6 
Alla fine della guerra, Lévinas ritorna all’Ecole Normale Israélite 
come direttore ed inizia a pubblicare i primi scritti.  
Nel 1947 dà alle stampe “Dall’esistenza all’esistente”, nel quale 
pone il suo legame con il pensiero di Husserl e Heidegger, 
ulteriormente ribadito dal successivo “En découvrant l’existance 
avec Husserl et Heidegger” (1949) anche se già qui inizia a 
manifestarsi lo spirito critico nei confronti della “filosofia 
occidentale” che caratterizza tutta l’opera levinasiana. In questi 
anni egli partecipò alle riunioni settimanali di G. Marcel e al 
“Collège philosophique” di J. Wahl, sotto la cui direzione 
preparò la tesi di Stato che gli permise di accedere 
all’insegnamento universitario, la quale, pubblicata nel 1961, col 
titolo “Totalità e Infinito. Saggio sull’esteriorità” diventerà 
l’opera fondamentale di Lévinas insieme con “Altrimenti che 
essere o al di là dell’essenza”(1974).  
L’importanza di questi scritti è data dal fatto che in essi l’autore 
elabora una nuova concezione dell’etica partendo innanzitutto da 
una  critica puntuale ed articolata di tutta la filosofia che ha 
plasmato il pensiero occidentale.  
Secondo Lévinas, la filosofia è fondamentalmente una 
“egologia”: essa si è preoccupata del Soggetto a tal punto da 
renderlo assoluto, quindi totalmente impegnato a com-prendere 
ciò che è fuori da sé attribuendogli le proprie categorie 
conoscitive. 
Questo atteggiamento ha fatto in modo che il Soggetto non 
riuscisse ad entrare in piena relazione con l’Altro proprio perché 
non ne ha rispettato l’individualità.  
Da questa constatazione l’autore inizia a tracciare la sua visione 
etica, incentrata sulle nuove definizioni di Infinito ed Essere, ma 
soprattutto sul celebre tema del Volto, metafora dell’Altro da Sé, 
di cui l’Io deve accettare l’intima individualità.  
 
 7 
Negli anni successivi alla pubblicazione di “Totalità e Infinito” 
inizia ad insegnare presso l’Università di Poitiers (1964), 
passando poi a Paris-Nanterre nel 1967 ed infine, nel 1973, alla 
Sorbonne. Questi sono anche gli anni in cui la sua riflessione 
filosofica si arricchisce di ulteriori spunti, dati in particolare dallo 
studio del Talmud e dalla frequentazione di Monsieur 
Chouchani; infatti, nel 1963 pubblica “Difficile liberté.Essais sur 
le judaisme”, al quale fanno seguito “Quattro letture talmudiche” 
(1968),  “Dal Sacro al Santo. Cinque nuove letture talmudiche” 
(1977) e  “Al di là del versetto. Letture e discorsi talmudici” 
(1982). L’impianto filosofico di Lévinas non sarebbe completo 
se, accanto al tema dell’etica come rapporto esclusivo con 
l’Altro, non s’inserisse il tema della giustizia, che discende quasi 
obbligatoriamente dalle precedenti riflessioni.                                                             
Sebbene il filosofo lituano non renda evidente in modo 
sistematico quest’aspetto, esso può essere rintracciato nei pochi 
passaggi in cui tratta della comparsa del “terzo” nella relazione 
tra il Medesimo e l’Altro.  In questo modo la prospettiva 
levinasiana si arricchisce e si specifica come un approccio 
relazionale alla socialità complessa.   Gli ultimi scritti di Lévinas 
sono sempre dedicati ad un’ulteriore specificazione del tema 
dell’Altro: “ Il Tempo e l’Altro” (1979); “Di Dio che viene 
all’idea” (1982) e “Tra noi. Saggi sul pensare all’Altro” (1991). 
Emmanuel Lévinas morì a Parigi nel 1995. 
 8 
1 L’impianto Filosofico 
La formazione filosofica di Emmanuel Lévinas ha inizio nel 
1923, quando si trasferisce all’Università di Strasburgo per 
seguirvi i corsi di filosofia di alcuni tra i più influenti pensatori 
del suo tempo: Maurice Pradines, Henry Carteron, Charles 
Blondel, Maurice Halbwachs, scoprendo al contempo il 
pensiero e le opere di importanti filosofi del   passato, Platone, 
Aristotele, Pascal, Kant, Descartes, e del presente,  Bergson e 
Durkheim.  
L’ammirazione nei confronti dei maestri di Strasburgo, eredi 
della tradizione razionalista e positivista dello XIX° secolo, non 
preclude a Lévinas la scelta di proseguire i propri studi 
all’Università di Friburgo per entrare in contatto con le nuove 
correnti filosofiche tedesche. Durante l’anno accademico 
1928/29, Lévinas avrà modo di conoscere in maniera 
strettamente personale Edmund Husserl
1
, padre della corrente 
fenomenologica, e il suo più stretto collaboratore, Martin 
Heidegger.  
I due filosofi sono figure di capitale importanza poiché il 
pensiero levinassiano s’inscrive nello “spazio” che intercorre tra 
il teoreticismo husserliano e l’ontologismo heideggeriano.  
Il primo scritto di Lévinas, intitolato “La teoria dell’intuizione 
nella fenomenologia di Husserl” 
2
, fu pubblicato nel 1930 e 
secondo Paul Ricoeur «Questo libro fondava, puramente e 
semplicemente, gli studi husserliani in Francia, e li fondava su 
                                          
1
 Lévinas E. (1998), «La rovina della rappresentazione», in Id., Scoprire l’esistenza con Husserl e 
Heidegger, Raffaello Cortina Ed., Milano: pp. 141-154 [ed. orig.: 1967, En découvrant l’existence 
avec Husserl et Heidegger, Librairie Philosophique J. Vrin, Paris ]. 
2
 Lévinas E. (2002), La Teoria dell’intuizione nella fenomenologia di Husserl, Jaca Book, Milano  
[ed. orig.: 1930, La Théorie de l’intuition dans la phénoménologie de Husserl, Alcan, Paris ]. 
 9 
un’interpretazione centrata sulle Ricerche Logiche, specialmente 
sulla VI Ricerca…»
3
. 
Per capire l’interpretazione data da Lévinas alla teoria 
fenomenologica emergente dalle “Ricerche Logiche” 
4
, bisogna 
tenere  presente il fatto che la sua analisi si basa sulla seconda 
edizione delle stesse (1913), nella quale Husserl riesaminò ed 
ampliò in specifico il secondo volume, dividendolo in due tomi 
distinti, in base al progresso del proprio pensiero avvenuto con la 
pubblicazione di due testi fondamentali: “La filosofia come 
scienza rigorosa” 
5
 e “Idee per una fenomenologia pura e per 
una filosofia fenomenologica” 
6
. Altro dato da tenere in 
considerazione, a questo proposito, è l’accostamento alle 
questioni poste dall’Heidegger di “Essere e Tempo” 
7
. 
Nell’Introduzione di “La teoria dell’intuizione nella 
fenomenologia di Husserl”, lo stesso Lévinas precisa quanto la 
sua analisi della teoria fenomenologica sia influenzata tanto dal 
pensiero heideggeriano quanto dal carattere “vivente” della 
filosofia di Husserl.  
                                          
3
 Petrosino S. (2002), Il maggior stupore, in Lévinas E., La teoria dell’intuizione nella fenomenologia 
di Husserl, op. cit., p..XIV  nota 20.  
4
 Husserl E. (1982), Ricerche logiche, Il Saggiatore, Milano [ ed. orig.: 1900, Logische 
Untersuchungen t.I; (1901), Logische Untersuchungen t.II, prima edizione, Niemeyer, Halle].  
5
 Husserl E. (1958), La filosofia come scienza rigorosa, G.B. Paravia, Torino [ ed. orig.: 1910, 
Philosophie als strenge Wissenschaft, Logos ]. 
6
 Husserl E. (1976), Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Einaudi, 
Torino [ ed. orig.: 1913, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen 
Philosophie, Halle ]. 
7
 Heidegger M. (1986), Essere e tempo, UTET, Torino [ ed. orig. : 1927, Sein und Zeit, Jahrbuch für 
Philosophie und phänomenologische Forschung, VIII ]. 
 10 
1.1 La Fenomenologia come teoria della conoscenza 
Le “Ricerche Logiche” traggono origine dalla volontà di Husserl 
di criticare la allora predominante corrente psicologista, la quale 
pretendeva di porre alla base dei principi logico-matematici una 
psicologia di stampo naturalista-positivista.  
Secondo Husserl ciò non è possibile dato che le leggi che 
descrivono i fenomeni psicologici sono generalizzazioni che 
partono dal dato empirico, quindi, non avendo una validità 
necessaria, sono suscettibili di rettifica da parte del dato 
esperienziale stesso. D’altra parte, i principi logico-matematici 
implicano verità indipendenti dalla mente che le pensa, cosicché 
risultano verità ideali a priori. La logica pura, a questo punto, non 
può essere fondata né su basi empirico-psicologiche, né su un 
carattere puramente formale, poiché essa deve essere la teoria di 
ogni possibile ragionamento, in grado di determinare le 
condizioni obiettive ideali della possibilità della conoscenza. A 
questo punto Husserl è in grado di riportare nella giusta 
dimensione unitaria quella coscienza che lo scetticismo filosofico 
scindeva; da una parte, infatti, avevamo dei “fenomeni 
soggettivi” che esistevano sotto forma di “essere in sé”, dall’altra 
invece quei fenomeni soggettivi che potevano essere compresi 
solo nel flusso del loro divenire, esplicita negazione della 
possibilità di conoscere l’essere attraverso i nostri sensi. Cercare 
«l’esistenza della cosa esteriore non all’interno della sua 
opposizione a ciò che essa è per la coscienza, ma nell’aspetto 
sotto il quale essa si presenta nella vita cosciente concreta »
8
 sarà 
per Husserl il punto di partenza della Fenomenologia. 
 «Ciò che esiste per noi, ciò che noi trattiamo come esistente, non 
è una realtà nascosta dietro ai fenomeni che ci apparirebbero 
come immagini o segni di questa realtà; questo stesso mondo di 
                                          
8
 Lévinas E. (2002), La teoria dell’intuizione nella fenomenologia di Husserl, op. cit., pp. 38-39. 
 11 
fenomeni costituisce l’essere della nostra vita concreta, un 
mondo di fenomeni senza limiti nettamente separato da essi, 
privato di tutte le esattezze matematiche, pieno di “pressappoco” 
e di “per così dire”, sottomesso a questa legalità vaga designata 
dalla parola “normalità”»
9
. In questo modo Husserl pone fine alla 
pretesa della filosofia di partire dalla teoria della conoscenza per 
comprendere come il soggetto conosce l’oggetto, poiché bisogna 
comprendere che «l’origine dell’idea stessa di oggetto si trova 
nella vita concreta del soggetto, [il quale] non è una sostanza 
obbligata a ricorrere ad un ponte- la conoscenza –per arrivare 
all’oggetto, ma che, nella sua presenza di fronte all’oggetto, si 
trova il segreto della sua soggettività. I modi di apparire della 
cosa […] non sono dei caratteri aggiunti dai procedimenti 
conoscitivi alla cosa esistente, al contrario essi costituiscono la 
sua stessa esistenza »
10
. 
Ci si avvicina, così, alla questione fondamentale della filosofia 
husserliana: “Che cos’è e in cosa consiste l’essere della 
coscienza? ”, poiché l’esistenza della cosa, dell’oggetto, rinvia 
all’esistenza della coscienza.  
L’intento di Husserl, ora, è quello di affermare l’esistenza 
assoluta della vita cosciente tramite la trasformazione della 
nozione stessa di coscienza: essa non è semplicemente un’entità 
psicologica votata all’autoreferenzialità, bensì un modo di vita 
che si manifesta alla presenza dell’essere trascendente; 
l’esistenza del mondo esterno attraverso l’affermazione 
dell’assolutezza della vita cosciente ci fa risalire a quel fenomeno 
primo e originario dell’esistenza da cui derivano le categorie 
filosofiche tradizionali di soggetto e oggetto.  
L’essenza della coscienza è definita da Husserl a partire dal 
concetto cartesiano del cogito, il quale non è solamente il 
                                          
9
 Ivi 
10
 Ivi 
 12 
tradizionale “io penso”, poiché, come tiene a precisare lo stesso 
Déscartes, abbraccia tutta una gamma di stati quali “ io 
percepisco, giudico, sento, desidero, ricordo” : in pratica tutto il 
vissuto dell’Io è compreso in questa espressione. Questi  
Erlebnisse – stati della vita – non presentano una regione della 
realtà accanto al mondo della natura, poiché hanno un modo 
d’esistenza diverso. «La coscienza in se stessa ha un suo essere 
proprio […]. Essa quindi rimane […] come una regione 
dell’essere per principio peculiare»
11
. 
Viene così alla luce una differenza fondamentale tra l’essere 
come vissuto e l’essere come cosa, vale a dire la diversità dei 
modi di essere «la diversità più cardinale che si possa dare tra 
coscienza e realtà»
12
. 
La percezione immanente, in pratica il modo di rivelarsi della 
coscienza, è un evento che non presenta la dicotomia tra apparire 
ed essere, poiché qui il flusso della coscienza è qualcosa di 
assoluto, che non manifesta discordanze o letture di sé che 
portano alla possibilità di essere altro da sé, come invece accade 
nella percezione trascendente, che coinvolge l’oggetto esterno. 
Per definizione, infatti, la percezione immanente è adeguata: è 
adeguata al vissuto come assoluto della coscienza, che si 
manifesta così come esso è sostanzialmente. «Dirigendosi il mio 
afferrare riflessivo sul mio vissuto, io afferro un assoluto “esso 
stesso” la cui esistenza non può di principio essere negata; non è 
per principio possibile pensare che essa non esista. Sarebbe 
assurdo considerare possibile che un vissuto dato in questa 
maniera in verità non esista»
13
. 
 
                                          
11
 Ibidem, pp. 40-41 
12
 Ivi 
13
 Ibidem, p. 42 
 13 
In questo modo il cogito husserliano si avvicina a quello 
cartesiano riuscendo però a superarlo perché l’assolutezza della 
coscienza non è «soltanto un carattere della verità che concerne 
la coscienza, la sua certezza, bensì un carattere della sua stessa 
esistenza»
14
. La vita cosciente è: il suo essere è indipendente 
dalla percezione interna, così come l’essere della cosa esterna 
alla coscienza rinvia proprio ad essa; l’esistere della coscienza in 
modo assoluto ed indubitabile permette che su di essa vi possa 
essere riflessione e percezione, così che l’esistenza necessaria 
della coscienza è proprio ciò che consente il sussistere di un 
cogito, naturalmente dotato delle caratteristiche originali dell’Io a 
cui appartiene.  
Il superamento di Husserl consiste nell’individuare, nel modo di 
conoscere della coscienza, l’espressione e la caratteristica del suo 
modo di essere, il che vale anche per l’oggetto, che non è 
separato dal suo essere nel momento in cui entra nel vissuto 
soggettivo. In questo modo, anche se alla coscienza spetta un 
posto privilegiato nella teoria husserliana, il mondo esterno non è 
negato, ma posto sotto una modalità di esistenza sui generis. Il 
dualismo cartesiano tra soggetto e oggetto, in definitiva, viene 
meno, perché « Per Husserl la coscienza è un dominio primario, 
il solo che rende possibile e comprensibile un “oggetto” e un 
“soggetto”- termini già derivati »
15
.  
Ciò significa che, grazie alla coscienza, noi riusciamo a 
comprendere l’essere del mondo, il quale esiste solo nella misura 
in cui entra a contatto con la coscienza e, tuttavia, in modi 
differenti per ogni regione di oggetti. 
 
 
 
                                          
14
 Ivi 
15
 Ibidem, p. 50 
 14 
1.2 L’intenzionalità della coscienza 
Una delle caratteristiche fondanti della coscienza è 
l’intenzionalità, poiché, per definizione, « ogni coscienza non è 
solo coscienza, ma anche coscienza di qualcosa, avente un 
rapporto con l’oggetto »
16
. 
Il senso più ampio del concetto di vissuto (Erlebnis) risiede in 
tutto ciò che è reperibile nel flusso del vissuto, ma non tutti i 
momenti effettivi dell’unità di un vissuto intenzionale hanno il 
carattere dell’intenzionalità: questo è il caso dei dati di 
sensazione, importanti per l’intuizione percettiva delle cose, i 
quali vanno a costituire lo strato dei dati hyletici. I dati hyletici, 
presenti in un vissuto, riconducono ai dati percettivi di tipo 
sensoriale, i quali comprendono tanto la sfera affettiva che quella 
della volontà. Sostanzialmente, questo genere di dati s’identifica 
con ciò che soggettivamente percepiamo nella spazialità, ma non 
bisogna confonderli con ciò che è la loro essenza.  
Se prendiamo ad esempio il colore rosso, così come esso si 
presenta tramite la sensazione soggettiva e vissuta, va distinto dal 
colore rosso oggettivo e rappresentato. « I dati sensibili, i quali 
esplicano la funzione di adombramenti (Abschattungen) di 
colore, di levigatezza, di figura, ecc., devono essere tenuti 
rigorosamente distinti dal colore, dalla figura, dalla levigatezza 
come tale, in breve, da tutte le specie di momenti cosali. 
L’adombramento[…] non è per principio del medesimo genere di 
ciò che è adombrato. L’adombramento è un vissuto. Ma il 
vissuto è possibile solo come vissuto e non come spazialità. 
L’adombramento invece è possibile soltanto come spazialità (è 
appunto spaziale nella sua essenza) e non come vissuto».
17
 
                                          
16
 Ibidem, p. 51 
17
 Ibidem, p. 53 
 15 
Oltre questa prima istanza, il flusso di coscienza contiene un 
“atto animatore” che permette agli stessi dati hyletici di essere 
trascesi, quindi di assumere un senso preciso, che può riguardare 
tanto il mondo oggettuale che quello affettivo. L’atto 
trascendente, cosciente e costituito nel tempo immanente, altro 
non è che l’intenzionalità la quale, attribuendo al flusso di 
coscienza un senso ed intenzionando qualcosa che non è se 
stessa, si trascende. Secondo Husserl, infatti, « l’intenzionalità è 
un atto di autentica trascendenza e il prototipo stesso di ogni 
trascendenza».
18
  
Con il concetto di intenzionalità, Husserl porta avanti la sua 
istanza critica nei riguardi dello psicologia di stampo naturalista-
positivista. L’intenzionalità non è una proprietà o modalità dei 
contenuti della coscienza, ma il loro modo di esistere. Non si 
tratta neppure di una semplice relazione tra un vissuto soggettivo 
e un oggetto o del mezzo che permette di capire come il soggetto 
conosce l’oggetto posto fuori di sé.  
L’intenzionalità è la soggettività stessa del soggetto e la sua 
peculiarità è proprio quella di trascendersi: da ciò discende la 
soluzione al problema posto dall’ontologia sostanzialista, 
secondo la  quale il soggetto esisterebbe prima dell’oggetto 
intenzionale, il quale non sarebbe altro che una pura immagine 
mentale posta dal soggetto conoscente al di sopra dell’essere 
reale dell’oggetto. Husserl, superando il concetto sostanzialista 
dell’esistenza, c’insegna che soggetto ed oggetto esistono 
insieme rapportandosi ed insieme si ritrovano in un fenomeno 
originariamente primo tramite l’intenzionalità della coscienza
19
.  
L’intenzionalità, rapporto trascendente con l’oggetto, non si 
manifesta solo a livello teorico, ma in tutti gli aspetti del vivere 
quotidiano: dalla vita affettiva a quella pratica od estetica la 
                                          
18
 Ibidem, p. 54 
19
 Ibidem, p. 55 
 16 
caratteristica comune è il rapporto con un oggetto. « Un valutare 
è un valutare uno stato di valore; un desiderare è desiderare uno 
stato di desiderio; […] In ciascuno di questi atti “uno sguardo” 
che s’irradia dall’io puro si dirige verso l’“oggetto” di quello che 
di volta in volta è il correlato di coscienza, alla cosa spaziale, allo 
stato di cose, ecc., e realizza i differenti modi in cui la coscienza 
può essere coscienza di questo oggetto»
20
.  
L’intenzionalità, perciò, si manifesta in ogni tipo di atto e in 
modi differenti in base all’atto cui si riferisce. Questa 
considerazione ci fa capire che il mondo reale non è solo un 
mondo fatto di cose che la coscienza percepisce in modo 
puramente teorico, bensì è un mondo dotato di valore giacché le 
sue caratteristiche fanno sì che esso abbia un valore per il 
soggetto, che può essere tanto materiale quanto affettivo. 
Detto ciò, è necessario chiedersi qual è il posto dell’Io in questa 
costruzione perché, rifacendoci esclusivamente alle “Ricerche 
Logiche”, dovremmo pensare che Husserl negasse la legittimità 
al “carattere personale della coscienza”. Tuttavia, a partire da 
“Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia 
fenomenologica”, egli si apre al lato personale della coscienza, 
dapprima tematizzandolo come puro contenitore formale degli 
atti, dal quale essi “escono”, irriducibile alla vita cosciente, ed in 
seguito considerando l’Io come personalità. Nel suo rapporto con 
l’intenzionalità, l’Io diventa una «singolare trascendenza 
nell’immanenza della coscienza»
21
 , cioè una struttura specifica 
ed irriducibile, una caratteristica interna all’intenzionalità, che ad 
essa non si oppone, ma ne è il presupposto.  
 
                                          
20
 Ibidem, p. 57 
21
 Ibidem, p. 65