Il crepuscolarismo tra modernità e tradizione
Essi si accorgono sventuratamente che il poeta ha ormai perduto la sua aureola e
si adattano alla nuova condizione, ognuno seguendo la propria disposizione
d’animo. Avremo così due orientamenti principali: uno dolcemente malinconico,
che vede in Sergio Corazzini l’autore di punta, e un altro che fa dell’ironia la
propria caratteristica principale, dando origine ad un cenacolo intorno a Guido
Gozzano. Accanto a queste due linee si ha anche lo sperimentalismo di due
autori, Corrado Govoni e Aldo Palazzeschi, che, passando per il
crepuscolarismo, giungeranno ad altri esiti poetici in grembo al futurismo.
Futurista sarà poi anche Nino Oxilia, autore gravitante nell’orbita di Gozzano.
Non si può parlare di una vera e propria scuola crepuscolare, bensì di una
tendenza poetica purtroppo non adeguatamente valutata e approfondita dal
canone letterario. È interessante, dunque, soffermarsi sul dibattito critico circa il
ruolo del crepuscolarismo nella storia della letteratura italiana: ultima fase di una
poesia in caduta libera e dunque chiusura delle esperienze ottocentesche o prima
espressione di una nuova coscienza letteraria che percorrerà gran parte delle
esperienze poetiche del Novecento? Confronteremo a tal proposito le posizioni e
gli studi di alcuni critici letterari, dopo aver inquadrato storicamente la corrente
crepuscolare e averne descritto ampiamente protagonisti, caratteristiche e
tematiche.
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Il crepuscolarismo tra modernità e tradizione
I CAPITOLO
IL QUADRO STORICO E LETTERARIO
1.1 IL CONTESTO STORICO: LA SOCIETÀ DELLA CRISI
Gli autori annoverati nella tendenza crepuscolare sono tutti nati negli anni
Ottanta del XIX secolo e hanno vissuto la loro adolescenza e prima età adulta
nella temperie storica e culturale a cavallo tra i due secoli.
Nel 1870, con l’annessione del Lazio e della Roma di papa Pio IX all’Italia,
il processo di unificazione nazionale poté dirsi completato: cinque anni prima, nel
1865, Torino perse lo status di capitale del Regno in favore prima di Firenze e
poi, nel 1871, di Roma. Queste tre città hanno in comune non solo il fatto di
essere state (ed essere ancora, nel caso di Roma) capitali d’Italia, ma anche di
essere i tre maggiori centri di propulsione del crepuscolarismo. Come vedremo,
infatti, questa tendenza letteraria si dirama soprattutto nell’area centro-
settentrionale della penisola e, specificatamente, in corrispondenza di questi tre
capoluoghi. La società italiana dell’ultimo ventennio dell’Ottocento era
socialmente e politicamente instabile, contraddistinta dal conflitto tra forze
reazionarie e nuove spinte popolari sulla scia della dottrina marxista. Nell’ottobre
del 1887 morì Agostino Depretis, protagonista decennale dei governi di sinistra e
promotore della politica del trasformismo. Sotto il suo governo fu varata nel
1879 l’importante legge Coppino che istituiva l’istruzione elementare obbligatoria
e gratuita per tutti. In quello stesso periodo l’Italia conobbe la crescita industriale
e dei trasporti: nel 1885 le ferrovie vantavano una rete di diecimila chilometri e si
affermarono le prime grandi industrie, come la Pirelli, la Breda, la Edison. Il
capitalismo italiano si sviluppò in un momento successivo rispetto a quello delle
altre potenze europee e proprio per questo motivo i governanti italiani
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avvertirono l’esigenza di proteggere la produzione interna dalle ingerenze
straniere. Alla morte di Depretis, salì al potere Francesco Crispi, il quale, pur
facendo parte dello stesso schieramento del suo predecessore, impose una svolta
autoritaria sia alla politica estera che a quella interna. Egli radicalizzò
l’antagonismo con la Francia attraverso l’innalzamento dei dazi doganali volti ad
accentuare la spinta protezionistica già avviata da Depretis e si avvicinò
notevolmente a Germania ed Austria, ovvero i paesi con i quali l’Italia aveva
stretto un accordo di carattere difensivo nel 1882, la Triplice Alleanza,
nonostante molti italiani fossero contrari a causa della questione delle terre
irredente. Nel 1892, dopo la caduta del primo governo Crispi e il breve ministero
Di Rudinì, l’incarico di governo passò a Giovanni Giolitti, personaggio
fondamentale che, nel primo quindicennio del nuovo secolo, si sarebbe
affermato come figura-chiave della politica italiana. Sotto il suo primo governo si
ebbero novità sostanziali, come la fondazione del Partito Socialista Italiano e la
nascita dei Fasci dei lavoratori in Sicilia, espressione della tremenda miseria in cui
il Meridione era caduto in seguito all’eccessiva spinta protezionistica che non
permetteva più l’esportazione di prodotti agricoli verso la Francia. L’emigrazione
verso il continente americano di migliaia di contadini fu la manifestazione più
eclatante e preoccupante della disperazione di queste persone. Giolitti non
represse le agitazioni sociali e, così facendo, accrebbe l’irritazione della classe
dirigente e dei proprietari terrieri. Ben presto, nel 1893, egli venne destituito
dall’incarico e Crispi tornò al potere, questa volta attuando un programma di
governo fortemente antiliberale e antidemocratico: fu proclamata la legge
marziale e le proteste popolari furono sedate con il sangue, furono condannate
ad anni di carcere persone sulle quali gravavano solamente sospetti, fu limitata la
libertà di stampa e sciolto il Partito Socialista. In politica estera, Crispi promosse
l’espansione coloniale e la guerra in Abissinia, che però si risolse in un cocente
smacco con la disfatta di Adua che portò il capo del governo alle dimissioni. Re
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Umberto I affidò così l’incarico al conservatore Di Rudinì, il quale, per risolvere
la questione etiopica, sottoscrisse la pace di Addis Abeba (1896). Nel frattempo
la situazione in politica interna si fece sempre più tesa e disperata: ci fu una grave
crisi monetaria e la grande miseria in cui versava gran parte della popolazione fu
la causa di scioperi, agitazioni, saccheggi. Questa condizione contrastava con la
grande ricchezza di pochi, conquistata con sistemi poco onesti, quali lo
sfruttamento del lavoro operaio e del lavoro minorile. Nel 1898 la Corona e la
classe dominante si risolsero nell’attuare un colpo di Stato legale con
l’accondiscendenza del Parlamento. Il generale Pelloux ricevette l’incarico di
governo e questi tentò di far passare alla Camera leggi che avrebbero tolto poteri
al Parlamento e aumentato il prestigio e l’autorità regia. In quello stesso anno ci
furono gravissimi episodi di repressione delle agitazioni popolari, emblematici tra
tutti i fatti di Milano, città nella quale le truppe del generale Bava Beccaris
provocarono un centinaio di morti tra un gruppo di mendicanti che protestavano
per l’aumento del prezzo del pane. Re Umberto I decorò il generale,
approvandone l’operato: questo gesto gli sarebbe costato la vita. Infatti, nel 1900,
il re rimase ucciso in un attentato ordito da un anarchico al fine di vendicare le
morti di Milano: questo evento colpì molto sia l’opinione pubblica che la classe
politica e segnò una svolta decisiva. Il nuovo re Vittorio Emanuele III aprì una
nuova stagione politica, proponendosi come garante della libertà di stato. Dal
1903 fino al 1905 prese avvio il secondo ministero Giolitti, al quale ne sarebbero
seguiti altri due (1906-1909; 1911-1914): il periodo dei suoi tre governi quasi
consecutivi sarà ricordato come Età Giolittiana. L’Italia compì il salto definitivo
verso la modernità: l’apertura di Giolitti nei confronti dei socialisti e della
popolazione permise allo Stato di porsi come tutore delle leggi durante le lotte
sociali, senza far più fronte comune con la classe dirigente. Egli provvide a
nazionalizzare le ferrovie e a stabilizzare la moneta italiana: l’economia
finalmente iniziò a decollare e i buoni risultati ottenuti permisero all’Italia di
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conquistare un ruolo di prestigio anche a livello internazionale, sancito con la
conquista della Libia (1911). Importante fu l’introduzione del suffragio universale
maschile nel 1912, grazie al quale Giolitti poté allargare notevolmente le basi
dello Stato. Aspetti negativi della crescita economica furono però l’aumento del
dislivello tra Settentrione e Meridione d’Italia e una sperequata distribuzione della
ricchezza tra imprenditori e proletariato: questo fatto avrebbe ben presto aperto
una lunga stagione di lotte sindacali.
Il periodo in cui i crepuscolari crescono ed operano è dunque caratterizzato
prima da una forte insicurezza sociale, economica e politica che culmina con
l’uccisione del re; poi da un relativo assestamento della situazione, da una crescita
economica notevole e da una sempre maggiore coscienza dei propri diritti da
parte della classe contadina ed operaia. Si tratta di un’epoca di transizione tra il
mondo tradizionale ottocentesco, ancora legato ad una concezione di potere
dall’alto e ai sistemi di sussistenza agricoli, e il nuovo mondo novecentesco,
caratterizzato dal progresso tecnico e industriale, dalla capitalizzazione che
trasformerà completamente il volto dell’Italia contadina. È un’epoca che vede il
tramonto di un’era e l’alba di un’altra: i crepuscolari esprimono nelle loro opere le
contraddizioni legate al cambiamento, ma anche il fascino irresistibile che
l’innovazione tecnica provoca irrompendo nel quotidiano.
1.2 IL CONTESTO LETTERARIO: CARDUCCI, D’ANNUNZIO E PASCOLI
Giosuè Carducci (1835-1907), Gabriele D’Annunzio (1863-1938) e
Giovanni Pascoli (1855-1912) furono i grandi protagonisti della storia della
letteratura italiana nella seconda metà dell’Ottocento. Carducci fu un importante
esponente della scuola classicistica e influenzò le poetiche degli altri due letterati.
Il Classicismo ottocentesco fu percepito dalla borghesia italiana come lo stile
letterario più adatto per il periodo unitario, grazie al suo caratteristico repertorio
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