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Concreti problemi, quali ad esempio la stretta del credito per imprese e
famiglie, sono prevedibili ed in parte già riscontrabili nel contesto italiano e
internazionale, imponendo dunque una riflessione attenta sugli assetti proprietari e
i meccanismi decisionali propri del settore bancario italiano. Il quadro delineato,
pertanto, costituisce la logica premessa al presente lavoro di analisi, ricerca,
confronto e sintesi in materia di governance.
Nello specifico l’elaborato, nell’intento di fornire un’adeguata base
informativa ed integrativa ai senza dubbio più autorevoli contributi in merito, è
stato organizzato e sviluppato in quattro capitoli: il primo dedicato agli aspetti
concettuali e definitori di governance, inquadrati secondo la variegata e complessa
configurazione dei vari sistemi finanziari internazionali; il secondo incentrato
sulla recente evoluzione della normativa in materia; il terzo fotografa il modello
bancario italiano caratterizzato dalla nascita dei grandi gruppi integrati; il quarto,
infine, analizza in concreto la governance dei gruppi Intesa Sanpaolo e Unicredit.
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I. La corporate governance
1. Definizione ed aspetti concettuali
All'interno di un'azienda si definisce Corporate Governance l'insieme di
processi, politiche, abitudini, leggi ed istituzioni che influenzano le modalità in
cui una società è amministrata e controllata. Più in generale essa consiste
nell’insieme dei meccanismi, delle relazioni e delle regole attraverso cui il
management orienta la condotta dell’azienda alla soddisfazione degli interessi
rilevanti.
Tra le regole rientrano le leggi del paese e le regole societarie interne. Le
relazioni includono quelle tra tutte le parti coinvolte nella società, come i
proprietari, i managers, gli amministratori, le autorità di regolazione, nonché i
dipendenti e la società in senso ampio. I processi e sistemi hanno a che fare con i
meccanismi di delega dell'autorità, la misurazione delle performance, sicurezza,
reporting e contabilità.
In questo modo, la struttura della corporate governance esprime le regole e i
processi secondo cui si prendono le decisioni in una società. Fornisce anche la
struttura con cui vengono decisi gli obiettivi aziendali, nonché i mezzi per il
raggiungimento e la misurazione dei risultati raggiunti.
Il dibattito sulla corporate governance, sviluppatosi nel corso degli anni
novanta, viene portato alla luce da diversi fattori. In primo luogo, a partire dalla
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seconda metà degli anni ottanta, assumono rilievo crescente fenomeni che
mettono in discussione il modello anglosassone nella sua versione più ortodossa:
l’ondata di ristrutturazioni, l’uso aggressivo della leva finanziaria, la crescente
spregiudicatezza delle strategie aziendali con conseguenti clamorosi fallimenti,
l’attivismo degli investitori istituzionali. In secondo ed ultimo luogo, la
globalizzazione dell’economia e della finanza e, quindi, il confronto competitivo
sempre più diretto tra sistemi-paese, rende più immediata la ricerca dei fattori di
differenziazione anche nei diversi modelli di governance.
Il concetto di corporate governance ha varie definizioni in letteratura e
nella pratica aziendale, non essendovi ancora un significato univoco accettato
dalla dottrina a livello internazionale (TURNBULL, 2000).
In una accezione ristretta, il termine corporate governance è solito riferirsi
al sistema di strumenti e meccanismi da porre in essere affinché gli azionisti non
coinvolti nella gestione possano valutare l’operato dei soggetti amministratori al
fine di proteggere il proprio investimento, ovvero in maniera da favorire
l’allineamento degli interessi del management con quelli degli azionisti; in tal
senso l’attenzione si focalizza, quindi, sulle relazioni fra Alta Direzione,
Consiglio di Amministrazione e azionisti, tralasciando le relazioni intercorrenti
con altri eventuali soggetti portatori di interessi specifici (KEASY, THOMPSON
e WRIGHT, 1997). Tale concezione, chiaramente influenzata dalla prospettiva
della teoria dell’agenzia considerata in senso tradizionale, è predominante nella
dottrina anglo-americana. Anche in parte della dottrina economico-aziendale
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italiana, il termine corporate governance è spesso utilizzato per evidenziare le
caratteristiche della struttura e del funzionamento degli organi di governo e di
controllo di un’azienda, le loro interrelazioni ed il loro rapporto con gli organi
rappresentativi degli azionisti e della struttura direzionale.
In una concezione di creazione di valore per gli azionisti, una definizione
più ampia delinea il sistema di corporate governance come quell’insieme di
meccanismi che fanno sì che le attività, le risorse e l’intera organizzazione
aziendale siano dirette al fine di perseguire gli obiettivi stabiliti dagli azionisti, nel
cui interesse l’attività aziendale deve essere svolta.
Il concetto di corporate governance tende ad avere una valenza più ampia
se si prendono in considerazione anche gli altri stakeholders, oltre agli azionisti.
In tal senso, la corporate governance è da intendersi come il sistema di diritti,
processi e meccanismi di controllo istituiti, sia internamente che esternamente, nei
confronti dell’amministrazione di un’impresa al fine di salvaguardare gli interessi
degli stakeholders, ovvero l’insieme dei meccanismi che esercitano un’influenza
rilevante sull’allocazione del potere di direzione e di governo in un’impresa. In
un’ottica di creazione di valore per tutti gli stakeholders la corporate governance
può essere intesa come tutti gli strumenti per mezzo dei quali gli stakeholders
aziendali non coinvolti nella gestione (outside stakeholders), al fine di
salvaguardare i propri interessi, possono attuare un processo di controllo nei
confronti dell’Alta direzione e di tutti i soggetti che direttamente partecipano
all’amministrazione dell’impresa. Più in generale, il termine può essere inteso per
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indicare l’insieme di relazioni esistenti all’interno del sistema azienda fra l’Alta
direzione, gli azionisti, i dipendenti, i creditori, i fornitori ed i clienti.
In conclusione possiamo dire che esistono diversi concetti di corporate
governance ed è compito dello studioso economico aziendale di volta in volta di
adeguarsi alle realtà aziendali che sono specifico oggetto di ricerca. Il termine
assume inoltre un significato diverso da paese a paese.
Peraltro, sulla base di quanto si è osservato, è possibile includere due concetti
nell’espressione corporate governance (MELIS, 2002):
ξ il concetto di potere;
ξ il concetto di efficienza economica.
Il sistema di corporate governance definisce quindi la maniera in cui il
primo concetto, il potere, influenza il secondo, l’efficienza economica. Più
precisamente, il sistema di corporate governance regola il modo in cui i rischi ed i
benefici relativi al processo aziendale di creazione di valore sono allocati fra i
diversi soggetti che partecipano all’attività aziendale e costituisce l’insieme di
regole, procedure e meccanismi che definiscono il processo decisionale ai
massimi livelli aziendali, dando, in maniera più o meno rilevante, ai soggetti
coinvolti una “voce” in tale processo, al fine di poter salvaguardare gli interessi e
gli investimenti dei medesimi posti in essere nell’impresa. Pertanto, il termine
corporate governance definisce il sistema di meccanismi che delinea i diritti ed i
comportamenti dei soggetti portatori di interessi specifici, e degli organi in cui
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essi sono rappresentati. Tale sistema ha, fra i suoi scopi, il fine di ridurre i costi di
agenzia e di transazione esistenti fra i suddetti soggetti (MACEY, 1998).
In sintesi la responsabilità e i processi relativi all’assunzione di decisioni
definiscono l’assetto strutturale e i processi di sviluppo delle aziende.
Figura n. 1 - Mappa concettuale di sintesi.
1.1. Separazione tra proprietà e controllo
L’origine della questione sulla corporate governance è ricondotta alla
cosiddetta separazione tra proprietà, rappresentata dagli azionisti, e controllo,
esercitato dai manager a cui è delegata la gestione dell’impresa. Come già nel
1776 osservava Adam Smith, se chi gestisce un’impresa è soggetto diverso da chi
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la possiede è lecito sospettare che i manager, amministrando denaro altrui, non
mettano lo stesso impegno con il quale amministrerebbero il proprio. Ancora oggi
molte grandi imprese presentano questa disgiunzione; si tratta delle public
companies, ossia grosse società per azioni in cui ciascun azionista possiede una
frazione minima del complessivo capitale. Proprio a causa della frammentazione
del possesso del capitale, gli azionisti non sono in grado di esercitare di fatto il
potere insito formalmente nella loro posizione.
In termini più formali, la separazione tra proprietà e controllo dà luogo a
un rapporto di agenzia tra colui che delega (principale), ossia gli azionisti, e il
delegato (agente), ossia il manager.
Nelle economie moderne la discrezionalità dei manager è vincolata da una
serie di regole sancite dalle norme di legge, dallo statuto delle società, dai
contratti di debito bancario al fine di tutelare gli interessi dei finanziatori. Dalle
scelte di indirizzo strategico alla quotidiana gestione degli affari, il manager si
trova spesso in situazioni in cui non è vincolato ad alcuna clausola contrattuale; è
questa una situazione contemplata dalla teoria economica, che prende il nome di
incompletezza contrattuale. Il motivo principale è che i contratti non possono
contenere clausole relative a tutte le possibili situazioni future, e questo obbliga ad
assegnare ai manager i diritti residuali di controllo visti gli ampi margini di
discrezionalità.
Nessun piccolo azionista, dunque, è in grado di controllare direttamente
l’operato del manager, non essendo né qualificato né incentivato a farlo,
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reputando ininfluente il proprio comportamento
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. Gli azionisti così come i
creditori, se pure non hanno il potere di decidere, vantano diritti sulla ricchezza
generata dall’impresa: per il primo si tratta di dividendi eventualmente distribuiti,
per il secondo degli interessi e del rimborso del capitale. Il problema della
corporate governance può quindi essere riformulato in termini di disgiunzione tra
diritto di prendere le decisioni sulla gestione aziendale e diritto sul flusso di cassa
prodotto dall’impresa, che spetta ai creditori prima e, in via residuale, agli
azionisti.
1.2. Global corporate governance
L’evoluzione del contesto ambientale in cui le imprese si muovono ha
condotto verso l’integrazione, e quindi una armonizzazione minima, dei principi
contabili nazionali, dei principi di revisione contabile e delle regole di
governance. Nel complesso questo dovrebbe costituire un insieme di norme
deontologiche, sottostanti i comportamenti di coloro che costituiscono l’organo di
governo economico dell’impresa chiamati a creare valore per gli stakeholders e
gli shareholders.
Le cosiddette global corporate govenance rules presiedono:
ξ alle modalità con le quali si assumono le decisioni al fine del
raggiungimento dell’oggetto sociale;
ξ il bilanciamento di tali obiettivi con le aspettative e le esigenze
dell’ambiente in cui opera la società;
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Questo fenomeno è noto come free riding.