situazione di immaturità, segnata dalla comparsa dei normali sintomi
di sviluppo psico-fisico, induce quasi sempre il pedofilo a spostare la
propria attenzione su un altro soggetto confacente, poi su un altro e
così via, rendendo quindi cronico il decorso del comportamento di
questi soggetti.
Gli obiettivi della legge contro la pedofilia (dal §3, Cap. I).
La Legge 269/98 è composta da 19 articoli, e si propone
essenzialmente di realizzare le seguenti finalità:
• Rafforzare la repressione penale. La legge in esame determina
l’introduzione nel codice penale, dopo l’art. 600 (riduzione in
schiavitù), degli artt. da 600-bis a 600-septies, contenenti una serie di
nuove fattispecie delittuose. Vengono creati i reati di Prostituzione
minorile, Pornografia minorile, Detenzione di materiale pornografico e
Iniziative turistiche finalizzate allo sfruttamento della prostituzione
minorile. Vengono disciplinate anche le circostanze aggravanti e
attenuanti e le pene accessorie.
L’inserimento delle nuove norme nel titolo e nella sezione dei delitti
contro la libertà e personalità individuale (Libro II, Titolo XII, Capo III,
Sezione I, c.p.), evidenzia quale sia il bene giuridico tutelato dalle
norme incriminatrici, che configurano lo sfruttamento sessuale del
minore come una nuova forma di schiavitù. […]
• Fornire all’autorità giudiziaria più efficaci strumenti processuali. La
previsione di pene edittali così consistenti già determina effetti
processuali, come l’obbligatorietà dell’arresto in flagranza, la
possibilità del fermo di indiziato, l’ammissibilità della custodia in
carcere e delle intercettazioni.
Inoltre il ricorso all’incidente probatorio è reso più agevole quando sia
da escutere una persona minore degli anni sedici, mentre è prevista
una forma particolare di audizione dei teste minori, volta ad evitare
traumi psicologici al soggetto esaminato (c.d. audizione protetta).
Infine la competenza per i più gravi reati previsti nella legge, viene
attribuita, nella previsione dell’entrata in vigore della riforma del
Giudice unico di primo grado, alla cognizione del tribunale in
composizione collegiale3.
• Tutelare i minori da danni fisici e psichici connessi ai reati subiti.
L’art. 2, comma 2 crea un circuito informativo tra le procure e il
Tribunale per i minorenni, al fine di consentire a quest’ultimo
l’adozione dei provvedimenti più opportuni.
L’art. 8 porta modifiche all’art. 734-bis c.p., vietando la pubblicazione
delle generalità e delle immagini dei minori vittime dei reati di
sfruttamento della prostituzione e della pornografia, uguagliando il
divieto già previsto per i reati di violenza sessuale4.
In caso di prostituzione minorile (art. 600-bis, comma 2), l’art. 15
obbliga gli autori del reato a sottoporsi ad accertamenti diagnostici,
per accertare l’eventuale presenza di patologie sessualmente
trasmissibili, in modo da attuare interventi terapeutici anche sulle
vittime.
• Istituire importanti compiti di coordinamento e di informazione.
L’art. 17 affida alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministro
degli Interni un’attività di monitoraggio e repressione dello
sfruttamento minorile, stimolando la cooperazione internazionale e
istituendo nuovi nuclei investigativi specializzati presso le Questure e
le Squadre Mobili.
I mezzi di contrasto: la polizia sulle tracce dei pedofili (dal §4,
Cap. I).
In un’ottica di intervento contro il fenomeno pedofilia che sia
veramente efficace e completo, di grande rilievo appaiono gli istituti
maggiormente innovativi introdotti dalla legge in esame.
L’art. 14 L. 269/98 disciplina le attività di contrasto al fenomeno
criminale pedofilo, utilizzando l’esperienza derivante dall’applicazione
di norme che già prevedevano questi istituti nel campo del traffico
degli stupefacenti5e della criminalità organizzata6. Questo articolo
3
La riforma è contenuta nel D. Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51. Inizialmente prevista per il 2
giugno 1999, l’entrata in vigore del decreto si sta attuando mentre viene elaborato questo
lavoro.
4
Legge 15 febbraio 1996, n. 66. Si veda quanto detto in proposito al paragrafo
precedente.
5
La norma di riferimento è il D.P.R. 10 ottobre 1990, n. 309, in particolare agli artt. 97 e
seguenti. In essi si disciplina l’acquisto simulato di droga, stabilendo l’impunibilità per
gli ufficiali di polizia che acquisiscano sostanze stupefacenti o psicotrope quali elementi
istituisce strumenti come l’acquisto simulato di materiale
pornografico, forme di infiltrazione di agenti nell’attività criminale, il
differimento di sequestri o dell’esecuzione di altre misure cautelari,
allo scopo di fornire alla Polizia Giudiziaria idonei strumenti
organizzativi e investigativi.
In particolare il primo comma prevede la partecipazione simulata alle
attività illecite disciplinate nella legge, stabilendo la legittimità di
questa attività, purchè sia svolta:
-nell’ambito di operazioni disposte dal Questore […].
-da un ufficiale di Polizia Giudiziaria appartenente alle “strutture
specializzate per la repressione dei delitti sessuali o per la tutela dei
minori” o di criminalità organizzata;
-al fine di acquisire fonti di prova, relative ai reati previsti nell’art.
600-bis, comma 1 (induzione, sfruttamento, favoreggiamento della
prostituzione minorile), art. 600-ter, commi 1, 2, 3 (pornografia
minorile), art. 600-quinquies (iniziative turistiche volte allo
sfruttamento della prostituzione minorile);
-con l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria competente (Pubblico
Ministero o giudice7).
Il pubblico ufficiale che presti la sua attività nel rispetto delle
suddette condizioni, gode dunque di una ipotesi scriminante, avendo
egli agito per l’adempimento di un dovere8. […]
di prova per le indagini. Vengono anche disciplinati il ritardo e l’omissione di atti di
cattura o sequestro, quando sia necessario per l’ acquisizione di elementi probatori o per
l’individuazione dei responsabili dei delitti di produzione e traffico di stupefacenti.
6
Il riferimento qui è all’art. 12 della L. n. 306/1990. Anche in questa norma si prevede
una causa di non punibilità per gli ufficiali di polizia giudiziaria della Direzione
Investigativa Antimafia (D.I.A.). Questi ufficiali procedono alla sostituzione di denaro,
beni o altra utilità proveniente dai delitti di riciclaggio e impiego di denaro di provenienza
illecita, al fine di acquisire elementi di prova.
Per le medesime finalità probatorie in ordine ai delitti in materia di armi ed esplosivi, gli
stessi procedono all’acquisto o ricezione delle armi o esplosivi in questione.
7
Questa autorizzazione preventiva non è invece necessaria per l’acquisto simulato di
sostanze stupefacenti o psicotrope, ai sensi dell’art. 97 T.U. 309/1990.
8
L’espressa previsione nella L. 269/98 di questa scriminante, già presente nell’art. 97
T.U. 309/90, sembra legittimare definitivamente, almeno nell’ambito di applicazione di
queste norme, la figura del c.d. “agente provocatore”.
In dottrina e in giurisprudenza si è a lungo discusso sull’ammissibilità dell’agente
provocatore, definito come colui che provoca un delitto al fine di assicurare il colpevole
alla giustizia. Inizialmente valutato in termini rigorosi, questo comportamento era
ritenuto integrante quantomeno l’ipotesi di concorso morale nel delitto in questione.
Successivamente si era giustificata la condotta dell’agente provocatore, purchè essa si
limitasse a un’attività di contenimento, osservazione e controllo dell’altrui azione illecita.
Più condivisibile pare invece la concezione più recente, che tollera questa figura, come
priva dell’elemento soggettivo del dolo, essendo l’agente mosso dal precipuo scopo di
Il secondo comma dell’art.14 disciplina l’attività di contrasto attuata
con sistemi telematici e informatici. […]
Questa attività di indagine si svolge anche e soprattutto su Internet,
cui indubitabilmente l’art. 14 si riferisce parlando di “reti di
telecomunicazione disponibili al pubblico”. Tra le operazioni di
contrasto riveste grande importanza l’apertura di siti Internet o altre
aree telematiche di comunicazione e scambio9. In questi spazi gli
operatori del personale di polizia specializzata possono realizzare o
partecipare a scambi di informazioni e comunicazioni con altri
operatori del sistema, allo scopo di raccogliere gli elementi probatori
necessari all’individuazione dei responsabili dei reati di pedofilia. E’
ovviamente necessario che il pubblico ufficiale che opera su Internet
agisca tenendo celata la propria vera identità, e quindi le proprie
finalità. A questo proposito l’art. in esame prevede espressamente la
possibilità per il personale specializzato di operare sotto “indicazioni
di copertura”; in questo modo il pubblico ufficiale risulta un utente
qualsiasi di Internet, magari proprio dedito ad attività pedofile. E’
infatti ormai noto che per essere ammessi allo scambio di
informazioni o immagini a sfondo pedofilo, è necessario dimostrare a
propria volta un concreto interesse per l’argomento.
L’attività di polizia delle telecomunicazioni è svolta su richiesta
dell’autorità giudiziaria, motivata a pena di nullità.
Il concetto di materiale pornografico minorile (dal §1, Cap. II).
Innanzitutto, il concetto di pornografia.
L’introduzione di questo termine rappresenta per il legislatore una
novità assoluta. In precedenza, in ogni caso di disciplina inserita nel
codice penale, si era fatto riferimento solamente al concetto di
assicurare i colpevoli alla giustizia, purchè egli non abbia accettato neppure il rischio di
una effettiva consumazione del reato. Si veda in proposito G. Fiandaca, E. Musco, Diritto
Penale, parte generale, Bologna, 1995.
9
In proposito si fa riferimento alle c.d. “mailing list”, cioè spazi all’interno di Internet in
cui lasciare messaggi composti dal proprio computer, o alle c.d. “chat”, in cui è possibile
partecipare a discussioni “in tempo reale” con altri utenti collegati in un dato momento,
spesso in presenza di un moderatore. Si veda quanto più diffusamente detto al cap. III.
oscenità, di cui peraltro il legislatore si era preoccupato di fornire una
definizione esplicita10. […]
Sotto il profilo oggettivo, il termine pornografia indica essenzialmente
“ogni oggetto o ogni spettacolo o parte di esso consistente in
manifestazioni o sollecitazioni dell’istinto sessuale espresso con la
riproduzione, con la rappresentazione o con l’esibizione di organi
genitali”11. Un’altra definizione minima, più attenta alla situazione
sociale, si può ricavare dalla giurisprudenza della Suprema Corte
degli Stati Uniti d’America, che in varie occasioni ha fornito plausibili
chiarificazioni sull’argomento: un’opera si può dire pornografica se:
“a) una persona media, applicando gli standard contemporanei della
comunità, riterrebbe che l’opera, considerata nel suo complesso, ecciti
istinti pruriginosi; b) l’opera rappresenta o descrive, in modo
palesemente offensivo, una condotta sessuale definita specificamente
come tale dalla legge; c) l’opera, considerata nel suo complesso, sia
priva di un serio valore letterario, artistico, politico o scientifico”12.
Chiarito il concetto di pornografia, e il significato specifico che
assume nelle disposizioni in esame, la spiegazione dei termini
legislativi […] materiale pornografico appare agevole. […]
Se risulta ovvio che rientrano in questo concetto tanto i film quanto le
fotografie pornografiche riguardanti i minori, su qualunque supporto
siano prodotti, più difficoltoso è stabilire se vi si debbano
ricomprendere anche i disegni, i dipinti, le sculture ecc. Non pare
opportuno estendere la tutela in questione anche a queste ultime
forme espressive, considerato che non comportano necessariamente
un impiego effettivo del minore per la loro realizzazione, non
causando così quel turbamento psico-fisico dello stesso che abbiamo
visto essere alla base della disciplina in esame. Inoltre, anche dal
punto di vista lessicale, il termine produzione usato dal legislatore
sembra riferirsi più a una realizzazione in serie e “meccanica” del
10
Questa definizione si rinviene nel citato art. 529, I comma, c.p.: “Agli effetti della legge
penale, si considerano osceni gli atti e gli oggetti che, secondo il comune sentimento,
offendono il pudore”.
Il proposito del legislatore di fornire una definizione chiara di un concetto così delicato è
lodevole; ma la spiegazione non appare chiara, dato che per definire un concetto vago, ci
si limita al rinvio ad un altro concetto altrettanto vago, il (famoso) comune sentimento del
pudore; l’indeterminatezza appare dunque solamente spostata da un termine all’altro,
tanto che a qualche studioso questa sembra, più che una definizione, una tautologia.
Confronta in proposito A. Cadoppi, Commentari delle norme contro la violenza sessuale e
della legge contro la pedofilia, Padova, 1999.
11
La definizione si rinviene in opera cit. nota 23.
12
Definizione espressa nella sentenza Miller vs California, 413 U.S. 15, 1973.
materiale pornografico, che alla creazione manuale di una o più
immagini13.
Lo sfruttamento del minore e lo scopo di lucro (dal §2, Cap. II).
Si può osservare come la nozione di sfruttamento, secondo lo spirito
della conferenza di Stoccolma, significa sfruttamento (sessuale) a fini
commerciali, ossia a fini di lucro. Questa interpretazione rientra, del
resto, a pieno titolo nel significato che il termine assume nel
linguaggio comune, come utilizzazione a fini egoistici di un soggetto,
da parte di un altro soggetto. Qui, la finalità di lucro è evidenziata
dall’esplicito rinvio dell’art. 1 della presente legge alla conferenza di
Stoccolma.
Laddove una simile finalità non sia riscontrabile, non vi sarà
l’integrazione del reato. Solo se allo sfruttatore deriva un qualche
vantaggio economico dall’utilizzo del minore, si avrà sfruttamento ai
fini dell’integrazione del delitto.
Perché ricorra questo elemento, non è necessaria una completa
mancanza di retribuzione, o una sproporzione fra questa e il “valore”
della prestazione del minore. Anche in caso di “equa retribuzione” del
minore da parte dello sfruttatore, il reato sarà sussistente. Questo
perché, trattandosi di minori, essi debbono considerarsi comunque
sfruttati, anche qualora ricevano un compenso per la loro attività
sessuale, che nessuna retribuzione potrebbe eliminare il (supposto)
danno arrecato alla loro personalità, o ripagarli per esso.
La repressione della diffusione di materiale pornografico minorile
(dal §3, Cap. II).
La norma prevede due diverse sottofattispecie, che hanno oggetti
diversi, ma condotte pressoché coincidenti: punire la distribuzione,
divulgazione e pubblicizzazione di materiale pornografico significa
contrastare la relativa offerta di materiale pornografico, colpendo
indirettamente lo sfruttamento e lo svilimento del minore a fini
sessuali, che vi è a monte sotteso, anche allo scopo di prevenire
13
Così A. Cadoppi, Commentari delle norme contro la violenza sessuale e della legge contro
la pedofilia, Padova, 1999.
ulteriori fatti di tal genere; viceversa, la punizione della distribuzione e
divulgazione di “notizie o informazioni” finalizzate all’adescamento o
sfruttamento sessuale dei minori, serve a prevenire tali ultimi fatti,
punendo condotte ad essi prodromiche e agevolatrici. Ma non si
colpiscono in sé fatti di adescamento o di analoga natura, perché se
veramente questi si realizzano, vanno piuttosto a confluire nella
diversa (e più severa) fattispecie di favoreggiamento della
prostituzione minorile, di cui all’art. 604-bis c.p.
La fattispecie di detenzione: la tutela del minore fra privacy e
repressione (dal §4, Cap. II).
Con la fattispecie di detenzione, introdotta dai termini “si procura” e
“dispone”, il legislatore ha inteso punire l’ultimo anello della “catena”
legata alla circolazione del materiale pornografico riguardante minori:
il destinatario finale. Costui è un soggetto che, pur estraneo
all’attività di produzione o divulgazione del materiale, fornisce il suo
effettivo contributo alla circolazione dello stesso, attivandosi per
entrarne in possesso.
L’azione del procurarsi si può semplicemente definire come quella
riguardante tutte le attività idonee a far entrare il materiale nella
disponibilità del detentore. In questo senso, il reato si profila come
istantaneo. […]
In ogni caso, il concetto di “disporre”, come quello di “detenere”, che si
può considerare sinonimo al primo, esprimono una condotta di
durata, rendendo il reato permanente.
La norma in questione è una delle più discusse dell’intera legge.
Infatti, punire il semplice detentore di materiale pornografico è
sembrato a qualcuno14 andare contro una certa tradizione del nostro
diritto penale, tendenzialmente rispettoso della privacy degli individui,
e tendenzialmente disinteressato di quanto succede nella sfera privata
dei cittadini.
In riferimento alla fattispecie in questione, comunque, la scelta del
legislatore appare condivisibile. Non si tratta in questo caso di una
repressione della pornografia come tale, nell’intento di intervenire in
un settore ritenuto meritevole di censura. Si tratta invece della
repressione della pornografia minorile, in quanto essa deriva dallo
14
Cfr. A. Cadoppi, opera cit.
sfruttamento sessuale dei minori. In questa prospettiva, non si tratta
della repressione di un vizio di per sé, ma della repressione di un vizio
perché deleterio a persone in carne ed ossa, e minori per giunta, tanto
che i delitti in esame sono da considerarsi a tutti gli effetti delitti
contro la persona. Appare quindi legittima la minaccia della sanzione
penale anche nei confronti del detentore del materiale pornografico,
perché anche la condotta di detenzione si pone nella prospettiva della
offesa del bene giuridico finale, che abbiamo detto essere l’integrità
fisica, psichica, ecc. del minore.
Da questo punto di vista, sanzionare la domanda di materiale
pornografico appare indispensabile se si vuole limitare l’offerta del
materiale in questione, e limitare l’offerta vuol dire sostanzialmente
ridurre lo sfruttamento sessuale dei minori, attraverso il quale viene
realizzata l’offerta del materiale illecito.
La privacy e la libertà sessuale del detentore, per quanto degne di
rispetto, devono in qualche modo essere considerate in un giudizio di
bilanciamento tra esigenze di garanzia da una parte, e tutela dei
minori dall’altra. […]
Profili sanzionatori: pene severe e multe astronomiche (dal §5,
Cap. II).
Queste considerazioni sulla durezza delle pene, valgono in particolare
per quanto concerne le fattispecie contenute nell’art. 600-ter, c.p.
L’ipotesi di sfruttamento sessuale del minore al fine di realizzare
esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico, è punita
con la reclusione da sei a dodici anni, e con la multa da lire cinquanta
milioni a lire trecento milioni. La stessa pena è prevista per l’ipotesi di
commercio del materiale pornografico prodotto attraverso il predetto
sfruttamento. Per la fattispecie di divulgazione, pubblicizzazione o
distribuzione del materiale pornografico riguardante minori, le pene
comminate sono la reclusione da uno a cinque anni, e la multa da lire
cinque milioni a lire cento milioni.
Che cos’è Internet e qual’è il suo ruolo nella società (dal §1, Cap.
III).
Dal punto di vista del funzionamento, Internet è, più che una rete di
telecomunicazioni, una rete aperta, o meglio una “rete di reti”. Si
tratta infatti di una struttura di telecomunicazioni (TLC) che
comprende in sé numerosi strumenti diversi: dal cavo telefonico a
quello a fibra ottica, dai ponti radio al satellite. Questa struttura può
essere considerata lo scheletro di una miriade di reti tra loro
interconnesse. Il fenomeno della connessione tra reti è operativo
grazie all’uso di un protocollo di trasmissione comune, consistente in
una serie di regole per comporre i messaggi, facendo sì che questi
possano essere scambiati e “letti” da due computer, anche se diversi
tra loro. La comunicazione fra le diverse reti è possibile grazie a
questo linguaggio comune, che i computer “parlano” tra di loro, pur
se dotati di standard di funzionamento diversi, e pur appartenendo a
sistemi differenti. Questo protocollo comune è attualmente il TCP/IP
(Transmission Control Protocol/Internet Protocol).
Ad ogni computer collegato alla rete, viene assegnato un indirizzo IP
(Internet Protocol), consistente in un codice numerico; questo sistema
di indirizzi consente di identificare in modo univoco ogni computer
collegato alla Rete, e quindi di instradare verso una e una sola
macchina i messaggi immessi o ricercati nel sistema. Per ovviare
all’inconveniente di operare attraverso codici numerici, […] è stato
creato il sistema c.d. DNS (Domain Name System). L’indirizzo DNS è
composto quasi sempre da lettere, e spesso da parole di senso
compiuto o dalla riproduzione di marchi di aziende, in modo da
facilitare l’identificazione di ciò che si sta cercando. Un apposito
programma informatico commuta l’indirizzo DNS (c.d. Dominio) scelto
dall’utente, trasformandolo in un codice numerico che l’elaboratore
riconosca. […]
Sia dal punto di vista soggettivo, che dal punto di vista tecnico,
Internet si presenta dunque come una struttura aperta, diffusa e a-
centrica, apparentemente priva di ogni regolamentazione.
Probabilmente queste caratteristiche sono valse, almeno quanto le
innovazioni che ne hanno facilitato l’accesso, […] alla diffusione di
Internet nelle biblioteche, negli uffici e nelle abitazioni di un numero
sempre maggiore di cittadini in tutto il mondo […]. Indubbiamente, si
tratta della più interessante novità che ha investito il mondo della
comunicazione (e non solo) negli ultimi anni, aprendo nuove
prospettive per ogni categoria di utenti.
Per il cittadino, Internet rappresenta, nelle sue diverse forme, una
possibilità inedita di comunicare, reperire informazioni e apprendere,
grazie alla multimedialità, notizie e competenze in maniera nuova.
Per le pubbliche amministrazioni, Internet significa, probabilmente,
l’inizio di una forma nuova di interazione con il cittadino, secondo un
modello che prevede che siano sempre di più i servizi ad andare verso
il cittadino, anziché viceversa.
Per le aziende, Internet costituisce un nuovo strumento economico e
di competizione, efficace per farsi conoscere, utile per pubblicizzare i
propri prodotti e servizi, per analizzare il mercato e per effettuare
transazioni commerciali.
Per l’intera società, ormai a livello mondiale, Internet è un’occasione
per ridurre le distanze geografiche e culturali tra i vari stati e
comunità diverse, nell’ottica della c.d. globalizzazione.
I reati in Internet: l’anonimato e la responsabilità del Provider
(dal §2, Cap. III).
Nell’ambito degli innumerevoli contatti che ogni giorno si instaurano
tra i soggetti di Internet, e a prescindere da una preventiva relazione
contrattuale tra di essi, può accadere, e di fatto accade, che si creino
conflitti fra i diversi soggetti e che si ledano diritti altrui. Proprio la
natura capillare di Internet, di cui si è detto, e la diffusione globale di
qualunque informazione che vi sia immessa, possono amplificare
enormemente le conseguenze di un eventuale comportamento illecito.
[…] Uno dei presupposti della reazione dell’ordinamento giuridico di
fronte al compimento di un’attività illecita è l’individuazione del
soggetto responsabile, perché questo possa accollarsi le conseguenze
del suo operato. In altre parole, perché qualcuno possa essere
considerato responsabile per ciò che fa, il primo passo da compiere è
che lo stesso sia identificato. Ciò non vuol dire che, nella comune
esperienza, si riesca sempre a individuare tale soggetto. Ma, mentre
per gli illeciti che non hanno nulla a che vedere con la Rete, ciò è
dovuto a motivi estrinseci all’illecito stesso, e comunque rappresenta
un’eccezione, in Internet la stessa possibilità di risalire a un soggetto
identificato o identificabile è pregiudicata da motivi intrinseci al
sistema, e rappresenta quindi la regola.
[…] L’accesso a Internet avviene normalmente sulla base di una
registrazione dell’utente. Ciò non è però sufficiente a identificare
concretamente l’eventuale soggetto autore dell’illecito. Infatti, non solo
non può escludersi che siano forniti falsi estremi di identità, ma,
soprattutto, […] l’identificazione dell’autore dell’illecito si arresta
all’individuazione del punto di partenza del messaggio, e non può
evitarsi l’intervento di terzi estranei. E’ anche possibile, più
semplicemente, che l’utente utilizzi in modo fraudolento
l’identificazione di un altro soggetto, o alteri il proprio indirizzo
elettronico. Si tenga presente inoltre, che esistono appositi siti15 che
consentono una navigazione anonima, cancellando l’identificazione
elettronica e tutte le “tracce” lasciate dall’utente nel suo utilizzo di
Internet. […]
Le difficoltà di una concreta rintracciabilità del soggetto autore degli
illeciti, dovuta, come accennato, alle modalità di svolgimento delle
comunicazioni in Internet, comporta il discusso coinvolgimento di un
altro soggetto: il provider. Questa figura viene in rilievo poiché è in
qualche misura coinvolta nella commissione dell’illecito, considerato
che fornisce all’utente l’accesso alla Rete e gli organizza il servizio.
Inoltre il provider è l’unico soggetto che sia in grado di rintracciare
l’indirizzo dell’elaboratore da cui è partita la comunicazione illecita. E’
dunque possibile ipotizzare una corresponsabilità del provider per
fatti commessi in Internet dall’utente? […]
Dalle sentenze […] relative all’esperienza americana, emerge
chiaramente un’evoluzione nella concezione della responsabilità del
provider: da una prima affermazione di totale irresponsabilità, in
quanto soggetto che riveste una funzione assimilabile a quella del
libraio o distributore, si è passati all’affermazione di una potenziale
responsabilità, se l’attività esercitata risulta collegata a poteri di
controllo sulle notizie e sui contenuti immessi in Rete (figura
dell’editore).
15
Si tratta dei c.d. anonymous remailings. In origine furono predisposti per consentire
l’accesso a Internet a utenti che risiedessero in Paesi in cui la libertà di espressione è
limitata, in modo da non venire rintracciati, e quindi perseguiti. In seguito, sono stati
utilizzati anche per fini illegittimi, a causa dell’assenza di controlli, che in pratica lascia il
corretto uso del servizio alla coscienza dell’utente. Così O. Torrani e S. Parise, op. cit., in
riferimento a S. Bariatti, Internet e il diritto internazionale privato: aspetti relativi alla
disciplina del diritto d’autore, in AIDA, 1996.
Anche sul versante europeo, per quanto non si sia ancora formata
una casistica paragonabile a quella statunitense, le linee guida
sembrano andare nella stessa direzione.
Il problema della pedofilia a livello internazionale (§1, Cap. IV).
Nella maggior parte dei Paesi europei il termine “pedofilia” non appare
in alcun testo di legge; si parla di atti violenti di libidine, violenza
carnale e sessuale contro minori (al di sotto dei 15 o 18 anni, a
seconda dei Paesi).
Anche nei rapporti preparati dalle organizzazioni internazionali in
tema di sfruttamento sessuale dei minori, non si riscontra una
definizione di pedofilia; piuttosto, vengono elencate le fattispecie di
reato in cui il pedofilo può incorrere. In Europa lo sfruttamento
sessuale dei minori avviene tra gruppi di emigrati provenienti
dall’Africa o da altri paesi dell’Europa centrale e orientale, dove in
molti casi questa forma di prostituzione obbligata viene ignorata dalle
forze dell’ordine e dalla giustizia: questa situazione si inquadra nel
conteso internazionale dell’aumento della criminalità, dei costi di
repressione e della giustizia in generale.
In molti paesi in via di sviluppo vigono leggi contro lo sfruttamento
sessuale dei minori, ma raramente queste vengono applicate nei
confronti dei turisti stranieri: essi, generalmente, vengono rimessi in
libertà dietro pagamento di una cauzione, per poi rientrare in patria
sottraendosi all’esecuzione della pena. Questo status di cose è da
attribuire a diversi fattori, tra cui la Polizia mal pagata, e quindi più
facilmente corruttibile, il timore di colpire il turismo, fonte di
guadagni sotto forma di valuta pregiata, la mancanza di formazione e
di risorse del personale addetto alla giustizia.
Da segnalare, il fatto che Stati Uniti d’America, Francia, Germania,
Belgio, Svizzera, Norvegia, Svezia, Danimarca, Finlandia, Irlanda,
Australia e Nuova Zelanda hanno introdotto leggi
sull’extraterritorialità, che consentono di esercitare l’azione penale
contro i cittadini che abbiano commesso i reati in parola all’estero16.
16
P. Barzanò, La pedofilia in prospettiva comparata, in “La pedofilia. Aspetti sociali, psico-
giuridici, normativi e vittimlogici”, (a cura di) L. de Cataldo Neuburger, Padova, 1999.
Riguardo alla detenzione di materiale pornografico, è vero che il diritto
comparato offre esempi di repressione penale del mero possesso di
pornografia minorile, ma è altrettanto vero che in alcuni Paesi la
soglia rilevante non è quella dei diciotto anni, ma quella dei sedici o
quattordici anni: dal codice penale tedesco si desume che tutelati
sono i Kinder, cioè i minori di 14 anni; in Inghilterra è tutelato in
materia il minore di 16 anni; nel codice penale portoghese i minori di
14 anni sono tutelati solo in certe particolari condizioni; negli Stati
Uniti d’America l’età era fissata a sedici anni sino al 1984, e in
quell’anno fu portata a 18 anni con il Child Protection Act. In altri
sistemi giuridici la nozione di “pornografia” viene definita
legislativamente: lo statuto federale che oggi regola la materia negli
Stai Uniti, ad esempio, fornisce la definizione di “condotta
sessualmente esplicita”, unica rilevante nell’ambito della pornografia
minorile.
D’altra parte vi sono anche codici penali che rinunciano alla
punizione della mera detenzione di materiale pornografico, come il
nuovo codice penale tedesco (1994) e quello spagnolo (1995).
Quanto è disciplinato nel nostro codice penale all’art. 600-ter
(detenzione di materiale pornografico), non trova riscontro neppure
nei Paesi culturalmente più affini al nostro (codice penale tedesco,
spagnolo, francese), ove la repressione è limitata allo sfruttamento dei
minori per esibizioni pornografiche o alla diffusione del relativo
materiale.
Le nuove tecnologie consentono ai pedofili maggiore segretezza e
confidenzialità nello scambio di informazioni, diminuendo
ulteriormente le probabilità di essere scoperti; i bollettini di posta
elettronica, grazie all’ulteriore garanzia del codice di accesso segreto,
facilitano lo scambio delle informazioni anonime sulla pornografia
infantile. Il ruolo della Guardia di Finanza nell’identificare la
provenienza del materiale pornografico è stato più volte evidenziato
negli Stati Uniti, in Australia e in Nuova Zelanda; indagini su
spedizioni postali sospette e l’uso di recapiti controllati hanno
permesso di risalire ai produttori e distributori di pornografia
infantile.
Alcuni Paesi hanno incriminato il possesso di materiale pornografico
che ritragga minori: l’Inghilterra prevede una pena massima di tre
anni di reclusione per fotografie oscene ritraenti minori (Protection of
Children Act, 1978); in Olanda il possesso di pornografia infantile è
punito con la reclusione fino a quattro anni ed una multa massima di
25000 fiorini. Inoltre bisogna sottolineare che il ruolo del
coordinamento internazionale tra le forze di Polizia rappresenta una
strategia fondamentale per la lotta contro lo sfruttamento sessuale dei
minori attraverso l’uso delle reti telematiche: lo dimostra il fatto che,
immediatamente dopo l’entrata in vigore dalla L. 269/98, essendo
punibili anche in Italia le nuove fattispecie, un’operazione dell’Interpol
realizzata con la collaborazione delle Polizie di ventuno Paesi, ha
consentito di sequestrare oltre 100.000 immagini digitali di
pornografia minorile e ha portato all’arresto di quasi cento persone,
tra cui tre italiani, che facevano parte di una rete internazionale di
pedofili.
Si tratta comunque di forme di cooperazione ancora molto limitate:
quanto all’Interpol, infatti, vista la particolare natura giuridica che
non consente di inquadrarla nel fenomeno delle Organizzazioni
Internazionali per la mancanza di una convenzione istitutiva, la sua
operatività si basa su una spontanea collaborazione tra le forze di
polizia; per quanto riguarda l’Europol, è necessario tener presente che
l’Ufficio Europeo di Polizia, pur avendo competenze specifiche in
materia, ha poteri attualmente circoscritti allo scambio di
informazioni.