amatoriale. Un ulteriore aspetto, legato al precedente, è la diffusione limitata di tali
informazioni, che spesso rimangono relegate nell’ambito accademico e specialistico o, al
limite, degli appassionati, sebbene d’altro canto sia necessario sottolineare comunque la
discreta diffusione recente di tali opere. L’ultimo punto che segnaliamo è l’ormai avvenuta
identificazione tra il mito del golem e le leggende a carattere folcloristico e popolare
sviluppatesi tra XVIII e XIX secolo e poi diffusesi a macchia d’olio, con protagonista appunto
il Maharal; identificazione che probabilmente ha contribuito non poco ad “oscurare” la reale
genesi del mito e del concetto stesso del golem, trascurandone in tal modo svariati aspetti
sviluppati dalla tradizione rabbinica e qabbalistica.
Nel capitolo I si traccia pertanto una sintetica panoramica dello sviluppo del concetto
di golem, a partire dalla sua etimologia, dalle tracce nella Bibbia e nel Talmud per passare poi
alla letteratura qabbalistica fino ad arrivare ai giorni nostri. Uno degli obiettivi è quello di
enucleare gli elementi di novità che vengono a presentarsi nel corso dei vari periodi storici e
tra diversi autori e scuole di pensiero, pur ovviamente senza alcuna pretesa di completezza,
essendo tale parte concepita come appunto una carrellata – comunque non arbitraria – dei
temi e delle tecniche più importanti riportati nelle discussioni qabbalistiche e poi nelle
leggende più tarde. Ciò permette di evidenziare in primo luogo il fatto che l’idea della
creazione di un antropoide artificiale, pur presentandosi in forme peculiari in molte culture e
credenze, sia da ritenersi un concetto specificamente ebraico e in modo particolare legato alla
sua tradizione mistica. In secondo luogo l’analisi del suo sviluppo nelle fonti qabbalistiche
mostra come tale idea fosse già pienamente sviluppata e formalizzata ben prima del suo
evolversi in mito popolare; anzi le discussioni relative al golem si caratterizzano per una
complessità e ricchezza speculativa che colgono appieno le molte implicazioni (di carattere
teologico, filosofico ed etico) che tale simbolo assume. Si giunge infine al consolidamento
della leggenda, avente come archetipo – unitamente ad alcuni leggendari chassidim – la figura
del rabbino Loew di Praga, di cui si danno alcune informazioni sulla vita per poi concentrarsi
2
sulla narrazione legata al golem e alle sue varianti, con qualche cenno al problema delle fonti
e della loro autenticità, oltreché del rapporto tra il personaggio storico e la sua trasfigurazione
leggendaria. La parte conclusiva del capitolo è dedicata ad una rassegna, a titolo prettamente
esemplificativo, di una piccola parte delle opere letterarie e artistiche in cui il golem è
protagonista a partire dal XIX secolo. Da tale momento in avanti, infatti, il simbolo
dell’antropoide d’argilla creato dall’uomo conosce una fama e una diffusione massiccia,
giocando un ruolo importante anche nella nascita e nello sviluppo del filone letterario su
robot, cyborg e androidi. Al riguardo si richiama in particolare il romanzo Der Golem (1915)
di Gustav Meyrink, il cui successo contribuì non poco alla fortuna del mito. Alcuni aspetti di
questo testo vengono analizzati anche nell’ultimo capitolo in relazione alla rilettura della
figura e del simbolo golemico all’interno dell’opera di Jorge Luis Borges. Anche il cinema,
sin dai suoi esordi, ha guardato con interesse al tema; si è preferito affrontare tale questione
anch’essa all’interno del quarto capitolo, concependola come premessa alla parte più analitica
dedicata ai lavori di Amos Gitai.
Nel secondo capitolo l’utilizzo simbolico del concetto golemico è dunque considerato
nel caso specifico dell’analogia tra golem e macchina, ovvero tra golem e automa, la quale
comporta una serie di problematiche legate ad esempio al rapporto tra creatore e creatura, ai
limiti della potenza creativa umana, al potere umano sulle cose, alla relazione di ciò che è
creato con il suo creatore (che ne rappresenta la trascendenza). Il concetto di automa, parallelo
e derivato da quello di golem, viene preso in considerazione nel suo sviluppo storico e
teorico, fino ad arrivare a discipline quali la cibernetica, l’A. I. e la robotica. In riferimento a
ciò sono sembrati particolarmente significativi da un lato un intervento di Gershom Scholem,
nel quale viene esplicitamente accostata la leggenda golemica al computer, mentre dall’altro il
parallelo tra golem e cibernetica teorizzato da Norbert Wiener. Lo scienziato statunitense,
considerato il padre della disciplina, oltre a svilupparne gli aspetti scientifici e tecnici ha
sempre avuto un occhio di riguardo per i suoi possibili sviluppi futuri e le implicazioni a
3
livello sociale ed etico, espresse in particolare nell’opera dall’emblematico titolo God &
Golem, Inc. (1964). Uno dei punti cruciali che si è deciso di mettere in luce è quello
riguardante la possibilità dell’uomo di costruire macchine “intelligenti”, mettendo in crisi il
rapporto di distinzione e separazione ontologica alla base della dialettica uomo-macchina; su
questo si fa anche un rapido cenno alle considerazioni fatte dal filosofo ebreo francese André
Neher su tali questioni, le quali si basano in particolare su una intrerpretazione piuttosto
originale di Giobbe e del mito del Faust.
Nel capitolo successivo viene indagato il problema legato allo status del golem, il
quale permette di affrontare alcune importanti questioni concernenti la creazione artificiale di
forme di vita e l’identità umana. Analizzando alcuni testi di Byron Sherwin, rabbino e
studioso di filosofia e mistica ebraica, si presentano alcune discussioni halakhiche (inerenti
cioè al sistema etico-legale ebraico) riguardanti il golem, che in qualità di categoria sui
generis è oggetto di studio nei corpora classici e medievali della letteratura ebraica. A
conferma di quanto detto in precedenza, infatti, il concetto di golem era andato sviluppandosi
nel corso dei secoli sia per quanto riguarda le tecniche per la creazione sia per la riflessione
sulla sua natura, raggiungendo un livello speculativo e teoretico decisamente sottile e
complesso che enucleava problematiche ugualmente rilevanti. Nel citare gli esiti dei suddetti
responsa si affrontano delicate questioni etiche, tra le quali l’utilizzo delle biotecnologie e
dell’ingegneria genetica, lo status dell’embrione, le tecnologie riproduttive; si è ritenuto
opportuno in tal senso fornire alcuni chiarimenti ed accennare ad alcuni concetti (come, ad
esempio, le tecniche di riproduzione assistita, la clonazione, le cellule staminali, la definizione
di persona) per poi, attraverso l’accostamento proposto da Sherwin tra tali snodi problematici
e quelli legati alle discussioni halakhiche sul golem, svilupparne le implicazioni etiche.
L’obiettivo è in primo luogo quello di approfondire ulteriormente la simbologia del golem per
indagarne ulteriori possibilità semantiche (in questo caso legate alla sua peculiarità di forma
di vita artificiale creata dall’uomo, alla difficile definizione del suo statuto, all’ambiguità della
4
sua natura in quanto entità potenzialmente ma non del tutto umana), e in secondo luogo quello
di accostare le suddette questioni servendosi della capacità ermeneutica propria del mito.
Naturalmente non si ha la pretesa e nemmeno il fine di fornire soluzioni o di propendere per
qualche punto di vista preciso. Il fatto di aver riportato la posizione di Sherwin – la quale, pur
nella sua peculiarità – è assai vicina all’atteggiamento ebraico nei confronti di quelle
problematiche) va letto come interessante esemplificazione di possibili usi metaforici del
simbolo anche per esplicitare convinzioni etiche.
Nell’ultimo capitolo vengono prese in considerazione alcune riletture del mito; in
modo più approfondito, come anticipato sopra, quelle dello scrittore Jorge Luis Borges e del
regista Amos Gitai, mentre in un’ultima parte (Altri golem) sono citate altre suggestioni, che
però si è ritenuto non necessitassero di attenzione o analisi particolari. Anche qui lo scopo non
è meramente didascalico o descrittivo, cioè una sorta di presentazione di “variazioni sul
tema”, ma si è inteso – in linea con l’idea guida del lavoro – enucleare ulteriori significati
presenti in nuce nel concetto di golem, esplicitati in modo piuttosto originale nel primo caso
in letteratura e nel secondo nel cinema. Nel caso di Borges il tema del golem compare
esplicitamente nell’omonima poesia (El Golem, 1958), poi come voce nel Manuale di
zoologia fantastica (1957) e, in modo più allusivo ma chiaro, in un racconto breve. Si cerca
quindi di fornire un quadro più ampio, citando alcuni influssi delle teorie qabbalistiche
all’interno dell’opera borgesiana ed evidenziando le tematiche che emergono in relazione alla
creazione di un antropoide artificiale. Queste ultime vanno dal tema del doppio e dell’alter-
ego (ben presente anche nel testo di Meyrink, che viene qui richiamato), ad una specifica
concezione della poesis, all’ipotesi del mondo come sogno e alla potenza creativa del
linguaggio.
La scelta di trattare alcuni lavori del cineasta israeliano Amos Gitai è giustificata a
nostro parere dall’efficace e complessa opera di reinterpretazione del mito da lui intrapresa.
Ad un breve richiamo su alcune pellicole aventi come oggetto la leggenda (la più celebre e
5
importante delle quali è Der Golem di Paul Wegener), segue un’analisi della trilogia di Gitai
dedicata al golem e in modo particolare di Golem – l’Esprit de l’exil, lungometraggio del
1991 che per le tematiche trattate è assai vicino ad altri due film del regista, vale a dire Esther
e Berlin-Jerusalem. Il filo conduttore che li unisce è una riflessione incentrata sui motivi
dell’esilio, dello straniero e dell’esodo, rappresentati e pensati attraverso un modo del tutto
peculiare di fare cinema. Il golem è qui assunto a simbolo degli esiliati e dei diseredati,
divenendone una sorta di figura protettrice. Oltre ad alcune informazioni su Gitai e a qualche
minimo accenno al suo approccio registico, si presentano brevemente i film, tentando
soprattutto di mettere in luce le tematiche in essi affrontate e di sintetizzare gli inediti
significati assunti dall’emblema golemico. Infine, come detto, l’ultima parte si caratterizza
come una sintetica panoramica di interpretazioni (come nel caso del saggio di Bettina Knapp),
riletture simboliche (il parallelo con il sionismo proposto da Jay Gonen) e variazioni letterarie
(i racconti di Primo Levi) del mito del golem.
6
I
IL GOLEM NELLA STORIA
1. Significato etimologico e prime attestazioni
Il termine golem è «una forma nominale (di tipo quţl) della radice glm: il verbo galam,
di uso biblico, significa “ripiegare” o “avvolgere” un tessuto»
1
e assume inizialmente il
significato di informe, amorfo. Nella Bibbia il termine è un hapax legomenon, poiché è
utilizzato unicamente in Salmi 139, 16 (sebbene nella forma golmi): «Ancora informe mi
hanno visto i tuoi occhi [golmi ra’u enecha]»
2
, dove, secondo la tradizione rabbinica è Adamo
stesso che si rivolge a Dio. Nella Vulgata san Girolamo tradusse piuttosto efficacemente con:
«imperfectum meum viderunt oculi tui»; la celebre versione di re Giacomo, del 1611, riporta:
«Thine eyes did see my substance, yet being unperfect»; mentre Lutero lo rese con: «Deine
Augen sahen mich, da ich noch unbereitet war»
3
. Anche nella Scrittura il senso è dunque
1
G. Busi ed E. Loewenthal (a cura di), Mistica ebraica. Testi della tradizione segreta del giudaismo
dal III al XVIII secolo, Einaudi, Torino, 1999, Introduzione, nota 49, pag. XLI.
2
La versione citata è in: La Bibbia. Testo ufficiale CEI , a cura di P. Vanetti, Edizioni Piemme, Casale
Monferrato, 1988, pag. 1089 (il grassetto è mio). Può essere interessante, al fine di mettere in luce la
difficile definizione del termine, confrontare tale lezione con altre. In La Bibbia in lingua corrente,
Editrice Elle Di Ci, Torino, 1985, pag. 853 essa è resa con: «Non ero ancora nato e già mi vedevi»,
mentre in La Sacra Bibbia. Edizione integrale illustrata, tr. integrale a cura di P. Eusebio Antinori,
Editrice SAIE, Torino, 1981, pag. 142: «(Il corpo) mio informe i tuoi occhi videro». Il testo ebraico è
stato ripreso da M. T. Krause, Introduction: Bereshit bara Elohim: A Survey of the Genesis and
Evolution of the Golem, in “Journal of the Fantastic in the Arts”, vol. VII, n. 2 e 3, Florida State
University Press, Tallahassee, FL, 1996, pag. 113.
3
Cfr. R. Plank, The Golem and the Robot, in “Literature and Psychology”, vol. 15, 1965, pp. 12-28 (il
corsivo è mio). Inoltre il termine «viene reso con con akatergaston, letteralmente "non lavorato", dai
Settanta e con amorfōton, "informe" da Simmaco, […]; il Targum ai Salmi ha infine gišmi, "la mia
7
quello di materia informe, imperfetta e ugualmente nella filosofia ebraica medievale esso sarà
avvicinabile al concetto greco di hyle
4
. Tra i vari studiosi non c’è accordo invece sulla
possibilità di allargare il campo semantico del termine e avvicinarlo al concetto di embrione:
da un lato accolgono tale ipotesi Moshe Idel, Byron Sherwin e anche Giulio Busi
5
, mentre del
tutto contrario si dimostra Gershom Scholem, che a tale riguardo sottolinea come «non c’è il
minimo argomento per sostenere la tesi che [golem] significhi embrione, come si afferma
talvolta»
6
.
Come accennato sopra, nel Talmud per definire Adamo al momento della creazione –
prima che sia raggiunto dal soffio divino - si usa il termine golem; il quale ricorre in un passo
illuminante:
Aha bar Hanina ha detto: dodici ore ebbe il giorno. Nella prima fu ammucchiata
la terra; nella seconda ora egli divenne un Golem, una massa ancora informe;
nella terza furono stese le sue membra; nella quarta fu infusa in lui l’anima;
nella quinta si alzò in piedi; nella sesta diede un nome [a ogni essere vivente];
nella settima ora gli fu data in compagnia Eva; nell’ottava si misero a letto in
due e lo lasciarono in quattro; nella nona gli fu impartito il divieto; nella decima
lo violò; nell’undicesima fu giudicato; nella dodicesima fu scacciato e uscì dal
sostanza", "il mio corpo"» (G. Busi, Simboli del pensiero ebraico, Einaudi, Torino, 1999, nota 207,
pag. 72).
4
Cfr. G. Scholem, Zur Kabbala und ihrer Symbolik, Rhein-Verlag, Zürich, 1960, tr. it. di A. Solmi, La
Kabbalah e il suo simbolismo, Einaudi, Torino, 2001, pag. 204.
5
Cfr. M. Idel, Golem. Jewish Magical and Mystical Traditions on the Artificial Antropoid, State
University of New York Press, Albany, NY, 1990, tr. it. di A. Salomoni, Il Golem. L’antropoide
artificiale nelle tradizioni magiche e mistiche dell’ebraismo, Einaudi, Torino, 2006, pp. 60-65; B. L.
Sherwin, The Golem Legend. Origins and Implications, University Press of America, Lanham, Md.,
1985, pp. 1-23; G. Busi ed E. Loewental, Mistica ebraica, cit., Introduzione, pp. XXXIX-XLIII; G.
Busi, Simboli del pensiero ebraico, cit., pp. 72-73.
6
G. Scholem, La Kabbalah e il suo simbolismo, cit., pag. 204.
8
paradiso, come si dice nel Salmo 49.13: E Adamo non resta nel suo splendore
per una sola notte
7
.
Quindi Adamo, prima di ricevere l’anima (neshamah) da Dio, è definito golem nel senso
appunto di massa ancora informe; si noti che qui il passaggio successivo è quello di “stendere
le membra”, notazione che potrebbe in qualche modo avvalorare l’ipotesi del golem come
embrione, anche se l’espressione è piuttosto ambigua e, comunque, in questo caso il senso
letterale rimane quello sopraccitato
8
.
Dal testo appena esaminato emerge una concezione di Adamo come proto-golem che
avrà in seguito sviluppi interessanti: in un midrash dei secoli II e III il primo uomo assume
dimensioni cosmiche e Dio gli rivela «tutte le generazioni future fino alla fine dei tempi»
9
,
7
Ivi, pag. 205 (i corsivi sono dell’autore). Il passo originale si trova in TB Sanhedrin 38b, ovvero nel
trattato Sanhedrin del Talmud Babilonese. Tale trattato – compreso nel Séder Neziqìm (Ordine dei
Danni) – verte principalmente su problemi giuridici quali la pena capitale e varie forme di esecuzione,
sulla composizione di un tribunale e su principi fondamentali di fede. A tal riguardo si veda: A.
Steinsaltz, Ha-Talmùd lakòl, Gerusalemme, 1977, tr. it. di S. Servi e D. Liberanome, Cos’è il Talmud,
La Giuntina, Firenze, 2004, pag. 355. Per una approfondita discussione su tale brano e sulla ricorrenza
del topos della creazione di Adamo nella letteratura rabbinica: M. Idel, Il Golem, cit., pp. 58-65.
8
L’interpretazione data da Giulio Busi è proprio legata a questo problema. Infatti, commentando il
medesimo passo, Busi ritiene che «quello di golem sia lo stadio nel quale le membra sono chiuse
contro il corpo e come lo stendersi degli arti indichi il passaggio da una forma che racchiude in sé
potenzialmente la vita a una che la dispiega» (G. Busi ed E. Loewenthal, Mistica ebraica, cit.,
Introduzione, pag. XL). Secondo lo studioso tale lettura è giustificata anche alla luce del significato
etimologico del termine, che rimanda al ripiegamento di un tessuto e sarebbe diretto antecedente del
biblico gelom, ossia mantello (cfr. anche G. Busi, Simboli del pensiero ebraico, cit., pag. 73). Di
seguito Busi riconosce però che lo “stendere le membra” ha, nella pratica mistica, il significato
simbolico di «imprimere un movimento rotatorio alle lettere dell’alfabeto che simboleggiano i diversi
arti» (Ivi, pag. XLI). Di fatto sembra che non ci sia un riferimento diretto che possa avallare con
sicurezza l’accostamento golem-embrione (come sottolineato da Scholem), ma d’altro canto pare che
tale lettura non sia del tutto infondata.
9
G. Scholem, La Kabbalah e il suo simbolismo, cit., pag. 205. Può essere utile notare come l’idea del
macroantropo primordiale (Adàm qadmòn) sia centrale nella concezione mistica di Yitzchàq Luria
(XVI sec.); cfr. G. Scholem, Kabbalah, Keter Publishing House, Jerusalem, 1974, tr. it. La Cabala,
9
sebbene sia ancora inanimato e incapace di parlare (un golem appunto). Da qui si sviluppa
anche una teoria, formulata in particolare da Gershom Scholem, sulle forze telluriche di
Adamo legate all’elemento di cui è costituito, teoria che sembra essere confermata anche
dall’etimologia del nome (in ebraico terra è ‘adamah), sebbene tale interpretazione sia
piuttosto contrastata e per nulla sicura: «Gli stessi orientalisti non accettano senza discutere il
nesso linguistico che peraltro ha assunto, più tardi, grande rilievo nella rielaborazione
rabbinica e talmudica del racconto della creazione»
10
. Parzialmente contrario – o comunque
piuttosto critico – nei confronti di tale attribuzione di poteri tellurici ad Adamo è Moshe Idel,
che, pur ammettendo che tale ipotesi è «certamente interessante», afferma che «essa chiede
però di essere rinforzata con dati più consistenti. Nel frattempo, è troppo debole perché si
possa farne un fondamento dell’interpretazione della leggenda del golem»
11
.
Accanto a tali elementi peculiari della tradizione ebraica è importante sottolineare
come l’idea della creazione e animazione di antropoidi artificiali sia decisamente antica e
comune a un grande numero di culture: è anzi probabile che la stessa idea del golem, pur
mantenendo i suoi tratti originali all’interno dell’ebraismo, sia nata anche grazie all’influsso
di precedenti credenze e pratiche
12
. Anche su questo punto la ricostruzione di Scholem
differisce sostanzialmente da quella dell’allievo Idel, che chiarisce:
Il tentativo compiuto da Scholem di differenziare la pratica ebraica del golem
dalle pratiche astrologiche pagane di infondere facoltà spirituali nelle statue è
troppo marcato. Parte delle tradizioni sul golem deve essere considerata come
Edizioni Mediterranee, Roma, 1992, pp. 113-148 e 422-430; Id., Die jüdische Mystik in ihren
Hauptströmungen, Rhein-Verlag, Zürich, 1957, tr. it. Le grandi correnti della mistica ebraica,
Einaudi, Torino, 1999, pp. 157-298.
10
Ivi, pag. 203.
11
M. Idel, Il Golem, cit., pag. 64.
12
Cfr. Ivi, pp. 25-34, in cui l’autore prende in considerazione la pratica di animare statue e dotarle di
facoltà spirituali presso gli egizi e i romani, accanto a testimonianze di Padri della Chiesa. È noto che
concezioni simili erano diffuse anche presso le popolazioni cinesi e, più in generale, in tutto il
medioriente antico, come anche nella tradizione vedica indiana (cfr. G. Busi, Simboli del pensiero
ebraico, cit., pag. 76) e più tardi presso le civiltà precolombiane.
10