consapevolezza della labilità dei confini tra natura e artificio e l’idea che la terra, da coltivare o da
edificare, non è un dono ma il risultato di un ingegnoso processo tecnologico, genera una stimolante
sensazione di “manipolabilità” del territorio, anche quando questo viene conformato ai modi pittoreschi di
una sorta di “parco a tema” ispirato al passato”
2
. Da questa definizione è possibile inquadrare il paesaggio
olandese e il carattere del popolo che negli anni lo ha creato, interpretandone e rivelandone le particolari
dinamiche interne.
Il paesaggio olandese è stato disegnato infatti secondo un ordine che esprime i modi di teatralizzazione
propri degli olandesi, che dà loro il senso di essere protagonisti, di trovarsi rispecchiati nel paesaggio da essi
costruito, divenuto fattore di identità
3
. La scelta di un paesaggio fortemente segnato dalla mano dell’uomo è
indicativa del fatto che, attraverso una necessaria sensibilizzazione della popolazione e degli organi
legislativi, si manipoli il territorio cercando di mantenerne intatti gli elementi caratterizzanti e di usufruire di
ciò che si necessita senza una urbanizzazione totalizzante.
Il fatto che proprio l’Olanda abbia generato strutture museali atte a ospitare opere d’arte ambientale, la cui
più grande contraddizione risiede nel fatto che siano il più delle volte inaccessibili, dimostra la necessità di
avvicinare, oltre che l’arte all’uomo, anche quest’ultimo alla natura.
Per rendere realmente evidente la paradigmaticità del ‘caso olandese’, è necessaria una premessa che
chiami in causa la definizione stessa di estetica e di arte.
Estetica deriva da un radicale greco aisth, cui è inerente la nozione di un sentire legato soprattutto alla
rete delle facoltà sensoriali. A tale origine pensava espressamente l’ideatore del termine, il filosofo tedesco
Baumgarten, quando nel 1750 pubblicò il suo trattato intitolato appunto Aesthetica, dove fin dalla prima riga
veniva precisato che tale nuova disciplina doveva dedicarsi principalmente alla scentia cognitionis
sensitivae. Definizione ancor oggi valida, a patto di precisare che il termine cognitio è forse troppo esplicito
e unilaterale, in quanto ripropone il conflitto tra teoria e pratica, mentre al contrario l’attività sensoriale
implica per costituzione anche un carattere attivo, fattuale; meglio quindi sostituirlo con termini più ampi
quali “esperienza” o “funzione”.
Anche per quanto riguarda il termine arte è utile riferirsi al suo significato originario, proprio sia del
latino ars sia del suo equivalente greco tèchnē, che trova ancor oggi il miglior corrispettivo nelle lingue
moderne in “tecnica”, la quale può essere definita come “intervento lavorativo condotto con intelligenza e
abilità”, con l’idea connessa che ad esso si accompagni sempre la fabbricazione di un oggetto provvisto di
consistenza fisica.
Dal Rinascimento ai giorni nostri la concezione dell’arte ha subito profondi cambiamenti, soprattutto
nella direzione di un effettivo allargamento dei confini tra le varie discipline artistiche.
Fondamentale, a questo riguardo, è stato l’apporto fenomenologico alla definizione di percezione: essa è
una modalità dell’esistenza e non può separarsi da uno sfondo, che in definitiva è tutto ciò che ci circonda.
2
Fulvio Irace, La rappresentazione del territorio, in Speciale Olanda, Abitare 417, Interiors Design Architecture Arts,
Maggio 2002, Editrice Abitare Segesta spa, Milano 2002, p.174.
3
Turri, Eugenio. Il paesaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Marsilio Editori, Venezia
1998, p.
2
Tutto il sapere, non escluso l’ambito dell’esperienza estetica, si definisce negli orizzonti aperti della
percezione.
Essenziale, in questa prospettiva, guadagnare una modalità dell’esistenza ‘aperta’ alle cose e alla natura,
rinviarci continuamente al di là delle loro manifestazioni determinate, promettere sempre “altro da
percepire”
4
.
Le arti visive, dette arti dello spazio, nel corso del Novecento, appaiono mosse dall’esigenza di
conquistare una durata temporale, al pari delle arti del tempo, come la letteratura, la musica, lo spettacolo.
Tentando una classificazione sulla base dei singoli organi di senso, è evidente anche in questo caso una
continua spinta di ciascun ambito artistico a proporsi quale pratica intersensoriale, per cui gli artisti visivi
vogliono stimolare, non di rado, anche l’udito e la corporeità.
Occorre osservare che gli ultimi svolgimenti rimettono in discussione lo stesso rapporto tra arte ed
estetica, in quanto numerose pratiche artistiche contemporanee mirano a coinvolgere lo spettatore in uno
spazio, che tende ad uscire dai luoghi deputati all’arte per inserirsi in un contesto naturale. Si tratta di un
avvicinamento tra arte e natura che amplifica le percezioni del fruitore ponendo l’attività estetica al centro
dell’attività artistica. La percezione in questo modo coglie delle immagini, le fissa rendendole esperienze che
vanno a modellare la sensibilità. L’esperienza estetica lega in questo modo una facoltà essenzialmente
conoscitiva, quale l’intuizione, con un principio essenzialmente attivo, quale l’espressione, considerata come
manifestazione esterna di una realtà percepita.
L’osservazione di un’opera artistica, immagine dell’inter-relazione individuo/paesaggio ed espressione di
un intero popolo non assumerà soltanto un valore di mera contemplazione, ma si caratterizzerà come un
processo altamente selettivo in cui è possibile raccogliere informazioni circa l’uomo e il suo rapporto con il
mondo. Questo rapporto è esplicitato nel paesaggio dalla presenza di segni sul territorio che Turri nel suo "Il
paesaggio come teatro" chiama iconemi, unità elementari della percezione. Essi sono immagini che
rappresentano il tutto, che ne esprimono la peculiarità, ne rappresentano gli elementi più caratteristici e più
identificativi. L'iconema è un segno che, in quanto elaborato e selezionato dal meccanismo percettivo,
assume valore simbolico e funzionale. Esso è symbolon inteso nel suo significato originario come elemento
rappresentativo del tutto. Dando agli iconemi questo significato, cioè di elementi della percezione che si
pongono come segni fondamentali del paesaggio, essi sono paragonabili ai fonemi, che sono i suoni
elementari del discorso. Così intesi, gli iconemi sono come brani del paesaggio, frazioni significative di esso,
parti del quadro percettivo d’insieme. Detto in altro modo, sono quadri minimi elementari, che isolano una
porzione del paesaggio, ne incorniciano un elemento rappresentativo.
L’analisi del rapporto tra arte e natura in Olanda si svilupperà attraverso gli aspetti fondamentali degli
interventi sul paesaggio, considerando come tali le opere d’arte ambientale, le strutture museali che le
ospitano, gli interventi architettonici realizzati in funzione del paesaggio stesso e naturalmente tenendo in
considerazione il contesto storico e sociale olandese.
4
Cfr. Merleau-Ponty, Maurice. Fenomenologia della percezione, Studi Bompiani, Milano 2003.
3
I. PAESAGGIO E AMBIENTE
Estetica del paesaggio
Storia del bello naturale
Nel corso della storia il nostro modo di apprezzare la natura e di percepirla è notevolmente cambiato: il
concetto stesso che abbiamo oggi di bellezza naturale è in completa antitesi rispetto quello dell’Antichità ed
è molto diverso rispetto ad epoche più recenti. Pensiamo soltanto al Rinascimento, quando un paesaggio era
considerato bello se in esso era chiaramente distinguibile l’intervento dell’uomo, caratterizzato da linee
schematiche e perfettamente simmetriche tali da rendere l’ambiente amichevole e più sicuro per l’uomo
stesso. L’uomo moderno invece è in continua ricerca della natura, del rapporto simbiotico che ha perduto con
essa e ritroverà un surrogato di questa simbiosi in costruzioni antropiche che imitano quel carattere selvatico
proprio della natura incontaminata.
Per arrivare con ordine ad una definizione del bello naturale è opportuno procedere ad una breve
trattazione che segua la concezione dello stesso dall’Antichità fino ai giorni nostri, considerando i vari
cambiamenti subiti durante il corso della storia.
“ L’antichità non distingue tra una bellezza naturale e una bellezza artistica, già solo per il fatto che essa
non avverte la necessità di parlare di bellezza a proposito dell’arte, se non di riflesso e come di scorcio: la
Poetica di Aristotele, per esempio, si costruisce facendo del tutto a meno dell’idea di bellezza, che nomina
solo di passata. Bella, per gli antichi, è innanzitutto la natura”
5
.
La natura alla quale si riferiscono gli antichi è però la bellezza dell’universo considerato come un assieme
ordinato (cosmos significa appunto ordine, ornamento), o considerato come un elemento singolo che riflette
in sé la bellezza dell’universo; il cosmo è bello per il suo equilibrio, il suo ordine ma non per la sua
osservabilità. E’ considerata bella l’armonia che lega il tutto, non quantificabile , né ammirabile: si tratta di
un equilibrio che può essere soltanto intuito. Proprio per questo nell’Antichità manca totalmente l’idea di
spettacolarità della natura e quindi manca la stessa idea di paesaggio, inteso come porzione di zona
osservabile.
E’ Pitagora ad elaborare un ordine basato sul numero, ma è Platone che ne riprende alcuni assunti e
teorizza una realtà la cui struttura è data dalla sapienza del demiurgo, che opera secondo un modello perfetto.
5
Paolo D’Angelo, Estetica della natura Bellezza naturale, paesaggio, arte ambientale., Editori Laterza, Roma 2001,
p.6.
4
Per demiurgo (dal greco demiourgos, “artefice”, “artigiano”) Platone intende una sorta di “divino artefice”,
dotato di intelligenza e di volontà, che plasma il mondo a somiglianza delle idee
2
.
La bellezza naturale, oltre che essere ammirata nella totalità dell’universo, è riconosciuta anche
nell’elemento singolo, che riflette in sé tutto l’equilibrio del modello originario (cosmo). Caratteristiche
come l’armonia, la simmetria fanno sì che la bellezza umana venga presa a modello e diventi simbolo del
bello naturale e lo rimarrà dall’antichità fino a tutto il Rinascimento e oltre.
Proprio nella società greca abbiamo testimonianza di come sia presente un perfetto equilibrio tra umanità
e natura: “nulla è nella realtà che non si definisca o prenda forma nella coscienza umana”
3
.
L’operare dell’artista in questo periodo appare sempre collegato ad un interesse teorico e segue precise
leggi formali, seguendo i canoni della teoria delle proporzioni. Quest’ultima è un sistema di proporzioni tra
le parti e delle parti col tutto: in questo senso riprende la concezione ellenica della realtà come relazione
armonica di parti e dell’esistenza individuale come relazione dell’uomo con la natura, la società e il divino
4
.
Se quindi nell’antichità la bellezza naturale era prima di tutto quella umana, oggi l’uomo e la natura si
trovano in netta contrapposizione; “i confini di ciò che chiamiamo natura si spostano continuamente, a
seconda delle opposizioni che costruiamo per pensare la naturalità stessa (natura-cultura, natura-tecnica,
natura-storia), e questo vale ovviamente anche per le opposizioni che costruiamo per pensare la bellezza
naturale. Da questo punto di vista la natura è artificialissima”
5
.
Nell’arte classica non v’è quindi distinzione tra il bello naturale e il bello artistico e ne abbiamo una
conferma dalla teoria della mimesi (dal greco mìmesis, “imitazione”), o imitazione della natura. Gli oggetti
dipinti sono belli perché bello è il modello al quale si rifanno, e questo non contraddice il concetto dell’arte
come invenzione del bello: mimesi non è certo semplicemente copia di ciò che l’artista vede ma
interpretazione. L’arte dunque nasce da una scelta di parti considerate belle destinate a ricomporsi in un
tutto, in una natura ideale. La teoria della mimesi e quindi la concezione per cui la bellezza dell’arte è
subordinata alla bellezza della natura, sarà seguita fino al 1700 e ad essa si sostituirà il pensiero per cui è
l’arte la radice di ogni bellezza, anche di quella naturale.
2
Nicola Abbagnano, Giovanni Foriero, Filosofi e filosofie nella storia, Ed.Paravia Torino 1994, vol.I, p.169.
3
Giulio Carlo Argan, Storia dell’arte italiana, Sansoni ed. Firenze 1988, vol.I p.29.
4
Giulio Carlo Argan, Storia dell’arte italiana, Sansoni ed. Firenze 1988, vol.I p.30.
5
Paolo D’Angelo, Estetica della natura. Bellezza naturale, paesaggio, arte ambientale, Editori Laterza, Roma 2001,
p.8.
5