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chiamati ciascuno, a seconda delle proprie competenze e capacità, a
fornire un valido contributo per lo sviluppo ampio del territorio.
In tal modo i principi della responsabilità sociale d’impresa vengono
progressivamente esportati in contesti differenti, quali sono le comunità
territoriali, e adottati alle esigenze delle medesime formate da una
pluralità di attori sociali, i quali sono portatori di esigenze che per poter
essere soddisfatte richiedono la costruzione di una piattaforma comune di
valori e azioni che permettano una migliore gestione dei territori.
Perché ciò si realizzi è necessario che la cultura della responsabilità
sociale non venga imposta dall’alto, ma nasca dal basso, dagli stessi
cittadini – intesi sia nel ruolo di produttori, sia di consumatori, sia di
attori politici etc. – capaci di divenire essi stessi promotori di relazioni
costruttive.
L’approccio alla crescita e allo sviluppo sostenibile più coerente con le
finalità intrinseche di un territorio è quindi quello relazionale, che
possiede come obiettivo ultimo la soddisfazione di lungo periodo di ogni
soggetto singolo o associato.
La visione relazionale prevede sia la costruzione di una fitta rete di
relazioni durature, sia forme comunicative di tipo dialogico tra tutti gli
stakeholders.
La scelta di tale argomento innovativo, ancora poco diffuso sia per
applicazione sia per scarsità di contributi specifici, deriva da due
convinzioni: la prima concerne l’opinione che essa, nascendo in contesti
particolari e abbastanza ricettivi, possa ulteriormente evolversi e
svilupparsi all’interno del Nord - Est Italiano – e, in tal modo, potrà anche
contagiare o, almeno, stimolare alla riflessione ulteriori zone del Paese
che potranno maturare ulteriori modelli di responsabilità condivisa - , la
seconda è in piena linea con il pensiero che Impronta Etica, associazione
bolognese attiva nella promozione della responsabilità sociale, ha
maturato in questi ultimi mesi e che considera la RST come modalità
idonea a superare la crisi globale che il mondo sta vivendo.
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Quest’ultimo punto è facilmente comprensibile, poiché la crisi attuale
deriva dall’errata idea che lo sviluppo coincida con la sola crescita
economica. Tale modello ha ora dimostrato tutti i suoi limiti, di
conseguenza non si può proseguire lungo una strada che si profila sin
dall’inizio senza uscita.
Occorre cambiare del tutto prospettiva e abbandonare le oramai obsolete
regole del gioco che hanno saputo arrecare più danni che benefici.
Con ciò non si vuole criticare totalmente tutto ciò che la post-modernità
ha comportato, ma semplicemente smuovere le coscienze e adoperare gli
avanzati strumenti di cui disponiamo per utilizzarli al meglio all’interno
di un’ottica di sostenibilità: per assicurare qualità della vita alle
generazioni attuali ma altresì alle future.
Il lavoro di tesi è articolato secondo una logica consequenziale: si parte
dal pensiero dominante, ovvero dall’agire economico di tipo
irresponsabile e annesse conseguenze, passando per quelle forme di
risposta espresse dalla società civile sdegnata dai numerosi scandali che
hanno interessato alcune imprese multinazionali – si pensi ai casi Enron e
Parmalat – colpevoli di atteggiamenti riprovevoli, e per la responsabilità
sociale d’impresa come esigenza oramai irrinunciabile da “esprimere”
attraverso diversi strumenti; per arrivare, infine, alla responsabilità
sociale del territorio – vista tra l’altro all’interno di un caso pratico quale
una particolare associazione di imprese – che può esser vista come forma
matura di quella “cultura della responsabilità” espressa sia dai cittadini
impegnati in quelle forme di consumo alternativo e consapevole, sia da
quelle imprese convinte che la responsabilità non sia una mera questione
di immagine aziendale o di marketing volta all’aumento del profitto.
Il lavoro comprova perciò la nascita di una responsabilità condivisa
sorta grazie ai numerosi contributi forniti sia dai singoli, sia dagli
associati privati e pubblici.
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Nel dettaglio la tesi si compone di quattro capitoli che presentiamo ora
brevemente.
Il primo tratta della teoria dominante nella società odierna, la quale è
stata indicata alla base dell’agire di numerose multinazionali ma non solo.
Il neoliberismo è ben espresso nel pensiero di Friedman, convinto
sostenitore della tesi che la sola responsabilità dell’impresa consista
nell’accrescere i propri profitti. Una teoria che, con l’avvento della
globalizzazione, si è tentato di esportare in tutto il mondo come unico
modello possibile di sviluppo. È il trionfo dell’homo economicus, di un
individuo razionale guidato dal solo fine di massimizzare il proprio
benessere economico.
Il matrimonio tra neoliberismo e globalizzazione viene anche indicato
come “globalismo”, con il quale ci si riferisce alla globalizzazione di tipo
economico che ha comportato un aumento smisurato del potere delle
grandi corporation e, al contrario, un arretramento e conseguente perdita
di incisività da parte dello Stato.
L’accresciuta competitività tra imprese - che scelgono sempre più
spesso di delocalizzare le loro produzioni in quei paesi che permettono
quasi del tutto un abbattimento dei costi -, all’interno del mercato globale,
guidate dal solo fine dell’aumento smisurato degli utili, ha generato
alcuni effetti eclatanti: l’aumento delle disuguaglianze tra nazioni e
all’interno delle stesse; il trattamento iniquo della manodopera; lo
sfruttamento, la distruzione delle risorse naturali e l’inquinamento
ambientale; la produzione incessante, in definitiva, di rischi d’ogni tipo
che attanagliano la vita dell’uomo.
La società planetaria del rischio di cui parla Beck si caratterizza per la
sua forte interdipendenza sistemica (essi procedono dal globale al locale e
dal locale al globale) e per la sua intrinseca democraticità generata dal
fatto che prima o poi tutti gli individui subiscono gli effetti deleteri di una
post-modernità avara di valori etico-morali.
Beck consente altresì di introdurre il secondo capitolo.
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Infatti, egli sottolinea come d’altronde la società attuale non sia
soltanto produttrice di rischi; essa è caratterizzata anche da un’accresciuta
riflessività, una presa di coscienza da parte dell’opinione pubblica degli
effetti collaterali che escono in tal modo dalla loro fase latente.
Riflessività favorita dalla diffusione dei mezzi di comunicazione e
dalle nuove tecnologie che stimolano gli individui a mobilitarsi in due
“luoghi” strettamente correlati: sia all’interno del “movimento globale” o
“movimento dei movimenti” – si pensi ai Global Social Forum –
richiedente una globalizzazione dei diritti e delle responsabilità, ovvero
l’universalizzazione dei diritti umani, politici e sociali e l’assunzione di
un’ampia responsabilità da parte dei governi, dei paesi e dei cittadini nei
confronti dei rischi e dei problemi diffusi che oramai non risparmiano
nessuno; sia all’interno del supermercato, per cui si parla dell’emergere
della responsabilità del cittadino-consumatore, un consumatore critico
che con le sue scelte intende contribuire a “costruire” l’offerta: in altre
parole a questo nuovo consumatore non basterebbe più il parametro del
rapporto qualità-prezzo, egli “vuole sapere come quel certo bene è stato
prodotto e se nel corso della sua produzione l’impresa ha violato, in tutto
o in parte i diritti fondamentali della persona che lavora”.
La trasformazione del consumatore in soggetto attivo si esprime nei
due comportamenti maggiormente diffusi: il primo riguarda il
boicottaggio o la penalizzazione di imprese che operano in maniera
sconsiderata, ed emblematici a riguardo sono i casi (ad es. Nike, Reebok
o Nestlè) di evidente violazione dei diritti umani fondamentali;
il secondo è il buycottaggio ovvero la crescente disponibilità a favorire,
anche attraverso la scelta di prodotti con prezzi maggiorati, imprese
responsabili o impegnate nel sociale. Rappresentano esempi di questo
orientamento, lo sviluppo dell’offerta sul mercato dei prodotti biologici,
del commercio equo e solidale, il turismo responsabile, gli stili di vita
orientati alla sobrietà.
Potremmo definire tali tendenze come un unico grande movimento
ispirato ai valori di una democrazia sostanziale e non meramente formale
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che si auspica di poter realizzare attraverso azioni individuali e collettive,
destinate ad incidere sui comportamenti opposti di chi pensa che il solo
valore importante al giorno d’oggi sia quello di tipo economico.
Tale pressione sociale ha avuto l’importante effetto di orientare le
grandi aziende verso una maggiore responsabilità sociale.
Il terzo capitolo tratta a tal motivo la responsabilità dell’impresa
chiamata ad assumere su di sé le conseguenze delle proprie azioni; in
alcuni casi per quest’ultima non si tratta di una libera scelta ma di un
obbligo imposto dagli stessi consum-attori e dalla società civile.
Si profila la possibilità che tale obbligo divenga presa di coscienza
reale circa il soddisfacimento delle esigenze e delle istanze espresse da
tutte le categorie di stakeholder. L’approccio monostakeholder viene in
tal modo abbandonato a favore di un approccio multistakeholder
maggiormente democratico.
Lo stesso modello di responsabilità sociale proposto in ambito europeo
punta d’altronde sull’integrazione di natura volontaria e, quindi, al di là di
quelli che possono essere gli obblighi di legge, delle preoccupazioni
sociali e ambientali all’interno delle normali attività delle imprese e nei
rapporti con i portatori di interesse. Questi ultimi sono ben visibili
all’interno dell’impostazione, in quanto il Libro Verde della
Commissione Europea distingue tra una dimensione interna e una esterna
della RSI.
Una volta definita la CSR secondo il modello europeo, il capitolo
prosegue nel delineare il progetto italiano in materia e gli importanti
strumenti (vengono presentati: SA8000, Emas e ISO14000, AA1000,
GRI e infine il Bilancio Sociale) che le imprese possono adoperare sia per
gestire in maniera efficace la loro Corporate Social Responsibility sia per
comunicare e rendicontare ai loro interlocutori sociali quanto
effettivamente realizzato.
La rendicontazione, in particolare, che culmina nel report finale, quale
ad esempio il bilancio sociale, è un processo che consente di gestire in
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maniera efficace e fiduciosa le relazioni bidirezionali con i portatori di
interesse.
L’ultima parte, concludendo questa lunga introduzione, racchiude in sé
tutta la sua originalità grazie alla presentazione, oltre che dell’approccio
alla Responsabilità Sociale di Territorio, della particolare proposta di
RST avanzata da Impronta Etica, associazione di imprese (ATC, Camst,
Conad, Coop Adriatica, Coopfond, Granarolo, SCS Azioninnova
Consulting, Argon Sette, Consorzio Cooperativo Costruzioni,
Cooperativa Muratori e Braccianti di Carpi, Coop Ansaloni, Coop
Consumatori Nord-Est, Coop Costruzioni, Coop Murri, EmilBanca, Gam
Edit, Hera, Homina, Indica, Manutencoop, Nordiconad, Obiettivo
Lavoro, Palm, Tetra Pak, Unipol) emiliano-romagnole che hanno deciso
di uscire dalla loro autoreferenzialità e scoprirsi sistemi aperti capaci di
scendere in campo e divenire nodi, a loro volta stakeholder, di una grande
rete che ha l’obiettivo di realizzare il bene comune del territorio.
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Capitolo primo
LA RAZIONALITA’ ECONOMICA
DELL’IMPRESA GLOBALE
1. LA TEORIA NEOLIBERISTA
Nel 1962 Milton Friedman, premio nobel per l’economia, nella sua
opera più celebre Capitalism and Freedom , asserisce che ‹‹ l’impresa ha
una e una sola responsabilità sociale: quella di usare le risorse a sua
disposizione e di impegnarsi in attività dirette ad accrescere profitti ››
(Friedman 1987, citato in Capecchi 2005, 14) . Una presa di posizione
netta sostenuta dalla convinzione che i manager aziendali debbano agire
esclusivamente nell’interesse dei proprietari – azionisti.
Lo stesso Bauman rivela le convinzioni di Albert J. Dunlap, famoso
“razionalizzatore” dell’impresa moderna, secondo il quale il vero potere
di decisione sulla gestione dell’impresa spetta agli investitori, mentre
dipendenti, fornitori e esponenti di una località non hanno alcuna voce in
capitolo in merito (Bauman 2001).
In Friedman è possibile individuare la formulazione pura di quella
teoria economica - il neoliberismo – che tanto influenzò le scelte del
governo britannico di Margaret Thatcher e di quello statunitense di
Ronald Reagan.
La teoria neoliberista, discendente legittima del liberismo classico di
Adam Smith, si esplica primariamente in un insieme di scelte inerenti il
ruolo del mercato, dell’impresa e dello Stato, le quali hanno forti ricadute
anche su altri sistemi (scolastico, assistenziale, sanitario..).
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L’impresa rappresenta il vero e proprio motore della società che deve
esser lasciata libera di operare senza tasse e senza vincoli di alcun tipo.
Una società formata da individui virtuosi si ottiene soltanto con un
ritrarsi dello Stato, il quale deve dare il via a liberalizzazioni e
privatizzazioni in ogni ambito e favorire l’assunzione delle conseguenze
delle scelte individuali dei cittadini; ciò significa un non- intervento a
livello sociale. Gli unici obiettivi dell’apparato statale sono quelli della
difesa in politica estera e del controllo della criminalità in politica interna,
lasciando tutto il resto alla libera iniziativa privata. In definitiva, il
neoliberismo punta ad uno smantellamento del welfare state
privatizzando e liberalizzando il più possibile, in modo tale da favorire al
massimo la competitività e agevolare la libera iniziativa.
All’interno di tale visione l’impresa, in quanto attore principale,
totalmente affrancata da obblighi di alcun tipo
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, sarà in grado di
aumentare non solo i propri profitti ma anche il prodotto interno lordo
della nazione. Si avrà, allora, come effetto (il cosiddetto trickle down
effect) il benessere dell’intera popolazione (Capecchi 2005).
La teoria neoliberista, esaltando il valore del profitto economico, ha
guidato la politica dei paesi occidentali, in primis gli Stati Uniti,
assumendo le vesti di un pensiero unidirezionale da esportare in ogni
luogo del mondo, soprattutto laddove il progresso di stampo occidentale
non ha ancora fatto il suo ingresso.
2. NEOLIBERISMO E GLOBALIZZAZIONE
Nei Paesi occidentali la teoria neoliberista è potuta giovarsi del
sopraggiungere della globalizzazione economica, tanto che alla base di
quest’ultima è possibile rintracciare la matrice neoliberista.
Anteriormente all’avvento del concetto di globalizzazione si parlava di
universalizzazione, la quale esprimeva la volontà di rendere migliore il
1
L’esenzione da obblighi concerne non solo le tasse statali, ma anche i lavoratori; di
fatto, tale teoria economica punta persino alla rimozione dei sindacati, i quali cercano di
imporre salari più elevati.
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mondo, di creare un ordine globale all’interno del quale tutti gli individui
avrebbero avuto le medesime condizioni e chances di vita. Nulla di ciò
permane, invece, nella globalizzazione indicante principalmente la
produzione di effetti globali non voluti e non previsti (Bauman 2001).
Bauman sottolinea come essa rimandi al ‹‹ carattere indeterminato,
ingovernabile e autopropulsivo degli affari mondiali ›› (ibidem, 67), ad
un nuovo disordine mondiale.
Il termine “globalizzazione” è apparso per la prima volta nel mondo
dei consumi e del marketing nel 1983 quando Theodore Levitt rivelò che
“la globalizzazione del mercato è a portata di mano”. In realtà, date le
barriere che ancora proteggevano numerosi mercati nazionali, è più
realistico pensare che sia stata la classe dirigente americana a dare
l’avvio al fenomeno considerato come una grande opportunità di
sviluppo. Un importante ruolo fu svolto dalla Banca Mondiale e dal
Fondo monetario internazionale che, dopo lo shock petrolifero del 1973,
sostituirono la dottrina keynesiana con quella neoliberista del libero
mercato.
L’avvenuto matrimonio tra globalizzazione e neoliberismo viene
anche indicato come globalismo
2
, una nuova ideologia celebrante il
primato del mercato sulla politica.
Vista in un’ottica economica la globalizzazione è venuta a configurarsi
come una sorta di reazione da parte delle imprese, una via di fuga
all’aumento dell’inflazione e della disoccupazione innescata dalla
recessione economica sopraggiunta negli anni settanta, ma nondimeno
dalle conseguenze della tecnologia (Paltrinieri 2004).
2
Il globalismo è una visione del mondo di stampo neoliberista che mira a creare
attraverso la centralità attribuita al libero scambio un mercato mondiale in grado di
aumentare i redditi di ogni singolo paese e, conseguentemente, le condizioni di vita
generali cfr.Beck 1996 cit. in R. Paltrinieri, Consumi e globalizzazione, Carocci, Roma
2004