4
Lo studio prende le mosse, oltre che da una preliminare rivisitazione delle tematiche
“logistiche” affrontate e dei connotati socio-economici del territorio, da un ciclo di colloqui
realizzato nell’estate-autunno 2006 con otto manager logistici di sette imprese distrettuali:
Indesit Company, Merloni Termosanitari, Antonio Merloni, Elica, Faber, Thermowatt e
Padav. In questo gruppo, come si vede, sono comprese quasi tutte le unità produttive
posizionate al vertice delle filiere elettromeccaniche dell’area, di dimensioni rilevanti e
caratterizzate dal più elevato grado di complessità logistica; sono comunque presenti anche
unità minori ubicate negli stadi a monte della supply chain, rappresentative dell’insieme più
ampio delle piccole e medie imprese dell’indotto.
Comparando tra loro le diverse aziende, emerge grande eterogeneità
nell’organizzazione e nella gestione delle attività logistiche, dipendente da una serie di
fattori; tra i più importanti possono sicuramente menzionarsi l’estensione/concentrazione
geografica dei mercati di riferimento (sia di sbocco che di fornitura), il tempo di consegna
concesso dai clienti, e gli orientamenti manageriali predominanti. Emergono però anche
degli elementi comuni, che rendono in certi casi possibile individuare dei cluster di imprese
omogenei, da considerare in maniera unitaria nella trattazione.
Il primo capitolo è una sorta di panoramica introduttiva su logistica e distretto: nel
paragrafo iniziale vengono indicati i motivi che spiegano l’attuale centralità della logistica
industriale, distinguendo quali siano le direttrici d’intervento più evolute della funzione.
Nel secondo paragrafo si “inquadra” il distretto meccanico di Fabriano, descrivendone il
corso evolutivo fino ad arrivare alla situazione attuale, caratterizzata dalla presenza di reti
sistemiche gravitanti attorno alle leader di filiera. Nel terzo paragrafo sono rilevate le
tendenze prevalenti a livello distrettuale rispetto ad alcune fondamentali tematiche
logistiche quali: configurazione dei flussi fisici (in entrata, in uscita e interni all’area),
tipologie di servizio offerto, principali metodologie/opportunità di contenimento dei costi.
Il secondo capitolo si incentra sul processo logistico esaminato nelle sue diverse fasi, e
sulle metodologie di gestione strategico/operativa di queste: nel primo paragrafo viene
affrontata la programmazione della produzione, mettendo in evidenza i sistemi produttivi
maggiormente utilizzati dalle aziende nell’area studiata, e delle loro differenze. Nel
secondo paragrafo si stilizza l’assetto delle reti di stabilimenti-magazzini in cui vengono
convogliati i flussi outbound e inbound delle varie tipologie di imprese, indicando le
modalità di trasporto adoperate. Nel terzo paragrafo sono individuate le soluzioni a
supporto dell’integrazione logistica nella supply chain, con particolare riferimento agli
5
strumenti informatici, ma anche alle tecniche “evolute” di gestione delle scorte. Nel quarto
paragrafo si analizza la fase di post-vendita, per quanto concerne l’attività di
sostituzione/riparazione dei prodotti non conformi e lo smaltimento degli apparecchi
meccanici a fine vita.
Il terzo capitolo definisce l’estensione di prerogative e responsabilità della logistica nel
contesto organizzativo aziendale: nel primo paragrafo se ne sottolinea la trasversalità
funzionale, soprattutto nel presidio del flusso delle operations; e viene valutato in che
misura, nelle realtà investigate, svolga effettivamente il ruolo di “integratrice di processo”.
Nel secondo paragrafo si stilerà invece una classificazione dei principali driver di costo il
cui governo/controllo è affidato alla funzione logistica.
Il quarto capitolo, infine, è dedicato al quadro infrastrutturale di riferimento per la
movimentazione dei flussi fisici originati dalle aziende distrettuali: nel primo paragrafo,
dunque, viene tratteggiata una panoramica dei principali assi viari/ferroviari e snodi
logistici utilizzati, mettendone in risalto le più rilevanti criticità. Nel secondo paragrafo si
specifica il valore delle possibili opere da realizzare nell’ottica delle diverse imprese,
mettendo in luce i migliori risultati raggiungibili adottando un criterio di sviluppo organico,
piuttosto che effettuando interventi spot.
Lo studio si chiude con alcune considerazioni di carattere generale circa le evoluzioni
attese della logistica industriale nella catena del valore dell’impresa, e nel sistema spaziale
in cui opera.
6
7
CAPITOLO 1: LOGISTICA E DISTRETTO
1.1 Perché focalizzarsi sulla logistica?
Nell’attuale scenario di una offerta concorrenziale di beni ormai “globalizzata”, quale
può essere il vantaggio competitivo delle economie occidentali, con le loro caratteristiche
risultanti da secoli di evoluzione industriale e da un lungo percorso di consolidamento dei
diritti individuali, rispetto alle nuove super-potenze asiatiche?
Come possono le imprese Italiane rafforzarsi nei mercati “maturi” e risultare vincenti
nella penetrazione dei mercati “nuovi”, affrontando le difficili sfide che i sempre più
numerosi e agguerriti competitor internazionali impongono?
Sono questi, a mio parere, gli interrogativi fondamentali da cui partire.
Le economie emergenti hanno un vantaggio fondamentale: il costo di produzione. E’
noto a tutti come il salario degli operai, nei paesi di più recente industrializzazione, sia di
regola una frazione minima di quanto percepito dagli omologhi occidentali. Ma non si
tratta solo di questo: le imprese del vecchio continente devono anche attenersi a limiti di
“tollerabilità” fisica del lavoro, a normative di sicurezza nelle fabbriche, a leggi sulla tutela
ambientale, a tutto un insieme di regole di indubbia necessità sociale che costituiscono però
pesanti oneri del tutto inesistenti, ad esempio, in Cina1. A questo si può aggiungere la
condizione particolarmente sfavorevole dell’industria italiana in quanto a costo dell’energia
e carico fiscale, ma il confronto resta impari per tutti: è sostanzialmente impossibile
scontrarsi sul prezzo con i produttori dei nuovi mercati.
Allo stesso tempo, il baluardo della superiorità tecnica e della qualità di prodotto, che
per lunghi anni aveva mantenuto in posizione di forza le “vecchie” economie, si va poco a
poco dissolvendo. Fortunatamente non siamo ancora in una situazione di parità
tecnologica; le industrie occidentali, in larga misura, continuano a fabbricare beni
qualitativamente migliori di quelli dei concorrenti asiatici. Però i prodotti sono copiabili, le
tecnologie riproducibili, e il divario fatalmente destinato a restringersi.
Sono, queste, considerazioni fin troppo risapute, e non si vuole in questa sede sminuire
l’attenzione, che deve ovviamente permanere, alla razionalizzazione dei costi di produzione
1
E’ il cosiddetto “dumping sociale”.
8
e alla innovazione di prodotto/processo produttivo. Ciò che si vuole evidenziare è la
necessità, per imprese tradizionali che vogliano mantenere il loro status (e crescere), di
puntare anche su altre forme di vantaggio competitivo “porteriano”, più sostenibili.
Un simile ruolo, nella mia idea, può essere svolto dai processi logistico/produttivi
evoluti e dalle forme di organizzazione integrate, che operino indotti da una continua
tensione verso l’ottenimento dell’eccellenza del servizio percepito dal cliente. Servizio
inteso nel senso di velocità/puntualità e flessibilità delle consegne, nel senso di conformità
alle specifiche e agli ordini, nel senso di integrità del prodotto, nel senso di attenzione alle
esigenze del cliente.
E’ ormai diventata, questa, una variabile critica per il successo aziendale. Ed è la nuova
sfida da raccogliere per sopravvivere e risultare vincenti in mercati sempre più globali,
competitivi ed “esigenti”. Perché non tutti saranno in grado di farlo2.
Ecco spiegata la centralità della logistica, intesa sia come funzione dell’azienda che
come processo che travalica le barriere di essa. Il suo compito è gestire il flusso fisico di
beni che dai fornitori a monte arriva in azienda, attraversa gli stabilimenti produttivi e i
magazzini, ed esce per raggiungere gli acquirenti tramite i diversi canali distributivi. Il suo
scopo è quello di ottimizzare le performance di tale flusso (per i clienti finali ma anche per
quelli della azienda stessa), contraendo al massimo grado efficiente i lead-time, facendo
arrivare le merci che servono quando servono, dove servono e senza difetti3, e mantenendo
la capacità di risolvere eventuali anomalie in breve tempo e al meglio.
Tutto questo va naturalmente realizzato al minimo costo possibile, razionalizzando al
massimo i costi dei trasporti, dei magazzini e dell’handling, e tenendo sotto stretto
controllo il livello dell’investimento complessivo nell’ammortizzatore del sistema, cioè lo
stock di capitale immobilizzato. E’ quest’ultima forse la problematica maggiore con cui
fare i conti per i pianificatori di ogni impresa: tenere materie prime, semilavorati, e
soprattutto prodotti finiti ad alto valore aggiunto “fermi” negli stabilimenti e nei magazzini
è estremamente oneroso, poiché si sottraggono ingenti risorse finanziarie all’azienda (che
2
Come afferma Maurizio Serafini, Logistic Director di Elica, parlando di cappe aspiranti: “Il prodotto in Cina già si
trova. Grazie a Dio non è ancora qualitativamente comparabile, però si trova. Poi però portarlo nei vari mercati,
garantire lead-time, costi di trasporto e livello di servizio accettabili, beh, quello è tutto da verificare. Questo è ancora
un elemento di protezione”
3
Queste parole richiamano forse alla memoria l’ideale del Just in Time. Ma non è questo che si sta auspicando: sarebbe
quantomeno arduo riproporre un JIT “puro” anche per le aziende meccaniche al vertice della filiera del distretto di
Fabriano. Non perché mancherebbero ad esse le possibilità o le competenze organizzative per ridisegnare i processi
produttivi intraziendali in tal senso, ma perché semplicemente i fornitori non riuscirebbero a tenerne il passo. Quelli del
JIT restano comunque in larga parte ottimi principi da seguire, ed è da questo punto di vista che nel caso in esame
possono risultare molto utili. Della riconversione del distretto al JIT se ne riparlerà forse tra una ventina d’anni!
9
potrebbero essere investite in modi molto più “redditizi”), e poiché ci si espone a rischi di
obsolescenza direttamente proporzionali ai giorni di copertura delle scorte.
Il trade-off logistico tra massimizzazione del livello di servizio e contenimento dei costi
è dunque palese, e per risolverlo o quantomeno per allargare la frontiera della “curva di
indifferenza” emergono principalmente tre direttrici d’intervento evolute:
• in distribuzione, esternalizzare l’esternalizzabile mantenendo il controllo centrale;
• reperimento e gestione di informazioni sempre più tempestive, accurate e
affidabili;
• massima integrazione della gestione del processo logistico.
La tendenza all’esternalizzazione delle attività logistico-distributive, in primo luogo, si
inserisce nell’ambito di un credo manageriale in voga ormai da molti anni, che predica il
massimo grado di outsourcing delle attività non facenti strettamente parte del core business
dell’impresa. La logistica non fa eccezione, e fermo restando il presidio e la
programmazione centralizzata della funzione, “idealmente” tesi all’ottimizzazione
complessiva della gestione del flusso fisico dai mercati di approvvigionamento a quelli
finali, vale il principio del “delegare tutto ciò che delegando può funzionare lo stesso (o
meglio), e costare meno”. Perciò si terziarizzano non più solo i trasporti, cosa che
quantomeno le aziende di una certa dimensione hanno sempre fatto, ma anche e in misura
sempre maggiore la gestione dei magazzini, con tutte le attività di ricezione,
movimentazione e spedizione ad essa collegate4.
Le ragioni sono semplici: innanzitutto esternalizzare fa rima con “flessibilizzare”, e non
è un segreto per nessuno quanto sia cresciuto, con il dinamismo dei mercati, anche il
fabbisogno di flessibilità delle imprese (che può rivelarsi, in periodi difficili, vero e proprio
“ossigeno”). Inoltre, società logistiche che svolgono unicamente determinate attività
probabilmente saranno in grado di farlo in maniera più efficiente di aziende che hanno altre
competenze distintive, e che non dispongono dei sistemi, degli strumenti e del personale
specializzato e forgiato dalle economie di apprendimento delle prime. Tanto più che spesso
sono gli stessi operatori logistici incaricati della gestione dei magazzini ad occuparsi anche
della gestione dei trasporti, magari non solo per la singola azienda ma anche per altre
congiuntamente. Si comprende allora facilmente come queste società possano conseguire
4
Tranne, solitamente, la parte “d’ufficio”.
10
più logiche razionalizzazioni degli spazi, delle movimentazioni e dei carichi nonché, se si
riesce a lavorare con volumi superiori, economie di scala. Entrambe le cose, con tutta
evidenza, consentono notevoli risparmi sui costi non raggiungibili autonomamente.
Una cosa è comunque da specificare: è innegabile la fortissima tendenza in atto per le
aziende maggiori alla terziarizzazione delle attività operative di magazzinaggio e di
trasporto5, soluzione che l’evidenza empirica ha dimostrato essere maggiore; però non si
sta assolutamente teorizzando di lasciare il controllo del processo logistico-distributivo ad
altri, è scontato che il timone della programmazione e della gestione globale debba
comunque rimanere saldamente nelle mani dell’impresa. Le decisioni su dove inviare le
merci, e quando, e sulle quantità di stock da tenere nei magazzini della rete aziendale ai
diversi livelli non verranno mai delegate ad altri. Ed è centralmente che si svolgono
fondamentali attività quali: la pianificazione dei viaggi diretti dagli
stabilimenti/concentratori di prodotto finito ai siti di destinazione dei grandi clienti, o agli
Hub periferici dell’azienda (con attività annessa di ottimizzazione dei carichi)6; la gestione
e il controllo delle performance dei diversi operatori logistici utilizzati; le eventuali
ristrutturazioni organizzative dei magazzini; gli stessi ridisegni di lungo periodo della rete
distributiva.
Per quanto concerne il reperimento e la gestione delle informazioni, in secondo luogo, è
evidente quanto la pianificazione logistico/produttiva delle imprese industriali possa
semplificarsi se dal mercato provengono dati immediati sull’andamento della domanda e
sulle preferenze dei clienti; o se si conoscono le previsioni di vendita, i livelli di stock e i
programmi di produzione delle aziende a valle della supply chain. La condivisione delle
informazioni è fondamentale per non basarsi unicamente sull’andamento degli ordini
ricevuti, spesso fuorvianti, nelle previsioni di medio-lungo periodo.
L’insufficiente visibilità sull’andamento produttivo e distributivo delle unità più a valle,
in effetti, può determinare l’amplificazione delle variazioni anomale di ordini e scorte verso
le unità a monte. E’ il cosiddetto fenomeno del Bullwhip Effect: se i fornitori lavorano al
“buio” rispetto alle reali dinamiche di mercato, e basano la loro pianificazione unicamente
5
Naturalmente una piccola ditta sub-fornitrice di fase, con un unico stabilimento e un magazzino interno a fine linea
che riceve il versamento di produzione, non avrà molto da esternalizzare! La stesso trasporto dei componenti ai siti
produttivi più vicini dei clienti verrà quasi sempre effettuato con mezzi propri, in quanto è frequente che questo genere
di imprese possegga 1-2 camion o furgoni. A meno che non si renda necessario effettuare spedizioni a grandi distanze o
(vista l’imperante delocalizzazione produttiva) internazionali: in quel caso ci si rivolgerà verosimilmente a corrieri
specializzati.
6
Le società logistiche hanno invece tendenzialmente un grado di autonomia maggiore nell’organizzare il trasporto
capillare nel territorio, dai magazzini di riferimento del mercato-paese.
11
sulle commesse del cliente diretto (che possono anche essere il frutto di politiche
speculative o promozionali, di errate convinzioni individuali sulle tendenze del mercato, o
semplicemente della necessità di approvvigionarsi a lotti economico/tecnici), fatalmente
saranno indotti a ritenere ogni fluttuazione negli ordini come segnali di effettive modifiche
nella domanda finale. Regoleranno quindi gli approvvigionamenti di conseguenza e
saranno portati, nel caso di variazioni positive, anche a sovrastimare il proprio fabbisogno
di materie prime per cautelarsi dai rischi di sottoscorta. Si assisterà allora inevitabilmente a
“picchi” di rifornimento seguiti da periodi di contrazione delle quantità ordinate, in cui
verranno consumati gli stock. Ed il fenomeno si aggraverà all’allungarsi del canale
distributivo e dei lead-time di ordini e consegne, poiché quanto più ampio è il lasso di
tempo che intercorre tra feedback informativo del cliente e risposta della filiera tanto più
sarà necessario lavorare su previsione, accumulando necessariamente scorte7.
Figura 1.1: Incremento della variabilità degli ordini al risalire la supply chain (fonte: H. Lee, 2000)
7
Ad esempio, per le industrie meccaniche del distretto di Fabriano, l’acciaio è una tipica materia prima caratterizzata da
lungo lead-time di consegna: a causa della particolare concentrazione del mercato di fornitura (ci sono poche acciaierie
e sono sempre ipersature di lavoro) bisogna forzatamente prenotarne le quantità 4-5 mesi prima, ed è facile immaginare
come in un simile orizzonte temporale decresca l’attendibilità delle previsioni.