sulla situazione della scolarizzazione degli zingari nei Paesi Membri. Il Rapporto
finale, redatto da Jean Pierre Liegeois, direttore del Centre e diffuso dalla
Commissione, esce nel 1986. Liegeois è stato uno dei primi ad insistere per
prendere in considerazione la cultura degli zingari nell'ambito delle politiche
sociali, in anni in cui si parlava di loro esclusivamente in termini di devianza
sociale e deficit culturale. L'esito di quel rapporto sfocia nella Risoluzione del
Consiglio dei Ministri dell'Istruzione in cui si mettono in campo una serie di
iniziative per migliorare la scolarizzazione dei bambini Rom. Dieci anni dopo
viene pubblicato un bilancio sull'attuazione della Risoluzione del 1989 che
segnala come, nonostante gli interventi intrapresi la scolarizzazione degli Zingari
in Europa lungi dall'essere migliorata, in alcuni contesti si era addirittura
deteriorata.
Nell'estratto del rapporto di sintesi si legge infatti che: “ negli ottanta, solo una
percentuale di bambini zingari che andava dal 30 al 40% frequentava con una
certa regolarità la scuola; più della metà non era mai stata scolarizzata ed una
percentuale molto bassa raggiungeva e superava l'insegnamento secondario [...].
Non si può dire che questi dati siano cambiati.
I rapporti provenienti da amministrazioni locali o regionali sottolineano oggi
(1996) l'elevato tasso di non-scolarizzazione, a volte con una media regionale
superiore al 50% ed una più localizzata che può oltrepassare il 90%”
1
.
All'interno di questo interesse per lo stato della scolarizzazione, che rispetto agli
standard dei non-zingari resta catastrofico nonostante le cospicue risorse
impegnate, la Comunità Europea commissiona uno studio nell'ambito del
progetto “The Education of the Gipsy Childhood in Europe”. Si tratta di un
insieme di ricerche di antropologia dell'educazione infantile condotte sia nelle
comunità zingare sia nelle scuole frequentate dai bambini, che hanno lo scopo di
comprendere il fallimento o parziale fallimento della scolarizzazione zingara a
partire dalla loro epistemologia sulla scuola, ovvero del modo in cui essi
considerano e immaginano la scuola. I problemi legati alla non riuscita scolastica
1
Liegeois, J.P., Bilancio e raccomandazioni: estratto dal rapporto di sintesi, Commissione
Europea, (a cura di), Centro Ricerche Zingare, 1987
4
di determinati gruppi sociali, nell'Antropologia dell' Educazione, vengono
affrontati in un ambito di ricerche identificato dall'espressione “la performance
scolastica delle minoranze”, la quale indica un insieme di ricerche che, negli
ultimi trent'anni, hanno tentato di approfondire la conoscenza su diverse
esperienze scolastiche di studenti appartenenti a differenti comunità etniche
oppure di studenti con differenti retroterra culturali rispetto alla norma vigente a
scuola. Nota e dibattuta a livello internazionale, la teoria ecologico culturale sul
rendimento scolastico delle minoranze, elaborata dall'antropologo di origine
nigeriana John U. Ogbu, rimane una delle più importanti indicazioni per la
ricerca antropologica- educativa.
La teoria di Ogbu mostra i soggetti di minoranza come agenti di cultura che
mettono in atto una serie di progetti e strategie sociali educative a seconda
dell'incidenza, nella loro vita quotidiana, della dimensione storica, socio-politica,
culturale e di senso e che influisce sul percorso di scolarizzazione. La dimensione
storica, le modalità di riconoscimento e inserimento dei vari gruppi nella cultura
dominante ha un peso fondamentale nel definire l'esperienza scolastica e ciò
dipende dal tipo di minoranza a cui si appartiene: autonoma, volontaria o
involontaria. La diversità dei vari tipi di minoranza è legata alla storia della
formazione del gruppo stesso piuttosto che a fattori etnici o razziali.
“Le minoranze autonome vengono classificate come tali principalmente per il
numero di membri che le costituiscono; nuclei numericamente ridotti, essi si
possono distinguere dal gruppo dominante[...]. Sebbene queste minoranze
subiscano anch'esse la discriminazione, non ne sono però totalmente dominate
così che il loro rendimento scolastico può non differire da quello del gruppo
dominante [...]. Delle minoranze volontarie fanno parte coloro che si sono
trasferiti, più o meno volontariamente, in una nuova società, perché sperano di
trovarvi opportunità migliori rispetto a quelle offerte dal loro paese di origine
[...]. Le minoranze involontarie sono costituite da soggetti che si trovano in una
determinata nazione perché sono stati colonizzati, resi schiavi o conquistati. Il
punto più importante riguardo a queste minoranze è che non sono stati loro a
5
scegliere di appartenere a questa società ma piuttosto che questa situazione si è
verificata mediante l'uso della forza e contro la loro volontà.
Queste minoranze interpretano la loro presenza come un'imposizione da parte
del gruppo dominante” (Ogbu, 1999)
I diversi stili di adattamento delle minoranze, cioè i diversi modi che hanno di
considerare la posizione che occupano in una società e di rispondere ai problemi
da essa posti, sono influenzati a loro volta da vari fattori. Innanzitutto il fattore
sistema, ovvero, il modo in cui il gruppo dominante tratta e ha trattato
storicamente la minoranza in questione, in secondo luogo bisogna considerare le
forze della comunità vale a dire l'insieme dei quadri di riferimento e dei modelli
culturali, così come l'insieme delle strategie educative interne alla comunità.
Ogbu ha individuato nella differenza dei quadri di riferimento culturale delle
minoranze uno dei fattori che influiscono sulla costruzione delle loro strategie nei
confronti della scuola. Nel caso delle minoranze volontarie, i quadri di
riferimento culturale sono quelle del paese di origine e quello del paese dove
hanno scelto di trasferirsi: il confronto dei due porta generalmente queste
minoranze a considerare positiva la situazione del paese di accoglienza, che
comprende la possibilità di offrire ai propri figli un'istruzione considerata
migliore rispetto a quella che avrebbero ricevuto nel paese di origine. Le
minoranze involontarie, invece, hanno come unico quadro di riferimento la
situazione del gruppo dominante all'interno della società in cui vivono,
interpretando la scuola come uno dei mezzi utilizzati dal gruppo dominante per
riprodurre quella stessa inferiorità.
Per quanto riguarda gli zingari, sia per il loro contingente numerico sempre
minoritario rispetto ad altri gruppi nei diversi paesi dove si trovano, sia per la
mancanza di accesso alle istanze del potere, la loro posizione nella società ci
porta a considerarli in quanto minoranza. La condizione di gruppo minoritario
riferito agli zingari è stata osservata da Barth nel suo saggio sui gruppi etnici e i
loro confini (Barth, 1969) che li colloca tra i gruppi che vivono una forma
estrema di minoranza ed indica proprio quella degli zingari come una cultura
6
diversa con una complessità culturale interna. Gli zingari, infatti, affermano una
loro identità basata soprattutto sulla distinzione fondamentale zingari-non zingari
e anche le loro scelte nei confronti della scuola dipendono soprattutto dalle
relazioni sociali che intrattengono con i non Rom, dalla posizione che ciascuno
occupa nei suoi rapporti con i gagè e dalla diversa storia di attrito e conflitti con i
non zingari. Bisogna, infatti, ricordare che le culture Rom sono il frutto dei
processi di incontro e di scontro che si sono storicamente determinati tra zingari e
non zingari. I confini stessi tra rom e gagè sono stati sempre altamente negoziati.
Gli zingari, in quanto momento dell'alterità costruita in Europa alla fine del
Medioevo,(Piasere, 2004) hanno occupato posizioni diverse all'interno delle
società in cui si sono trovati a vivere, la presenza dei Rom ha concentrato
elementi di diversità, di paura, di terrore che hanno motivato la separatezza e
l'esclusione fino alle vicende tragiche del porrajmos perpetrato dai nazisti, ma
non solo, sono stati anche ridotti in schiavitù come il caso dei principati rumeni e
inseriti nelle strutture socio-economiche locali attraverso il sistema tributario
della loro forza lavoro. Ci sono stati, infatti, dei paesi come la Romania e
l'Ungheria che hanno scelto la via dell'assimilazione dura, decidono che i rom
non sono minoranze etniche ma sono uno strato marginale della società per il
quale c'è bisogno di un'azione massiccia di inserimento in fabbrica, così come
nella scuola. Nonostante tutto, la loro persistenza in quanto tali nel corso di
cinque secoli all'interno delle popolazioni non rom, fa riflettere sui meccanismi di
mantenimento delle frontiere simboliche che è stato necessario stabilire per non
essere inghiottiti dalla cultura egemone. Il mantenimento della loro identità è
stato possibile non grazie ad un opposizione aperta ai gagè, con i quali bisogna
saper convivere, ma grazie alla capacità di selezionare quelli elementi parziali
della cultura egemone passibili di integrazione nel sistema Rom, evitandone le
strutture. In particolare i Rom, hanno sempre rifiutato le istituzioni politiche,
religiose, economiche e culturali utilizzandone solo alcune funzioni grazie alla
loro capacità di manipolare a scopi interni ciò che viene dall'esterno.
È evidente che ciò che ha reso possibile la permanenza degli zingari tra i gagè è
7
proprio il carattere relazionale della loro identità e quindi diventa fondamentale la
dimensione dello scambio e dell'interazione. Gli studi antropologici fanno, infatti,
spesso riferimento al carattere composito dei gruppi zingari, al fatto che sono
costituite soprattutto da prestiti culturali e un continuo utilizzo e riutilizzo di
elementi provenienti da altri universi culturali diventa un meccanismo che
caratterizza tale cultura. Ritornando ai processi di scolarizzazione, di fatto si entra
qui in un campo che è stato definito da Ogbu come ambito degli adattamenti
(soluzioni collettive a problemi collettivi da parte di una comunità), i modi cioè
in cui le minoranze gestiscono le opportunità strumentali, le barriere sociali, le
relazioni con il gruppo dominante e le differenze culturali e linguistiche.
Il carattere relazionale dell'identità degli zingari, il loro modo creativo di gestire i
prestiti culturali, come può essere la scuola, sono temi imprescindibili
nell'affrontare un discorso sulla scolarizzazione degli zingari in quanto pratica
imposta dall'esterno, dalla cultura dominante, ma mai subita in quanto tale.
Partendo da questo quadro generale, l'obiettivo della mia tesi, la quale è
strettamente collegata alla mia attività lavorativa all'interno del progetto
“scolarizzazione bambini e adolescenti rom” messo a bando dal dipartimento per
le politiche educative e scolastiche del comune di Roma e gestito
dall'associazione Casa dei diritti sociali in collaborazione con l'Opera Nomadi, è
proprio quello di capire qual'è la percezione che ha sviluppato della scuola la
comunità che ho conosciuto attraverso la mia esperienza lavorativa. Il quadro di
riferimento culturale del paese di partenza e del paese di arrivo unitamente al loro
specifico modello culturale sono elementi che possono aiutare a comporre
quella che sarebbe l'epistemologia della comunità sulla scolarizzazione. Secondo
Ogbu, tale conoscenza sarebbe uno dei fattori che determinano la partecipazione
e l'interpretazione degli eventi legati alla scuola da parte di una comunità.
Nel primo capitolo ho descritto il percorso che ha portato i bambini Rom a
frequentare le scuole pubbliche. Ho seguito quindi l'evoluzione della
scolarizzazione menzionando le principali tappe dell'intervento dello Stato fino
ad arrivare alla situazione attuale restringendo il campo al comune di Roma.
8
Ho messo in evidenza le ideologie che di volta in volta hanno supportato gli
interventi educativi a loro favore e che li vedevano come una cultura in un certo
senso primitiva, necessitante di un intervento di modernizzazione, o come una
cultura in crisi per la perdita degli elementi originali. Queste prospettive sono
state poi superate da studi che guardavano con più attenzione le specificità delle
elaborazioni culturali espresse dai vari gruppi. Patrick Williams ha parlato, infatti,
di un approccio che considera gli zingari come comunità chiuse in sé stesse,
dimenticando che esse devono rispondere continuamente alle condizioni che
propongono o impongono loro le società che incontrano e li si studia come se
vivessero in uno spazio chiuso e in un tempo immutabile non facendo altro che
mostrare “un affresco arcadico del periodo dell'accampamento” (Williams cit.
Piasere, 1995). Invece, la comprensione dei fenomeni che toccano la vita dei
gruppi zingari e i principi secondo i quali si organizzano, deve considerare tanto
gli ordinamenti interni quanto la relazione esterna.
Nel secondo capitolo, ho concentrato l'attenzione sulla situazione dei campi
nomadi a Roma, facendo riferimento alle varie normative che sono state emanate
a partire dagli anni '80 e che hanno creato una nuova situazione di convivenza
all'interno del territorio. Questioni legate al diritto alla scuola, al diritto dei
bambini di ricevere un'adeguata assistenza, vengono trattate dalle istituzioni
come un assoluto da mettere in primo piano. Dall'esame di alcuni documenti
dell'amministrazione capitolina si vedrà, dunque, come il nesso
sedentarizzazione- frequenza obbligatoria è fortemente manifestato, nella misura
in cui si guarda al campo nomadi come a un luogo definito in termini
istituzionali, con un preciso regolamento che prescrive le norme per sostare
nell'area e il comportamento da assumere all'interno di esse. Tra cui l'istruzione
obbligatoria. Può sostare nell'area solo chi manda regolarmente i propri figli a
scuola, pena l'allontanamento dalla stessa. Ho voluto descrivere anche le
condizioni di vita al campo, descrivendolo contemporaneamente come “uno
spazio sociale d'imposizione e accesso ai diritti”, proprio perché è all'interno di
questa situazione abitativa che i rom sono chiamati a negoziare la loro esistenza e
9
la scuola potrebbe essere considerata come uno strumento che serve a ridefinire i
confini tra sé e il diverso da sé per poter continuare a sopravvivere.
Nel terzo capitolo seguono delle riflessioni che cercano di comporre un possibile
quadro di riferimento, attorno ad una serie di tematiche che riguardano importanti
dimensioni dell'organizzazione sociale e della configurazione culturale che
caratterizzano i vari gruppi zingari, citati nella letteratura socio-antropologica.
Negli studi sulla scolarizzazione dei bambini rom si tende spesso a dare
importanza a questi temi in una prospettiva di riflessione e di lavoro educativo,
soprattutto quando si mette in primo piano la necessità di costruire un rapporto
all'interno della scuola tra zingari e non zingari e in vista di una comunicazione
con i bambini zingari e le loro famiglie. La Gomes, nel suo studio sulla
scolarizzazione dei Sinti emiliani, insiste sulla dimensione economica dal
momento che il fatto di andare a scuola è sempre più finalizzato alla ricerca di un
lavoro, insiste sulla comunicazione tra due diversi universi culturali, sui confini
etnici e sulla famiglia che indicano invece due aspetti importanti delle culture dei
diversi gruppi zingari. Si tratta, secondo la studiosa, di produrre conoscenza per
affrontare situazioni in cui “le cose dette sembrano quelle che capiamo ma sono
sempre un po' altre” (Gomes, 1998). Il processo di conoscenza di una diversa
realtà culturale come quella degli zingari, è necessaria per orientare l'interazione
con i bambini a scuola.
Un esempio curioso è quello dell'origine indiana, che spesso viene richiamata per
spiegare chi sono gli zingari e per far notare come questi non conoscano la loro
storia. Tra le comunità zingare, infatti, l'idea dell'origine indiana non viene quasi
mai riconosciuta, sono le èlite intellettuali zingare che attribuiscono valore
all'idea dell'origine indiana nel tentativo di costruire un'identità riconosciuta e
riconoscibile dall'esterno poiché, nella tradizione occidentale, il passato storico è
il criterio attraverso il quale si attribuisce l'identità di un gruppo etnico o di una
nazione. Ma molti gruppi rom manifestano la loro identità nelle concrete
relazioni sociali piuttosto che richiamandosi ad una tradizione ereditata. Succede
spesso, però, a proposito della formazione di insegnanti con allievi zingari, che si
10
tende a situarli in qualche regione del passato e ad immaginarli come un popolo
di migranti facendoli rientrare nelle categorizzazioni previste. Sembra che con
questa tesi si dia una spiegazione sufficiente, per cui il processo conoscitivo si
arresta. Considerando ciò, afferma Liègeois, l'informazione e la formazione degli
insegnanti deve evitare che essi si trovano bloccati dalla loro ignoranza “da cui
deriva un etnocentrismo mal dominato” o dalle loro conoscenze “da cui deriva
un etnologismo male assunto” (Liegeois, 1992). Proprio per questo ho ritenuto
utile riprendere il dibattito sull'origine indiana così come viene presentato da
Piasere nell'introduzione del volume “Comunità girovaghe, comunità zingare”,
che partendo da un discorso tutto intorno alla logica della conoscenza, ci conduce
al vero snodo teorico secondo cui le comunità zingare, seguono una politica della
circostanzialità che non ha bisogno di una storia passatocentrica, in quanto
manifestano un'identità collettiva di tipo relazionale piuttosto che sostanziale.
Nel quarto capitolo, introduco più specificatamente il tema della scolarizzazione
dei rom, a partire dal dibattito sulla performance scolastica delle minoranze fino a
giungere alla descrizione di alcuni studi svolti in ambiente zingaro, relativamente
al tema in questione. L'analisi del processo storico di scolarizzazione dei rom e
delle strategie familiari da loro adottate nei confronti dell'istituzione scolastica, è
utile per inquadrare i comportamenti e le credenze della comunità dei rom rumeni
sul mondo della scuola. L'analisi oscilla, quindi, dal globale al particolare e
viceversa, in modo che i fenomeni si illuminino a vicenda. Dopo aver evidenziato
gli aspetti metodologici e il percorso che mi ha portato a conoscere la comunità
in cui si è svolta la ricerca, vedremo allora come viene affrontato il tema della
scolarizzazione degli zingari “dal di dentro”, seguendo cioè, attraverso un taglio
etnografico, la storia dei rom rumeni residenti al campo, il processo migratorio
che li ha condotti all'interno di esso e le strategie familiari messe in atto nei
confronti dell'istituzione scolastica, tenendo presente la teoria ecologico-culturale
sul rendimento scolastico delle minoranze di John U.Ogbu. Per quanto riguarda
l'istituzione scolastica, riporto i dati che riguardano la frequenza della scuola
materna, elementare, media e superiore relativamente agli anni scolastici 2005-
11
2008. “La fotografia” presentata riguarda solamente la scolarizzazione degli
alunni domiciliati al campo di Via Luigi Candoni. E sono elementi che servono
per capire il clima generale nel quale avviene la frequenza a scuola, una
frequenza scolastica che al campo si è stabilizzata, anche se non tutti frequentano
regolarmente e alcuni ne percepiscono l'obbligo, come il caso di un ragazzo che
ho intervistato, al quale ho chiesto se fosse contento della sua esperienza
scolastica e lui molto indifferentemente mi ha risposto: “si, ma meglio che è
finita”, decidendo di interrompere il suo percorso di studi alla licenza media.
Sicuramente la frequenza sistematica dei bambini e dei ragazzi rom a scuola ha
creato una nuova situazione di convivenza. Nell'ultimo capitolo, infatti, vedremo
come viene gestita la presenza degli alunni rom a scuola attraverso il racconto di
un'insegnante e vedremo attraverso le narrazioni dei ragazzi quali sono state le
loro esperienze scolastiche evidenziando come, loro stessi, gestiscono questo
nuovo contatto in un'ambiente in cui i ruoli, le attività, sono rigidamente definite.
Come ha scritto Simona Sidoti, “la scuola come sistema riproduce discorsi e
simboli dominanti, incastonati in un quadro di norme impersonali ma in quanto
luogo si compone dei suoi “attori”, dei loro modi di appropriazione di tempi e di
spazi e di tutti gli altri accadimenti che si verificano al suo interno”
2
.
L'accento, infatti, viene posto sulle loro capacità, in quanto attori sociali
competenti, di reagire e interagire nelle situazioni in cui vengono a trovarsi
nell'ambiente scolastico. In questo senso l'istituzione scolastica diventa un luogo-
comunità in cui non si apprende un sapere astratto ma un sapere partecipato che
chiama in causa la variabilità del contesto in cui le performance s'inscrivono
(Sidoti, 2003).
2
Sidoti, S., “Scuole possibili, lungo la strada dei camminanti di Noto” in Gobbo, F., Gomes,
A.N., (a cura di), Etnografia nei contesti educativi, 2003, Roma, Cisu.
12
CAPITOLO 1
ZINGARI E SCUOLA
1.1 Scolarizzare gli zingari: informazioni preliminari
Per cercare di comprendere la scolarizzazione degli zingari in Italia, è importante
considerare il percorso storico della sua realizzazione. I bambini zingari arrivano
a frequentare la scuola in Italia in funzione di pressioni sociali esterne,
diversamente da ciò che è avvenuto con molte minoranze che rivendicano il loro
diritto di partecipare a scuola. Tracciare la storia della scolarizzazione degli
zingari significa anche parlare delle considerazioni ideologiche da cui ha preso
l'avvio.
L'adesione alla scuola da parte dei rom partecipa ad un processo storico di
democratizzazione della società italiana. Alla base di queste trasformazioni c'era
l'ideale repubblicano di universalismo costituzionale: tutti i cittadini hanno gli
stessi diritti/doveri di fronte allo Stato, il quale si occupa attraverso le sue
istituzioni di rimuovere gli ostacoli e di promuovere i mezzi necessari alla
realizzazione di ogni individuo in quanto cittadino di una Repubblica
Democratica. Nell'era moderna la scuola diventa un essenziale strumento di
amalgamazione culturale, di costruzione identitaria e di formazione del cittadino.
Per tale ragione, a partire dagli anni '50 – 60' del secolo scorso si sviluppa una
sostenuta azione di scolarizzazione nei confronti degli zingari.
Bisogna sottolineare, tuttavia, che si tratta di un allargamento che presupponeva
una certa idea di uguaglianza e una certa idea di integrazione, quella che passava
cioè attraverso la riduzione delle differenze, per cui il paradigma assimilazionista
era indiscusso.
Educare, quindi, significava offrire gli strumenti per recuperare a una mancanza,
a un gap culturale che la scuola doveva colmare. Sono gli anni della teorizzazione
di una deprivazione culturale dei bambini provenienti da classi sociali marginali,
13
sono gli anni della creazione di classi differenziali per bambini portatori di
handicap o per bambini provenienti da ambienti culturali considerati
particolarmente deprivati. È proprio nell'ambito delle classi differenziali per
svantaggio sociale e grave ritardo scolare che anche gli alunni zingari si sono
avvicinati alla scuola. L'esigenza era quella di recuperare alla cultura scolastica
gruppi sociali marginali.
Piasere dice, infatti, che ci sono due modi di guardare e descrivere i rom. Il
primo approccio si basa sui concetti di integrazione e anomia e considera i rom
come marginali che vanno recuperati socialmente e riconciliati con il resto della
popolazione facendo in modo che ad essa vengano assimilati. Si ha una visione
dei diversi gruppi rom come se fossero entità avulse dai processi storici e
territoriali in cui si sono trovati o si trovano a vivere. Il secondo approccio,
invece, considera le culture rom come il frutto dei processi di incontro e di
scontro che si sono storicamente determinati tra zingari e non zingari
3
. In questo
senso la storia della scolarizzazione dei Rom, soprattutto nel primo periodo, può
essere letta come un tentativo di assimilare “disgraziati vagabondi” tramite
l'educazione. L'educazione degli zingari, a partire dagli anni '60 del '900 è stata
soprattutto legata alle missioni cattoliche e ai tentativi di penetrare la loro cultura
da parte dei preti missionari, allo scopo di convertire gli zingari alla religione
cattolica (Piasere 1985). In Italia, nello specifico, i primi sforzi verso la
scolarizzazione dei bambini zingari sono proprio ad opera di volontari cattolici.
Caso emblematico in questo senso è l'Opera Nomadi, l'organizzazione pro zingari
più accreditata in Italia, che ha origine nel 1960 quando Don Bruno Nicolini,
allora presidente nazionale dell'associazione, ebbe l'incarico, dal vescovo di
Trento, di occuparsi della pastorale dei nomadi cioè della loro evangelizzazione.
Essa veniva effettuata spiegando il vangelo, facendo catechismo e proselitismo e
c'erano dei gruppi di volontari che li radunavano nei locali delle parrocchie e
cercavano di insegnare loro a leggere e scrivere; poi si cercò di inserirli nelle
scuole, dove però si incontrava molta resistenza. Si riuscì ad inserirli solo
3
Piasere,L, I rom d'Euroa. Una storia moderna, Bari, Laterza, 2004
14
attraverso l'intermediazione dell'opera nomadi che stipula una convenzione con il
Ministero della pubblica istruzione regolamentando il funzionamento delle classi
speciali “Lacio Drom”.
1.2 Le scuole speciali “Lacio Drom”
Le scuole speciali “Lacio Drom” nascono, nel 1965, con una convenzione tra il
ministero della Pubblica Istruzione, l' Università di Padova e l'Opera Nomadi.
Con questa prima convenzione si riconoscono 11 classi statali che dovevano
funzionare negli edifici scolastici comuni con docenti che dipendevano dalle
autorità scolastiche competenti per territorio. Nel contempo, l' Opera nomadi si
impegnava a condurre un'azione di “sensibilizzazione” nell'ambiente zingaro per
convincere i genitori a mandare i loro figli a scuola, doveva curare il trasporto dei
bambini zingari a scuola e, insieme all'istituto di pedagogia di Padova, doveva
svolgere corsi biennali di specializzazione dei maestri e studiare i problemi
connessi con la scolarizzazione degli zingari. Nel 1971 la convenzione viene
modificata: le scuole speciali, che nel frattempo erano diventate 60, dovevano
essere considerate una tappa di preparazione all'inserimento degli alunni zingari
nelle classi comuni ed erano previsti insegnanti di sostegno per bambini che
presentavano un eccessivo ritardo scolastico.
Paola Trevisan
4,
ha ripercorso la storia e le idee di fondo che hanno guidato la
sperimentazione delle scuole Lacio Drom, mostrando come alla base della
sperimentazione ci fosse la convinzione che le famiglie zingare fossero incapaci
di educare i propri figli. Questi ultimi erano caratterizzati da un vuoto, una
deprivazione che bisognava in qualche modo sanare. Per quanto riguarda
l'attribuzione di un vuoto educativo agli zingari, Piasere ha messo bene in
evidenza, estrapolando alcuni passaggi da autori del XIX e XX secolo che hanno
parlato del problema educativo nella società zingara, come l'immaginario dello
4
Trevisan, P., “Sinti in Emilia”, Rapporto di ricerca per il progetto “The education of the
Gypsy Childhood in Europe”, Firenze, 2000, Dipartimento di studi sociali, Università degli
studi di Firenze.
15
zingaro immorale che non educa i figli, sia stato nutrito con l'affinarsi degli
strumenti concettuali e di ricerca contemporanei tanto da ritrovarlo nelle
descrizioni degli autori che per primi negli anni '60 affrontano il problema della
scolarizzazione. Secondo questi autori gli zingari sono un “popolo di natura”, “un
popolo rozzo”, “un popolo bambino”: “La nazione zingara rappresenta difatti
l'infanzia, infanzia dell'anima, che nulla concepisce di durevole [...]Infanzia
oziosa, ribelle al lavoro e incurante”
5
. Di conseguenza non potrà mai rendere
maturi i propri figli evidenziando la necessità di salvare i bambini zingari.
L'obiettivo delle classi Lacio Drom non è, quindi, quello di alfabetizzare ma
bensì di riempire un vuoto dato dalla mancanza di educazione da parte della
famiglia. Quello che si propone ai bambini rom è piuttosto un intervento
rieducativo che li induca a comportamenti conformi all'idea di ordine e alle
regole della società dei non zingari attraverso l'apprendimento della disciplina
scolastica. Una maestra infatti dice: “la mia opera è stata all'inizio un' opera di
socializzazione. Ho cercato di fare amicizia con i miei alunni e di accattivarmi la
loro fiducia e quella dei loro genitori. Ho curato la loro pulizia e ho cercato di
migliorare il loro comportamento generale. Sono soddisfatta perché so che avere
abituato questi ragazzi a stare in classe, a comportarsi educatamente, a essere
puliti, è il massimo che si possa sperare”.
Circa l'approccio pedagogico l'idea prevalente si può così riassumere: “ E' chiaro
che i criteri metodologici applicati sono diversi da quelli usati in una scuola
normale, perché bisogna tener conto delle particolari caratteristiche ed esigenze
di fanciulli a lungo tagliati fuori dal vivere civile di ogni società progredita” e
ancora: “le particolari condizioni psico-fisiche dei miei alunni, sono al di sotto
del normale e accompagnate dalle note turbe dei disadattati”.
Come dice Piasere (1991), era per la civilizzazione dei selvaggi di casa nostra che
bisognava insistere con la scuola.
Infine, per quanto riguarda l'accoglienza loro riservata, sempre riportando le
parole dell'insegnante sopra citata: “Inizialmente furono create delle aule speciali
5
Piasere, L., “Conoscenza zingara e alfabetizzazione” in Popoli delle discariche, Roma, Cisu,
1991
16
che si trovavano in aule separate della scuola, spesso nel sottoscala. Se
mangiavano, lo facevano in orari diversi rispetto agli altri bambini, avevano
stoviglie diverse e non si mescolavano in nessuna maniera con il resto della
scuola. Lo svantaggio enorme delle classi speciali era che si riproduceva
l'isolamento.
6
Il modello messo in pratica è, quindi, quello dell'esclusione, della segregazione
nei confronti degli alunni non zingari. Per riassumere le motivazioni sottostanti
queste pratiche Stefania Pontrandolfo
7
, nella sua analisi sulla scolarizzazione dei
Rom di Melfi, ha utilizzato le tre diverse tipologie dell'incontro con l'altro che
adopera Todorov ( 1984) nello studio della conquista del Messico da parte degli
spagnoli, concludendo che il riconoscimento formale dell'etnicità degli zingari da
parte delle scuole Lacio Drom, accompagnato da un misconoscimento delle reali
identità di gruppo, ha creato una situazione di discriminazione sociale per cui la
segregazione nelle classi Lacio Drom è stata alla stesso tempo causa e
conseguenza di una segregazione a livello sociale più ampio.
8
1.3 Zingari in crisi? Il lavoro e la scuola
Nel 1982 viene stipulata un'altra convenzione, la quale stabiliva che “i bambini
zingari e nomadi in età dell'obbligo scolastico sarebbero stati inseriti nelle classi
comuni e che per gli alunni con particolari difficoltà di apprendimento sarebbe
stata disposta l'assegnazione di insegnanti di sostegno per almeno sei alunni
zingari e nomadi inseriti nelle diverse classi”. Tale convenzione, riferita alla sola
6
Le citazioni delle insegnanti sono tratte dal volume “ Con gli zingari per un cammino
diverso”, Don Lillo Altomonte, (a cura di), Reggio Calabria, edizioni opera nomadi-
santuario Modena,1977
7
Pontrandolfo, P., Un secolo di scuola, I rom di Melfi, Roma, Cisu, 2004
8
Secondo Todorov (1984), il rapporto con l'alterità si costruisce intorno ad almeno tre assi:
l'asse del giudizio di valore (piano assiologico), l'asse dell'azione di allontanamento o di
avvicinamento nei confronti dell'altro (piano prasseologico), l'asse della conoscenza dell'altro
(piano epistemologico). Ognuno di questi assi di relazione con l'altro produce una gradazione
infinita di giudizi e stati conoscitivi che, a loro volta, si intrecciano in maniera imprevedibile e
indefinita a seconda degli individui. L'analisi della conquista del Messico da parte degli
spagnoli, aveva offerto a Todorov l'opportunità di rilevare diversi intrecci dei tre assi di
relazione con l'alterità attraverso la descrizione della vita e dell'opera dei protagonisti
dell'epoca.
17
scuola elementare, viene annullata dalla circolare ministeriale n. 207/1986
rivolta non solo alla scuola elementare ma anche alla scolarizzazione degli alunni
zingari e nomadi nella scuola materna.
9
Dal 1986, l'assegnazione degli insegnanti di sostegno viene fatta in base alla
presentazione di progetti educativi rivolti ai bambini zingari.
I nuovi interventi educativi, anche se meno cruenti rispetto all'esperienza delle
classi Lacio Drom, rispecchiano comunque un nuovo tentativo di assimilazione
guidato da una nuova idea di fondo. Il presupposto che ha mosso e che tutt'ora
muove le azioni per favorire soprattutto la frequenza scolastica dei bambini rom,
è l'idea di una profonda crisi della cultura zingara dovuta alla persistenza degli
elementi della loro cultura più lontani dalla nostra, quali l'assenza di un lavoro
stabile a causa di una scarsa richiesta dei loro mestieri tradizionali in funzione
della modernizzazione del mercato e le precarie condizioni di vita in cui sono
costretti a vivere, visti come gli effetti dell'emarginazione. L'idea di fondo quindi,
è che gli zingari vivono in condizioni sfavorevoli perché costretti dalle
circostanze ed una volta forniti delle opportunità per migliorarsi ne
approfitteranno per inserirsi nella società civile , cioè la nostra. Il problema è
visto in termini socio-economici e mai culturali e questo emerge dalle parole di
Don Bruno Nicolini :”la causa che condiziona l'emarginazione o povertà sociale
consiste nell'alfabetismo. Da qui, la primarietà data all'educazione, nella
convinzione che attraverso la scuola, gli Zingari possano acquisire [ ....]
strumenti e dimensioni nuove per saper superare le situazioni di grave crisi in un
cambiamento innovatore verso i necessari adattamenti alla società attuale, pur
salvaguardando la propria identità culturale e i propri valori tradizionali”
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Nicolini, considerando il nomadismo come un tratto culturale essenziale,
determinato dai cosiddetti mestieri tradizionali che obbligavano gli zingari a
spostarsi, e considerando l'impossibilità nell'epoca attuale di spostarsi a causa di
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Iacomini, F., Longo, A., Ricci, A.M., I Rom e la scuola. Dalle classi differenziate alla
scolarizzazione di massa, L'Aquila, Petrilli editore, 1996
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Dick Zatta, J,. “Cultura orale e cultura scritta: il bilinguismo dei bambini zingari”, in, Zatta,
P., (a cura di), Scuola di stato e nomadi. Ricerche e sperimentazioni ovvero quando
l'insegnante diventa disadattato, Padova, Francisci editore, 1986, pp. 13-29
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