersela cavare).
L’appoggio teorico maggiore al processo
di formalizzazione viene dalla scuola del
Management Science6 che vede
l’imprenditore come un essere razionale,
un homo economicus, che, identificati gli
obiettivi, sceglie tra il ventaglio di
alternative possibili quella che gli permette
di raggiungere la massima utilità
complessiva. All’interno di questo filone,
si sono sviluppate sottocategorie che hanno
privilegiato i vari aspetti della materia: la business/industrial economics che
ha curato principalmente l’aspetto del problem solving; l’operation research
che ha delineato e sostenuto i processi formali di esplicitazione della
strategia, ossia il planning. Questo approccio vede la necessità di pianificare
nel bisogno di vagliare tutte le alternative possibili per il raggiungimento di
uno scopo mediante l’analisi attenta di una serie di variabili interne ed
esterne all’azienda, però estremizza oltremodo il ricorso ai metodi formali,
ritenendo possibile l’accesso ad ogni tipologia di informazione ed in modo
tempestivo tanto da permettere la presa di decisioni repentine e razionali.
Ciò nella realtà non avviene e, quindi, se un responsabile d’impresa non
riesce ad applicare perfettamente un algoritmo teorico dell’approccio
analitico-formale è perché o non dispone delle notizie utili, o perché non ha
né una volontà per decidere, né un fine preciso. Allora il processo risulta
essere un misto di elementi razionali e psicologici, di intenzione ed
adattamento che rendono la pianificazione più efficace e meno complessa di
quanto si ritenesse in passato.
A questo punto, si può dire che vi sono innumerevoli ragioni per cui la
pianificazione è uno strumento valido per l’esplicitazione della strategia:
• costituisce il quadro di riferimento per l’applicazione degli strumenti di
analisi;
6
Alcuni tra gli esponenti del Management Science sono: Lorange, Hax e Majluf, Ansoff,
Chandler, Anthony ecc.
13
• mostra il processo di formazione delle strategie;
• è uno strumento di comunicazione della strategia, permettendo la
diffusione delle informazioni e degli obiettivi in tutta l’organizzazione;
• è un processo di apprendimento organizzativo;
• permette l’efficace allocazione delle risorse aziendali;
• è una metodologia di analisi strutturata;
• è uno strumento di supporto alle decisioni strategiche;
• permette il miglioramento continuo attraverso il controllo della
progressiva attuazione della strategia e l’eliminazione degli errori
eventualmente commessi, diviene auto-correzi ne;
• simula il problem solving.
Si può dire che è la stessa necessità di non rendere soltanto casuale la
formazione della strategia e d g stirla in modo opportuno a far nascere il
bisogno di pianificare7.
1.3. Il concetto di pianificazione
L’esigenza di pianificare si è sentita sin dai tempi più remoti. Già all’inizio
del secolo, nel 1916, Henri Fayol identificava la pianificazione come una
delle funzioni principali del management insieme all’organizzazione, al
controllo, al comando e al coordinamento. Successivamente, la materia ha
trovato terreno fertile nelle grandi imprese americane ed ha avuto il suo
boom negli anni ’50 e ’60 fin quando i grandi eventi economici degli anni
’70 (in particolare la crisi petrolifera) hanno fatto saltare ogni previsione
effettuata ed a hanno sminuito il valore di questa funzione. La
pianificazione però è riuscita a sopravvivere a queste scosse ed oggi riviv
una fase di ringiovanimento anche perché è mutato il contesto ed i metodi di
applicazione.
7
Hofer e Schendel, La formulazione della strategia aziendale, Mil no, Franco Angeli,
1984 e F. Izzo, La pianificazione strategica, in L. Sicca, Lezioni di gestione strategica
dell’impresa, CEDAM, Padova, 1997.
14
Lo studio del processo, naturalmente, non può certo prescindere da ciò che
diversi autori hanno detto della pianificazione, contribuendo a delinearne la
sua multidimensionalità.
Ackoff la definisce “il disegno del futuro desiderato e di modalità atte a
determinarlo”8 mentre Lorange sostiene che “è uno strumento di supporto
alla direzione per l’assunzione di decisioni strategiche… [è un processo che
ha per fine il] realizzare nell’impresa il soddisfacente processo di
innovazione e cambiamento9; Hax e Majluf sostengono che “il processo di
pianificazione strategica è un processo aziendale disciplinato e ben definito,
il cui fine è l’elaborazione dettagliata della strategia di un’azienda e
l’assegnazione delle responsabilità relative alla sua attuazione pratica”10.
Come in ogni materia, anche qui gli autori hanno di volta in volta
evidenziato aspetti diversi della questione, riflettendo ciò che la cultura
dell’epoca suggeriva di enfatizzare; Ackoff , sebbene comprende che con la
pianificazione si pongono in essere i modi per raggiungere gli obiettivi
strategici, intreccia la strategia col piano facendo intendere che è con la
pianificazione che si delinea il futuro, ponendo le basi per ciò che in seguito
sarà definito come uno degli errori della pianificazione, ossia la presunzione
che il processo crei la strategia. Anche Lorange sottolinea solo un
particolare aspetto della questione, cioè considera che la pianificazione sia
solo uno strumento di supporto alla direzione, quando invece i vantaggi di
un processo di formalizzazione delle strategie si riscontrano anche in altri
aspetti quali quelli della socializzazione, della comunicazione delle strategie
e della missione, dlla funzione di strumento di controllo, ecc.
Eminente ha invece considerato la pianificazione formale come “un sistema
che consente l’esplicazione della strategia distribuendo in successione nel
tempo le fasi attuative con le scadenze relative”, uno strumento, quindi, che
guida l’impresa nell’attuazione delle scelte effettuate attraverso budget
8
Ackoff R. L., A concept of Corporate planning, W ley & Sons, New York 1970.
9
P. Lorange, Pianificazione Strategica, Milano, McGraw-Hill, 1990.
10
A. C. Hax e N. S. Majluf , La gestione strategica dell’impresa, Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane, 1991.
15
annuali, programmi e piani in modo che le decisioni dell’impresa siano
coerenti con la strategia definita11. Tra tutte, questa definizione risulta essere
la più corretta alla luce delle critiche che sono state fatte all’uso scorretto
della pianificazione e che si discuteranno successivamente.
1.3.1. I tipi di piano.
Il processo di pianificazione porta, come risultato, ad un insieme di piani.
Nella letteratura specialistica molte volte ci si riferisce allo stesso oggetto
con termini diversi e per questo è opportuno fare una prima distinzione,
proposta in passato dalla dottrina, tra “piano” e “programma” dato che può
sorgere confusione12:
• Piano
È il risultato della pianificazione e consiste in un documento che formalizza
la strategia adottata ed indica gli obiettivi e le azioni che ne scaturiscono… è
articolato su base pluriennale (4-5 anni).
• Programma
Spesso inteso come sinonimo di piano, consiste in una specificazione del
piano relativo ad un orizzonte temporale più breve (biennale).
Il piano, quindi, diviene il mezzo per rendere palese e comunicabile la
strategia, esso la formalizza indicandone gli obiettivi e le azioni che ne
scaturiscono. Secondo la letteratura tradizionale13 si possono distinguere i
piani in settoriali, che riguardano i singoli settori in cui opera l’azienda, e
globali che riguardano la gestione aziendale nel complesso; avendo come
punto di riferimento il tempo, si distinguono in piani di breve termine,
11
G. Eminente, Pianificazione e gestione strategica dell’impresa, Bologna, Il Mulino,
1986.
12
G. Eminente, op. cit.
13
Vedi: Sciarelli S., Il sistema d’impresa, P dova, CEDAM, 1991.
16
intendendo per breve il futuro esercizio, o di medio– l triennio successivo –
o di lungo termine, con riferimento in questo caso al quinquennio.
La differenza più importante, e anche la più valida alla luce delle recenti
teorie, è quella tra piano strategico, operativo e progettuale. Il piano
progetto riguarda un singolo investimento o una particolare operazione di
marketing ed è redatto ad hoc per particolari esigenze; questo non significa
di certo che esso è scoordinato dal resto dei piani in quanto deve riferirsi
sempre ad una struttura prestabilita. Il piano strategico definisce gli obiettivi
che l’azienda deve raggiungere ed i metodi da utilizzare per poterli
raggiungere; mentre il piano operativo diviene una specificazione
dettagliata e minuziosa degli obiettivi per le singole aree aziendali come, ad
esempio, una divisione o una funzione.
1.4. La struttura dei piani e del processo
1.4.1. Il sistema di piani.
In passato, il coordinamento dei piani di diversa natura si intendeva come
orizzontale, in cui dal piano più astratto, quello strategico, si passava man
mano a quello più dettagliato, quello operativo14. Una isione diversa, più
organica e realistica può vedersi nella fig.1.
In questo caso il sistema dei piani diviene circolare in quanto si ammette che
ogni piano conserva la sua propria indipendenza nonostante il legame con
gli altri piani della stessa o delle altre categorie. Il fulcro del sistema diviene
il piano strategico; nel cerchio successivo si posizionano i piani finanziari ed
organizzativi in quanto servono a determinare ed analizzare il fabbisogno
finanziario e di personale per poter raggiungere gli obiettivi strategici.
14
Un sistema di piani sequenziale viene proposto da Sciarelli S., Il sistema d’impresa,
Padova, CEDAM, 1991.
17
Figura 1 Sistema di pianificazione generalizzato
Fonte: adattamento da D. E. Hussey, Introducing Corporate Planning,1991, Pergamon
Press.
Da un lato si posizionano i piani organizzativi e, dall’altro, quelli di
sviluppo che danno origine sia ai piani operativi in senso stretto (sulla
sinistra), sia ai piani strategici di competenza dell’A.D. o del Consiglio di
amministrazione aziendale e che riguardano le decisioni più importanti
relative allo sviluppo dell’impresa. Tra tutti si possono notare i due piani di
R&S e di miglioramento (improvement) che risentono di influenze sia
strategiche che operative: infatti, ad esempio, la R&S deve essere sempre a
contatto con la produzione, il marketing e quant’altro possa essere
necessario a capire le esigenze del consumatore e a sviluppare o creare ciò
18
che può soddisfarlo, ma deve anche tener conto degli obiettivi strategici
relativamente ai prodotti. Un siffatto sistema è progettato per una impresa
monodivisionale e quindi è possibile per analogia pensare che possa essere
ritrovato anche in un’impresa di medie dimensioni.
1.4.2. Il processo di pianificazione
Non tutte le imprese hanno un ben delineato processo di pianificazione, né,
nel caso lo abbiano, lo strutturano nella medesima maniera. L’adozione di
modelli di pianificazione dipende sia dall’esperienza consolidata
nell’azienda, sia dalla presenza di modelli che necessitano, però, di essere
rivisitati, sia dal confronto con le metodologie utilizzate dalla concorrenza.
Il sistema deve essere necessariamente progettato ad hoc in funzione
dell’organizzazione in cui deve essere calato, in quanto le peculiarità tipiche
di ogni azienda (dimensione, struttura, responsabilità), comportano problemi
di cui bisogna tenere conto nella progettazione del sistema di
pianificazione15. Ciò porta a dividere i processi in tre tipologie base: si
hanno processi a ciclo singolo, in cui l’unica fase di pianificazione è il
budgeting, quindi con un orizzonte temporale ed uno spettro delle
alternative strategiche limitati; processi a due cicli, che constano di una
prima fase di pianificazione a livello funzionale e successivamente del
budgeting; processi a tre cicli, nei quali è aggiunta un’ulteriore fase che è
quella della pianificazione strategica16.
La conformazione dei processi di pianificazione varia in funzione
dell’enfasi che i vari autori danno a particolari aspetti degli stessi, dalle
consuetudini delle imprese da cui tali modelli vengono estrapolati,
dall’organizzazione e dalla dimensione delle organizzazioni alle quali questi
modelli dovrebbero essere applicati.
15
P. Lorange, R. Vancil, Strategic planning in diversified companies,Harvard Business
Review, Jan-Feb 1975.
16
L. Guatri, Trattato di Economia delle aziende industriali, II tomo, Milano, EGEA, 1988.
19
Gli elementi comuni estrapolabili dalle diverse soluzioni proposte sono
essenzialmente tre: i livelli di pianificazione, i compiti che corrispondono a
ciascun livello e l’ordine in cui questi compiti devono essere svolti.
• I livelli di pianificazione individuati dalla dottrina e realizzati dalla
grande impresa diversificata sono tre: corporate, business e funzionale.
Le decisioni del livello corporate riguardano l’azienda nel suo
complesso; quelle del livello business focalizzano sulle unità strategiche
individuate in sede corporate e al livello funzionale si decide sulla
gestione strategica delle funzioni aziendali.
• I compiti si distinguono in duraturi o meno; nonostante la pianificazione
sia ciclica, taluni elementi, i condizionatori strutturali, rimangono
immutati per periodi non brevi, mentre altri vengono rinnovati ad ogni
ciclo di pianificazione. Tra i condizionatori strutturali si ricordano la
missione, l’infrastruttura gestionale, la cultura aziendale, la gestione del
personale, la missione di business.
• La sequenza esecutiva, rispetto alle teorie classiche che la vedono come
top-down o bottom-up, può risultare, invece, come un sinusoide che
percorre i livelli gerarchici dall’alto verso il basso e viceversa
proseguendo verso la definizione di piani operativi sempre più
dettagliati.
L’esempio di un processo formale di pianificazione strategica è riportato in
figura 2.