III
formulazione dei criteri e delle condizioni che rendono legittimo tale istituto pur
nell’ottica di uno strumento eccezionale e derogatorio rispetto alle regole ed ai
principi del Trattato, alla condizione che non violi i principi di funzionamento del
mercato e le libertà fondamentali comunitarie.
Presentare la golden share come un fenomeno puramente ricollegabile
alla “statalizzazione” dell’economia sarebbe però erroneo. La golden share,
nonostante sia percepita come un fenomeno negativo che rappresenta la continuità
dell’ingerenza statale nel libero mercato, aldilà dei suoi contenuti tecnici e dei
suoi difetti, ha avuto una funzione importante nella formazione di un ampio
consenso nei confronti delle privatizzazioni in tutti gli Stati, anche quelli con
solide tradizioni di presenza statale in economia, senza il quale, sarebbe stato
difficile attuare un programma di privatizzazione di così ampie dimensioni.
1
Capitolo primo
Liberalizzazione e privatizzazioni in Europa
1.1. Il processo comunitario di liberalizzazione
Nel 1986 è stato sottoscritto l’Atto Unico Europeo, che ha determinato
una notevole accelerazione del processo di liberalizzazione dei servizi pubblici, in
vista del completamento del mercato interno.
La realizzazione delle quattro libertà - libera circolazione delle merci,
delle persone, dei servizi e dei capitali - incideva anche sui servizi di interesse
economico generale. L’abbattimento degli ostacoli alla prestazione dei servizi
implicava necessariamente anche la liberalizzazione dei servizi pubblici.
Con l’introduzione dell’articolo 95
1
, che prevede la maggioranza
qualificata per l’adozione delle direttive relative al mercato interno, si riuscì anche
a superare la resistenza degli Stati più restii
2
all’apertura al mercato di taluni
servizi pubblici.
A partire dagli anni novanta venne intrapreso in gran parte degli Stati
comunitari, per volere soprattutto della Commissione Europea, un processo di
liberalizzazione che investì principalmente i settori delle telecomunicazioni, dei
trasporti, il servizio postale ed il settore energetico.
Il ruolo dello Stato non è, tuttavia, venuto meno, ma è stato
semplicemente ridefinito: nell’organizzazione del proprio settore pubblico, esso
deve tenere conto dei principi comunitari, in particolare quelli che presiedono alla
realizzazione del mercato interno.
1
L’Art. 95 CE dispone che “Il Consiglio, deliberando in conformità della procedura di
cui all’art. 251 e previa consultazione del Comitato Economico e Sociale, adotta le misure relative
al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati
membri, che hanno per oggetto l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno.”
2
In primis le resistenze provennero dalla Francia, il paese in cui la tradizione del
servizio pubblico era maggiormente radicata. La Repubblica francese, in occasione della
Conferenza Intergovernativa che diede poi vita al Trattato di Amsterdam, propose di modificare
l’art. 86 in favore del settore pubblico nazionale. Fortunatamente, la proposta non fu presa in
considerazione dagli Stati più “liberali” e dalla Commissione Europea, che ribadì il valore
dell’articolo 86 come norma che realizzava il giusto contemperamento tra contrapposti interessi,
entrambi meritevoli di attenzione a livello comunitario.
2
L'interesse comunitario per i servizi pubblici si è manifestato solo con
l'avvio del mercato interno a metà degli anni ottanta. La piena realizzazione della
libera circolazione dei beni e dei servizi non poteva infatti che rimettere in
discussione le barriere costituite dai diritti speciali o esclusivi
3
che gli Stati
membri avevano concesso alle imprese di servizio pubblico.
La Commissione ha regolarmente messo in questione i diritti speciali ed
esclusivi, mediante la sua azione di carattere amministrativo (disciplinata
dall’articolo 226 CE), ovvero proponendo una legislazione comunitaria che
applichi ai settori in questione i principi di liberalizzazione del mercato interno.
L’ accelerazione del processo di integrazione comunitaria, alla quale si
assistette nel corso degli anni ottanta, determinò l’inasprirsi del conflitto tra la
logica della concorrenza e la logica dei servizi pubblici. Tale conflitto ha visto
prevalere gli interessi comunitari alla instaurazione di un mercato effettivamente
concorrenziale.
Nell’ultimo ventennio si è sviluppata, pertanto, in vista del
completamento del mercato interno, una intensa attività delle istituzioni
comunitarie volta a scardinare il consolidato sistema delle imprese pubbliche ed in
particolare dei monopoli nazionali.
La Comunità Europea è intervenuta con delle direttive che impongono la
liberalizzazione di determinati settori (telecomunicazioni, energia, trasporti).
Un ruolo fondamentale lo ha svolto la Commissione, che, facendo spesso
ricorso ad atti non vincolanti
4
, come i Libri Bianchi e le Comunicazioni, ha
segnato la strada per un successivo intervento del legislatore comunitario in vista
dell’apertura del mercato dei servizi pubblici.
Soltanto con le prime liberalizzazioni degli anni ottanta, opera della
Commissione Europea e dell'art. 86, si è assistito ad un progressivo abbattimento
dei principali monopoli nazionali, soprattutto nel settore dei grandi servizi
pubblici (telecomunicazioni, servizi postali, trasporti, gas, energia elettrica).
3
Sono diritti esclusivi o speciali, i diritti conferiti da una autorità di uno Stato membro
ad una impresa, o ad un numero limitato di imprese, che incidono in modo sostanziale sulla
capacità di altre imprese di stabilire o di sfruttare reti di telecomunicazione o di fornire servizi
sullo stesso territorio in condizioni sostanzialmente equivalenti.
4
Gli atti non vincolanti, al pari di quelli vincolanti, sono emanati ai sensi dell’articolo
249 CE
3
1.2. L’azione della Commissione in favore della
liberalizzazione
Con il termine di liberalizzazione, si suole indicare una serie composita
di interventi delle competenti autorità pubbliche finalizzati ad instaurare
condizioni di concorrenza sul mercato.
In primo luogo, abrogare o emendare atti legislativi e amministrativi che
sanciscono normative speciali per determinati settori dell’economia, sottraendoli
al gioco delle forze di mercato. In secondo luogo, smantellare le posizioni di
privilegio o di esclusivo appannaggio di certi operatori. In terzo luogo, applicare
le normative per la tutela della libertà di concorrenza.
Dunque gli interventi di liberalizzazione riguardano essenzialmente
settori di attività economica caratterizzati da una significativa presenza di
regolamentazioni. Lo scopo di simili regolamentazioni, è, in genere, la protezione
di interessi legittimi diversi da quello della libera concorrenza (ad esempio, la
sicurezza e la continuità delle forniture, nei servizi di distribuzione di energia).
Inevitabilmente, il contesto che ne discende presenta svariati vincoli e
differisce da quello che, in condizioni normali, dovrebbe essere riscontrato su un
libero mercato: non è detto però che tutte le categorie di regole, rilevanti per i
settori in questione, siano in frizione con quelle a tutela della concorrenza.
Data la centralità attribuita all’integrazione dei mercati dal Trattato di
Roma, la politica della concorrenza divenne uno dei pilastri centrali per la
creazione del mercato comune. Nel contesto dell’Unione Europea, si procede da
tempo sulla strada delle liberalizzazioni (sebbene con intensità discontinua a
seconda dei diversi settori), che hanno acquistato rilevanza politica solo verso la
fine degli anni ottanta, in seguito al conseguimento del mercato unico.
Il processo di liberalizzazione, che, per mano della Commissione, ha
guidato verso il libero mercato concorrenziale i settori pubblici più importanti dei
paesi membri trova la sua origine giuridica in una specifica norma del Trattato,
l'articolo 86 .
L'art. 86 CE, inserito nel Trattato istitutivo della Comunità Economica
Europea nel 1957 tra le regole di concorrenza per le imprese, ha rappresentato per
4
anni una norma di difficile interpretazione e di ancor più complessa applicazione.
La sua struttura, la terminologia adoperata, i diversi destinatari così come gli scopi
e le finalità perseguite ne hanno praticamente reso impossibile una definizione
univoca a livello comunitario. Esso è così rimasto lettera morta nel Trattato per
quasi trent'anni, in attesa di essere "scoperto" e applicato.
Oggi è diventato invece un importantissimo strumento di liberalizzazione
e di controllo della trasparenza delle relazioni tra Stato e imprese. Il merito di ciò
spetta alla Commissione Europea, vero artefice del processo di liberalizzazione
dei servizi pubblici in Europa.
Nel corso degli anni ottanta e novanta, la Commissione ha fatto largo uso
dell'art. 86, di volta in volta applicato congiuntamente con altre norme del Trattato
in grado di ampliarne la portata. In particolare l'applicazione congiunta dell'art. 86
con l'art. 82 ha avuto come effetto di creare una sorta di norma "nuova" capace di
sanzionare e disciplinare i comportamenti anticoncorrenziali tenuti non dalle
imprese (cui l'art. 82 è rivolto), bensì dagli Stati.
Poter colpire comportamenti anticoncorrenziali tenuti da imprese
direttamente o indirettamente riconducibili ad uno Stato, ha permesso alla
Commissione di poter vigilare ed intervenire con decisione per porre fine a
violazioni di norme del Trattato e per spezzare le "forti catene" che legavano
importanti settori economici europei ad apparati pubblici poco efficienti e per
nulla competitivi.
A livello istituzionale, l’attore responsabile della garanzia e del controllo
della concorrenza è la Direzione Generale concorrenza, istituita in base al
Regolamento n. 17/1962. All’inizio degli anni novanta, la DG formulò un
ambizioso piano di liberalizzazione dei servizi di pubblica utilità settori prima
esclusi del libero mercato.
I meriti dell'articolo 86 sono molti. Innanzitutto quello di avere dato una
prima energica spallata ad uno dei monopoli nazionali che più degli altri
necessitava di essere aperto alla concorrenza, le telecomunicazioni.
Da quel momento, pur tra alterni momenti, il processo di liberalizzazione
ha proceduto a ritmo costante, almeno fino alla seconda metà degli anni novanta,
5
consegnando al mercato importanti fette di settori prima sottoposti a regime di
monopolio pubblico.
È evidente che il compito di modificare così in profondità la struttura dei
mercati nazionali non può essere realizzato mediante atti di forza della
Commissione, ma deve necessariamente trovare il più ampio consenso possibile
tra gli attori che dovranno poi subirne gli effetti. Per questa ragione, una volta
iniziato il lungo processo di liberalizzazione, è importante che si proceda in modo
democratico verso l'apertura totale dei mercati nazionali alla concorrenza
comunitaria.
1.2.1. Strumenti
Nel corso degli anni, la Commissione ha fatto uso dei diversi strumenti di
intervento, con l’obiettivo di liberalizzare progressivamente numerosi comparti
dell’economia europea.
L’impatto di questa azione è stato, nel complesso, profondo, pur variando
di intensità a seconda che venissero impiegati strumenti di tipo normativo, con
valenza generale, o strumenti più puntuali verso Stati membri o imprese. In una
prima fase, la Commissione ha applicato soprattutto disposizioni a garanzia
dell’unicità del mercato comune e della concorrenza. In una seconda fase, ha
intensificato il ricorso alla legislazione, propiziando, così, un salto di qualità
rispetto all’ampiezza dei risultati conseguiti. L’atto normativo di diritto
comunitario impiegato nei vari settori, per liberalizzarli, è la direttiva.
5
L’obiettivo esplicito di quest’ ultima è di instaurare un regime di
concorrenza, attraverso l’eliminazione di tutti i fattori distorsivi del libero
mercato, in particolare dei diritti speciali ed esclusivi evocati dall’articolo 86 CE.
Va tenuto presente che, da sole, tali direttive non possono garantire una
equilibrata liberalizzazione, a cagione del loro specifico e mirato campo di
5
La sua natura la rende adatta a disciplinare settori di attività differenti, in Stati dalle
tradizioni e dalle realtà legislative diversificate. Con la direttiva, i vincoli cardine sono uniformi,
ma le modalità concrete per il suo recepimento, nei vari ordinamenti nazionali, possono essere
scelte dalle istituzioni di ciascun paese.
6
applicazione. Per tale motivo, devono essere fiancheggiate da una più completa
opera di armonizzazione delle leggi nazionali.
1.3. Le resistenze opposte dagli Stati membri alla
liberalizzazione dei servizi pubblici
L’intervenuta incidenza dei processi di liberalizzazione promossi dalla
Comunità sui settori dei servizi pubblici, ha dato luogo a reazioni di varia natura,
da parte degli Stati membri, concernenti tanto la ritenuta necessità del perdurare di
una particolare influenza statale sugli operatori dei settori produttivi strategici,
quanto i rischi legati al verificarsi, in tali settori, come conseguenza della
liberalizzazione stessa e della spesso conseguente privatizzazione, di fenomeni
distorsivi della concorrenza. Parallelamente l’attenzione della Commissione si è
concentrata sulla liberalizzazione dei mercati dei servizi pubblici e sul corretto
svolgimento dei processi di privatizzazione delle imprese pubbliche, oltre che sul
rispetto delle regole di concorrenza da parte delle imprese possedute o controllate
dai pubblici poteri e di quelle recentemente privatizzate.
1.4. Le privatizzazioni: tipologie e significati
L’ultimo quarto del ventesimo secolo, ha visto diffondersi la convinzione
che una maggiore efficienza e crescita economica andasse ricercata
nell’affermazione delle leggi di mercato e libera concorrenza. Da ciò è derivato un
ridimensionamento della presenza diretta dello Stato nell’economia, che non può
essere compreso fino in fondo se non inquadrato in una più generale
riorganizzazione dell’intervento pubblico. In quest’ottica vanno analizzati i
processi di privatizzazione che, dalla metà dello scorso secolo ad oggi, hanno
riguardato moltissimi Paesi e tutti i settori economici di tradizionale presenza
statale: finanza, telecomunicazioni, energia, trasporti e “pubbliche utilità” in
genere.
7
Il termine privatizzazione è generalmente utilizzato per la definizione di
una molteplicità di operazioni. In particolare, con tale termine si indica sia la mera
trasformazione dello statuto giuridico di un’impresa di proprietà pubblica, nelle
svariate forme che la stessa può assumere, in una società di diritto privato, con il
conseguente assoggettamento alla disciplina propria di queste ultime, che il
trasferimento del controllo dell’impresa pubblica medesima in favore di privati o
di società controllate da privati.
Nella prima ipotesi si tratterà di una privatizzazione formale; nella
seconda, che ricorre solo allorché abbia già avuto corso la prima, di una
privatizzazione sostanziale.
La distinzione non è così categoricamente definibile, essendo invalso
l’utilizzo del termine anche nei casi di semplice apertura al capitale privato di una
società di cui si dismette parte minoritaria della partecipazione pubblica in favore
di privati e, più generalmente, per significare il passaggio di una attività da una
gestione caratterizzata dall’esercizio di poteri pubblici ad una organizzata secondo
gli schemi normativi del diritto privato.
In tale definizione, riferita appunto all’attività, può così ricomprendersi
l’apertura al mercato di alcuni settori, con la cessazione del monopolio pubblico e
l’ingresso di operatori privati in settori in precedenza gestiti sia in forma
amministrativa, direttamente dallo Stato o dagli enti pubblici territoriali.
Il termine privatizzazione, viene inteso nella sua più stretta accezione
come il trasferimento in favore dell’azionariato privato del controllo delle imprese
pubbliche, determinando la loro sottrazione alla sfera di influenza del potere
pubblico.
Di peculiare rilievo, per la sua intrinseca sensibilità politica ed
economica e per l’attualità che riveste in molti Stati membri, risulta la
privatizzazione delle imprese pubbliche.
La privatizzazione, ossia la cessione ai privati del controllo delle imprese
produttrici di servizi pubblici, non è di per sé idonea ad introdurre meccanismi
concorrenziali relativamente alle imprese che si trovino in situazione di
monopolio naturale o di fatto. Anzi, può dirsi che la privatizzazione di tali
imprese, finisce, se non accompagnata dalla liberalizzazione, con il trasferire dal
8
pubblico al privato le posizioni monopolistiche, consentendo ingiustificati
sovrapprofitti ai nuovi proprietari privati.
1.5. Le privatizzazioni alla luce dell’ordinamento comunitario
E’ possibile sostenere che il concetto di privatizzazione può assumere nel
sistema del diritto comunitario due distinti significati. Una prima nozione di
privatizzazione discende dal principio di severo rispetto della par condicio tra
imprese pubbliche e private. Entrambe devono attenersi alle prescrizioni del
diritto comunitario nonché alle leggi del mercato e della libera concorrenza.
La seconda nozione di privatizzazione è quella che, più generalmente,
viene presa in considerazione, vale a dire l’alienazione a un soggetto privato del
controllo di un’impresa da parte del soggetto pubblico che lo detiene.
In base al dettato del Trattato comunitario, una simile scelta spetta
formalmente ai competenti pubblici poteri. Ciò malgrado, è indubbio che, a livello
di indirizzo politico, promanino dalle istituzioni dell’Unione Europea segnali
propensi a considerare l’ingresso dei privati nelle aziende pubbliche come un
fattore di maggior dinamismo e competitività per l’industria europea. Inoltre, nel
contesto della realizzazione dell’Unione Economica e Monetaria, il
conseguimento dei livelli di convergenza fissati dal Trattato di Maastricht, ha
indotto non pochi governi a vendere le imprese da essi controllate, con lo scopo di
ridurre il debito pubblico e risanare i bilanci.
6
Entrambe le nozioni di privatizzazione pongono una serie di situazioni di
rilevanza giuridica, con riguardo alle quali occorre rispettare tutte le pertinenti
norme di garanzia previste dalle disposizioni del Trattato, in particolare quelle a
tutela della concorrenza. A tal fine è importante tenere presenti le
regolamentazioni a salvaguardia del mercato unico e delle sue libertà
fondamentali. A proposito, si ricordano in particolare quelle concernenti la
liberalizzazione di alcuni settori oggetto di regimi speciali (trasporti,
6
Tali criteri fissati dal Trattato di Maastricht riguardano, in particolare, disavanzi
pubblici e debiti pubblici degli Stati, che non devono superare, rispettivamente, il 3% e il 60% del
Pil.
9
telecomunicazioni, energia) e quelle sui monopoli nazionali con carattere
commerciale (articolo 31 CE).
Le operazioni di privatizzazione possono rilevare per il diritto
comunitario già nella fase di dismissione delle partecipazioni societarie
precedentemente in mano pubblica, poiché, sin dalla scelta dei potenziali
acquirenti, gli Stati sono tenuti al rispetto dei principi di non discriminazione in
base alla nazionalità (art.12 del trattato CE), di libertà nel movimento di capitali
tra Stati membri (art. 56), di diritto di stabilimento (art. 43), ma soprattutto delle
regole della concorrenza tra cui ha assunto una posizione prevalente il cosiddetto
divieto di aiuti di Stato previsto dagli articoli 87 e 88 del Trattato CE.
Sono stati, infatti, questi principi che, nella concreta applicazione da
parte della Commissione, hanno progressivamente eroso l’apparente libertà degli
Stati di determinare il regime giuridico della proprietà delle società private e a
partecipazione pubblica, i criteri di sottoscrizione del capitale e del loro
finanziamento oltre alle modalità del trasferimento della loro proprietà.
Sebbene il Trattato di Roma sancisca un approccio rigorosamente
neutrale in tema di proprietà, la necessità di assicurare l’instaurazione di un
regime inteso a tutelare le condizioni concorrenziali ha condotto le istituzioni
comunitarie ad esercitare, in diverse occasioni, un ruolo di stimolo alla
dismissione delle partecipazioni statali nell’economia. Il processo di
privatizzazione è stato favorito dalla progressiva liberalizzazione della
circolazione dei servizi e dei capitali, dalla puntuale applicazione della normativa
in materia di concorrenza e aiuti di Stato, e, soprattutto, dall’incompatibilità di
talune discipline nazionali in materia di monopoli con l’obiettivo dell’integrazione
dei mercati.
Le privatizzazioni rappresentano una delle aree più sensibili agli effetti
del diritto comunitario nell’ambito degli ordinamenti degli Stati membri.
La privatizzazione delle imprese pubbliche o a partecipazione statale non è stata
una scelta dei vari Stati, ma una vera e propria imposizione operata dal sistema
comunitario, che ne controlla anche le modalità e i tempi di attuazione secondo
regole assai dettagliate.
10
1.6. Le diverse strategie di privatizzazione in Europa
1.6.1. La creazione delle S.p.A. e la privatizzazione delle
società con partecipazione pubblica in Italia
Il primo provvedimento generale che ha dato avvio alle privatizzazioni è
stato il decreto legge del 5 dicembre 1991, n. 386, convertito nella legge del 29
gennaio 1992, n. 35
7
. La motivazione fondamentale risultava essere
esclusivamente di natura finanziaria ed era rappresentata dalla difficoltà, se non
impossibilità, del settore pubblico di continuare a sopportare l’onere delle
partecipazioni statali. A questo si affiancava la necessità di ridurre l’ammontare
del deficit di bilancio, e i ricavi della vendita della partecipazione nelle imprese
pubbliche rappresentavano un possibile strumento per conseguire tale obiettivo.
Il decreto legge n. 386/91, composto da tre articoli, vedeva racchiusi nel
primo di essi conseguenze, regole e condizioni della trasformazione degli enti
pubblici economici. I momenti in cui si esplicava il procedimento normativo
erano tre: trasformazione dell’impresa; vendita delle relative partecipazioni;
perdita del controllo da parte dello Stato.
Alla fine del processo sarebbe dovuta avvenire la sostituzione di un ente
pubblico economico con una società per azioni, un soggetto giuridico privato
(nella struttura organizzativa). Ciò avrebbe comportato l’applicazione della
disciplina generale delle S.p.A. (art. 1, legge n. 35/92).
Il passaggio da ente pubblico economico a S.p.A. (privatizzazione
formale), costituisce premessa necessaria alla successiva vendita ai privati delle
nuove S.p.A. ( la c.d. privatizzazione sostanziale ).
Una volta trasformati gli enti pubblici in società per azioni con
partecipazioni statali o di enti pubblici, occorreva stabilire norme per la vendita
7
Legge recante norme sulla trasformazione degli enti pubblici economici, dismissione
delle partecipazioni statali ed alienazione di beni patrimoniali suscettibili di gestione economica.
Con questo provvedimento normativo ha inizio una nuova concezione delle dismissioni di aziende
pubbliche in Italia; quello che cambia profondamente rispetto al precedente momento storico è che
le operazioni di vendita non vengono più realizzate sulla base di decisioni episodiche dei singoli
enti, ma diventano oggetto di un vero programma politico.
11
delle azioni detenute dallo Stato o da enti pubblici. Ciò è avvenuto con il decreto
legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito con legge 30 luglio 1994, n. 474. Questa
contiene la normativa più generale relativa alle privatizzazioni.
La disciplina del decreto legge può essere divisa in due parti. Il primo
gruppo di disposizioni concerne le modalità di alienazione. Queste, secondo
l’articolo 1, possono essere tre: offerta pubblica di vendita
8
(intesa a facilitare la
partecipazione dei risparmiatori alla costituzione di società ad azionariato diffuso,
prive di soci di controllo o di riferimento, le c.d. public companies), cessione delle
azioni mediante trattative dirette con i potenziali acquirenti
9
, ricorso ad entrambe
le procedure.
Il secondo gruppo di disposizioni è relativo alle società esercenti servizi
pubblici. Vengono indicate espressamente le società operanti nei settori della
difesa, dei trasporti, delle telecomunicazioni e delle fonti di energia. Tuttavia, sia
nell’uno che nell’altro comma, si parla di altri pubblici servizi.
A tal fine è prevista un’apposita individuazione, compiuta, per le società
direttamente o indirettamente controllate dallo Stato, con decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri e, per le società controllate direttamente o
indirettamente da enti pubblici, con provvedimento dell’ente pubblico
partecipante.
Per queste società, la norma contiene due ordini di disposizioni. Da un
lato, secondo l’articolo 1 bis, le dismissioni delle partecipazioni azionarie dello
Stato e degli enti pubblici nelle società di cui all’articolo 2 sono subordinate alla
creazione di organismi indipendenti per la regolazione delle tariffe e il controllo
della qualità dei servizi di rilevante interesse pubblico. Si tratta degli istituti
chiamati Authorities
10
.
L’istituzione di tali organismi, aventi il compito di regolare i singoli
settori di servizio pubblico, è essenziale per la fase di transizione dal regime
8
La disciplina dell'O.P.V. risponde a molteplici obiettivi quali la parità di trattamento
degli investitori, la trasparenza dell'operazione, la correttezza dell'informazione e la tutela del
risparmio.
9
Ciò avviene quando è necessario elaborare, d’intesa con i soggetti cui lo Stato intende
trasferire il controllo delle società privatizzate, un piano di rilancio e risanamento dell’impresa
oggetto di dismissione.
10
Tali istituti sono previsti anche nella delega contenuta nell’art. 1 della legge 24
dicembre 1993, n. 537, che prevede l’istituzione di organismi indipendenti per la regolazione dei
servizi di rilevante interesse pubblico.
12
monopolistico del servizio stesso al mercato concorrenziale. In tal modo, il
passaggio verso il mercato in settori in precedenza fortemente regolamentati e
prevalentemente monopolistici avviene nel rispetto del principio di separazione
tra funzione gestoria e funzione regolatoria .
Il secondo ordine di disposizioni è più complesso e mira a stabilire tre
ordini di limiti all’autonomia privata. Il primo consiste nell’attribuzione di poteri
speciali attribuiti al Ministro del Tesoro. Il secondo prevede la determinazione di
limiti al possesso azionario da parte di privati. Il terzo pone limiti all’autonomia
statutaria delle società, con previsione dell’elezione degli amministratori mediante
voto di lista.
1.6.2. Le Privatizzazioni in Francia
La Francia ha avviato il proprio programma di privatizzazioni solo nella
seconda metà degli anni ottanta.
I processi di privatizzazione in Francia
11
sono disciplinati dalla legge n.
86/793 del 2 luglio 1986
12
, che conferisce al Governo il potere di intervenire, ai
sensi dell’art. 38 della costituzione, al fine di assicurare alle imprese una più
ampia libertà di gestione.
La legge pone la norma generale di attuazione distinguendo tra le
imprese pubbliche privatizzabili solo con intervento legislativo, quelle per le quali
occorre un provvedimento amministrativo e quelle per le quali è sufficiente una
mera dichiarazione preliminare o successiva, prevedendo che la disciplina venga
dettata con ordinanze assunte dal Governo. La legge del 1986 dispone il
trasferimento dal settore pubblico al settore privato della proprietà delle
11
La costituzione francese, all’art.34, impone che per vendere una proprietà dello Stato
è obbligatorio varare una legge.
12
Tale legge, attuata dalla successiva 86/912 del 6 agosto 1986, sarà poi oggetto di
modifiche ed integrazioni apportate con leggi 88/2 del 4 gennaio 1988, 96/314 del 12 aprile 1997 e
da ultimo con ordinanza 2000/916 del 19 settembre 2000.
13
partecipazioni detenute direttamente o indirettamente dallo Stato nelle imprese
che figurano nell’elenco annesso alla presente legge.
13
Quasi tutte le imprese privatizzate appartenevano ai settori bancari e
finanziari, in quanto la costituzione francese impedisce il passaggio ai settori
privati di aziende considerate di pubblica utilità.
Non essendo state privatizzate le imprese che gestivano servizi pubblici
di prima necessità, l’impatto sul mercato dell’intero processo di vendita si è
rivelato molto più leggero se confrontato con quello di altri paesi (ad esempio la
Gran Bretagna).
Nell’ambito delle politiche di privatizzazione, il Consiglio Costituzionale
francese, ha considerato l’esercizio di alcuni servizi pubblici nazionali non
demandabile alle imprese private, così come previsto dalla costituzione
14
. Si viene
così a delineare una demarcazione tra servizi pubblici previsti dalla costituzione
che possiamo chiamare servizi pubblici costituzionali e che non possono essere
esercitati da privati e servizi pubblici previsti con atto legislativo per i quali non
esiste tale limite. Nella costituzione, è assente sia una definizione del concetto di
servizio pubblico costituzionale sia una espressa elencazione di questi. La legge
86/912 del 6 agosto 1986 contiene la disciplina relativa alle modalità di
applicazione delle privatizzazioni previste dalla legge 86/793.
Il programma di privatizzazione avviato con la legge 86/793 si è
concluso con i decreti di attuazione n. 86/1140 e n. 86/1141 del 24 e 25 ottobre
1986.
La legge n. 93/923 del 19 luglio 1993 segnò l’avvio di una più decisa
politica di privatizzazioni. Essa manteneva in vigore la legge del 1986,
riconfermandone i principi, e dichiarava esclusivamente la privatizzabilità delle
imprese appartenenti al settore pubblico concorrenziale.
15
13
L’elenco indicava sessantacinque imprese da privatizzare, tra cui quelle
nazionalizzate nel 1982. La privatizzazione concerneva prevalentemente imprese ritenute
facilmente cedibili perché in attivo e non esercenti un servizio pubblico.
14
Il nono alinea del Prèambule della costituzione francese prevede che le imprese il cui
esercizio abbia le caratteristiche di un servizio pubblico nazionale deve divenire di proprietà della
collettività.
15
Tale definizione appare insufficiente, non essendo legislativamente chiarito cosa
debba intendersi per settore pubblico concorrenziale e cioè se vi siano o meno escluse le aziende
esercenti un servizio pubblico, molte delle quali operano in regime di forte concorrenza.