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1. Alle origini della matematica moderna:
i libri d’abaco
1.1. Lo sviluppo della matematica al tempo di Leonardo Pisano
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Alla fine del XII secolo, entro il bacino del Mediterraneo, le città
cristiane infittirono le loro relazioni commerciali con l’Oriente, che era sede
di una civiltà assai evoluta, anche in virtù dell’alto livello raggiunto nei
campi dell’aritmetica, della geometria, dell’algebra e dell’astronomia, nei
quali gli Arabi avevano saputo raccogliere proficuamente e sviluppare i
risultati degli scienziati greci, indiani e cinesi.
Grazie a questi contatti mercantili, il mondo occidentale compì un
passo decisivo nel processo di assimilazione della cultura araba.
Per quanto concerne la matematica, assume grandissimo rilievo la
figura del mercante pisano Leonardo Fibonacci, figlio di Bonaccio,
magistrato della Repubblica di Pisa nella città nordafricana di Bugia. Dalle
conoscenze matematiche acquisite a Bugia e durante i numerosi viaggi nei
territori arabi del Mediterraneo, nacque la sua opera maggiore, il Liber Abaci
—la cui prima pubblicazione è del 1202 —, seguito dalla Practica Geometriae
(1220) e da altre opere minori.
La Practica Geometriae spiega le regole teoriche e pratiche per il
calcolo delle aree dei poligoni e del cerchio, la ripartizione di un terreno
poligonale in parti con proporzioni determinate, ed il calcolo dei volumi.
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Per la stesura di questo paragrafo ho utilizzato soprattutto i seguenti lavori: Arrighi, La
matematica; Giusti; Franci-Toti Rigatelli; Manni; Ulivi; Van Egmond, The Commercial
Revolution.
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Qui Fibonacci si richiama alle opere classiche della geometria greca, con un
atteggiamento vivace e curioso.
Il Liber Abaci
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contiene invece un’introduzione alla nuova
numerazione basata sulle cifre arabo-indiane — le novem figure indorum e il
segno 0 quod arabice zephirum appellatur — con i relativi metodi di calcolo;
tali conoscenze aritmetiche sono poi applicate a numerose questioni
attinenti alla vita economica. Non manca infine lo sviluppo di argomenti
algebrici, come la risoluzione di equazioni di primo e secondo grado ed una
parte assai estesa sul calcolo delle radici. Per questa sua ampia articolazione
l’opera può essere definita una summa del sapere aritmetico e algebrico del
mondo arabo. Tuttavia l’enorme mole, il fatto che fosse redatto in latino e la
complessità del contenuto fecero sì che questo lavoro fondamentale si potè
dire compreso in Occidente soltanto un secolo dopo.
Anche per la divulgazione del Liber Abaci e del nuovo sistema di
calcolo fu decisiva l’azione della civiltà mercantile, che durante il secolo
XIII ebbe uno dei momenti di maggiore espansione. Si assistette ad
un’autentica rivoluzione nell’organizzazione degli scambi commerciali,
basati sulle banche internazionali e sulle compagnie mercantili. Nacque una
nuova figura di mercante, sedentario, che rimaneva nella sua città, potendo
controllare la merce e la vendita nei diversi mercati, tramite agenti e
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Il termine abaco deriva dal nome dello strumento adoperato per facilitare i calcoli
con vari sistemi di numerazione, noto ai Cinesi ed ai Babilonesi, usato anche in Grecia ed a
Roma; il latino abacus significa quindi ‘tavoletta per fare i conti’ e deriva a sua volta dal
greco ̉άβαξ. Nel Medioevo la parola si riferì più generalmente all’arte del calcolo
matematico ed in particolare, con la locuzione figure dell'abaco, si solevano indicare le cifre
del sistema di numerazione indo-arabico. Il mutamento di significato da ‘strumento per
contare’ ad ‘arte del contare’ va posto in relazione con il Liber Abaci del Fibonacci, che fu il
primo ad utilizzare il termine nel nuovo significato.
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corrispondenti. Questa nuova classe sociale ed intellettuale possedeva una
scala di valori fondati sull’abilità e sulla conoscenza delle tecniche
sofisticate del commercio, che richiedevano capacità organizzativa,
precisione ed attenzione al dettaglio. Si spiega così come i mercanti
divennero i primi fruitori del nuovo metodo di numerazione introdotto da
Fibonacci e furono loro ad avvertire la necessità di creare delle apposite
scuole finalizzate all’apprendimento della matematica secondo i nuovi
principi di calcolo: le scuole d’abaco.
L’esistenza di queste scuole è testimoniata per la prima volta dallo
Statuto del Comune di Verona, dal quale apprendiamo che nel 1284 in
questa città venne istituita una scuola di aritmetica, dove fu chiamato ad
insegnare un certo Maestro Lotto di Firenze. Le scuole d’abaco sorsero in
varie località ed ebbero carattere sia pubblico — a Verona, San Gimignano,
Siena, Lucca, Pistoia, Arezzo, Pisa, Volterra e Prato —sia privato — a
Firenze e Venezia.
1.2. Le scuole d’abaco in Toscana fra XIII e XIV secolo
Lo sviluppo economico coinvolse in misura eccezionale la Toscana
dell’epoca. Se fino all’inizio del XIII secolo Pisa e Lucca prevalevano su
Firenze per dimensioni e importanza economica, cento anni dopo i ruoli si
invertirono, e il fiorino d’oro, coniato nel 1252, divenne una delle monete
più richieste di tutta Europa.
La classe mercantile toscana riuscì ad incoraggiare non solo lo
sviluppo economico, ma anche quello intellettuale, rivolgendo una
attenzione particolare all’educazione. Si ha infatti notizia di numerose
scuole d’abaco attive in Toscana nei secoli XIII e XIV. Si tratta di scuole in
cui l’insegnamento, impartito in volgare, forniva le nozioni fondamentali
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per leggere, scrivere e far di conto. A differenza delle scuole di grammatica,
che insegnavano la grammatica latina, la retorica e la logica, le scuole
d’abaco avevano — come abbiamo detto — lo scopo di preparare
all’esercizio delle attività mercantili, commerciali e artistiche, ed erano
rivolte essenzialmente all’insegnamento dell’aritmetica e della geometria
pratica, legato alla tradizione delle opere di Leonardo Pisano.
L’elevato numero di maestri d’abaco fiorentini — che ammontava ad
una settantina, operanti sia a Firenze sia fuori, fra la seconda metà del XIII
secolo e la prima metà del XVI secolo — e l’altrettanto alto numero di
“botteghe d’abaco” — almeno una ventina, nello stesso periodo —
testimoniano il ruolo di prim’ordine svolto da questa città negli studi
d’abaco. Gli abachisti fiorentini non solo insegnavano nelle scuole d’abaco,
ma lavoravano anche come lettori nelle Università, e soprattutto erano
impegnati in lavori di consulenza per la loro città e potevano essere
chiamati da nobili o mercanti per valutarne i possedimenti. Tra le scuole di
Firenze vanno ricordate almeno la bottega di Santa Trinita, che sorgeva
sull’omonima piazza, e quella situata sul Lungarno, tra il Ponte a Santa
Trinita ed il Ponte alla Carraia.
L’abachista più conosciuto del XIV secolo è Paolo dell’Abbaco, della
famiglia pratese dei Dagomari; egli lavorò almeno dal 1339 al 1367, anno
della sua morte, ed ebbe fra i suoi studenti Jacopo Alighieri, figlio di Dante.
1.3. I trattati d’abaco
Assai di frequente i maestri d’abaco scrivevano dei loro trattati, nei
quali, richiamandosi alle opere di Leonardo Pisano e soprattutto del Liber
Abaci, erano affrontati gli argomenti che costituivano il programma di una
scuola d’abaco.
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Lo scopo principale di un libro d’abaco era introdurre il fruitore
all’uso dei numeri indo-arabici ed ai metodi di calcolo relativi, ma
soprattutto rendere questa conoscenza applicabile all’uso; per tale motivo i
libri d’abaco sono essenzialmente collezioni di problemi matematici pratici,
appartenenti ad un repertorio comune, pur variabile a seconda dell’autore.
La trattazione di tipo teorico è invece notevolmente ridotta.
Possiamo delineare la struttura generale di un trattato d’abaco, che
in media è formato da circa 100 carte, cioè 200 pagine: ad un’introduzione
fa spesso seguito la presentazione del sistema numerico indo-arabico e
dell’indigitazione, ovvero il calcolo con le dita delle mani. Troviamo poi
l’esposizione delle operazioni aritmetiche con gli interi e con le frazioni —i
numeri rotti —, il calcolo dei quadrati e delle radici quadrate, e le tavole di
moltiplicazione di interi, chiamate librettine. Una parte predominante
hanno la descrizione e risoluzione di problemi mercantili, attinenti al
sistema di pesi, misure e monete, alle compagnie, ai baratti, agli interessi ed
agli sconti, alle leghe metalliche. Seguono la sezione di geometria pratica e
quella di matematica ricreativa, con problemi connessi. Talvolta possiamo
trovare anche una trattazione relativa all’algebra.
Attualmente sono rimasti circa trecento manoscritti contenenti
trattati d’abaco, tutti in volgare, conservati in biblioteche diverse ma
prevalentemente a Firenze; essi sono stati elencati e descritti in un catalogo
redatto da W. Van Egmond
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nel 1980. La maggior parte di questi trattati è
scritta nella corsiva mercantesca, grafia nata nell’ambiente dei mercanti
toscani nel corso del Trecento e divenuta col tempo strumento in uso presso
il ceto artigiano nel suo complesso.
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Cfr. Van Egmond.
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Il più antico trattato d’abaco che ci è pervenuto è di area umbra e
risale al 1290 circa; porta il titolo Lo livero dell’abbecho secondo la oppenione de
maiestro Leonardo della chasa degl’figliuogle Bonaçie da Pisa ed è conservato
attualmente presso la Biblioteca Riccardiana di Firenze (Ricc. 2404)
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Il più antico manoscritto d’abaco datato è invece il Tractatus
Algorismi, scritto da Jacopo da Firenze nel 1307, al quale è dedicato questo
lavoro. È conservato anch’esso presso la Biblioteca Riccardiana di Firenze
(Ricc. 2236). Questo trattato ebbe fortuna e molti imitatori, tant’è vero che
se ne conoscono delle copie posteriori (vedi nota a pag. 15).
Nel XIV e nel XV secolo il numero di manoscritti d’abaco crebbe
enormemente, in corrispondenza delle favorevoli condizioni economiche.
Sul finire del XV secolo si ebbero le prime edizioni a stampa di trattati
d’abaco: il primo autore fiorentino che potè stampare la sua opera fu
Filippo Calandri, la cui Aritmetica apparve nel 1491. Il primo volume di
matematica dato alle stampe fu però un’Aritmetica anonima, pubblicata a
Treviso nel 1478. All’invenzione della stampa ed alla conseguente maggior
diffusione dei testi dovette la sua fama anche il matematico Luca Pacioli,
autore fra l’altro della Summa de Arithmetica Geometria Proportioni et
Proportionalità, edita nel 1494, che è considerata il riepilogo di tutta la
tradizione abachistica medievale.
1.4. La lingua dei trattati d’abaco
La trattatistica d’abaco costituisce un genere letterario di tradizione
popolare, compatto per stile, lingua, contenuto ed epoca di composizione.
Nei secoli XIV e XV questo ramo della letteratura matematica attraversò
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Già edito da Gino Arrighi, questo testo sta per uscire in una nuova edizione a cura di
Andrea Bocchi.