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combinato dell’economia italiana, concepito da Paolo Sylos Labini alla fine degli anni ’60, e
con l’impostazione teorica utilizzata dalla Banca d’Italia per spiegare il meccanismo di
trasmissione della politica monetaria tramite il MET-BI (modello econometrico trimestrale
della Banca d’Italia). Anche in questo caso ho cercato di analizzare le fonti a mia disposizione
in chiave critica ed il più possibile obiettiva, ritenendo utile il confronto costruttivo e certa che
esso possa concedere a chi si interessa la possibilità di conoscere più concetti possibile e
anche di scegliere consapevolmente quali seguire coerentemente con i propri ideali.
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CAPITOLO I
La strategia di politica monetaria della Bce ed il meccanismo di
trasmissione
1.1 L’Eurozona e la nascita della Banca Centrale Europea1
Il progetto di creazione dell’Unione Europea nacque nel secondo dopoguerra con l’intento
di formare un mercato più ampio possibile che andasse gradualmente costituendo un’area di
libero scambio, cioè un mercato comune europeo. Le teorie economiche che sono alla base di
questa scelta sono state ampiamente sostenute da gran parte degli economisti, sia di stampo
classico che marginalista, che sostenevano che lo sviluppo economico è determinato in larga
misura dalla divisione del lavoro, la quale, come insegna la teoria smithiana, è favorita da un
allargamento dei mercati.
Un iniziale accordo tra paesi economicamente simili sull’eliminazione di barriere al
commercio si è andato trasformando, con il passare del tempo, nell’esigenza di creare una
unione politica, economica e monetaria, tra gran parte dei Paesi del Vecchio Continente.
La tappa fondamentale è risultata senza dubbio la firma del Trattato di Maastricht sull’Unione
Europea, avvenuta il 7 febbraio 1992, che non solo ha ampliato le competenze della Comunità
Europea e dei suoi organismi istituzionali, ma ha soprattutto sancito la nascita di una Unione
Economica e Monetaria tra quei paesi che, ad una data prefissata di scadenza (fine 2001),
avessero soddisfatto determinati requisiti in termini di tasso di inflazione, stabilità del tasso di
cambio, livello del tasso di interesse, del disavanzo e del debito pubblico. Dal 1° gennaio
2002 dodici paesi europei, tra cui come sappiamo l’Italia, hanno adottato l’Euro. L’insieme di
questi Paesi, definiti “Stati Membri”, costituisce l’Eurozona, un’area che, oltre
all’unificazione monetaria, ha come fine ultimo quello di trasformarsi in un vero e proprio
sistema economico, politicamente ed economicamente unificato.
La nascita della moneta unica ha ovviamente reso indispensabile l’istituzione di un
organismo regolatore della politica monetaria, la Banca Centrale Europea (Bce), entrata in
funzione dal 1° giugno 1998, con sede a Francoforte sul Meno in Germania. La Bce detiene il
monopolio dell’offerta di base monetaria, controlla i tassi di interesse a breve termine (tassi di
policy) e si configura dunque come centro decisionale per la politica monetaria dell’Eurozona.
Ovviamente le Banche Centrali Nazionali degli Stati Membri continuano a svolgere un ruolo
fondamentale e, insieme alla BCE, costituiscono l’Eurosistema mentre, unitamente alle
1Roncaglia, A.“Lineamenti di Economia Politica”, Editori Laterza, 2004; “L’Ue in sintesi” disponibile ne “Il
portale dell’unione europea”, www.eu.int.
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Banche Centrali dei paesi che ancora non hanno aderito all’Euro, costituiscono il Sistema
Europeo delle Banche Centrali (Sebc).
1.2 Ruolo e scopo della politica monetaria europea2
La Bce detiene il monopolio della base monetaria per quanto concerne l’Unione
Monetaria Europea (Ume). Questo vuol dire che è la sola che può emettere cartamoneta
inconvertibile a corso legale e fornire riserve bancarie nell’Eurozona. In particolare la base
monetaria comprende: il circolante (banconote e monete); le riserve (obbligatorie ed
eventualmente in eccesso); i depositi a vista detenuti dalle controparti (istituti creditizi
soddisfacenti determinati requisiti minimi) presso l’Eurosistema. Questa funzione le permette
di influenzare le condizioni del mercato monetario e di controllare i tassi di policy,
determinando l’orientamento di politica monetaria.
Le scelte della Bce si muovono in vista di un principale obiettivo definito in prima
istanza dall’articolo 105 del Trattato che istituisce la Comunità Europea (Trattato di
Maastricht, riferito alla Sebc poiché ancora nessun Paese Europeo era escluso dal processo di
unificazione monetaria):
“1. L’obiettivo principale del SEBC è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo
l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali nella
Comunità al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi della Comunità […]. Il SEBC
agisce in conformità del principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza,
favorendo una efficace allocazione delle risorse […]”3
Tra gli obiettivi della Comunità il trattato menziona “un elevato livello di occupazione […],
una crescita sostenibile e non inflazionistica, un alto grado di competitività e di convergenza
dei risultati economici”4.
Stabilità dei prezzi nel medio termine sono dunque le parole d’ordine che determinano
l’orientamento assunto dalla banca centrale. Per stabilità dei prezzi si intende, in senso
generale, l’impegno ad evitare tanto che si generi inflazione quanto deflazione. Una
definizione quantitativa di cosa il Trattato intendesse per “stabilità” è stata univocamente
annunciata dal Consiglio Direttivo della Bce nel 1998 :
2
“La politica monetaria della Bce”, edizione 2004, a cura della Bce.
3
“Trattato sull’unione europea” art. 105, 7 febbraio 1992.
4
“Trattato sull’unione europea” art. 2, 7 febbraio 1992.
7
“Per stabilità dei prezzi si intende un aumento sui dodici mesi dell’indice armonizzato dei
prezzi al consumo (IAPC) per l’area dell’euro inferiore al 2 per cento. Essa deve essere
mantenuta in un orizzonte di medio termine”.
Le serie storiche dello IAPC sono elaborate dall’Eurostat. In base alla ponderazione della
spesa per consumi riferita al 2003, i beni rappresentano il 59,1 per cento dello IAPC, mentre i
servizi ne coprono il 40,9 per cento. E’ possibile inoltre visualizzare una decomposizione
dell’indice che ha lo scopo di individuare i diversi fattori economici all’origine degli
andamenti dei prezzi al consumo.
Le misure di armonizzazione introdotte per lo IAPC nei differenti paesi si basano su
vari regolamenti e indirizzi della Comunità europea concordati con gli Stati membri.
Le variazioni percentuali annuali per l’Eurozona dello IAPC sono riportati nella tabella
seguente. Bisogna ricordare che l’elaborazione dei dati per quanto riguarda l’Eurozona si è
rivelata sin dal principio complessa, poiché le fonti dei data set sono state, soprattutto in
passato, non direttamente comparabili a causa delle differenze di rilevazione tra Paese e
Paese, per questo motivo si riportano qui i dati dal 1999. Giunti ormai ad una relativa
omogeneità, vi sono critiche per quanto riguarda il paniere adottato nella costruzione
dell’indice. Non sono in effetti inclusi i prezzi delle abitazioni che in gran parte dei Paesi
europei sono cresciuti esponenzialmente negli ultimi anni.5
Tabella 1: Variazione percentuale annuale dello IAPC nell’Eurozona
1999 1.1
2000 2.1
2001 2.3
2002 2.3
2003 2.1
2004 2.1
2005 2.2
Fonte: Eurostat
5
Cournède, B. “House prices and inflation in the Euro Area”, OECD’s Economics Department Working Paper
No.450
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Ma perché la Bce reputa così importante l’obiettivo di stabilità dei prezzi?
Le ragioni sono molteplici. Innanzitutto la stabilità dei prezzi consente ai cittadini di
monitorare più facilmente l’andamento dei prezzi relativi, senza essere indotti ad errori dovuti
alle fluttuazioni del livello generale dei prezzi; l’inflazione ridotta permette ai creditori di
rinunciare al “premio per l’inflazione”, mantendendo il tasso di interesse reale stabile rispetto
a quello nominale6, dunque determinando una migliore efficienza nel mercato dei capitali che
stimola l’attività di investimento; la stabilità dei prezzi evita che gli operatori economici
tentino spostamenti delle risorse dalle attività finanziarie a quelle reali sperando di conservare
meglio il valore economico che detengono, provocando in questo modo una crisi del sistema
finanziario; consente inoltre di ridurre le distorsioni dei sistemi tributari e fiscali, le cui
aliquote sono di norma non indicizzate; provoca un aumento della domanda di moneta, poiché
si ha fiducia che essa non si svaluti e ciò determina una riduzione dei costi transattivi per gli
operatori; in ultimo la stabilità dei prezzi evita redistribuzioni casuali del reddito tra debitore e
creditore, favorendo così la pace sociale.
L’ipotesi teorica di base, a sostegno di una attribuzione alla politica monetaria della
funzione di lotta all’inflazione e a partire dalla concezione della neutralità della moneta nel
lungo periodo, è che, non potendo agire durevolmente sulle grandezze reali, il conseguimento
della stabilità dei prezzi si presenta come il massimo contributo al miglioramento del
benessere economico che la politica monetaria possa fornire, favorendo in ultima analisi
l’innalzamento del tenore di vita, il livello di produttività e le prospettive di crescita
dell’occupazione. L’unica azione di lungo periodo è, dunque, quella che può essere svolta
sull’inflazione che è reputata come fenomeno unicamente monetario7 (questo vuol dire che un
sostanzioso aumento o diminuzione dell’inflazione non può non essere causato da una
variazione del tasso di crescita della moneta -M3-). Questa impostazione è stata molto
criticata (Keynes, Kolber), ma è comunque quella dominante tra i policy makers europei.
La figura 1 (pagina seguente) mostra la stretta relazione tra il trend del tasso di crescita della
moneta (variazione percentuale annuale di M3 su cui è stato eseguito uno smoothing tramite
una media mobile a 24 mesi) e il trend dell’inflazione (variazione percentuale annuale del CPI
fino al 1996 e dell’IACP in seguito, su cui è stato eseguito lo stesso lisciamento precedente).
6
Dall’equazione di Fisher: it = ir + πe dove it tasso di interesse nominale; ir tasso di interesse reale; πe inflazione
attesa.
7
Teoria sviluppata da Milton Friedman, Premio Nobel per l’economia nel 1976; “Bollettino mensile della BCE”
luglio 2000, a cura della Bce.