La funzione della pena nella giurisprudenza della Corte costituzionale
8
Non sempre mi è stato possibile “collegare” tra loro le suddette decisioni, in
quanto, nella maggior parte dei casi, le argomentazioni della Corte erano rivolte a
contenuti ed istituti diversi, non facilmente correlativi.
Dopo un esame analitico di ogni singola sentenza inerente al tema dei fini della
pena, ho cercato di definire, nelle conclusioni di tesi, un quadro d’insieme di
questo stesso tema, individuando quattro punti-chiave attraverso i quali è
possibile ricostruire il pensiero – la posizione – del giudice costituzionale di
fronte al fine -fini della sanzione penale.
Questi punti -chiave li ho identificati nella teoria polifunzionale della pena, nel
fine primario della rieducazione, nell’adesione – della Corte – alla priorità di fini
diversi da quello rieducativo ed, infine, nella posizione di mero rinvio – sempre
del giudice costituzionale – alla discrezionalità del legislatore, in tema di fini
della pena appunto.
Rileggendo più volte il lavoro svolto, ho maturato l’idea di quanto sia
complesso e forse presuntuoso arrivare a definire un quadro di sintesi del
pensiero della Corte costituzionale in tema di scopo della sanzione
penale.
La materia della funzione della pena è trattata da decenni dalla dottrina e da
diversi studiosi di politica criminale – penale; nella ricerca delle sentenze
costituzionali, mi sono avvalso anche di questa dottrina e di opere di studiosi
della pena e della sua funzione in particolare.
Se in dottrina esistono più filoni schierati da una parte o dall’altra in merito a
quelli che devono essere gli scopi della pena, non di meno accade nella
giurisprudenza costituzionale, dove non esiste una precisa ed univoca posizione
in ordine alla funzione della sanzione penale.
L’auspicio è che questo mio modesto lavoro di tesi, possa contribuire ad
interrogarsi insieme – ancora una volta – sul perché della pena, sui fini della
sanzione penale, affinché vi sia un intento d’unione di forze e di idee dei massimi
esponenti del sistema penale, a partire dal legislatore, alla luce degli importanti
contributi della dottrina penalistica, fino ad arrivare a considerare le indicazioni
della giurisprudenza costituzionale, appunto, in tema di scopi della pena.
La funzione della pena nella giurisprudenza della Corte costituzionale
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PRIMA PARTE
AREA OGGETTIVA
La pena principale in senso stretto: tipologia e scopo della pena.
CAPITOLO I
Le pene detentive in particolare.
1. La pena di morte.
Abolizione della pena di morte.
Il nostro diritto positivo è pervenuto alla totale eliminazione della pena di morte,
attraverso una iniziale abolizione temperata, in quanto la pena di morte era
esclusa come ordinaria, per le leggi di pace, e ammessa come pena eccezionale,
per le leggi militari di guerra.
Con la legge n.589 del 1994 è stata successivamente abolita la pena di morte
anche nelle suddette leggi militari.
Ma vediamo alcune sentenze della Corte costituzionale in ordine alla funzione e
agli scopi che questa sanzione penale “estrema” avrebbe – ad avviso del giudice
costituzionale - dovuto ( o meno) avere.
Sentenza n.54 del 1979
Estradizione per i reati sanzionati con la pena edittale della morte
nell’ordinamento dello Stato richiedente: il non prevedere la “pena
estrema” al fine di tutelare il bene fondamentale della vita.
La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del regio
decreto 30 giugno 1870 n.5726, nella parte in cui consente l’estradizione per i
reati sanzionati con la pena edittale della morte nell’ordinamento dello Stato
richiedente.
La funzione della pena nella giurisprudenza della Corte costituzionale
10
La Corte , in sostanza, ha fatto sue le argomentazioni sostenute dai giudici a quo
nelle ordinanze 17 febbraio 1977 ( Corte d’appello di Trieste), 6 luglio 1977
(sezione istruttoria della Corte d’appello di Torino), 16 gennaio 1978 ( sezione
istruttoria della Corte d’appello di Genova)
1
.
In breve, da una parte il giudice costituzionale ha aderito alla tesi che vuole
operante il divieto della pena di morte, sancito dall’art.24, comma 4, Cost., anche
in sede estradizionale:
“ deve considerarsi lesivo della Costituzione che lo Stato italiano concorra
all’esecuzione di pene che in nessuna ipotesi, e per nessun tipo di reati,
potrebbero essere inflitte in Italia in tempo di pace, se non sulla base di una
revisione costituzionale “
2
.
Di particolare rilievo è la considerazione della Corte fatta in merito alla “garanzia
giurisdizionale” che il nostro codice di procedura penale prevede nell’art.662, per
mezzo della quale “ occorre accertare…la compatibilità dell’estradizione con i
principi cui si informano, secondo la Costituzione, reato e pena nell’ordinamento
interno “. E questo aspetto essenziale della garanzia – continua la Corte –
rimarrebbe svuotato, se i giudici italiani potessero vedersi legittimamente
obbligati…a decidere che vengano estradati soggetti passibili della pena capitale,
in quanto condannati od imputati all’estero “
3
.
Nel punto n.6 del considerato in diritto, il giudice costituzionale ricorda come
l’art.24,comma4, Cost. vada ricollegato al principio di eguaglianza di tutti i
soggetti davanti alla legge, eguaglianza garantita, appunto, anche agli stessi
stranieri, “ là dove si tratti di assicurare la tutela di diritti inviolabili dell’uomo; e
tale è appunto il diritto alla vita, specificamente protetto, in sede penale,
dall’art.27,comma 4”
4
, della Costituzione.
1
iscritte rispettivamente nel R.O. n.154 del 1977, n.383 del 1977, n.127 del 1978
2
vedi sentenza n.54 in esame, Giur.Cost, 1979, p.413
3
idem, nota precedente, p.423
4
idem, nota precedente, p.426.
In dottrina, per una sintesi delle ragioni che si oppongono alla introduzione della pena di morte, v.
Pulitanò, in Ergasolo e pena di morte, p.156 e Fiandaca, Commento all’art.27, comma 4, Cost., in
Commentario alla Costituzione, a cura di Branca e Pizzorusso, Bologna, 1991, 346
La funzione della pena nella giurisprudenza della Corte costituzionale
11
Sentenza n.223 del 1996 “ Caso Venezia”.
Avverso il decreto del Ministro di grazia e giustizia del 14 dicembre 1995, con
cui si concede al Governo degli Stati Uniti d’America l’estradizione del cittadino
italiano Pietro Venezia, raggiunto da provvedimento restrittivo emesso il 30
dicembre 1993 dal Giudice della contea di Dade (Florida) con l’imputazione di
omicidio di primo grado, l’estradando proponeva ricorso al Tribunale
amministrativo regionale del Lazio volto a ottenere l’annullamento, previa
sospensione, del citato decreto.
Il Tribunale sopra adito, poneva
5
all’esame della Corte costituzionale, in
relazione agli artt.2,3,11 e 27, quarto comma, della Costituzione, la questione di
legittimità costituzionale dell’art.698, comma 2, del codice di procedura penale, e
della legge 26 maggio 1984, n.225 ( Ratifica ed esecuzione del trattato di
estradizione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Stati
Uniti d’America, firmato a Roma il 13 ottobre 1983), nella parte in cui dà
esecuzione all’art.IX del trattato ora citato, ove si prevede l’estradizione anche
per i reati puniti con la pena capitale a fronte dell’impegno assunto dal Paese
richiedente – con garanzie ritenute sufficienti dal Paese richiesto – a non
infliggere la pena di morte o, se già inflitta, a non farla eseguire.
Nel punto n.4 del “considerato in diritto”, il giudice costituzionale ha ritenuto la
questione proposta da giudice a quo, fondata.
La Corte costituzionale ha richiamato l’art.27, comma 4, Cost.., rimarcando
come il divieto della pena di morte ha lo scopo di garantire il bene fondamentale
della vita, che è il primo dei diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti dall’art.2
Cost.. : “l’assolutezza di tale garanzia costituzionale incide sull'esercizio delle
potestà attribuite a tutti i soggetti pubblici dell’ordinamento repubblicano, e nella
specie su quelle potestà attraverso cui si realizza la cooperazione internazionale ai
fini della mutua assistenza giudiziaria “
6
.
Già nella sentenza n.54 del 1979, sopra analizzata, la Corte ha affermato che “il
concorso, da parte dello Stato italiano, all’esecuzione di pene, che in nessuna
5
vedi ordinanza 20 marzo 1996 del TAR del Lazio, iscritta nel R.O. 1996, n.404, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.16, prima serie speciale, dell’anno 1996
6
vedi sentenza n.223 del 1996, Foro Italiano, 1996, p.1918
La funzione della pena nella giurisprudenza della Corte costituzionale
12
ipotesi, per nessun tipo di reati, potrebbero essere inflitte in Italia nel tempo di
pace è di per sé lesivo della Costituzione”
7
.
Nel punto n.5 del “considerato in diritto”, la Corte afferma che l’estradizione è
concessa ( o negata) “in seguito a valutazioni svolte dalle autorità italiane sulle
singole richieste con accertamenti nei limiti indicati…Tale soluzione offre, in
astratto, il vantaggio di una politica flessibile da parte dello Stato richiesto, e
consente adattamenti, nel tempo, in base a considerazioni di politica criminale “
8
.
Nel nostro ordinamento, ad avviso della Corte costituzionale , il bene essenziale
della vita prevale in modo assoluto sulla formula “ sufficienti assicurazioni” , ai
fini della concessione dell’estradizione per fatti in ordine ai quali è stabilita la
pena capitale dalla legge dello Stato estero:
il meccanismo adottato dal codice di procedura penale e dalla legge di esecuzione
del trattato in esame, è intrinsecamente inadeguato rispetto ai canoni
costituzionali presenti negli artt.2 e 27, quarto comma, della Costituzione.
2. L’ergastolo: quale è il fine di questa “ pena perpetua” ?
Premessa
Secondo il disposto dell’art.22 c.p. “ la pena all’ergastolo è perpetua, ed è
scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l’obbligo del lavoro e con
l’isolamento notturno. Il condannato all’ergastolo può essere ammesso al lavoro
perpetuo “.
Un aspetto importante e controverso è quello della compatibilità dell’ergastolo
con i principi della Costituzione, ed in particolare con il principio di rieducazione
espresso dall’art.27, comma 3, della Costituzione.
7
idem op.cit sopra, cfr sentenza n.54 del 1979, presente lavoro, p.10
8
idem, nota precedente, op.cit.
La funzione della pena nella giurisprudenza della Corte costituzionale
13
Sentenza n.115 del 1964: l’isolamento diurno del condannato all’ergastolo
non costituisce trattamento contrario al senso di umanità.
I difensori di un imputato condannato in primo grado all’ergastolo e
all’isolamento diurno, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale
degli artt.22 e 72 del codice penale, in quanto, sia l’ergastolo che l’isolamento
diurno, per la loro natura e per le modalità della loro esecuzione, non
consentirebbero la rieducazione del condannato e si risolverebbero in trattamenti
contrari al senso di umanità.
La Corte Costituzionale osserva che “l’isolamento diurno del condannato
all’ergastolo, per la funzione cui adempie secondo il diritto vigente, per i limiti e
le modalità attuali della sua applicazione, non può ritenersi misura contraria al
senso di umanità”
9
.
Il giudice costituzionale, nella sentenza n.264 del 1974,ha rimarcato la legittimità
dell’ergastolo, motivando questa nel fatto che lo scopo della sanzione penale “
non è soltanto il riadattamento sociale dei delinquenti, ma pure la prevenzione
generale, la difesa sociale e la neutralizzazione a tempo indeterminato di
determinati delinquenti “
10
.
Inoltre, il giudice costituzionale rileva come l’afflittività – che è propria della
misura isolatrice in questione – per effetto delle modificazioni dell’art.2 della
legge 25 novembre 1962, n.1634, è stata ancora più sensibilmente ridotta, in
quanto l’ergastolano, anche se condannato all’isolamento, partecipa all’attività
lavorativa.
Dalla disposizione sopra accennata, ed altre ancora ( eliminazione del limite di tre
anni per l’ammissibilità dell’ergastolano al lavoro all’aperto, possibilità di
liberazione condizionale anche per il condannato all’ergastolo, ecc.), emerge che
le leggi penali vanno ispirandosi sempre più ai criteri di umanità riaffermati dalla
nostra Costituzione: “è una viva esigenza della coscienza sociale che un tale
9
vedi sentenza in esame in “Le sentenze della C.Costituzionale sugli art.25 comma 2 e 3, 27, comma
1 e 3 (1956 – 1975) Dassano, Maccagno, Ronco, 1976, p.577
10
Cort.cost., 22 novembre 1974, n.264, Riv.it.dir.proc.pen.,1976, 262 con nota di Pavarini, “ La Corte
costituzionale di fronte al problema penitenziario: un primo approcio in tema di lavoro carcerario “ .
La funzione della pena nella giurisprudenza della Corte costituzionale
14
indirizzo, nel quadro di una efficiente difesa sociale contro il delitto, trovi sempre
più civili e illuminate applicazioni “
11
.
Ridimensionamento della natura perpetua dell’ergastolo.
La natura perpetua dell’ergastolo è, in concreto, andata sempre più
ridimensionandosi, per cui il problema della sua costituzionalità, secondo alcuni
autori della dottrina penalistica, ha finito con lo “sdrammatizzarsi “
12
:
attraverso la giurisdizionalizzazione dell’istituto della liberazione condizionale,
avvenuta con la sentenza n.204 del 1974, il giudice costituzionale ha dichiarato
che il condannato all’ergastolo può – se abbia tenuto un comportamento tale da
far ritenere sicuro il suo ravvedimento – essere ammesso alla liberazione
condizionale dopo aver scontato 26 anni di pena.
Per un’analisi dettagliata della sentenza sopra citata, rinvio al capitolo di questo
mio lavoro, appunto dedicato al tema della funzione della pena in ordine
all’istituto della liberazione condizionale.
Di seguito, vedremo ora le sentenze più importanti attraverso le quali il giudice
costituzionale si è pronunciato in merito alla funzione della pena detentiva
dell’ergastolo.
Sentenza n.264 del 1974
“ Funzione della pena non è certo il solo riadattamento dei delinquenti,
purtroppo non sempre conseguibile “: il giudice costituzionale ritiene
importanti anche i fini di prevenzione generale, di dissuasione e di difesa
sociale
L’ordinanza 15 marzo 1972 della Corte di assise di Verona ha sollevato la
questione incidentale di legittimità costituzionale della pena dell’ergastolo ex
art.22c.p., in riferimento all’art.27, terzo comma, della Costituzione.
11
Idem, nota precedente, Op.cit.
12
Fiandaca –Musco, Diritto Penale, Parte generale, Terza edizione, p.661
La funzione della pena nella giurisprudenza della Corte costituzionale
15
Per il giudice a quo l’ergastolo, “ in quanto pena che si risolve nella privazione
perpetua della libertà personale, con impossibilità del reinserimento del
condannato nella vita sociale, contrasterebbe con la funzione di emenda garantita
dall’invocato principio costituzionale “
13
.
Inoltre – ritiene il giudice a quo - altri motivi d’illegittimità potrebbero ravvisarsi
nell’obbligo imposto agli ergastolani di esplicare un’attività lavorativa.
La Corte ha ritenuto non fondata la questione sollevata, per le seguenti ragioni.
Dapprima, la Corte ha rilevato come, a prescindere dalle teorie retributive e
positiviste, “non vi è dubbio che dissuasione, prevenzione, difesa sociale, stiano,
non meno della sperata emenda, alla radice della pena “
14
.
La Corte ha ritenuto che quanto sopra “ basta per concludere che l’art.27 della
Costituzione, usando la formula << le pene non possono consistere in trattamenti
contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato
>>, non ha prescritto la pena dell’ergastolo (come avrebbe potuto fare – sostiene
la Corte -), quando essa sembri al legislatore ordinario, nell’esercizio del suo
potere discrezionale, indispensabile strumento di intimidazione per individui
insensibili a comminatorie meno gravi, o mezzo per isolare a tempo
indeterminato criminali che abbiano dimostrato la pericolosità e l’efferatezza
della loro indole “
15
.
Ha sostenuto quindi la Corte che, “ funzione e fine della pena non è certo il solo
riadattamento dei delinquenti, purtroppo non sempre conseguibile”
16
.
Il giudice a quo rileva poi il dubbio che la pena dell’ergastolo sia “ in contrasto
con la morale esigenza di tutela e con il senso di umanità al quale debbono
ispirarsi le pene, essendo obbligatorio per i condannati a tale pena l’esplicazione
di un’attività lavorativa “
17
.
Il giudice costituzionale non è in sintonia con quanto affermato dal giudice a quo,
anzi, ha ribadito che il lavoro, “ben lungi dall’essere in contrasto con la morale
esigenza di tutela e rispetto della persona, è gloria umana, precetto religioso per
13
vedi sentenza n.264 del 1974 in “Le sentenze della C.Costituzionale sugli art.25 comma 2 e 3, 27,
comma 1 e 3 (1956 – 1975) Dassano, Maccagno, Ronco, 1976, p.684
14
idem, nota precedente, Op.cit., p.685 ss.
15
idem, nota precedente, Op.cit.
16
idem, nota precedente, Op.cit.
La funzione della pena nella giurisprudenza della Corte costituzionale
16
molti, dovere e diritto sociale per tutti (art.4 Cost.) e reca sollievo ai condannati
che lavorando, anche all’aperto, come consente l’art.22c.p., nel nuovo testo
risultante dalla novella del novembre 1962, godono migliore salute fisica e
psichica, conseguono un compenso e si sentono meno estraniati dal contesto
sociale "
18
.
Sentenza n. 274 del 1983
Carattere astrattamente perpetuo dell’ergastolo e funzione della pena.
La Corte ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art.54 legge 26 luglio
1975 n.354 ( Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle
misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non prevede la
possibilità di concedere anche al condannato all’ergastolo la riduzione di pena, ai
soli fini del computo della quantità di pena così detratta nella quantità scontata,
richiesta per l’ammissione alla liberazione condizionale.
Nel punto n.2 del “Considerato in diritto”, il giudice costituzionale, richiamando
la sentenza n.204 del 1974, riconosce “ a qualsiasi condannato, il diritto a che la
pena inflittagli sia espiata con il costante perseguimento dei fini previsti
dall’art.27 Cost., mediante l’osservazione e il trattamento del detenuto ed il
riesame degli effetti prodotti dal processo di rieducazione svolto nei suoi
confronti “
19
.
Fatta questa premessa, il punto di osservazione si sposta sull’analisi, da parte
della Corte, di alcuni dispositivi contenuti nella legge n.354 del 1975
sull’ordinamento penitenziario, che disciplinano le linee guida alle quali deve
ispirarsi il trattamento penitenziario:
- “ in armonia con il dettato del comma 3 dell’art.27 Cost., nei confronti dei
condannati ed internati dev’essere attuato, secondo un criterio
d’individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti, un
trattamento rieducativo che tenda al reinserimento sociale degli stessi (art.1);
17
idem, nota precedente, Op.cit.
18
idem, nota precedente, Op.cit.
19
Corte cost., 27 settembre 1983, n.274, Foro It.,1983,I, p.233
La funzione della pena nella giurisprudenza della Corte costituzionale
17
- (…) nel disciplinare la individualizzazione del trattamento, la stessa legge
promuove la collaborazione dei condannati e degli internati alle attività di
osservazione e di trattamento (art.13) “
20
.
Nella prospettiva sopra delineata, il comma 1 del denunciato art.54 della legge
n.354 del 1975, prevede che possa venire concessa “ al condannato a pena
detentiva che abbia dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione”, una
“riduzione di pena” ( di venti giorni per ciascun semestre di pena detentiva
scontata) “ ai fini del suo più efficace reinserimento nella società”.
Secondo il giudice costituzionale, il conseguito beneficio può operare per il
condannato su due distinti piani, non necessariamente connessi:
“ e cioè, sia ai fini della sua liberazione anticipata, allorché l’ammontare della
pena irrogata venga a coincidere con la somma degli abbuoni e del periodo
scontato; sia ai fini della sua ammissione alla liberazione condizionale, in quanto,
considerando la pena detratta come pena scontata, si attingano più presto i periodi
minimi richiesti dai primi due commi dell’art.176 c.p.…In questa seconda ipotesi,
la possibilità di acquisire una riduzione della pena incentiva e stimola nello stesso
soggetto la sua attiva collaborazione all’opera di rieducazione “
21
.
Premiando il comportamento tenuto dal condannato, che è invogliato, ad avviso
della Corte, “ a partecipare all’opera della sua rieducazione e ad assecondarla
rendendola meno difficile e più efficace, la riduzione della pena si raccorda sul
piano teleologico con il presupposto della liberazione condizionale, e cioè con il
risultato della rieducazione medesima, sollecitando e corroborando il
ravvedimento del condannato ed il conseguente suo reinserimento nel corpo
sociale…Finalità questa, che il vigente ordinamento penitenziario, in attuazione
dell’art.27, comma 3, Cost., persegue per tutti i condannati a pena detentiva, ivi
compresi gli ergastolani “
22
.
Nel punto n.4 del “ Considerato in diritto”, la Corte fa poi un richiamo alla legge
n.1634 del 1962: nella relazione governativa che accompagnava la presentazione
alla Camera dei deputati del disegno di legge, fu enunciato il proposito di “
20
sentenza in esame, Op.cit. p.235 ss.
21
idem, nota precedente, Op.cit.
22
sentenza n.274 del 1983, Op.cit.
La funzione della pena nella giurisprudenza della Corte costituzionale
18
completare ed integrare, con speciale riferimento all’ergastolo, la progressiva
umanizzazione della pena, rendendo più concreta e funzionale anche
nell’ergastolano l’azione intesa alla rieducazione del condannato “
23
.
Legge n.663 del 1986
A seguito della sentenza costituzionale sopra analizzata, gli artt.14 e 18 della
legge n.663 del 1986 hanno esteso espressamente agli ergastolani l’applicabilità
dei due istituti della semilibertà (col limite dell’espiazione di almeno venti anni di
pena) e della stessa liberazione anticipata.
In particolare, la legge n.663 del 1986 consente che, ai fini del computo dei
vent’anni di pena espiata che fanno da presupposto all’ammissibilità al regime di
semilibertà, possano venire detratti 45 giorni per ogni semestre di pena scontata
se il condannato partecipa all’opera di rieducazione.
Da sottolineare che, dopo dieci anni ( che possono anche essere ridotti di un
quarto per effetto del beneficio di cui sopra), sono altresì concedibili permessi
premio per non più di 45 giorni all’anno.
In particolare, stabilendo l’art.53bis dell’ordinamento penitenziario che il tempo
trascorso in permesso (o in licenza) è computato a ogni effetto nella durata della
pena espiata, allo stato attuale, può succedere che un ergastolano venga rimesso
in libertà dopo 15 anni avendo già beneficiato di 225 giorni di permesso premio e
venga liberato condizionalmente dopo 19 anni e sei mesi, avendo già usufruito di
428 giorni di permesso.
Sentenza n.168 del 1994: rinvio alla parte dedicata ai minori.
Qui la Corte costituzionale ha ravvisato una incompatibilità insanabile tra la pena
perpetua e la minore età, facendo leva sul particolare significato che la
rieducazione finisce con l’assumere dove venga riconsiderata alla stregua della
speciale protezione che l’art.31 Cost. accorda all’infanzia e alla gioventù.
23
idem, nota precedente, Op.cit.
La funzione della pena nella giurisprudenza della Corte costituzionale
19
Per una dettagliata analisi della sentenza, rinvio alla sezione dedicata alla
funzione della pena cui sono sottoposti i condannati minorenni.
Ordinanza n.337 del 1995: “ontologica incompatibilità” tra ergastolo e
istituto del condono “parziale”.
Con ordinanza del 26 gennaio 1995, iscritta al R.O. n.189 del 1995, (pubblicata
nella Gazz.Uff. della Rep. n.15, prima serie speciale, anno 1995), il Tribunale di
sorveglianza di Firenze, in riferimento agli artt.27, terzo comma, e 3, primo e
secondo comma, della Costituzione, ha sollevato questione di legittimità degli
artt.50, quinto comma, della legge 26 luglio 1975, n.354 ( Norme
sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e
limitative della libertà), e 176, terzo comma, del codice penale, “in quanto non
riconoscono alcun effetto alla intervenuta concessione dell’indulto o di analoghi
benefici ai fini della ammissibilità, rispettivamente, alla semilibertà e alla
liberazione condizionale del condannato all’ergastolo”:
in riferimento all’art.27, comma 3, della Costituzione, secondo il giudice
rimettente, “una volta soddisfatta, attraverso il ravvedimento del reo, la finalità
rieducativa della pena, costringere il condannato a subire il regime inframurario a
causa dell’esclusione dal computo della pena espiata ai condoni applicabili alla
generalità dei detenuti equivarrebbe ad infliggergli una sofferenza gratuita, e,
dunque, un trattamento contrario al senso di umanità”
24
.
Secondo la Corte la questione è inammissibile , “ dovendo la pena dell’ergastolo,
nonostante il suo inquadramento nell’attuale tessuto normativo abbia , a
determinati fini, provocato il venire meno della rigorosa caratteristica di
perpetuità che all’epoca dell’emanazione del codice la connotava, considerarsi
comunque una pena perpetua tanto da non ammettere “scomputi” che non
incidano sulla natura stessa della pena “
25
.
24
ordinanza n.337 del 1995, G.cost. 1995, 2557
25
idem, nota precedente, Op.cit. p.2559 ss.
La funzione della pena nella giurisprudenza della Corte costituzionale
20
Questo sta a significare che se, a taluni fini, la pena dell’ergastolo può assumere i
caratteri della temporaneità nel quadro di quelle misure premiali che anticipano il
reinserimento come effetto del sicuro ravvedimento del condannato, da
comprovarsi dal giudice sulla base non solo della buona condotta tenuta durante
l’espiazione della pena, bensì, soprattutto, della sua partecipazione rieducativa (
vedi sentenza n.168 del 1994, analizzata nella parte dedicata ai condannati
minorenni), non è possibile detrarre dalla pena inflitta la misura corrispondente
all’indulto perché, altrimenti, si inciderebbe sulla natura stessa della pena quale
irrogata in sede di cognizione con inevitabili riverberi non solo sulla misura ma
sulla qualità della pena stessa.
Il giudice costituzionale, prima di dichiarare la manifesta inammissibilità della
questione di legittimità costituzionale dell’art.176, terzo comma, del codice
penale, e la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale
dell’art.50, quinto comma, della legge 26 luglio 1975, n.354, richiama la
giurisprudenza di cassazione, che presupponendo la perpetuità della pena
dell’ergastolo nel suo momento applicativo, “ha coerentemente ravvisato una
ontologica incompatibilità tra l’ergastolo e l’istituto del condono “parziale”
poiché la durata complessiva della pena essendo stabilita fino alla morte del reo
non è determinabile a priori, con la conseguenza che essa può essere condonata
<< in tutto>> oppure essere commutata in un’altra specie di pena stabilita dalla
legge “
26
.
26
idem, nota precedente, Op.cit. p.2561 ss.