6
briganti di ogni genere, disposti ad ogni sorta di efferatezza, purché
remunerativa»
3
. Una delle figure più caratteristiche dell’epoca sarà il
chiazziere: un agente che il Municipio mandava in giro per le piazze a
riscuotere la tassa di ambulantato e la licenza di vendere in un
determinato luogo. Questi, affermerà il De Bourcard, «correva da un
capo all’altro le vie, era sopra ai venditori, tratteneva asini ed asinai e
minacciando, percuotendo sovente, riscuoteva un soldo da ciascun
contadino, plebeo o venditore ambulante, sconoscendo talvolta chi lo
avea pagato ed usando modi sempre villani e barbari»
4
.
Però, sarà solo dal 1820, sotto il dominio borbonico, che la camorra
si organizzerà in maniera efficiente, militarizzandosi. Ciò avverrà
allorquando si renderà conto che le istituzioni governative sono nella
più assoluta impossibilità di fronteggiare il fenomeno.
Sarà a questo punto che si darà delle regole vere e proprie ed un
rituale per chi volesse entrare nell’associazione, forse mutuato da quello
massonico e dalle società segrete mazziniane. Vi sarà una gerarchia da
rispettare e tutto un percorso per far carriera all’interno
dell’organizzazione. Da giuvinnotto annorato a picciuotto a camorrista
5
.
Le pene per chi sgarra sono severissime, cioè per tutti coloro che
3
A. De Blasio, Usi e costumi dei camorristi. Storia di ieri e di oggi, op. cit., p. VI
4
A. De Blasio, Usi e costumi dei camorristi. Storia di ieri e di oggi, op. cit., pp. VI-VII.
5
A. De Blasio, Usi e costumi dei camorristi. Storia di ieri e di oggi, op. cit., p. VII.
7
infrangono il frieno, ossia i ventisei articoli della società dell’umirtà,
ratificati il 12 settembre 1842 dai capintesta e dal capopopolo.
È, questa, una figura particolare nell’ambito della camorra: il guappo,
che deriva da guapo, che in spagnolo significa coraggioso
6
. Era questi
un uomo isolato, che agiva individualmente ed era rispettato da tutti gli
abitanti del rione o del quartiere in cui viveva e il più delle volte era
considerato come un punto di riferimento dagli stessi abitanti.
L’arma prediletta della protocamorra sarà il coltello e non la rivoltella.
Dunque, afferma L. Torre, «una sorta di Robin Hood napoletano era
questo antico esemplare di guappo, che presiede ad un’immagine di
facciata, per rendere ben accetta anche quella parte dell’organizzazione
nient’affatto romantica che s’interessa di estorsioni, di sfruttamento
della prostituzione, di usura, del lotto clandestino, e via dicendo»
7
.
Il binomio camorra-politica è antichissimo, risale a più di un secolo fa.
Sotto i Borbone, ad esempio, essa sarà incaricata dalla polizia di
esercitare il controllo delle prigioni, dei mercati, delle banche, delle
bische, dei lupanari e di tutti i luoghi malfamati della città. Ciò sarà
testimoniato da un camorrista pentito, il quale ad unità italiana
avvenuta, farà alcune rivelazioni clamorose, anche se, a detta di Paolo
Ricci, piuttosto fantasiose: «Egli, comunque, affermava che la setta era
posta addirittura sotto la sorveglianza del ministro di Polizia e che,
6
C. Lucarelli, Storia della camorra, cit.
7
A. De Blasio, Usi e costumi dei camorristi, op. cit., p. VIII.
8
all’indomani dell’elezione di ogni nuovo affiliato della camorra, questo si
presentava al commissario del suo quartiere per consegnargli parte del
barattolo (tangente) spettantegli. Il prefetto, a sua volta, oltre a
riscuotere il proprio barattolo, di proporzioni e di entità adeguata alla
sua alta carica, presiedeva – sempre secondo gli storici liberali-
all’organamento della società segreta e nominava egli stesso i capi dei
dodici quartieri cittadini, ciascuno dei quali aveva una provvigione
mensile di dodici ducati»
8
. L’intesa tra camorra e governo borbonico,
dunque, sarebbe stata perfetta
Che queste affermazioni siano vere o no, resta il fatto che i Borbone
ritennero la camorra un elemento ineludibile, un catalizzatore delle
istanze del sottoploretariato urbano. Ma il 15 maggio 1848 l’intesa
fallirà. Ferdinando II, infatti, fregandosene del patto non scritto,
concederà la costituzione e immediatamente la sopprimerà, tradendo
parte di quella plebe, costituita da camorristi, che avevano visto nella
costituzione stessa una sorta di libertà, un allontanamento del freno
poliziesco, un incipit che li avrebbe fatti uscire da quell’irregolarità di
sempre.
Perseguitati dal ministro di Polizia, Ajossa, essi avranno la possibilità
di entrare in contatto con grandi nomi del patriottismo unitario italiano,
8
P. Ricci, Le origini della camorra, cit. in A. De Blasio, Usi e costumi dei camorristi.
Storia di ieri e di oggi, op. cit., pp. IX-X.
9
come Luigi Settembrini, Silvio Spaventa e Luigi Poerio, che
solleciteranno apertamente l’aiuto della camorra nel moto unitario.
Infatti, come circa un secolo dopo Cosa nostra faciliterà lo sbarco
degli alleati in Sicilia, con l’aiuto del boss Lucky Luciano, così la camorra
nel 1860 preparerà l’ingresso di Garibaldi, senza eccessivi spargimenti
di sangue e senza onerosi turbamenti sociali.
Ciò avverrà grazie al lavoro del nuovo prefetto di Polizia, Liborio
Romano, detto don Liborio che, dopo la proclamazione dello stato
d’assedio (27-28 giugno 1860), avrà un’idea a dir poco geniale, anche
se pericolosissima: «Pensai prevenire le tristi opere de’ “camorristi”,
offrendo a’ più influenti loro capi un mezzo di riabilitarsi; e così parvemi
toglierli al partito del disordine, o almeno paralizzarne le tristi tendenze
in quel momento in cui mancavami ogni forza, non che a reprimerle, a
contenerle. Laonde, fatto venire in mia casa il più rinomato fra essi,
(forse Tore ‘e Crescienzo, n.d.r.) sotto le apparenze di commettergli il
disbrigo d’una mia privata faccenda, lo accolsi alla buona e gli dissi che
era venuto per esso e pe’ suoi amici il momento di riabilitarsi dalla falsa
posizione in cui aveagli sospinti, non già la loro buona indole popolana,
ma l’imprevidenza del governo, la quale avea chiuse tutte le vie
all’operosità priva di capitali.
Che era mia intenzione tirare un velo sul loro passato, e chiamare i
migliori fra essi e far parte della novella forza di polizia, la quale non
10
sarebbe stata più composta da tristi sgherri, e di vili spie, ma di gente
onesta, che, bene retribuita dei suoi importanti servigi, avrebbe in
breve ottenuto la stima de’ proprii cittadini.
Quell’uomo, da prima dubbioso ed incerto, si mostrò commosso dalle
mie parole, smise ogni diffidenza, volea baciarmi la mano; promise
anche più di quello che io chiedevo, soggiunse che tra un’ora sarebbe
tornato da me alla prefettura. E prima che l’ora fosse trascorsa, venne
con un suo compagno, mi assicurarono di aver dato le debite
prevenzioni ai loro amici, e che io potea disporre della loro vita. E
mantennero le loro promesse, per modo da convincermi che, se gli
uomini non sono interamente buoni, neppur sono interamente perversi,
se tali non li costringono ad essere»
9
.
Sarà da questo punto che uomini come Michele o’ chiazziere, lo
Schiavetta, Tore e’ Crescienzo, diverranno «gli entusiasti e rumorosi
capisquadra di questa nuova e strana guardia senza uniformi e
senz’armi, che solo portava un modesto bastone in mano e una
coccarda tricolore al cappello»
10
.
Napoli in questi anni diverrà una città ordinata, vivibile sotto il loro
controllo. I disordini provocati dai filoborbonici saranno sedati sul
nascere e in maniera quasi sempre incruenta.
9
P. Ricci, Le origini della camorra, cit. in A. De Blasio, Usi e costumi dei camorristi.
Storia di ieri e di oggi, op. cit., pp. XI-XII.
10
P. Ricci, Le origini della camorra, cit. in A. De Blasio, Usi e costumi dei camorristi.
Storia di ieri e di oggi, op. cit., p. XII.
11
La moglie di Tore e’ Crescienzo, ‘a Sangiuvannara, diverrà una figura
leggendaria nei quartieri di Montecalvario e Avvocata e sarà tra quelle
che si batteranno di più contro le donne del Pallonetto di Santa Lucia e
delle Grotte del Chiatamone, simpatizzanti borboniche.
Dopo l’unità, però, i servigi resi dai camorristi-poliziotti non saranno
riconosciuti, anzi, sarà riconosciuta solo la pericolosità dell’operazione di
Liborio Romano. L’accresciuto potere degli uomini onorati, la mancata
creazione di posti di lavoro, ripristineranno lo status quo della malavita
organizzata.
Quindi, rotto il patto liberal-camorra, Silvio Spaventa, neo ministro di
polizia nel governo della reggenza, nell’ottobre del 1862 farà arrestare
circa trecento capi camorristi, credendo di aver decapitata con un solo
colpo la pericolosa organizzazione. Ma non sarà così.
Infatti la camorra per circa cento anni dalla sua massima
organizzazione, cioè dal 1820, con l’ingresso ufficioso nella società
borbonica, vivrà attenendosi alle regole ferree del frieno.
Uomini d’onore saranno: Salvatore De Crescenzo, detto Tore ‘e
Crescienzo, Teofilo Sperino, detto Don Triò, e Don Ciccio Cappuccio.
Secondo Luca Torre: «Vi era in questi uomini una sorta di onestà alla
rovescia, ma pur sempre onestà. E’ il desiderio di un prestigio da
contrapporre a quello dei signori e dei nobili. La violenza era violenza
12
pura, diretta, non subdola»
11
. Di un camorrista si sapeva già il
comportamento. Lo sgarro da parte della donna amata aveva per
conseguenza lo sfregio della medesima al volto, la spiata era una
condanna a morte sicura, mentre il tradimento era inammissibile e il
giudizio inappellabile. Un unico tribunale, presieduto dai capintesta
dell’organizzazione emetteva la sentenza, quasi sempre definitiva.
Dopo la morte di Tore ‘e Crescienzo , l’elemento di maggior spicco
sarà Ciccio Cappuccio, detto ‘o signorino. Egli scriveva lettere di questo
genere: «Caro signore, vi lasceremo divertire in pace con la vostra
ballerina se accettate di sborsare mensilmente una piccola somma di
denaro che servirà al figlio di un povero lavoratore per istruirsi»
12
.
«Nelle grandi occasioni, nei giorni di festa solenne, egli, così appariva
nelle strade parato come un sovrano a bordo di un calesse rivestito di
raso, decorato da intagli, dorato e trainato da tre cavalli magnifici, lucidi,
fumanti e scalpitanti, ornato da paramenti di cuoio prezioso e d’argento
massiccio. Al posto delle lanterne il calesse di Ciccio Cappuccio aveva
due grappoli di arance d’argento cesellato. Egli stesso guidava il
prezioso equipaggio, salutando la folla che si scappellava al suo
passaggio, con la dignità di un vero principe. Quando si recava a
Montevergine tutte le vetture cedevano la strada alla carrozza di Ciccio
Cappuccio e la sua autorità era tale, che di ritorno da Montevergine,
11
A. De Blasio, Usi e costumi dei camorristi, op. cit., p. XVI.
12
A. De Blasio, Usi e costumi dei camorristi, op. cit., p. XVII.
13
quando le comitive si fermano a Nola per banchettare, cantare e
sparare fochi di gioia, bastava che uno del suo seguito si affacciasse ad
un balcone e dicesse: “ ‘o signurino vo’ durmì”, perché immediatamente
cessasse ogni rumore»
13
.
Secondo Paolo Ricci, con Ciccio Cappuccio «scomparirà l’ultimo
rappresentante della camorra eroica e popolare»
14
.
Un altro esempio di come le forze governative si siano, di volta in
volta e a seconda della necessità, servite e poi disfatte della camorra, è
dato da quanto avverrà per il processo Cuocolo, durante il governo
Giolitti, nei primi anni del Novecento. In quegli anni gli affari del vero
vertice della camorra andavano a gonfie vele: «un negozio di crusca a
San Ferdinando, proprio nella bottega appartenuta a Ciccio Cappuccio,
poi il gran numero di quattrini messi da parte sfruttando l’idea geniale
di mandare, con l’aiuto di suoi amici influenti, muli nel Transwall
durante la guerra dei Boeri e al Cairo nella spedizione del Sudan. Ma la
vera garanzia d’introiti sicuri restava la compravendita di scarti di
cavalleria nelle aste in provincia di Caserta e a Napoli. Tutti guadagni
che riusciva poi a far lievitare con la sua principale industria: il prestito
ad usura»
15
.
13
A. De Blasio, Usi e costumi dei camorristi, op. cit., pp. XVII-XVIII.
14
P. Ricci, Le origini della camorra, cit. in A. De Blasio, Usi e costumi dei camorristi,
op. cit., p. XVIII.
15
G. Di Fiore, La camorra e le sue storie. La criminalità organizzata a Napoli dalle
origini alle ultime «guerre», UTET, Lavis (TN), 2005, p. 102.
14
La malavita napoletana, nei primi anni del Novecento, diverrà un
vero e proprio problema da risolvere per il governo Giolitti, soprattutto
per i continui delitti commessi in città. Pressioni giungeranno anche da
parte del principe Emanuele Filiberto, duca d’Aosta, cugino del re
Vittorio Emanuele III, che viveva proprio a Napoli. Le continue richieste
da parte del re di interventi decisi per stroncare la delinquenza che
rendeva poco vivibile un’intera area urbana e le diverse pressioni ai
carabinieri per stroncare la camorra napoletana, porteranno ad
un’azione decisiva da parte delle forze dell’ordine, soprattutto dopo il
duplice delitto, di particolare efferatezza, di Maria Cutinelli e Gennaro
Cuocolo. La mattina del 6 giugno 1906, infatti, saranno trovati i
cadaveri di Maria Cutinelli, una ex prostituta, e del basista Gennaro
Cuocolo, quest’ultimo rinvenuto vicino Torre del Greco, crivellato da
oltre trenta colpi di pugnale e rasoio. Rappresenterà una vera occasione
per il governo; si seguirà subito la pista camorra, in quanto in un
ristorante, Mimì ‘a mare, poco lontano dal ritrovamento del cadavere
Cuocolo, avevano pranzato Enrico Alfano (detto Erricone, ritenuto il
capo della malavita napoletana) e alcuni suoi compagni, come il fratello
Ciro (detto Ciretiello), Gennaro Ibello, Giovanni Rapi (‘o professore) e il
cocchiere Iacovitti. La polizia, quindi, riterrà che ci fosse un legame tra
questo pranzo e il cadavere ritrovato poco distante, arrestando tutti i
partecipanti al banchetto.
15
Protagonista dell’inchiesta Cuocolo sarà anche un certo
Abbatemaggio, un ventitreenne, quello che oggi sarebbe chiamato
collaboratore di giustizia, che con le sue dichiarazioni porterà a più di
cento arresti. In seguito sarà istituito un processo, anzi un maxi-
processo che avrà inizio il 12 marzo 1911 a Viterbo e che durerà sedici
mesi, con 41 imputati iniziali. Il Mattino pubblicherà in quegli anni tutte
le cifre: «197 udienze (171 nel 1911 e 20 nel 1912), quattro anni
d’istruttoria, contenuta in 41 volumi pieni di atti processuali trasportati
da Napoli a Viterbo in una cassa ferrata»
16
. Le condanne saranno:
trent’anni a Enrico Alfano e Giovanni Rapi, cinque anni a Abbatemaggio
e Luigi Fucci, per gli altri pene dai trenta ai quattro anni. Dei 41
imputati iniziali, i condannati saranno 27. Accorreranno giornalisti da
molti paesi eteri. Il New York Herald commenterà: «La più grande lotta
che ricorda la storia tra il delitto organizzato e la società civile è finita
con una vittoria delle leggi e dell’ordine»
17
.
Solo venti anni dopo, Gennaro Abbatemaggio ammetterà che tutte le
accuse erano state montate ad arte. Per Luca Torre, il processo Cuocolo
«servì a dare al governo Giolitti un’immagine di efficienza, di ordine, di
pulizia»
18
.
16
G. Di Fiore, La camorra e le sue storie. La criminalità organizzata a Napoli dalle
origini alle ultime «guerre», op. cit., p. 119.
17
G. Di Fiore, Potere camorrista – quattro secoli di Malanapoli, Guida, Napoli, 1993, p.
121.
18
A. De Blasio, Usi e costumi dei camorristi, op. cit., p. XIX.
16
Dopo quest’evento, si potrebbe dire che la camorra andrà come in
letargo, per poi risvegliarsi contemporaneamente alla seconda guerra
mondiale. Infatti tra la vigilia e l’indomani del conflitto, Napoli sarà
oggetto di profondi mutamenti: sarà tra le città italiane più colpite dalle
incursioni aeree, con ingenti danni al patrimonio artistico ed abitativo
(andranno distrutti 232.420 alloggi)
19
. Le gravissime condizioni
economiche della città daranno vita ad un enorme mercato nero,
secondo alcuni il più grande mercato di contrabbando d’Europa.
Scriverà Giuseppe Galasso, storico contemporaneo di Napoli: «Ciò che
distingue i problemi di Milano o di Torino (che certo neppure esse
mancano di problemi; tutt’altro!) è innanzitutto la circostanza che
Milano e Torino si trovano di fronte a problemi che sono essenzialmente
quelli degli ultimi ottanta o novant’anni della loro storia, i problemi
determinati dall’avvento della rivoluzione industriale anche in Italia.
Napoli si trova, invece, di fronte a problemi che sono l’eredità di un
passato assai meno recente, che derivano da una accumulazione
quattro o cinque volte secolare di elementi negativi, di difficoltà irrisolte,
di mancati avvii a sviluppi più congrui alle esigenze del mondo
moderno»
20
.
19
I. Sales - M. Ravveduto, Le strade della violenza malviventi e bande di camorra a
Napoli, l’ancora del Mediterraneo, Napoli, 2006, p. 49.
20
G. Galasso, Intervista sulla storia di Napoli, a cura di P. Allum, cit. in I. Sales - M.
Ravveduto, Le strade della violenza malviventi e bande di camorra a Napoli , op. cit.,
p. 33.
17
Dopo la grande guerra gli alleati lasceranno l’ Italia, ma solo a Napoli
le attività di contrabbando sopravvivranno, soprattutto nei quartieri di
Forcella e della Duchesca, alcuni dei tanti rioni popolari al centro storico
della città, che fino ad allora non si erano particolarmente distinti in
commerci illegali e che, dopo l’arrivo degli americani diventeranno uno
dei simboli della camorra napoletana; infatti Forcella per decenni sarà il
regno di una delle famiglie più influenti e pericolose: i Giuliano.
I prodotti che si smerceranno all’interno del mercato nero saranno di
ogni genere, come sigarette, medicinali, liquori, cibi in scatola ecc. Poi,
dopo la guerra, sarà solo il traffico illecito di sigarette la principale
specializzazione, un traffico nel quale i napoletani avranno all’inizio un
ruolo di manovalanza, come vedremo anche, negli anni seguenti,
durante il dominio del clan dei marsigliesi, prima, e dei mafiosi siciliani,
poi. Il contrabbando decreterà la fine dei guappi, cioè dei delinquenti
individuali, dando vita ad un modo di intendere gli affari più vasto,
caratterizzato da una collaborazione di più persone e maggiormente
organizzata. La caratteristica iniziale del contrabbando di prodotti di
prima necessità si trasformerà in un vero e proprio business: il business
delle cosiddette “bionde” (sigarette), che farà sì che Napoli diventi un
centro nevralgico nei rapporti nazionali ed internazionali. Sarà proprio
questa sua caratteristica a dar vita ad una delle organizzazioni criminali,
dai mille volti, più spietata e organizzata al mondo.
18
Dal 1950 al 1958 verranno sequestrate 14 navi contrabbandiere e in
seguito i tradizionali pescherecci o le barche a remi, che andavano a
largo a caricare le casse di sigarette dalle navi madre, verranno
sostituiti da potenti motoscafi, dipinti di scuro per mimetizzarsi di notte:
i famosi scafi blu.
Parallelamente è da sottolineare, in questi anni, anche il boom
dell’attività edilizia, con la quale l’amministratore Lauro ha scritto una
delle pagine più buie della nostra terra. Nella costruzione della nuova
Napoli la camorra avvisterà grandi affari, sotto forma di tangenti, di
abusi, di occupazione e gestione di patrimonio abitativo pubblico in città
e, in provincia, sotto forma di attività imprenditoriale (costruzione,
fornitura di materiale). È un nuovo tipo di malavita quella di cui
parliamo, non più Ciccio Cappuccio o i personaggi del processo Cuocolo,
ma veri e propri delinquenti, spietati e arrivisti.
L’attività edilizia con i suoi vari interventi urbanistici, che si
succederanno dal risanamento, se da un lato risolverà il problema del
sovraffollamento del centro storico, dall’altro sarà frutto di una divisione
in classi del popolo napoletano. Nel ventennio 1950-1970 si
costruiranno nuovi quartieri destinati ai ceti più abbienti (Fuorigrotta,
Posillipo, Vomero), mentre il proletariato ed il sottoproletariato
continuerà a vivere o nel centro della città oppure sarà relegato ai
confini della stessa. Questa distinzione di stili di vita porterà ad un
19
risentimento forte, che il più delle volte trascenderà in vera e propria
violenza. Dal 1950 al 1961 le amministrazioni controllate da Achille
Lauro concederanno ben 11.500 licenze edilizie, per la realizzazione di
circa trecentomila vani e il piano regolatore della città, approvato nel
1939, verrà continuamente falsificato, restando in vigore fino al 2000
21
.
Ma la realtà malavitosa degli anni ’50 è ancora più complessa, dalle
infinite sfaccettature. Se da un lato assisteremo all’ascesa di una sorta
di camorra cittadina, dedita ai traffici di sigarette, disorganizzata e
pronta a fiutare qualsiasi tipo di affare, purché remunerativo, dall’altro
vedremo l’affermarsi di una criminalità di provincia (camorra rurale),
che si imporrà e comincerà a controllare anche i redditizi commerci nei
mercati ortofrutticoli. Nel rapporto tra concessionari e grossisti, tra chi
controllava i magazzini del mercato e chi acquistava e rivendeva la
frutta e gli ortaggi raccolti, nella campagna dell’agro nocerino-sarnese,
di Giugliano, del nolano, si inseriranno le figure dei mediatori. Figure
violente, in grado di incutere timore e, soprattutto, di decidere i prezzi
ai quali dovevano sottostare concessionari e grossisti. Il centro di
questa attività sarà Napoli, col corso Novara, nell’area della Stazione
centrale a ridosso del mercato ortofrutticolo, dove la legalità il più delle
volte si incontrava con l’illegalità.
21
G. Di Fiore, La camorra e le sue storie. La criminalità organizzata a Napoli dalle
origini alle ultime «guerre», op. cit., p. 149.