caratteristici dell’età adolescenziale. Uno di questi è proprio il bullismo che si
costituisce come una degenerazione del comportamento aggressivo degli
adolescenti, in cui si assiste a prevaricazione, minacce, ricatti e aggressioni
fisiche da parte di un ragazzo o gruppi di ragazzi verso compagni della loro
stessa età. È stato questo l’argomento della prima parte del mio lavoro.
Nella seconda parte invece, ho analizzato le caratteristiche dei “gruppi”
di giovani, le abitudini, il modo di interagire tra loro e con la società, ed infine
il contesto in cui vivono. Durante l’adolescenza infatti, il giovane sente
l’esigenza di staccarsi dalla famiglia per intraprendere rapporti significativi
con i coetanei. Se, da una certa età in poi, la conferma della propria identità
viene ricercata fuori dai rapporti familiari, si può facilmente immaginare
quanta importanza abbiano i coetanei, soprattutto i compagni di classe,
durante l’adolescenza e quanto il rapporto con loro possa influire sul proprio
stato d’animo.
I giovani ricercano se stessi, prendendo le distanze dagli adulti, con un
linguaggio tutto loro cui solo loro hanno accesso o con il linguaggio del corpo
che sostituisce quello dell’abito; non più capi firmati dalla testa ai piedi per
proclamare una identità, ma tatuaggi e piercing, anche segreti, che parlano a
loro stessi e ai membri della stessa compagnia, in privato. Tutto ciò porta alla
formazione di una vera e propria subcultura, alternativa a quella degli adulti.
Ma per una riflessione adeguata sui giovani e sul loro modo di vivere
non si può prescindere dall’analisi dei luoghi in cui i giovani trascorrono il
loro tempo libero, i luoghi in cui i giovani si incontrano ed hanno modo di
interagire tra di loro. Luoghi che possono essere formali o informali. Tra i
II
luoghi formali c’è sicuramente la scuola che costituisce il primo luogo in cui
un giovane può incontrare i suoi coetanei. Tra i luoghi informali invece, il più
importante è la strada, la piazza, il parcheggio, il muretto, le vie, i cortili,
giardini, campetti e panchine sono i luoghi della strada in cui i ragazzi si
ritrovano.
La strada rappresenta il luogo in cui i giovani ricercano l’aggregazione,
è il luogo dove si creano culture alternative, stili e modelli di comportamento,
ma è anche il luogo del disagio, di situazioni a rischio di emarginazione e
devianza se non addirittura di irrecuperabilità.
È in questo contesto che si colloca l’argomento della terza parte del
mio lavoro che si propone di offrire una risposta alla situazione di disagio in
cui si trovano i giovani che hanno fatto della strada il loro primo luogo
d’incontro. Questa risposta è costituita dal lavoro di strada. L’educativa di
strada è un approccio pedagogico che ha l’obiettivo di trasformare la strada da
luogo che produce disagio a spazio di relazioni e socialità in cui tanti ragazzi
crescono e passano il loro tempo. Questa metodologia, ad ogni modo,
rappresenta una rivoluzione rispetto alla tradizionale logica di intervento
educativo, secondo cui l’utente deve incontrare gli operatori recandosi nei
luoghi strutturati e predisposti a fornire servizi. In questo caso è l’educatore
che va incontro e raggiunge gli adolescenti nei luoghi della loro quotidianità.
Per approfondire i temi trattati precedentemente e per avere una
visione totale dell’argomento, ho pensato che sarebbe stato utile avere un
responso “sul campo”. È per questo che ho deciso di contattare un’educatrice
di strada, la quale mi ha fornito, attraverso una breve intervista, informazioni
III
dettagliate circa l’educativa di strada ed in particolare sul progetto svolto
dalla cooperativa per cui lavora.
Il risultato di questo incontro, è stato la possibilità di raccontare la vita
di questi operatori ed illustrare dettagliatamente il progetto “On the Road”,
che li ha visti protagonisti.
IV
CAPITOLO I: DISAGIO GIOVANILE E DEVIANZA
1.1. Disagio, disadattamento e devianza
L’identità dell’adolescente e del pre-adolescente è mutata nel corso
degli ultimi decenni con l’avvento della “società di massa”, della “società dei
consumi”, della cultura dei “media” e poi della crisi e trasformazione della
famiglia, del mutamento radicale dei valori sociali, dello stile di vita
complessivo. Il pre-adolescente e l’adolescente sono oggi dentro una fase
della vita che si è prolungata, per la dipendenza dalla famiglia, per
l’insicurezza economica, per lo stare a lungo in formazione. Tutto ciò
provoca disagio espresso in molte forme: nel ribellismo; nell’auto-lesionismo
(tipo bulimia o anoressia), nel vivere al limite le esperienze (sfide coi motori,
etc.) e delinea uno stato d’animo diffuso di tensione, di rabbia, di insofferenza
che si manifesta in famiglia, nella società e anche nella scuola con
atteggiamenti di rifiuto delle regole, di indifferenza alla cultura, di resistenza
all’impegno.
Questo, però, manifesta un disagio profondo di cui la scuola non può
ignorare l’esistenza, anzi: lo deve saper riconoscere e prepararsi a trattarlo
senza demarcarlo come devianza. Deve saperlo capire: cioè diagnosticare,
interpretare e affrontare.
Sempre più spesso capita di non distinguere più i reali significati dei
termini, utili a dare un giusto peso al lavoro degli operatori sociali così, il
1
termine “devianza” appare facilmente sostituibile da quello di “disagio”,
oppure il “disadattamento” con quello di “emarginazione”.
In realtà, per comprendere correttamente questi termini occorre
conoscere le trasformazioni che hanno caratterizzato la nostra società negli
ultimi decenni. È avvenuta infatti, una modifica nel rapporto tra mondo
dell’infanzia e quello degli adulti e una modifica nel rapporto dei più giovani
con la famiglia e la società. Nuove forme di disagio e di povertà incombono
su questo universo ed incidono sulla qualità della vita. Alcune delle principali
cause della situazione a rischio dei giovani possono essere individuate
nell’altalenarsi delle relazioni significative, nella scarsa frequenza dei rapporti
di tipo primario e nell’inadeguatezza e precarietà delle relazioni familiari.
Per tutti questi motivi quindi appare evidente l’esigenza di prestare una
maggiore attenzione a questa fascia d’età e di conseguenza quella di attribuire
ad ogni termine il corretto significato. Per fare ciò è indispensabile analizzare
i quattro periodi che hanno caratterizzato il malessere giovanile:
1. in un primo periodo, intorno agli anni sessanta, c’è stata una
forte presenza di manifestazioni organizzate e visibili dell’insoddisfazione
giovanile. I giovani cominciarono a porre seri problemi di controllo sociale e
a farsi portavoce delle trasformazioni sociali di quei tempi. Nacque così un
primo interesse della ricerca sociale nei loro confronti;
2. negli anni settanta, i giovani furono attori passivi del diffondersi
della disoccupazione giovanili e attori attivi della rivoluzione elettorale che
provocò un aumento dei consensi nei confronti della sinistra. La categoria
2
giovanile fu anche considerata come “classe” sfruttata dal mercato del lavoro
e dell’industria, una classe priva di diritti e opportunità;
3. nella terza fase, intorno agli anni ottanta, i giovani furono
considerati un problema degli adulti che, di fronte ad un futuro incerto,
investivano i figli delle loro attese e speranze. In questa fase si introdusse la
convinzione che il concetto di disagio fosse sintomo della difficoltà degli
operatori e dei ricercatori di inquadrare il malessere diffuso tra i giovani;
4. la quarta fase, infine, stabilisce il progressivo dissolversi del
concetto di disagio a causa dell’estendersi dei suoi vari significati. Si può
quindi definire il disagio come frutto dell’incapacità di trovare una soluzione
alla contraddizione fra centralità soggettiva e marginalità oggettiva
1
.
Esiste, tuttavia, un’ampia letteratura sul disagio giovanile, i cui termini
correlati sono disadattamento, devianza, marginalità. Associata ad esso è una
vasta tipologia di comportamenti messi in atto da soggetti in età evolutiva,
soprattutto preadolescenti e adolescenti, con un livello di gravità variabile. Si
parla di disagio:
non grave: che consiste in stati di malessere per esperienze di
insuccesso (scolastico, sportivo, relazionale) e che si esprime con
comportamenti di chiusura, di aggressività, di autosvalutazione;
intermedio, che si manifesta con comportamenti trasgressivi
spesso agiti nel gruppo e con il gruppo (uso occasionale di stupefacenti,
appartenenza a bande, intimidazioni a soggetti più deboli);
1
Cfr., P. ALLUM, DIAMANTI, 50/’80, Vent’anni, Lavoro edizioni., Roma 1986.
3
grave, che si manifesta con comportamenti autolesivi (bulimia,
anoressia, tossicodipendenza) e trasgressivi illegali (furti, spaccio,
ricettazione).
2
Il disagio, quindi, è uno stato di malessere riferito al soggetto prima
che ad un ambiente esterno ad esso e può essere:
evolutivo: è il disagio legato alla crisi di crescita. Lo si ritrova in
tutte le epoche storiche, è un disagio transitorio e superabile
3
. Può
manifestarsi attraverso la conflittualità con i genitori o con attacchi di
malinconia;
socio-culturale: è il disagio legato al fatto di vivere in una
società complessa e in transizione. È tipico della società del benessere e come
quello evolutivo è superabile. L’adolescente è disorientato, confuso ed
incapace di orizzontarsi in questa complessità.
cronicizzante: è il disagio di quella minoranza che non avendo
risorse sufficienti si trova in una situazione di inadeguatezza. Rappresenta la
linea di confine tra disagio e disadattamento.
Il disagio scolastico è un esempio del disagio giovanile, che può
manifestarsi con comportamenti di disturbo in classe, irrequietezza,
iperattività, difficoltà di apprendimento,di attenzione, difficoltà di inserimento
nel gruppo.
2
Cfr. M. COLOMBO,articolo, Politiche Sociali e Servizi,1994.
3
Il disagio evolutivo può essere identificato con il disagio adolescenziale in cui il soggetto
si trova in una fase di transizione tra età infantile ed età adolescenziale, naturalmente il bambino non
è preparato ai vari mutamenti nella sua persona, sia a livello affettivo e cognitivo, che a livello fisico
e può reagirvi in modi differenti. Sono proprio questi cambiamenti a provocare disagio.
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