CAPITOLO 1
Tipologie di rischio e strumenti di copertura
1.1 Premessa
Chi si trova ad operare nei mercati finanziari intraprende un viaggio accompagnato da un unico
ed inseparabile compagno: il Rischio.
Nei tempi recenti questo compagno si Ł fatto particolarmente invadente e molesto come
dimostrano sia gli effetti dell estrema volatilit dei prezzi dei titoli negoziati, che l improvvisa
insolvenza la quale talvolta non risparmia neanche mastodontiche istituzioni finanziarie.
Il concetto di rischio Ł inoltre legato alla figura dell intermediario finanziario che negli ultimi
anni ha visto crescere la propria capacit di influ enzare il mercato; oggi infatti l intermediario
pu creare prodotti derivati e offrire un mix di st rumenti finanziari volti alla gestione del
rischio. In ambito economico-finanziario parlare di rischio significa prendere in seria
considerazione che il risultato di una qualsiasi operazione compiuta da un soggetto economico
sia diverso da quello previsto ex-ante.
Tradizionalmente possiamo parlare di due grandi tipologie di rischio:
• Rischio di controparte
• Rischio di mercato
Il rischio quindi Ł una variabile fondamentale da tenere sotto controllo perchØ Ł all origine di
eventuali profitti o perdite. Per far fronte al rischio connesso agli investimenti finanziari
esistono tuttavia degli strumenti per la copertura del rischio: gli strumenti Derivati. Grazie a
questi strumenti l investitore pu ridurre, ma non completamente eliminare, la propria
esposizione al rischio. Tratteremo, nelle pagine seguenti, i principali strumenti Derivati:
Forward, Futures, Swap e Options.
Guadagno o perdita: quale t affligge di piø?
PerchŁ,
piø si risparmia, piø si spende;
piø si accumula, piø si perde.
Chi sa contentarsi non si disonora,
chi sa fermarsi non Ł in pericolo
e pu durare a lungo.
(Lao-tzu, Tao-teh-ching)
1.2 Tipologie di Rischio
Quando si parla di Rischio di Controparte si fa riferimento a quella tipologia di rischio legata
all inadempienza contrattuale della controparte, definibile anche come il rischio che la
controparte dell operazione non adempia nei modi e nei tempi previsti dal contratto. Il rischio di
controparte pu essere a sua volta suddiviso in:
• Rischio di Credito: (o rischio d insolvenza) Ł configurabile come il rischio che
nell ambito di un operazione creditizia il debitore non assolva anche solo in parte ai
suoi obblighi di rimborso del capitale e di pagamento di interessi; sotto il profilo
formale introdurre il rischio di credito significa assumere che i valori nominali delle
poste dell attivo e del passivo siano anch essi gra ndezze aleatorie.
• Rischio di Liquidit : nell’ambito di un’operazione creditizia Ł il rischio che il
debitore non adempia ai suoi obblighi monetari nei tempi previsti; nell’ambito di una
transazione di strumenti finanziari invece pu rife rirsi alle difficolt di liquidare sul
mercato le posizioni detenute nei tempi desiderati. Gli intermediari sono esposti a
questo tipo di rischio in quanto, nell attivit di intermediazione ci si pu trovare di
fronte all incapacit di far fronte tempestivamente ed economicamente alle uscite di
cassa; per quanto riguarda invece la transazione di strumenti finanziari si dice che un
mercato Ł liquido quando consente di smobilizzare una posizione a basso costo.
• Rischio Paese: Ł il rischio, legato alle operazioni internazionali, che il debitore
estero non adempia per cause dipendenti dalle variabili macroeconomiche del Paese
in cui opera.
• Rischio di Regolamento: rischio che nell ambito di una transazione finanziaria la
controparte non adempia (es. in una compravendita di azioni una delle parti non
consegna i titoli.).
Il Rischio di Mercato indica l insieme degli effetti delle fluttuazioni dei prezzi nei mercati
sulle prospettive future (guadagni o perdite) nell attivit di intermediazione. Nell ambito del
rischio di mercato possiamo individuare alcune sottotipologie particolarmente significative:
• Rischio su Azioni: Ł il rischio associato alla gamma dei prodotti riferiti a titoli
azionari e indici di mercato; si manifesta quando, il valore di mercato degli strumenti
in portafoglio Ł sensibile all andamento dei mercati azionari.
• Rischio di Tasso: Ł rappresentato dall incertezza legata all andamento dei tassi di
interesse; si manifesta quando, il valore di mercato dell investimento Ł sensibile a
variazioni dei tassi di interesse. Pensiamo ad un investitore che detiene in portafoglio
un obbligazione. Il prezzo dello strumento alla scadenza Ł pari al 100% del valore
nominale. Prima di allora, un aumento dei tassi di interesse comporta una riduzione
del prezzo dell obbligazione. Tale rischio Ł tanto maggiore quanto piø lontana Ł la
scadenza del titolo.
• Rischio di cambio: Ł rappresentato dal rischio associato a una posizione in divisa
estera per effetto di movimenti sfavorevoli nei cambi; rischio che variazioni dei tassi
di cambio portino ad una perdita del potere d’acquisto della moneta detenuta e una
perdita di valore dei crediti. E il caso di acquisto di azioni di una societ stra niera
esterna all area dell Euro, come ad esempio azioni di una societ inglese,
statunitense o giapponese sulle borse di Londra, New York e Tokio. In questi casi,
infatti, una volta rivendute le azioni, il guadagno sar effettuato nella valuta
straniera, la quale per dovr essere convertita in Euro. Ed il rischio di cambio in
questi casi Ł dovuto al rapporto di cambio tra Euro e la valuta straniera (Sterlina,
Dollaro, Yen, ecc.) esistente al momento della conversione.
Possiamo infine individuare una terza tipologia di rischio, non rientrante nelle tipologie di
Rischio di Insolvenza e di Rischio di Mercato: Il Rischio Operativo.
E con il Comitato di Basilea che si Ł pervenuti a una definizione di Rischio Operativo; nei
lavori iniziali del comitato di Basilea, la definizione dei rischi operativi era, per cos dire, in
negativo : si considerava rischio operativo tutto c i che non rientrava nelle categorie
meglio note e classificate di rischio di credito e di mercato.
Nel documento di discussione di gennaio 2001 e, soprattutto, con il working paper di settembre
2001, il Comitato di Basilea Ł riuscito a elaborare una nozione in positivo , definendo il
rischio operativo come il rischio di perdite conse guenti a inadeguati processi interni, errori
umani, carenze nei sistemi operativi o a causa di eventi esterni 1.
1
L espressione in lingua inglese recita: the risk of loss resulting from inadequate or fail ed internal processes, people and systems
or from external events , in Comitato di Basilea, Working Paper on the Regulatory Treatment of Operational Risk , Base l
Committee on Banking Supervision, settembre 2001, pag. 2.
1.3 Indicatori di Rischio
Il concetto di rischio Ł, dunque, molto importante poichØ Ł all’origine dei profitti o di eventuali
perdite. Per far fronte al rischio connesso agli investimenti finanziari esistono per degli
indicatori che permettono di valutare la rischiosit del titolo o del proprio portafoglio. Il rischio
corso dall’investitore pu essere regolato da una diversificazione oculata del portafoglio in base
alla sua propensione al rischio.
Tale diversificazione pu essere valutata in base a ll’ Indice di Correlazione che misura la
propensione dei rendimenti dei titoli che compongono un portafoglio a comportarsi in maniera
simile. L indice di correlazione Ł esprimibile come:
yx
xy
xy σσ
σ
ρ =
Se i rendimenti di due titoli si muovono perfettamente insieme, hanno una correlazione pari ad
1; una correlazione pari a -1 implica dei rendimenti perfettamente opposti. Se due titoli sono
poco correlati Ł probabile che ai rendimenti elevati del primo corrispondano rendimenti bassi
del secondo. Generalmente si osservano correlazioni elevate per titoli appartenenti alla stessa
asset class, allo stesso Paese o allo stesso settore industriale. Un portafoglio i cui titoli sono
poco correlati Ł ben diversificato ed espone l’investitore a minori rischi, a parit di opportunit
di rendimento.
Un parametro classico della rischiosit di un titol o Ł la Volatilit : essa misura quanto i
rendimenti di un titolo si discostano dal rendimento medio. Generalmente la volatilit Ł
misurata con la Varianza e pu essere espressa come :
2
1
2
)(
1
µσ −= ∑
=
n
i
i
x
n
Maggiore Ł la volatilit , maggiori saranno le opportunit di ottenere rendimenti elevati, ma
maggiori saranno anche le potenziali perdite. Il calcolo si effettua sulla base del coefficiente
Beta, utilizzato per stimare il rendimento di un titolo rispetto all andamento del mercato nel
modello CAPM. L indice Beta Ł definito come:
)var(
),cov(
,
m
mi
mi R
RR
=β
Quindi se questo risulta maggiore di 1, l’attivit i-esima tende ad avere un rendimento piø alto
di quello del mercato (ed Ł piø rischiosa del mercato), mentre se Ł minore di 1 l’attivit i-esima
tende ad avere un rendimento piø basso di quello del mercato (ed Ł meno rischiosa).
Un’altra misura considerata Ł la Duration o durata media finanziaria, che rappresenta il tipico
indicatore di rischio utilizzato negli investimenti obbligazionari. Essa indica la vita media di
un’obbligazione e la variabilit di prezzo del titolo, in relazione al piano di ammortamento
prescelto. La duration si ricava dalla stima di piø elementi, come per esempio il valore della
cedola, la vita residua del prestito e il tasso medio corrente sul mercato dei capitali. Essa varia
in modo che, a parit di durata di un titolo, il ca pitale investito possa essere recuperato tanto piø
rapidamente quanto piø elevate sono sia la cedola sia il rendimento.
∑
= +
=
T
t
t
t
r
C
t
oP
D
τ )1()(
1
Infine, il Rating, introdotto con gli accordi di Basilea 2, costituisce una valutazione del rischio
di credito di una societ emittente di obbligazioni , ovvero una valutazione sulla capacit
dell’emittente di assolvere agli impegni di pagamento.
Tale valutazione viene fornita da apposite societ di analisi finanziaria (le principali sono Standard
& Poor’s e Moody’s, i cui rating possono variare da un massimo di AAA - corrispondente alla
massima affidabilit - ad uno minimo di D - emitten ti in condizione fallimentare).
Figura 1: Definizione di ratings di Standard and Poor
Figura 2: Scale di ratings di Standard and Poor
Figura 3: Scale di ratings di Moody’s
CAPITOLO 2
Modelli ARCH e GARCH
1.1 Premessa
Nel precedente capitolo abbiamo classificato tutte le tipologie di rischio e analizzato in modo
piø o meno approfondito gli strumenti Derivati per capire come ogni singolo investitore pu
investire su di essi per coprirsi da tali rischi. Si Ł ritenuto opportuno soffermarsi maggiormente
sulle Opzioni poichØ sono oggetto degli approfondimenti che seguiranno.
Nel seguente capitolo entreremo nel cuore del discorso, introducendo in un primo momento i
modelli AR e MA, ovvero i modelli autoregressivi e i modelli a media mobile, che stanno alla
base dei successivi modelli, per poi passare al modello ARMA e infine presentare i modelli
ARCH e GARCH.
Tratteremo nel capitolo successivo l applicazione di questi modelli in ambito finanziario e piø
precisamente l Option Pricing.
1.2 Modelli AR, MA e ARMA
Prima di definire i modelli AR, MA e ARMA Ł necessario fare alcune premesse sulle serie
storiche che questi modelli andranno a spiegare.
Si definisce una serie storica una successione ordinata di numeri reali che misura un certo
fenomeno seguendo un preciso ordine temporale. Lo studio di tale successione trova la propria
ragion d’essere nel fatto che la conoscenza di quanto Ł avvenuto determina ci che avverr
secondo un principio generale di inerzia e di stabilit . Nel caso in cui la serie storica oggetto di
studio non Ł di tipo deterministico, ma si basa su una certa distribuzione di probabilit , sar
chiamata processo stocastico.
Si definisce processo stocastico una famiglia di variabili casuali caratterizzate da un parametro
"t" (nel caso delle serie storiche tale parametro consiste nell’unit di tempo considerata). Tali
variabili casuali sono definite tutte nel medesimo spazio fondamentale "S".
In altre parole si pu affermare che una data serie temporale Ł una particolare realizzazione di
un processo stocastico. E necessario tuttavia conoscere le caratteristiche delle serie storiche al
fine di poter scegliere il modello econometrico che meglio ne pu descrivere e prevedere il
comportamento futuro.
1.2.1 Caratteristiche delle serie storiche-finanziarie
Come abbiamo gi accennato, conoscere le caratteris tiche delle serie storiche ci permetter di
scegliere meglio il modello econometrico che ne descriver il movimento futuro.
Risulta quindi fondamentale studiare i momenti della serie, i cosiddetti momenti teorici,
attraverso i quali si possono accettare determinate ipotesi, come ad esempio la stazionariet , che
ne facilitano enormemente lo studio di una serie. Lo studio dei momenti, ed in particolare di
alcuni momenti della serie, deriva dal fatto che tutti i modelli stocastici sono in grado di
generare una serie temporale di lunghezza infinita, di conseguenza Ł necessario riassumere le
informazioni a disposizione attraverso poche grandezze caratteristiche. Tale compito pu essere
svolto in due modi: o attraverso la specificazione della distribuzione di probabilit congiunta
della serie nel corso del tempo, o attraverso il calcolo dei momenti del processo teorico. La
prima opzione risulta piuttosto complicata, di conseguenza si analizzano i momenti teorici, in
particolare i momenti di primo e secondo ordine.
Valore atteso
Una volta assunto il modello da "associare" alla sequenza di valori osservati, si assume che i
valori generati da tale modello appartengano ad un processo stocastico che chiameremo Zt. Il
valore medio atteso del processo stocastico suddetto sar espresso dalla relazione:
)()(
t
ZEt =µ
dove E sta per Expected value. Tale terminologia sta a sottolineare che il valore espresso Ł il
valore che si attende dovrebbe realizzarsi nel lungo periodo. In realt la relazione suddetta Ł un
vero e proprio "artificio teorico" poichØ, essendo la serie di lunghezza infinita, probabilmente
non si arriver mai al valore suddetto. Il valore m edio costituisce il momento di primo ordine
del processo stocastico. Da notare che, cos come evidenziato dalla formula, il valore atteso Ł
espresso in funzione del parametro temporale.
Varianza
In formule si ha:
[ ] )var()()(
22
tt
ZtZEt =−= µσ
Anche in questo caso la relazione evidenzia la dipendenza della varianza dal tempo. La varianza
Ł un momento di secondo ordine che esprime una misura della dispersione media della variabile
Z rispetto al suo valore atteso nel corso del tempo. La radice quadrata della varianza si definisce
come scarto quadratico medio.
Autocovarianza
L autocovarianza Ł la covarianza tra valori della serie Z in istanti temporali diversi.
Normalmente la covarianza misura la tendenza di due grandezze a variare nello stesso senso, in
questo caso si utilizza un unica variabile misurata in due istanti temporali diversi. In formule si
ottiene:
[ ] ),cov())())(((),( kttktt ZZtZtZEktt ++ =−−=+ µµγ
Da notare che l autocovarianza Ł funzione di due istanti temporali, t e (t+k). In quest ottica la
varianza risulta essere un caso particolare dell autocovarianza, ponendo k=0.
1.2.2 Stazionariet e Invertibilit dei processi stocastici
Tutte le relazioni analizzate finora risultano funzioni del tempo comportando notevoli problemi
di analisi. Se ad esempio si afferma che il valore medio atteso )()( tZE
t
µ= , implicitamente si
assume che al variare del tempo il valore atteso di Z sar quasi sempre diverso rispetto al
periodo precedente. Tale relazione perennemente mu tabile potrebbe continuare all infinito
visto che la relazione Ł in funzione del tempo. Tale inconveniente viene in qualche modo
aggirato introducendo l ipotesi di Stazionariet di opportune trasformazioni del processo
stocastico analizzato.
Da un punto di vista formale si considerano due definizioni di Stazionariet : in senso debole ed
in senso forte.
Un processo stocastico
t
X si dice stazionario in senso debole di ordine2 due se sono rispettate le
seguenti condizioni:
µ=)(
t
XE
+∞<=−= 22 ])[()( σµ
tt
XEXV
)()])([(),( kXXEXXCov kttktt γµµ =−−= −−
Con µ, 2σ e )(kγ indipendenti dal tempo; 2σ con un valore finito; )(kγ dipendente solo da K.
La stazionariet in senso forte Ł invece una condizione molto piø restrittiva, difficilmente
riscontrabile e, di conseguenza, poco utile da un punto di vista operativo: essa poggia
sull’assunto che
t
X abbia associata una forma di distribuzione che non varia nel tempo.
2
Si Ł specificata la stazionariet in senso debole di ordine due poichØ Ł la piø usata, in generale l ordine coincide con il
numero di momenti che si richiede debbano essere indipendenti dal tempo.
Un semplice esempio di processo stocastico stazionario Ł il White Noise (WN), o Rumore
Bianco, nel quale le variabili casuali hanno una distribuzione indipendente ed egualmente
distribuita:
0)( =
t
E ε
;)()(
22 +∞<== σεε
tt
EV
)(0)(),( kECov kttktt γεεεε === −−
Figura 4: Visualizzazione di una sequenza di dati generati da un processo stocastico stazionario.
Una seconda propriet molto importante ma non sempr e riscontrabile nei processi stocastici Ł
l Invertibilit . Nello studio dei modelli econometrici molto spesso si trova, tra le ipotesi di base
dei modelli, oltre alla stazionariet , anche l inve rtibilit . Tale ipotesi viene richiesta per evitare
la molteplicit dei modelli applicabili al fenomeno oggetto di studio: pu accadere infatti che ad
uguali strutture statistiche possano corrispondere due o piø modelli diversi. Per quanto riguarda
i modelli comunemente utilizzati nel campo finanziario, tale problema si incontra per i processi
a media mobile mentre per quanto riguarda quelli autoregressivi tale condizione Ł sempre
verificata.
Vedremo come tale propriet sia facilmente riscontr abile allorquando si lavora con i modelli di
Box & Jenkins.