Scopo
4
Dai documenti consultati, appare evidente come in tali interventi fosse posta
particolare attenzione soprattutto all’opera di sigillatura e stuccatura, e come la scelta
di materiali e metodologie fosse regolata da capitolati ben precisi.
I materiali impiegati e le tecniche di messa in opera, infatti, si rifacevano ad una
tradizione consolidata e peculiare, legata in particolar modo all’ambiente veneziano,
le cui caratteristiche ambientali hanno da sempre influenzato fortemente la
conservazione delle grandi opere architettoniche presenti nella città lagunare.
L’obiettivo del lavoro è focalizzato, quindi, sulla conoscenza e sull’analisi dei
materiali che nel tempo sono stati utilizzati, tanto per i restauri, quanto per la
manutenzione ordinaria del paramento lapideo, e in modo particolare sulla natura e i
degradi delle numerose malte rinvenute. Lo studio di tali sistemi risulta, infatti,
fondamentale se posto in relazione con il recupero dell’intera struttura muraria, in
quanto ne costituisce una parte essenziale ma, allo stesso tempo, particolarmente
complessa e fragile. In base alle informazioni storiche e ai dati analitici si cercherà,
pertanto, di identificare le tipologie di malte più ricorrenti, studiandone tanto la
morfologia e l’aspetto quanto la natura e la composizione. In questo modo sarà
possibile ricercare le cause e le diverse fenomenologie del degrado e valutare come
tali materiali abbiano interagito con le particolari condizioni ambientali di questa
città.
I Materiali
5
Capitolo Primo:
I MATERIALI
I Materiali
6
1.1 Storia e tecnologia degli impasti storici
Le documentazioni storiche e i ritrovamenti archeologici hanno da sempre
messo in evidenza l’uso di materiali capaci di unire e cementare, tanto che il loro
impiego nei secoli si è moltiplicato e raffinato. Si ritrovano così malte di sigillatura
di muri, acquedotti, cisterne, malte di supporto per pavimenti e mosaici, malte per
intonaci o affreschi. Le malte sono materiali compositi, composti generalmente da un
legante aereo o idraulico, da aggregati, di diversa natura a seconda della collocazione
geografica e dell’epoca storica, e da additivi.
I primi esempi sono risalenti già al periodo Neolitico e prevedono l’uso di argilla o
fanghi argillosi per la costruzione di capanne e più tardi per la messa in opera di
mattoni cotti al sole. Il gesso, invece, nasce e trova diffusione soprattutto in Egitto,
territorio ricco di rocce adatte alla sua estrazione e produzione. Le malte di questa
natura contenevano anche elevate quantità di carbonato di calcio dovute
probabilmente alle impurità presenti nella roccia originale ma con funzione
soprattutto di inerte. Anche l’impiego di calci aeree si diffonde in tempi molto
antichi: si ritrovano esempi in Anatolia nel 7000 a.C. e più tardi in Israele e Siria
datati rispettivamente 6500 e 6300 a.C. Il comportamento idraulico della calce viene
invece sfruttato per la prima volta dai Fenici, i quali, grazie alla miscelazione di calce
aerea e terra vulcanica o calce e mattone cotto, ottenevano un impasto capace di far
presa ed indurire in acqua. La produzione e la tecnica di messa in opera di questo
impasto viene perfezionato dai Greci prima, e dai Romani poi, che lasciano
numerose testimonianze archeologiche del suo impiego, e, soprattutto, vari
documenti che ne definiscono le regole di fabbricazione e uso. [1]
Tra questi si ricorda il De Architectura di Vitruvio, il quale si sofferma sia sulla
scelta dei materiali da utilizzare sia nelle varie fasi di produzione: “Avendo spiegato i
diversi generi dell’arena, si dee porre in opera tutta la diligenza intorno alla calce
I Materiali
7
affinché sia cotta di pietra bianca o di selce; e quella che sarà di pietra più compatta
e più dura sarà utile nella fabbricazione quella di pietra porosa nell’intonacato”; e
più avanti: “Quando poi sarà fatta la
macerazione e diligentemente
preparata per l’opera, si prenda
un’ascia, e come si fende il legname,
così si faccia alla calce macerata nella
vasca: se coll’ascia si incontreranno
sassolini non sarà ben macinata; se si estrarrà fuori il ferro asciutto e netto
indicherà essere la calce magra e secca; se poi rimarrà attaccata intorno al ferro a
guisa di glutine, indicherà essere grassa e ben macerata, e sarà ciò prova più che
sufficiente per crederla ben preparata”. [2]
Ed, inoltre, a proposito delle proporzioni nelle malte Vitruvio suggerisce: “Quando
la calce sarà estinta, allora si mescoli alla materia in guisa che, se l’arena fosse
fossile, si confondono tre parti di questa ed una calce. Se sarà fluviale o marina una
di questa con due di arena e così vi sarà giusta proporzione del miscuglio. E se nella
fluviale o marina si aggiungerà una terza parte di mattone pesto e vagliato, ciò
formerà la composizione della materia ancora migliore per l’uso”.[2]
Dai testi emerge anche come fosse abitudine impiegare la polvere di laterizio come
additivo, così da incrementare la resistenza delle strutture.
Le conoscenze architettoniche dei Romani, che raggiunsero tutte le regioni
dell’impero, cominciarono ad essere dimenticate dopo la caduta dell’impero Romano
d’Occidente e il declino della qualità costruttiva proseguì per tutto il Medioevo. Si
cominciarono ad impiegare forni di calce rudimentali e sabbie sporche e, nel
contempo, si abbandonò l’uso di pozzolana e cocciopesto. Solo con l’Umanesimo e
quindi con il rinato interesse per la cultura classica, si rilessero e tradussero i trattati
tecnologici Romani, recuperando in parte le conoscenze antiche. Dal XVI, al XVIII
secolo si pubblicano numerosi trattati architettonici che, soprattutto in ambito
veneziano, cominciano a sviluppare una certa specificità, legata in gran parte a
esigenze costruttive particolari e alle diverse condizioni climatiche. Le caratteristiche
del terreno lagunare, infatti, condizionavano inevitabilmente le tipologie costruttive e
costringevano alla ricerca continua di materiali leggeri e sistemi strutturali elastici,
I Materiali
8
come l’impiego del laterizio, rivestito d’intonaco, ad imitazione di materiali lapidei
più nobili ma più pesanti.
Allo stesso tempo gli elevati tassi di umidità e salinità, e i frequenti cicli secco-
umido, imponevano l’utilizzo di materiali specifici quali la calce “nigra” (idraulica)
ed il cocciopesto, ma soprattutto l’adozione di accorgimenti tecnici non sempre
richiesti nelle altre città dell’entroterra.
Nel 1570, Andrea Palladio, pubblica i suoi “Quattro Libri dell’Architettura”, nei
quali fornisce una serie di interessanti suggerimenti per quanto riguarda la malta e gli
intonaci. A proposito delle sabbie da impiegare consiglia di usare la sabbia di cava
per le murature perché è grossa e tenace, mentre per le intonacature è da preferire la
sabbia di fiume; sconsiglia la sabbia di mare perché si disgrega per la salsedine e non
è adatta a sostenere pesi. Invece, circa le proporzioni da mantenere consiglia: “Per
far la malta si deve in questo modo con la sabbia mescolare; che pigliandosi arena
di cava; si pongano tre parti di essa, e una di calce: se di fiume, ò di mare; due parti
di arena e una di calce”. In questo caso Palladio, contro la tradizione vitruviana,
ammette l’impiego di sabbia di mare, come uso tipicamente veneziano: “Qui a
Venezia si addoperano comunemente le sabbie che si tolgono nel secche di Treporti
allo sboccar del mare”.
In riferimento alla qualità della calce da impiegare per le murature Giuseppe Viola
Zannini nel trattato “Dell’Architettura… Libri Due”, afferma: “la qual (calce) deve
esser più magra che grassa, perché fa miglior presa; quella per le smaltature si fa
più grassa, perché fa le opere più polite, e deve esser anco ben annegata e più
riposata, acciò faccia meno crepatura”. [3]
L’architetto Vincenzo Scamozzi, che nel 1584 iniziò i lavori di costruzione delle
Procuratie Nuove, nel 1615 pubblica a Venezia “L’Idea dell’Architettura Universale”
dove descrive i requisiti che le malte devono possedere per ottenere i migliori
risultati; parlando della calce suggerisce di spegnerla molto lentamente e di
miscelarla con cocciopesto così che aumenti molto la presa sia nelle mura che negli
intonaci. Più avanti consiglia: “Le malte, fatte di ottime calcine, sabbie e bene
composte, vogliono essere molto rimenate con le zappe stemperando la calce a poco
a poco con la acqua, levando quelle zolle e scaglie e sassolini che non saranno
disfatti, poi, dopo bene rimenato a parte a parte, vi si metti la sabbia, che sia due
I Materiali
9
tanti o tre tanti della calcina, secondo che porterà la bontà, dell’una e dell’altra, e di
nuovo si aggiungi e si stemperi con l’acqua, perché certa cosa che ella viene sempre
migliore come la pasta del pane ben gramolato”. [4]
La calce che si adoperava allora era bianca oppure nera. La calce bianca era ottenuta
dal marmo e da pietre durissime come i ciottoli del fiume Piave e poteva dare malte
dalle caratteristiche diverse a seconda dell’inerte con cui si mescolava. La calce nera
o “nigra”, che a Venezia sostituiva la pozzolana degli antichi, era caratterizzata da
una buona idraulicità e veniva chiamata da Palladio “padovana”, in quanto veniva
fatta con la pietra dei colli Euganei. Tali calci però dovevano essere lavorate in modo
diverso: la prima si doveva spegnere lentamente e mescolare di continuo per poi
lasciarla riposare in luogo umido, all’ombra e coperta di sabbia leggera, in quanto
risultava migliore tanto più veniva stagionata. La seconda, appena spenta, doveva
essere subito impiegata altrimenti non faceva presa. [3]
Per quanto riguarda gli inerti e in particolare per la sabbia di mare, Scamozzi ricorda
la necessità di raccoglierla dalla parte delle dune che guarda la laguna e non dalla
parte del mare e di lavarla ripetutamente per togliere ogni residuo di salmastro in
acqua dolce.
Tali indicazioni come tradizione empirica rimangono fino al XVIII secolo, quando,
in seguito alle nuove conoscenze scientifiche e alla necessità di reperire materiali più
idonei e stabili alle diverse condizioni ambientali, si sviluppano nuove tipologie di
leganti con alta idraulicità e maggiore resistenza meccanica. Le ricerche cominciano
nel 1756 per opera dell’ingegnere inglese John Smeaton, che utilizza un calcare
siliceo ricco d’argilla, ma solo agli inizi del 1800 si avranno le prime sperimentazioni
con miscele artificiali, e nel 1824 Joseph Aspdin depositerà il brevetto per il cemento
Portland, una miscela artificiale di calcare calcinato e di argilla purificata.
I Materiali
10
1.2 Le Malte
Una malta è definita come una miscela di leganti inorganici, aggregati
prevalentemente fini, acqua ed eventuali componenti organici e/o inorganici in
proporzioni tali da conferire alla miscela opportuna lavorabilità e adeguate
caratteristiche fisico-meccaniche.
In passato le malte erano composte generalmente da calce e sabbia; spesso alla
sabbia era aggiunto o sostituito del cocciopesto o della pozzolana, che conferivano
proprietà idrauliche all’impasto. La scelta del legante e dell’aggregato era comunque
sempre vincolata alla tipologia di materie prime disponibili in loco e difficilmente si
importavano materiali da luoghi molto lontani.
Oggi, invece, si utilizzano soprattutto malte cementizie, costituite da sabbia come
materiale inerte e da cemento, legante idraulico prodotto per cottura a temperature
elevate di una miscela naturale o artificiale di calcare e argilla.
Le malte possono essere classificate sulla base della tipologia d'impiego in malte per
murature (di allettamento, di riempimento, ecc.), malte per intonaci, malte per
decorazioni (a spessore, a rilievo, ecc.), malte per usi particolari (stuccature,
sigillature, stilature, ecc.) e malte per applicazione di rivestimenti (pavimentazioni,
pareti, ecc.). Una seconda e importante distinzione è basata invece sulla natura
dell'impasto che si definisce aereo o idraulico, in relazione alla natura della fase
legante, che nel primo caso ha la capacità di indurire solo in presenza di aria (malte
aeree) mentre nel secondo può fare presa ed indurire anche in presenza di acqua
(malte idrauliche).
Le malte aeree sono miscele acquose di calce aerea (calce idrata in polvere o
grassello di calce) e aggregati non pozzolanici, che, in relazione all'impiego,
potranno essere sabbie di diversa granulometria e natura o frammenti e polvere di
materiali litoidi. Nonostante l’aggregato non abbia mai un comportamento
I Materiali
11
completamente inerte rispetto alla malta, l'indurimento dell'impasto avviene solo per
processi di carbonatazione della calce. Sono malte plastiche e ben lavorabili, molto
flessibili e traspiranti ma sensibili soprattutto ai cicli di gelo-disgelo.
L’impiego, in fase produttiva, di calcari con tenori variabili di impurità argillose
conferisce alla malta capacità idrauliche, che aumentano con percentuali maggiori di
minerali argillosi. I Romani ottennero gli stessi risultati aggiungendo all’impasto di
calce sabbie pozzolaniche, che se finemente macinate possono, in presenza d’acqua,
interagire con l’idrossido di calcio e formare silicati di calcio idrati. Tali malte
acquistano in questo modo alte resistenze meccaniche e maggiore stabilità
all’ambiente esterno.
I leganti sono materiali in polvere, ottenuti generalmente da pietre naturali che
subiscono cottura e successiva macinazione. La loro capacità di formare masse ad
alta plasticità a contatto con l’acqua e poi indurire, è stata sfruttata fin dall’antichità
per produrre miscele composite come malte e calcestruzzi, nelle quali il legante viene
impastato con acqua e elementi inerti. La presenza del legante, in particolare,
permette all’impasto di indurire e formare un tutt’uno con la struttura sulla quale è
applicato. L’insieme dei fenomeni chimico-fisici, che intercorrono tra la formazione
dell’impasto e la successiva perdita di plasticità con irrigidimento della miscela e
acquisto di resistenza meccanica, sono detti stagionatura. Questa è suddivisa in due
fasi: una prima, di breve durata in cui l’impasto comincia a diventare consistente
(presa) e una seconda, che a seconda del legante può durare da qualche ora a qualche
anno, in cui il materiale acquista progressivamente resistenza meccanica
(indurimento).
I leganti sono classificati in base alla loro capacità di indurire all’aria o a contatto con
l’acqua; si parla quindi di leganti aerei per il gesso e la calce aerea e leganti idraulici
per il cemento e la calce idraulica. Si descriveranno brevemente le prime due
tipologie in quanto fondamentali per la comprensione dello studio eseguito.
I Materiali
12
La calce:
La calce si ricava da rocce calcaree il cui contenuto in carbonato di calcio (CaCO
3
) è
superiore al 95%; sono rocce bianche, omogenee, a struttura microcristallina o
saccaroide. Eventuali impurità sono legate alla presenza di carbonato di magnesio o a
frazioni silicee e argillose associate al calcare.
Dopo l'estrazione dalla cava, il calcare passa attraverso due fasi di lavorazione:
- la cottura
- lo spegnimento
Nella prima fase la materia prima viene calcinata in appositi forni in cui la
temperatura raggiunge i 900°C [6], provocando la decomposizione del carbonato di
calcio a formare ossido di calcio o calce viva (CaO) e anidride carbonica con una
diminuzione di volume della massa calcarea di circa il 20%:
CaCO
3
Æ CaO + CO
2
↑ - 42 Kcal
La temperatura viene generalmente mantenuta al di sotto di 1000 °C, per evitare la
formazione di cristalli troppo grandi di calce viva, con conseguente diminuzione
della reattività e impossibilità di ottenere un prodotto adatto per la fabbricazione di
malte.
La seconda fase, invece, prevede la trasformazione dell’ossido di calce in idrossido,
per mezzo di una reazione di idratazione:
CaO + H
2
O Æ Ca(OH)
2
+ 15,6 Kcal
All'uscita dal forno la calce viva si presenta sottoforma di zolle, che vengono
introdotte in vasche e poste a contatto con l'acqua; si ottiene una reazione chimica
violenta di tipo esotermico con formazione di idrossido di calcio (o calce spenta) e
con un aumento di volume del 10% circa.
I Materiali
13
La calce spenta viene sottoposta poi ad un processo di stagionatura, durante il quale
finisce di idratarsi e si condensa, divenendo una pasta bianca e morbida detta
grassello di calce capace di indurire se a contatto con la CO
2
atmosferica a formare
nuovamente carbonato di calcio:
Ca(OH)
2
+ CO
2
Æ CaCO
3
+ H
2
O
La presenza di maggiori o minori quantità di impurità condiziona il rendimento in
grassello, ovvero il rapporto tra il volume del grassello e il peso della calce viva
iniziale. In base a tale rapporto si definiscono calci magre o calci grasse. Le prime
sono calci con alte percentuali di impurità o che hanno subito una cottura a
temperature troppo elevate e di conseguenza la reazione di idratazione avviene
parzialmente e la pasta che si ottiene è ruvida e poco adesiva. Nel secondo caso si
hanno calci che, provenendo da calcari puri e cotti a temperature adatte, reagiscono
velocemente e violentemente con l’acqua, portando alla formazione di paste adesive
e senza grumi.
Nel 1793, J. Smeaton scoprì che la cottura del calcare contenente impurezze di
argille produceva un tipo di calce (calce idraulica) con caratteristiche analoghe a
quelle della miscela calce-pozzolana, mentre fu l’ingegnere francese Louis Vicat che
per primo stabilì in maniera precisa la proporzione tra calcare e argilla, necessaria a
produrre materiali in grado di fare presa e indurire anche in presenza di acqua. A
differenza di una calce aerea, infatti, la calce idraulica è ricavata da rocce naturali
calcareo-marnose che contengono percentuali variabili di argilla (da 6 a 20%). La
cottura avviene a temperature superiori (1000-1100°C)[6], ma è comunque legata
alla quantità di minerali argillosi presenti nella roccia; al termine di questa fase si
ottengono zolle dal colore variabile dal giallo al grigio che, accanto ad una frazione
di calce viva, contengono alluminati, silicati e ferriti di calcio. Lo spegnimento è la
fase più complessa in quanto è necessario assicurare la formazione di calce spenta e
nel contempo evitare l’idratazione dei silicati e degli alluminati che causerebbe una
presa troppo precoce del legante. Dopo lo spegnimento, che può durare anche diversi
giorni, sono necessarie diverse fasi di setacciatura prima di ottenere il prodotto finito
che avrà caratteristiche idrauliche differenti a seconda della quantità di materiale
I Materiali
14
argilloso presente, quindi tempi maggiori o minori di fare presa e indurire e maggiore
o minore resistenza meccanica in ambienti molto umidi.
La produzione di calce idraulica è rimasta invariata fino alla prima metà del XX
secolo quando sono stati introdotti nuovi metodi di fabbricazione che prevedevano
l’impiego del cemento Portland. [7]
Il gesso:
Con il nome di gesso si indicano sia le anidridi naturali e artificiali (CaSO
4
) sia la
selenite (o pietra da gesso: CaSO
4
*2H
2
O), sia i relativi prodotti di idratazione. Per la
produzione si utilizza la cosiddetta pietra da gesso un solfato di calcio biidrato
presente sottoforma di cristalli prismatici appiattiti o geminati.
La cottura avviene in diverse fasi che prevedono l’eliminazione progressiva
dell’acqua di cristallizzazione fino ad arrivare alla forma anidra. Inizialmente si ha
perdita di 1,5 molecole d’acqua e formazione di solfato di calcio emidrato:
CaSO
4
* 2 H
2
O Æ CaSO
4
* ½ H
2
O + 1,5 H
2
O - 19,8 kcal
Aumentando la temperatura da 160 a 180°C si ha la perdita dell’acqua rimanente e
formazione del prodotto anidro [7]:
CaSO
4
* ½ H
2
O Æ CaSO
4
+ 0,5 H
2
O - 7,5 kcal
Entrambi i prodotti ottenuti (gesso emidrato e anidro) riprendono subito la quantità
persa se posti nuovamente a contatto con l’acqua. Arrivando, invece, a temperature
più elevate (fino a 900°C) il gesso si stabilizza divenendo poco idratabile e con
scarsa capacità di fare presa se impiegato per la produzione di malte. Dopo la cottura,
e una fase di macinazione, il gesso si presenta come una polvere sottile e di
consistenza morbida; le sue proprietà di presa e adesione saranno legate tanto alla
qualità del minerale iniziale, tanto alle fasi di cottura e macinazione. Il gesso cotto,
impastato con sufficiente acqua, forma una massa plastica e untuosa che fa presa
I Materiali
15
rapidamente. Alla fine dell’indurimento una parte dell’acqua si è combinata
chimicamente, mentre una parte è evaporata lasciando una struttura porosa che ne
costituisce il punto debole dal punto di vista della resistenza meccanica.
Il secondo componente fondamentale di un impasto di malta è la frazione inerte.
L’aggregato o inerte, è la denominazione che viene data al materiale che, aggiunto
alla calce o ad altro legante, aumenta la resistenza finale dell’impasto, riducendone il
ritiro. Proviene generalmente da sedimenti incoerenti derivanti dalla disgregazione di
rocce per processi naturali o frantumazione meccanica. Nei secoli hanno trovato
diverse denominazioni, tra cui sabbia, risello, pisello, ghiaino, ciottoli, pietrisco,
pietrame e molti altri, definiti spesso sulla base di dimensioni e origine.
L’importanza di tali materiali deriva dall’interazione con il legante: maggiore sarà
l’adesione del legante ai grani dell’inerte tanto maggiore sarà la resistenza meccanica
della malta ottenuta. In particolare è necessario che l’aggregato sia resistente, non
friabile e non contenga sostanze organiche o composti volatili. La granulometria
dovrebbe essere ben assortita, ovvero presentare granuli di diversa grandezza nel
giusto rapporto così da avere nell’impasto il minor numero di vuoti possibile.
Un’adeguata distribuzione granulometrica, infatti, contribuisce in modo essenziale
alle caratteristiche meccaniche del prodotto finale. Inoltre, soprattutto per quanto
riguarda malte di calce e sabbia, la presenza dell’aggregato riduce il problema legato
alla contrazione di volume di malta dovuta all’evaporazione dell’acqua. [8] Anche la
morfologia dell’aggregato influenza la resistenza della malta: una morfologia a
spigoli vivi, infatti, come nel caso di aggregati calcarei, favorisce l’accomodamento
nella matrice e la conseguente compattezza della struttura, diversamente da una
morfologia a grani tondeggianti, quale quella degli aggregati silicei.
Come è emerso dalle fonti storiche, la miscelazione degli elementi costituenti gli
impasti, seguiva dettami ben precisi e proporzioni consolidate da secoli di tradizione
produttiva. In modo particolare si pone l’attenzione sul rapporto quantitativo tra
legante ed aggregato, il quale influenza sia le fasi di presa ed indurimento della
malta, sia parametri quali la porosità e la microstruttura. Queste sono proprietà
fisico-meccaniche che vanno, a loro volta, ad influenzare aspetti quali il contenuto e
il trasporto d’acqua, la forza meccanica e la durabilità delle malte stesse. A seconda
I Materiali
16
della tradizione storica e delle particolari funzioni d’impiego, i rapporti
legante/aggregato potevano variare da 1:1 fino anche a 1:4, ma generalmente
venivano determinati dalla tipologia di aggregato. In questo modo impasti ottenuti
con sabbie di cava dovevano possedere una parte di calce e tre di aggregato, mentre
nel caso dell’uso di sabbie di fiume o mare il rapporto passava ad 1:2. L’addizione,
infatti, alla calce aerea di prodotti con essa reattivi, quali appunto sabbie di fiume o
mare, modifica il meccanismo d’indurimento che diviene addebitabile soprattutto
alla formazione di silicati di calcio idrati di bassa basicità e di alluminati di calcio
idrati. Qualora fosse possibile l’aggiunta di cocciopesto, si tornava a rapporti di 1:3
con una parte di calce, due di aggregato e una di frammenti di coccio. [2], [5]. La
successiva introduzione di malte a comportamento naturalmente idraulico,
caratterizzate dalla presenza di moderati contenuti di argilla, ha consentito di
lavorare anche con rapporti inferiori, da 1:1 a 1:2.
Di seguito si riporta una tabella in cui vengono riassunte le caratteristiche principali
di alcune tipologie di malta che verranno esaminate nel lavoro presentato.
Malta di calce Malte idrauliche Cocciopesto
Acqua di
igroscopicità
<1% >1% 1-4%
Acqua di legame <3% 3,5-6,5% 3,5-8,5%
Contenuto di
CO2
>32% 24-34 % 22-29 %
Volume
cumulativo
170-320 mm3/g 90-230 mm3/g 170-280 mm3/g
Raggio medio dei
pori
1,5 – 1,8 µm 0,1 – 3,5 µm 0,1 – 0,8 µm
Porosità totale 30-45 % 18-40 % 30-40 %
Rapporto legante
aggregato
1:4 – 1:1 1:4 – 1:1 1:3
Tabella 1: Caratteristiche chimiche, fisiche e meccaniche di alcuni tipi di malte. [9]