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esposta ad eventi scatenanti che assomigliano o simbolizzano anche solo un aspetto dell’evento
traumatico.
Vengono poi evitati in modo persistente gli stimoli associati con il trauma; la persona comunemente si
sforza volontariamente di evitare pensieri, sentimenti o conversazioni che riguardano l’evento
traumatico (Criterio C1) e di eludere attività, situazioni o persone che suscitano ricordi di esso (Criterio
C2); tale comportamento può provocare amnesia per qualche aspetto importante dell’evento
traumatico stesso (Criterio C3). Di solito subito dopo l’accaduto inizia una riduzione della reattività
verso il mondo esterno, a cui ci si riferisce come “paralisi psichica” o “anestesia emozionale”.
L’individuo può lamentare una marcata riduzione dell’interesse o della partecipazione ad attività
precedentemente piacevoli (Criterio C4), di sentirsi distaccato od estraneo nei confronti delle altre
persone (Criterio C5), o ancora di avere una marcata riduzione della capacità di provare emozioni
(Criterio C6). Può essere lamentato un senso di diminuzione delle prospettive future (per es. non
aspettarsi di avere una carriera, un matrimonio, figli, od una normale durata di vita) (Criterio C7).
Infine vengono riportati persistenti sintomi d’ansia e di aumento dell’arousal, non presenti prima del
trauma; questi sintomi possono includere difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, che può
essere causata da incubi frequenti durante i quali viene rivissuto l’evento traumatico (Criterio D1),
ipervigilanza (Criterio D4), ed esagerate risposte di allarme (Criterio D5). Alcuni individui riferiscono
irritabilità e scoppi d’ira (Criterio D2), o difficoltà a concentrarsi od a eseguire compiti (Criterio D3).
Possono essere utilizzate le seguenti specificazioni per indicare l’esordio e la durata dei sintomi del
Disturbo Post-Traumatico da Stress:
Acuto: quando la durata dei sintomi è inferiore a 3 mesi.
Cronico: quando i sintomi durano 3 mesi o più.
Ad Esordio Tardivo: quando sono trascorsi almeno 6 mesi tra l’evento e l’esordio dei sintomi (APA,
2001).
Il Disturbo Post-Traumatico da Stress si associa con tassi innalzati di Disturbo Depressivo Maggiore
(Episodio Singolo e Ricorrente), Disturbi Correlati a Sostanze, Disturbo di Panico (Senza Agorafobia e
Con Agorafobia), Agorafobia, Disturbo Ossessivo-Compulsivo, Disturbo d’Ansia Generalizzato, Fobia
Sociale, Fobia Specifica e Disturbo Bipolare. Questi disturbi possono precedere, seguire o emergere in
concomitanza con l’insorgenza del Disturbo Post-Traumatico da Stress.
2. Incidenza
Si stima che la prevalenza nell'arco della vita del Disturbo Post-Traumatico da Stress sia compresa fra
l'1 e il 3% della popolazione, benché un ulteriore 5-15% possa presentare forme subcliniche di esso.
Benché il disturbo possa comparire ad ogni età, ha una maggiore prevalenza nei giovani adulti, a causa
della natura delle situazioni precipitanti. L'evento traumatico per gli uomini è di solito un'esperienza di
combattimento, mentre per le donne è più comunemente un'aggressione o uno stupro.
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3. Decorso
Il Disturbo Post-Traumatico da Stress si può manifestare a qualsiasi età, compresa l’infanzia. I sintomi
di solito iniziano nei primi 3 mesi dopo il trauma, sebbene possa esservi un ritardo di mesi o anche di
anni prima della comparsa dei sintomi.
I sintomi del disturbo e la relativa predominanza della riesperienza, l’evitamento ed i sintomi di iper-
arousal possono variare nel tempo; se nella metà dei casi la remissione completa si verifica in 3 mesi,
altrettanti hanno sintomi persistenti per più di dodici mesi dopo il trauma. In alcuni casi, il decorso è
caratterizzato da un’alternanza di attenuazione e riacutizzazione della malattia e la riattivazione
frequentemente si associa a fattori intervenienti che fanno ricordare il trauma originale, circostanze di
vita stressanti o nuovi eventi traumatici (APA, 2001).
Come già accennato si è sempre ritenuto che la gravità, la durata e la prossimità dell’individuo
all’evento traumatico fossero i fattori più importanti nell’influenzare l’insorgenza del disturbo, mentre
vi sono recenti evidenze che i supporti sociali, l’anamnesi familiare, le esperienze infantili, le variabili di
personalità, i disturbi mentali preesistenti ed il personale e soggettivo vissuto individuale possano
incidere sull’insorgenza di questa sindrome. Resta di fatto che tale disturbo si può sviluppare anche in
individui senza alcuna condizione predisponente, soprattutto se l’evento stressante è particolarmente
grave (Yule, 1993).
4. I pensieri intrusivi nel Disturbo Post-Traumatico da Stress
I pensieri intrusivi rappresentano una delle caratteristiche fondamentali del Disturbo Post-Traumatico
da Stress, ancor prima del suo riconoscimento formale come categoria diagnostica (Kardiner, 1941).
In letteratura le cognizioni intrusive sono state studiate a fondo e nel dettaglio da Rachman e coll., da
circa 30 anni (Rachman, 1971, 1978, 1981; Rachman e de Silva, 1978; Parkinson e Rachman, 1981); i
primi studi erano focalizzati sulle cognizioni intrusive indesiderate e Rachman e de Silva, nella
pubblicazione del 1978 chiamavano “ossessioni normali”. Il termine fu suggerito dalla natura e dai
caratteri formali delle cognizioni intrusive indesiderate che, nei soggetti normali, non differivano molto
dalle ossessioni tipiche dei soggetti con Disturbo Ossessivo Compulsivo, ossia fenomeni di natura
intrusiva. Sebbene i primi studi ponessero l’attenzione sulle cognizioni intrusive negative ed
indesiderate (pensieri blasfemi o violenti, immagini di scene sgradevoli e così via) fu riconosciuta, fin
da quella fase, l’esistenza di cognizioni intrusive non negative o spiacevoli, come sogni ad occhi aperti,
fantasie sentimentali che Rachman accumunava alla cosiddetta ispirazione degli artisti (1981).
Salkovskis nel 1990 ne fornisce una nuova definizione: “Le cognizioni intrusive sono eventi della
mente che vengono percepiti come un’interruzione del flusso di coscienza e che catturano l’attenzione;
queste possono presentarsi sottoforma di pensieri verbali, immagini, impulsi od una combinazione dei
tre” (Salkovskis, 1990).
Nel PTSD queste cognizioni costituiscono uno specifico criterio diagnostico ed è dimostrato che,
sebbene possano essere sia pensieri che immagini, quest’ultime sarebbero più comuni (Ehlers e Steil,
1995), sebbene molti autori abbiano fatto la scelta di non distinguere i due concetti (Wells e Davies,
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1994), anche per non rimanere fuorviati da tutti quei casi in cui le esperienze cognitive risulterebbero
da una fusione di pensieri ed immagini (de Silva, 1986).
La principale reazione a questi elementi pare essere il loro evitamento spesso attraverso coercizioni
nella propria libertà per eludere stimoli trigger, che siano programmi televisivi, persone specifiche,
luoghi od attività.
Secondo Rachman (1980) le cognizioni intrusive si presenterebbero per una necessità di rielaborazione
ed assorbimento delle esperienze traumatiche, affinché quest’ultime non causino una compromissione
del funzionamento globale dell’individuo e che, incubi, reazioni di paura e pensieri ed immagini che
irrompono improvvisamente nel flusso di pensieri dipenderebbero da un’elaborazione emozionale
insoddisfacente. Poiché tali vissuti risultano spiacevoli essi vengono allontanati e per un processo di
rinforzo negativo andrebbero però a mantenersi nel tempo. La presenza di un’esperienza intrusiva
indica che la rete mnemonica legata al trauma si è attivata, consentendo una revisione della stessa in
senso adattivo; così alcune di queste esperienze possono venir considerate come meccanismi di
adattamento che nel tempo, potrebbero portare ad una riduzione dei sintomi; Creamer (1995)
sottolinea che solo alcuni fenomeni intrusivi possono arrogarsi il merito di svolgere questa funzione,
mentre gli altri contribuirebbero al mantenimento del problema.
5. Modelli teorici di riferimento
5.1 Concettualizzazione cognitivo-comportamentale
Il principale modello di riferimento del Disturbo Post-Traumatico da Stress si rifà alla famosa teoria
bifattoriale di Mowrer (1960) secondo la quale, attraverso un processo di condizionamento classico,
uno stimolo precedentemente neutro, che era presente nel corso del trauma, diventa in grado di
elicitare di per se stesso una risposta di ansia.
Inoltre, attraverso il processo della generalizzazione e di un condizionamento di secondo ordine, altri
stimoli associati sia allo stimolo di paura sia a quello neutro, che erano presenti nel corso del trauma,
divengono anch’essi in grado di provocare risposte di paura. Di conseguenza, mediante un processo di
condizionamento operante, si sviluppa un comportamento di evitamento. Quest’ultimo, insieme ai
comportamenti di fuga, viene appreso mediante un processo di rinforzo negativo in quanto è in grado
di porre termine allo stato aversivo di paura.
Oltre ai modelli basati sulle teorie dell’apprendimento, negli anni si sono affacciati alla ribalta anche
modelli cognitivi del PTSD. Uno dei primi modelli di questo tipo è stato quello di Horowitz (1986).
Egli sostiene che il principale slancio all’interno del sistema cognitivo per l’elaborazione delle
informazioni deriva dalla tendenza al completamento, cioè dal bisogno psicologico di far corrispondere
le nuove informazioni con i modelli interni basati su informazioni precedenti e la revisione di entrambi
sino al punto di trovare un accordo. Questa tendenza al completamento consente alla mente di
accordarsi con la realtà presente, requisito essenziale per prendere decisioni efficaci e perché
l’individuo sia in equilibrio con l’ambiente.
Horowitz sostiene che dopo aver subito un trauma, si verifica un iniziale crying out o reazione di
stordimento, seguita da un periodo di sovraccarico informativo, nel quale i pensieri, i ricordi e le
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immagini del trauma non riescono a conciliarsi con gli schemi cognitivi preesistenti ostacolando così la
tendenza al completamento. In questo modo diverse difese psicologiche entrano in gioco nel
mantenere l’informazione traumatica a livello inconscio e l’individuo sperimenta un periodo
caratterizzato da anestesia affettiva e negazione nei confronti dell’evento. Tali informazioni
traumatiche, però, a causa della tendenza al completamento, vengono mantenute ugualmente in
quella che Horowitz definisce memoria attiva. E’ quest’ultima che permette che le informazioni si
facciano strada attraverso le difese e irrompano nella coscienza attraverso flash back, incubi, pensieri
intrusivi, non appena l’individuo cerca di fondere le nuove informazioni con le concezioni preesistenti.
Secondo Horowitz, questo conflitto tra la tendenza al completamento da una parte e ed i meccanismi
psicologici di difesa dall’altra, fa sì che gli individui oscillino tra fasi caratterizzate da intrusività e
negazioni/anestesia affettiva. L’impossibilità ad elaborare completamente le informazioni traumatiche
fa sì che esse stazionino nella memoria attiva sino a cronicizzare il PTSD.
Un altro modello cognitivo, oggi molto accreditato, è quello sviluppato dalla Foa e dai suoi
collaboratori (Foa e Kozak, 1986; Foa et al., 1989; Foa et al., 1992; Foa e Riggs, 1993), denominato
“fear network” (rete della paura).
Esso si basa sulla formazione di una “rete della paura” nella memoria a lungo termine. Questa rete
comprende lo stimolo informazionale relativo all’evento traumatico, l’informazione circa le reazioni
cognitive, comportamentali e psicologiche dell’evento, e l’informazione che tiene insieme questi
elementi stimolo-risposta.
L’attivazione di uno di questi fear network, tramite la stimolazione di qualche elemento associato al
trauma, fa entrare l’informazione nella consapevolezza cosciente. I sintomi di evitamento che
caratterizzano il disturbo sono prodotti dal tentativo di ridurre tale tipo di attivazione.
Secondo la Foa, il trauma può essere superato integrando l’informazione contenuta nel fear network
con strutture mnemoniche preesistenti. Questa integrazione necessita che il network venga attivato
per poterlo modificare e che siano disponibili informazioni incompatibili con quelle contenute nel fear
network, così che l’intera struttura mnemonica possa venir modificata. Alcuni fattori sono in grado di
mediare il decorso di tale integrazione: ad esempio, eventi particolarmente imprevedibili e
incontrollabili sono meno facilmente assimilabili nei modelli preesistenti di eventi maggiormente
prevedibili. Inoltre, la particolare gravità dell’evento può condurre alla formazione di un network
particolarmente “smembrato e frammentato”, e quindi difficilmente integrabile con i modelli
preesistenti, a causa della distruzione dei processi cognitivi al momento del trauma.
6. Modalità di Assessment
6.1 Modalità del colloquio e diagnosi differenziale
Nel Disturbo Post-Traumatico da Stress l’evento stressante deve essere di natura estrema e questo
diventa elemento d’elezione per la diagnosi differenziale con il Disturbo dell’Adattamento, nel quale
l’evento stressante può essere invece di qualsiasi livello di gravità. La diagnosi di Disturbo
dell’Adattamento può essere appropriata sia per le situazioni in cui la risposta ad un evento stressante
estremo non soddisfa i criteri per il Disturbo Post-Traumatico da Stress (o per un altro disturbo
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mentale specifico), sia per le situazioni in cui il quadro sintomatologico del Disturbo Post-Traumatico
da Stress si manifesta in risposta ad un evento stressante non estremo (per es., abbandono da parte
del coniuge, licenziamento).
Non tutta la psicopatologia che si manifesta in individui esposti ad un evento stressante estremo deve
essere necessariamente attribuita ad un Disturbo Post-Traumatico da Stress.
I sintomi di evitamento, l’intorpidimento e l’aumento dell’arousal, presenti prima dell’esposizione
all’evento stressante non soddisfano i criteri per la diagnosi di Disturbo Post-Traumatico da Stress e
richiedono la considerazione di altre diagnosi (per es., un Disturbo dell’Umore o altri Disturbi d’Ansia).
Inoltre, se il modello di risposta sintomatologica all’evento stressante estremo soddisfa i criteri per un
altro disturbo mentale, (per es., Disturbo Psicotico Breve, Disturbo di Conversione, Disturbo
Depressivo Maggiore, Episodio Singolo e Ricorrente), dovrebbero essere poste queste diagnosi
insieme o in alternativa al Disturbo Post-Traumatico da Stress.
Il Disturbo Acuto da Stress si distingue dal Disturbo Post-Traumatico da Stress poiché il quadro
sintomatologico nel Disturbo Acuto da Stress si deve manifestare entro 4 settimane dall’evento
traumatico e risolversi entro quel periodo di 4 settimane.
Se i sintomi persistono per più di un mese e soddisfano i criteri per il Disturbo Post-Traumatico da
Stress, la diagnosi cambia da Disturbo Acuto da Stress a Disturbo Post-Traumatico da Stress.
Nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo vi sono pensieri intrusivi ricorrenti, ma questi vengono vissuti
come inappropriati e non sono correlati all’esperienza di un evento traumatico.
I flashback nel Disturbo Post-Traumatico da Stress devono essere distinti dalle illusioni, allucinazioni e
altri disturbi percettivi che possono manifestarsi nella Schizofrenia, in altri Disturbi Psicotici, in un
Disturbo dell’Umore con Manifestazioni Psicotiche, in un delirium, nei Disturbi Indotti da Sostanze
(Intossicazione e Astinenza) e nei Disturbi Psicotici Dovuti ad una Condizione Medica Generale.
La Simulazione dovrebbe essere presa in considerazione in quelle situazioni che implicano
risarcimento, accesso a benefici e determinazioni legali.
Gli individui con Disturbo Post-traumatico da Stress possono descrivere dolorosi sentimenti di colpa
per il fatto di essere sopravvissuti a differenza degli altri o per ciò che hanno dovuto fare per
sopravvivere. Le modalità di evitamento possono interferire con le relazioni interpersonali e portare a
conflitti coniugali, divorzio o perdita del lavoro. In alcuni casi gravi e cronici possono essere presenti
allucinazioni uditive ed ideazione paranoide. Si può manifestare la seguente costellazione di sintomi,
che risulta associata più comunemente con eventi stressanti di tipo interpersonale (per es., abuso
sessuale o fisico nell’infanzia, violenze domestiche, essere presi in ostaggio, incarcerazione come
prigioniero di guerra o in un campo di concentramento, tortura): compromissione della modulazione
affettiva; comportamento autolesivo e impulsivo; sintomi dissociativi; lamentele somatiche; sentimenti
di inefficienza, vergogna, disperazione o mancanza di speranza; sentirsi irreparabilmente danneggiati;
perdita di convinzioni precedentemente sostenute; ostilità; ritiro sociale; sensazione di minaccia
costante; compromissione delle relazioni con gli altri; oppure cambiamento delle caratteristiche
precedenti di personalità.
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6.2 Test psicologici
Esistono diversi strumenti per la valutazione dei principali criteri diagnostici del Disturbo Post-
Traumatico da Stress, si tratta per lo più di scale che misurano la presenza e talvolta l’intensità di ogni
singolo sintomo così come riportato nel DSM, nella sua versione III-R.
Un test standardizzato specifico per il disturbo, in lingua italiana e che esplori in maniera allargata e
non troppo specifica la sintomatologia presente non esiste e molti clinici ritengono utile fidarsi della
propria indagine personale attraverso le tecniche del colloquio.
Sebbene non fornisca una discriminazione fine dei vari elementi che caratterizzano il disturbo, il test
MMPI-2 si presenta come metodo d’indagine standardizzato ed utile mezzo per l’individuazione di
questa patologia attraverso una specifica scala supplementare, la PK in maniera piuttosto accurata
(Lyons e Wheeler-Cox, 2005).
7. Modalità di trattamento
7.1 Psicoterapia individuale: approccio terapeutico cognitivo-
comportamentale
Il Disturbo Post-Traumatico da Stress costituisce un grave problema sanitario. Nonostante sia stato
misconosciuto per molto tempo, esso è in realtà molto diffuso ed invalidante. I sintomi psichiatrici,
psicosomatici e fisici, le difficoltà nei rapporti familiari e sociali, il rischio di tossicodipendenza e di
alcolismo, le diverse inabilità sociali che ad esso si associano ne sono una dimostrazione.
Il trattamento del PTSD è teso principalmente a risolvere i problemi psicologici e comportamentali che
il soggetto presenta, tuttavia una terapia farmacologica può essere utilmente indicata in associazione
ad una psicoterapia; i tradizionali approcci con farmaci sedativi ed ansiolitici rappresentano ormai una
risposta superata ed anche errata alla luce degli studi sulle modificazioni del SNC conseguenti al
trauma. Sui sintomi intrusivi e sull’evitamento sembrano essere utili i farmaci serotoninergici, come gli
antidepressivi triciclici e gli inibitori della ricaptazione di serotonina mentre i sintomi attivi quali i flash-
back, l’iperattivazione, gli incubi e l’ansia sembrano migliorare con i tradizionali farmaci antiepilettici
quali valproato e carbamazepina.
Per quel che riguarda l’aspetto psicoterapeutico, l’approccio cognitivo-comportamentale, apprezzato
per l’efficacia (ampiamente documentata in letteratura) e brevità del trattamento, è tra quelli
maggiormente indicati; esso porta ad una progressiva riduzione dell’ansia e degli altri sintomi correlati
all’evento traumatico, e nello specifico prevede l’applicazione delle seguenti tecniche:
- l’esposizione in immagini, una tecnica basata sull’esposizione del soggetto al ricordo del trauma
attraverso resoconti verbali e immaginativi;
- l’esposizione in vivo, ossia il confronto graduale e controllato con quelle situazioni ansiogene
precedentemente evitate dal soggetto;
- la terapia cognitiva, che si concentra sulle credenze e assunzioni del soggetto circa se stesso, gli altri
e il mondo, procedendo ad una ristrutturazione cognitiva dei pensieri distorti dopo aver effettuato un
assessment specifico e accurato.
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7.2 L’EMDR
Non può non meritare un cenno una pratica clinica di cui molto si parla in questi anni, l’Eye Movement
Desensitizazion and Reprocessing (EMDR), una procedura psicoterapeutica introdotta da Francine
Shapiro (1989; 1995) per il trattamento del Disturbo Post-Traumatico da Stress. La tecnica deve il suo
nome al fatto che la Shapiro ritiene fondamentale l’impiego di determinati movimenti oculari in grado
di favorire la desensibilizzazione nei confronti dei ricordi traumatici nei pazienti PTSD.
Sebbene la diffusione dell’EMDR sia stata molto rapida in tutto il mondo ed abbia creato, da un lato,
entusiasmo in molti clinici che riferiscono di averne constatato l’indubbia e sorprendente efficacia, non
vanno trascurate, dall’altro lato, le aspre critiche relative all’aura di magia e di eccessivo empirismo
attribuita alla tecnica. Molte perplessità, inoltre, sono relative alla rapidità ed efficienza della
remissione dei sintomi, e soprattutto al meccanismo fisiologico sottostante il trattamento.