condiviso tra l’altro da alcuni dei maggiori studiosi della materia ]
che le Br siano state un fenomeno italiano: cioè frutto della nostra
storia, della nostra cultura, di contraddizioni e tensioni sociali
endogene al tessuto socio-politico del nostro paese; e la vasta aria
di simpatie, di appoggi sui quali il gruppo poteva contare sono lì a
testimoniare la bontà della mia convinzione.
Leggendo il lavoro ci si accorgerà comunque come alcune volte
le "intrusioni" esterne alle Br sembrano così palesi da far diventare il
racconto perfino paradossale; mi si perdoni dunque se in alcuni
punti, nonostante la tragicità degli argomenti trattati, mi è capitato di
usare una forma forse perfino sarcastica. Domando venia.
Introduzione
<< ...sull’ordine delle decine erano i militanti clandestini [cioè i
c.d. Regolari], dieci volte tanti i militanti non clandestini [i c.d.
Irregolari], moltiplicate ancora per dieci ed otterrete il numero dei
fiancheggiatori >>. Così Mario Moretti, uno dei capi storici, descrive
l’organico delle Brigate Rosse, la più forte formazione terroristica
che abbia mai calcato le scene della nostra storia repubblicana, un
gruppo che con le sue azioni spesso sanguinarie e clamorose ha
caratterizzato la cronaca nera e giudiziaria dello stivale per almeno
15 anni. La c.d. Area della contiguità alle Br era però assai ampia, e
come ha affermato di recente Germano Maccari:"si resterebbe
stupiti se si conoscessero i nomi di coloro che, in quegli anni, si
sentivano onorati di avere in casa terroristi e che possono anche
rivestire ruoli di rilievo nella società italiana". Facendo uso delle loro
stesse parole potremmo comunque dire: << Chi sono dunque le
BR? Sono gruppi di proletari che hanno capito che per non farsi
fregare bisogna agire con intelligenza, prudenza e segretezza, cioè
in modo organizzato. Hanno capito che non serve a niente
minacciare a parole di tanto in tanto esplodere durante uno
sciopero. Ma hanno capito anche che i padroni sono vulnerabili
nelle loro persone, nelle loro case, nella loro organizzazione, che
gruppi clandestini di proletari organizzati e collegati con la
fabbrica, il rione, la scuola e le lotte possono rendere la vita
impossibile a questi signori >>1.
Affrontare un argomento come la storia delle Br significa andare
a toccare un tratto assai particolare della storia d’Italia; la
particolarità sta nel fatto che tuttora, a più di dieci anni di distanza
dalle ultime azioni delle così dette “cellule impazzite”2, parlare del
terrorismo di sinistra - e non - nel nostro paese provoca un mare di
discussioni, polemiche, imbarazzi, forse perfino paure, segno
evidente che si va a toccare una ferita non ancora rimarginata. C’è
imbarazzo a sinistra, nelle file del PCI-PDS adesso DS, quel tipo
d'imbarazzo che può avere un genitore che ha visto proprio figlio
prendere una strada sbagliata; si perché molti di quei giovani che
nel tempo entrarono a far parte delle Br avevano avuto dei trascorsi
nella federazione giovanile del PCI, n'erano stati militanti prima e
contestatori "da sinistra" poi, e sarebbe toccato ai vertici del PCI
stesso - come disse anche Aldo Moro in uno dei suoi ultimi
interventi in Parlamento - far rientrare la loro protesta all’interno dei
canali rappresentativi istituzionali (i Partiti ufficiali). L’imbarazzo
viene poi dal fatto che le Br parlavano del Partito Comunista Italiano
come di una vecchia e sclerotizzata struttura burocratica che aveva
dimenticato il fine stesso della propria esistenza, la lotta per il
Comunismo, un ideale per il quale tanti partigiani avevano
combattuto, arrivando in qualche caso al sacrificio estremo [secondo
lo studioso R. Del Carria 358.000 furono i combattenti della Resistenza e circa
72.500 i caduti ], ed aveva accettato di entrare a far parte dell’odiato
"sistema". Disagio, ma forse sarebbe più corretto dire
preoccupazione, provò certamente anche l’allora segretario del PCI
Enrico Berlinguer durante i 55 giorni del sequestro di Aldo Moro: un
gruppo terroristico che si definiva “comunista” stava cercando di
mandare all’aria il progetto al quale aveva dedicato degli anni (il c.d.
“Compromesso storico), e la linea di totale intransigenza verso una
trattativa con i terroristi (la c.d. “linea della fermezza”) era
obbligatoria e dovuta anche al fatto che un eventuale
riconoscimento politico delle Brigate Rosse avrebbe probabilmente
comportato un avvicinamento da parte di una certa fetta del suo
partito non completamente immuni ai richiami rivoluzionari del
gruppo fondato da Curcio e Franceschini.
Sempre d'imbarazzo si deve parlare per ciò che riguarda il
Ministero degli Interni, dicastero che ha impiegato più di dieci anni
per fermare l’azione di decine e decine di gruppi armati che hanno
terrorizzato un intero paese, e che è accusato da più parti
d'eccessivo lassismo nei confronti dei fermenti rivoluzionari. In molti
pensano, infatti, che il così detto "Partito Armato" non abbia
costituito una vera minaccia per lo stato, che esso ha potuto operare
a lungo compiendo imprese così clamorose, solo grazie alla
tolleranza (e in qualche frangente connivenza) di alcuni settori dei
servizi di sicurezza, di quegli stessi servizi che avrebbero dovuto
combatterlo 4.
L’obbiettivo politico di tale tolleranza era quello di creare
difficoltà a quella Sinistra che era ormai alle soglie del governo, di
creare un clima di "destabilizzazione stabilizzante" per il sistema
democratico, un metodo basato in altre parole sulla creazione di una
tensione emotiva nella popolazione tale da spingere gli elettori a
preferire il "certo" (la DC) all’incerto (il PCI), o, in ogni caso, a
favorire dei flussi elettorali verso Destra.
Per parlare del fenomeno brigatista è infatti quasi obbligatorio
analizzare anche il periodo storico che lo ha preceduto, che lo ha -
in un certo senso - covato, almeno per quanto riguarda la sua fase
storica iniziale, mi riferisco a quel 1968, che con i suoi ideali
rivoluzionari, il suo spirito, le sue manifestazioni, e perché no, le sue
violenze, ha finito con l’essere considerato un vero e proprio
spartiacque della società contemporanea.
E’ poi certo, ad esempio, che l’estremismo-terrorismo italiano
che si è sviluppato negli anni ’70 ha avuto una sua radice anche nel
mondo cattolico, è un fenomeno che gli stessi cattolici hanno
riconosciuto e denunciato. Di formazione ed origini cattoliche sono
stati alcuni dei maggiori leader della contestazione studentesca
prima e del terrorismo poi 5. Le cause furono molte e diverse tra
loro: alcune dipesero dall’arretratezza del dibattito culturale
religioso, altre dal tipo di formazione e dal modo di pensare dei
cattolici, altre ancora dal ribellismo morale, conforme allo spirito
cristiano, che in certi casi, ed in conformità alla sua origine deduttiva
- alla stregua dell’ideologia comunista - può mutarsi anche in
violenza fisica.
Mi è parso assai interessante anche seguire l’evoluzione delle
Br, che nate come una sorta di Robin Hood della classe operaia, e
dunque reale espressione di una seppur esile base sociale, hanno
finito con il distaccarsi totalmente dalla realtà, per esempio, della
fabbrica, giungendo ad un isolamento causato, in buona parte,
anche dal ricorso sistematico all’omicidio perfino contro giudici
democratici, operai, sindacalisti di provata fede comunista. E’ così,
infatti, che si è passati dai comizi volanti tenuti in quartieri popolari
come il Lorenteggio a Milano, << ...quando decine di bandiere
addobbarono tetti e finestre >> 5, a oscure fasi di isolamento dovute
in parte alla rigida compartimentazione voluta da Moretti e in parte
alla spietata caccia all’uomo, seguita all’assassinio di Aldo Moro, da
parte dei reparti comandati dal generale dei Carabinieri Carlo
Alberto Dalla Chiesa. Ma - come ha detto giustamente Donatella
Della Porta - questi sono i rischi e le conseguenze della vita in
clandestinità.
1960-1976: il “centrosinistra”
All'inizio degli anni sessanta era cominciata una fase di
distensione tra Stati Uniti e Unione Sovietica, grandi speranze ideali
aleggiavano per tutto il mondo per via dall'attenuazione del clima di
contrapposizione frontale tra i due blocchi che si erano spartiti il
mondo.
Nel 1961 Krusciov e Kennedy si incontrarono negli Stati Uniti:
frutto del meeting furono i primi accordi relativi alla sospensione
degli esperimenti atomici, nella prospettiva di una pacifica
coesistenza che riconoscesse la diversità dei rispettivi sistemi
politico-economici. In quegli anni mutò anche l'atteggiamento della
Chiesa cattolica, sotto il pontificato di Giovanni XXIII, assecondando
il processo di distensione e di apertura tra i due blocchi, questa
abbandonò le sue posizioni più smaccatamente filo-occidentali, pur
non rinunciando ad impersonare un ruolo squisitamente politico.
Ancora una volta questa mutata situazione internazionale
indusse alcuni effetti anche nei confronti della politica interna
italiana, favorendo quantomeno un atteggiamento più aperto verso
l'innovazione e le riforme. La Democrazia Cristiana fu così indotta
ad iniziare un processo di riforme, sentito da molti ormai come
indilazionabile, da realizzarsi anche attraverso un'operazione di
apertura a sinistra, e più precisamente nei confronti del Partito
Socialista Italiano.
Il partito di Nenni dapprima appoggiò il Governo dall'esterno,
infine vi entrò a far parte in modo organico, accanto al Partito
Socialdemocratico e al Partito Repubblicano, rimanendoci quasi
ininterrottamente fino al 1976, e dando luogo al cosiddetto
centrosinistra.
Questa operazione politica significò da parte socialista anche la
possibilità di abbandonare una condizione di velata ma effettiva
sudditanza nei confronti del Partito Comunista e un'opposizione che
non pareva dare nessun risultato concreto; sull’altro fronte, quello
democristiano, quest’operazione politica rappresentò invece la
possibilità concreta di dividere la sinistra ed isolare all'opposizione il
PCI.
Si consolidava così quell'atteggiamento della DC, e delle forze
che le gravitarono attorno per alcuni decenni, volto ad evitare a tutti i
costi che il PCI, numericamente il secondo partito del Paese,
potesse conquistare o anche solo compartecipare formalmente al
Governo, cosa questa che veniva ritenuta indispensabile negli
ambienti americani. La politica italiana si è dunque caratterizzata,
rispetto a tutti gli altri Paesi europei, per una conventio ad
excludendum che di fatto ha impedito per oltre quarant'anni una
netta e reale alternanza alla guida del Governo. Per molto tempo i
partiti dell'area governativa teorizzarono che, anche in caso di
vittoria elettorale dei comunisti, proprio in virtù delle alleanze che
legavano l'Italia, essi non avrebbero mai potuto accettare un loro
ingresso al Governo. È un fatto che, prima di ogni competizione
elettorale, ci fosse l'ansia e il dubbio su quello che sarebbe potuto
accadere se il PCI avesse ottenuto la maggioranza dei voti,
sebbene a partire dagli anni sessanta andò aumentando, anche se
formalmente, l’autonomia ed il distacco dal blocco Sovietico di
questo partito
1
.
Dal 1947 la DC rappresentò dunque l'asse portante di tutti i
Governi e di tutte le maggioranze parlamentari e il PCI venne
sempre collocato all'opposizione. Almeno due furono gli effetti
deteriori di questa situazione: da un lato, nella certezza che nessuno
avrebbe potuto sostituirle, le forze di Governo non di rado
utilizzarono il potere a proprio esclusivo vantaggio, favorendo
fenomeni di corruzione e lottizzazione politica. Dall'altro si alimentò
una forma di compensazione di questa esclusione del PCI dal
Governo basata sul coinvolgimento di questo partito nei processi
decisionali in cambio di alcune concessioni, il tutto anche in modo
poco trasparente per l'opinione pubblica. Si definì in tal modo un
sistema di potere poi denominato di "democrazia consociativa". Non
era un caso che la stragrande maggioranza delle leggi in
Parlamento venisse approvata anche con i voti dell’opposizione.
Un qualsiasi analista o studioso di Scienza della Politica, può
cogliere al volo il pericolo di una simile operazione: il tenere in
Parlamento un comportamento che nei fatti era inaccettabile per
ampi strati di quell’elettorato che potremmo definire “comunista
massimalista”, poteva finire con l’emarginare un determinato
numero di elettori, persone che - tanto per fare un esempio caro ad
Alberto Franceschini - avevano nascosto il mitra usato durante la
guerriglia partigiana ma non avevano abbandonato l’idea di portare
a termine la rivoluzione per costruire uno stato comunista. Ed infatti
così avvenne; una fascia sempre più ampia di popolazione, non
1
Com'è stato poi appurato, al PCI sono giunti finanziamenti da parte dell’Unione Sovietica
fino al 1990, dunque perfino un anno dopo la sua disgregazione e la nascita della CSI.
sentendosi più rappresentata da un Partito Comunista coinvolto nei
giochi del palazzo, andò ad ingrossare le fila di gruppi
extraparlamentari dichiaratamente rivoluzionari come Potere
Operaio o quella stessa Lotta Continua di cui si sente ancora
parlare; da li il salto verso la lotta armata era, e fu, assai breve.
Comunque, che il terrorismo brigatista, così come quello più
spontaneista nato dall’estremizzazione del movimento del ’77 (
quando bastava essere in tre per inventarsi una sigla e fare
“un’azione”) 6, siano stati fenomeni autoctoni e originali, nessuna
sentenza della magistratura è mai riuscita fino ad oggi a metterlo in
dubbio. A questo proposito ho trovato interessante aprire una
piccola parentesi sugli aspetti sociali del fenomeno terroristico:
Una prima indicazione sulle dimensioni del fenomeno armato di
sinistra in Italia tra il 1969 e il 1989 è quella relativa alle persone
inquisite per banda armata: si tratta di un vero e proprio esercito,
costituito da oltre 4 mila persone, prevalentemente uomini (76,9%)
ma anche da numerose donne (23,1%). Un numero particolarmente
significativo, soprattutto se si considera l'aspetto totalizzante, anche
in termini personali, che la scelta della clandestinità e del ricorso allo
scontro armato rappresentava. Inoltre, gli inquisiti rappresentano
soltanto una parte minoritaria dei giovani che in quegli anni hanno
militato, da interni o da semplici simpatizzanti nelle organizzazioni
armate di sinistra: le cronache di quegli anni, oltre a cimentarsi
costantemente con la descrizione degli organigrammi e delle
tecniche di reclutamento adoperate dalle organizzazioni armate,
citando stime di diversa provenienza, parlano di 15-20 mila, ma
anche di oltre 50 mila giovani e meno giovani direttamente o
indirettamente legati al fenomeno armato di sinistra . La
caratterizzazione fortemente generazionale del fenomeno armato,
come si evince chiaramente dalla distribuzione per età degli inquisiti
per banda armata al momento dell'arresto, vede una forte
prevalenza della componente giovanile: gli inquisiti con una età
superiore ai 35 anni non raggiungono infatti il 10% del totale. La
classe di età tra i 21 e i 25 anni, quella degli universitari e dei
giovani lavoratori, risulta essere la più rappresentata con il 32,2%
degli arrestati; di poco minore è la consistenza (28,1%) della classe
successiva (26-30 anni), concentrandosi dunque complessivamente
in queste due fasce, oltre il 60% del fenomeno.
Un'altra caratterizzazione del fenomeno armato di sinistra,
considerandone pienamente rappresentativa la distribuzione dei dati
relativa ai soli inquisiti e arrestati, è data dalla equidistribuzione tra i
diversi livelli di scolarizzazione, che testimonia una composizione
particolarmente articolata e diversificata. Nonostante l'elevato
numero di mancate informazioni per questa variabile (32,3%), è
possibile osservare che la componente degli universitari (23,1%)
risulta la più rappresentata, ma soltanto di poco superiore a quella
dei militanti con il diploma di scuola media superiore (21,8%) o con
la scuola dell'obbligo (20,4%). Una conferma di quanto evidenziato
in relazione alla composizione sociale si rileva osservando la
distribuzione relativa alla attività lavorativa degli inquisiti: i due
gruppi che presentano la concentrazione maggiore, confermando la
particolare composizione del fenomeno armato, sono quello degli
operai e quello degli studenti, entrambi con il 16%. Gli altri percorsi
professionali che registrano valori significativi sono quello degli
impiegati (7,3%), degli insegnanti (4,3%), dei lavoratori nei servizi
(4,6%) e dei professionisti (3,7%). In considerazione delle istanze di
mutamento e di trasformazione sociale promosse dalle
organizzazioni armate di sinistra, risulta essere sottorappresentata
la componente dei disoccupati (3,9%) e dei precari (1,7%); questa
mancata presenza sembra da attribuire sia ai canali ed ai sistemi di
reclutamento adottati sia, ad una certa difficoltà mostrata dal
fenomeno armato di sinistra – pur con alcune significative eccezioni
(si veda, ad esempio, l'esperienza dei NAP o le numerose
campagne per le carceri) - di avvicinare le componenti sociali più
marginali.
Eppure a rileggere 18 anni di lotta armata in Italia ci si accorge
che ogni tanto, qua e là, spuntano dei buchi neri nel terrorismo
rosso, buchi coperti anche di segreti, spesso inconfessabili, di chi
contro quella stagione di utopie rivoluzionarie e sanguinarie ha
esercitato l’arma della repressione in nome dello stato. A parziale
conferma di ciò e nella stessa direzione del mio pensiero - per
quanto comprenderei benissimo se a qualcuno sembrasse
inopportuno fare della mera dietrologia con quanto affermato da un
ex terrorista - vanno le parole di Patrizio Peci 8, primo "pentito" delle
Br: << Lo stato allora [ agli inizi dell’attività brigatista ] - poi non più -
ti lasciava gli spazi per poter sperare nella vittoria [...] lo stato poteva
avere interesse a lasciare spazio alla lotta armata. Interessi velati, e
magari contrapposti, ma certamente tesi a creare confusione.
Altrimenti la lotta al terrorismo sarebbe stata più immediata e aspra.
Ci avrebbero stroncato subito, come hanno fatto quando gli è parso
il momento >> 9.
Particolarmente interessante mi è poi parsa anche la lettura del
resoconto sulla riunione del coordinamento delle forze di polizia che
si tenne a Colonia il 19 Gennaio 1973 e dedicata al problema
dell’infiltrazione nei gruppi terroristici Br e RAF10 e nei gruppi
dell’estrema sinistra extraparlamentare. In questo ambito infatti lo
stesso Franceschini, recentemente, ha affermato che le infiltrazioni
all’interno delle Br non dovevano risultare poi così difficili: la prova
della purezza di un aspirante brigatista consisteva infatti
nell’osservare il “candidato” durante una rapina (o esproprio
proletario, come veniva chiamata in quegli anni), perché se se
qualcosa fosse andato storto e magari fossero arrivate le forze
dell’ordine, era evidente che l’aspirante doveva essere un infiltrato.
Ma i vertici delle Br non sono però mai arrivati ad ipotizzare un
livello superiore di infiltrazione, un livello ove cioè un agente – pur di
arrivare ai massimi livelli dell’organizzazione – sarebbe arrivato
perfino ad uccidere. Ed è invece proprio questo che i servizi segreti
avevano progettato. Da i verbali della riunione di Colonia risulta
infatti evidente che l’intendimento dei vari servizi segreti non era
quello di predisporre semplici confidenti o informatori, bensì veri e
propri terroristi, completamente liberi di agire e così in grado di
arrivare al vertice del gruppo da infiltrare11; la cosa risulterà
parecchio interessante, soprattutto alla luce delle novità che negli
ultimi tempi sono saltate fuori sul rapimento dell’On. Aldo Moro.
Esempi lampanti, ma (e ci tengo a sottolinearlo) mai del tutto
dimostrati, di "intrusioni esterne" sono presenti in diverse occasioni
lungo tutta l’epopea brigatista e, soprattutto, durante i 55 giorni del
rapimento di Aldo Moro, punto più alto di efficienza delle Br e - allo
stesso tempo - punto più basso di efficienza dello stato; un
momento nel quale delle incredibili coincidenze, spesso troppo
strane per non far pensare ad un disegno, si ergono alte e ben
visibili per un qualsiasi osservatore non distratto. Ma di questo avrò
modo di parlare.