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1. Discriminazione di primo grado: consiste nell'applicare a ogni cliente il
relativo prezzo di riserva, cioè il prezzo massimo che egli è disposto a pagare per
ogni unità di prodotto. Questa è anche detta discriminazione perfetta di prezzo.
2. Discriminazione di secondo grado: consiste nell'applicare prezzi unitari diversi
a seconda della quantità consumata del bene; i prezzi quindi non dipendono
dall'identità dei consumatori ma piuttosto dalla quantità consumata, inducendo
così ad un'auto-selezione da parte del consumatore (es. tariffe aeree, tariffe
telefoniche, tariffe dei servizi di pubblica utilità, ecc.); questo fenomeno è anche
detto determinazione non-lineare dei prezzi.
3. Discriminazione di terzo grado (nota anche come segmentazione del mercato):
il venditore dispone di informazioni sui comportamenti dei consumatori e di
conseguenza può stabilire prezzi diversi in funzione di tali caratteristiche, come
nel caso dell’accesso alla proiezione di spettacoli cinematografici a prezzi
differenti per studenti e anziani. Questa è la forma di discriminazione più
comune.
Tale distinzione tra i diversi gradi non è peraltro tassativa, potendosi avere senz’altro situazioni in
cui strategie discriminatorie del secondo e del terzo tipo si intreccino tra loro.
Da un punto di vista economico la possibilità di operare sul mercato attraverso meccanismi di price
discrimination produce effetti proporzionalmente positivi per il venditore: quanto più è in grado di
discriminare (al limite fino alla soglia del raggiungimento di una discriminazione c.d. perfetta come
quella di primo grado), tanto più è in grado di accaparrarsi l’intero surplus del consumatore, ovvero
la somma massima che il consumatore è disponibile a pagare per un dato bene o servizio pur di non
essere privato della sua disponibilità. Appropriarsi della rendita del consumatore e convertirla in
profitto addizionale per l’impresa è l’obiettivo principale di qualsiasi strategia di prezzo.
Ovviamente effetti positivi non mancano neanche per i consumatori: quanto più un venditore è in
grado di discriminare i prezzi, tanto meno corrono il rischio di vedersi fissare un prezzo superiore a
quello massimo che sono disposti a pagare per un bene o servizio di cui desiderano godere.
E’ evidente però, a questo punto, che in un mercato reale la possibilità di ottenere una situazione
ottimale, in cui il venditore riesce ad acquisire l’intero surplus del consumatore ed il consumatore
riesce a pagare esattamente il prezzo che è disposto a spendere per ogni bene o servizio, non è
concepibile poiché essa richiederebbe, o la perfetta conoscenza da parte del venditore del prezzo
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che ogni singolo consumatore è disposto a pagare per un dato bene o servizio, o la necessità di
ricorrere a singole contrattazioni di prezzo con ogni utente coinvolto nell’acquisto, ipotesi entrambe
poco realistiche in una società come quella odierna dove gli scambi si susseguono a ritmo
vertiginoso. Gli effetti sul benessere di ogni grado di discriminazione saranno approfonditi grazie a
modelli economici.
Da quanto analizzato sinora, si possono derivare i principali dilemmi implicati dalla price
discrimination:
- il dilemma tra efficienza economica (che è garantita dalla discriminazione perfetta) e
benessere dei consumatori (che è più alto con prezzi uniformi);
- il dilemma tra equità (che è garantita con prezzi uniformi) e l'obiettivo di rendere il bene
accessibile a quanti più consumatori possibile (che è raggiunto con perfetta
discriminazione).
Una tecnica che produce effetti simili alla discriminazione di prezzo di primo grado è la tariffa a
due componenti (entrambe esposte nel capitolo I). In questo caso, i clienti devono pagare in anticipo
un prezzo base ( o “di entrata”) per avere successivamente il diritto di acquistare una certa quantità
del bene prodotto, e quindi un prezzo variabile, a seconda dell’esatto ammontare acquistato.
La discriminazione di secondo grado e quella di terzo grado sono gli argomenti dei capitoli II e III.
In quel che segue, verranno analizzati tre tipi di discriminazione: quella spaziale, quella temporale e
quella qualitativa in cui il metodo di discriminazione utilizzato dall’impresa è, rispettivamente, la
località in cui il bene viene venduto, il periodo temporale in cui il prodotto viene immesso sul
mercato e la qualità del prodotto.
Nel capitolo V, come ultimo argomento, verrà trattato l’atteggiamento dell’ Autorità Antitrust
comunitaria verso le pratiche discriminatorie, quasi sempre da questa vietate a causa della loro
natura anticoncorrenziale.
Poiché tutto questo lavoro è svolto assumendo un regime di monopolio, per ragioni di completezza,
verrà illustrato brevemente, nel paragrafo successivo cosa si intende per monopolio e potere di
mercato e quali sono gli effetti che tale forma di mercato ha sul benessere sociale.
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Monopolio e potere di mercato
Poiché il presupposto della discriminazione di prezzo è un mercato monopolistico in cui il
monopolista detiene un certo potere di mercato, mi è sembrato utile fornire una breve spiegazione di
tali concetti.
Il monopolio è una forma di mercato in cui esistono rilevanti barriere all'entrata e l'informazione e
la scelta produttiva sono dominio di un'unica impresa che ha, come limite ai suoi comportamenti, le
sole reazioni dei consumatori. Si parla di potere di mercato quando l’impresa o le imprese che
operano su un mercato individualmente influenzano il prezzo del bene o servizio con le proprie
decisioni.
La differenza fondamentale tra monopolio e concorrenza perfetta consiste nella elasticità della
domanda dell’impresa rispetto al prezzo di mercato:
ξ in concorrenza perfetta l’impresa fronteggia una funzione di domanda ad elasticità infinita
(la curva di domanda dell’impresa è orizzontale);
ξ in monopolio il monopolista ha di fronte una domanda inclinata negativamente,
corrispondente alla curva di domanda di mercato, con un valore finito dell’elasticità.
La quantità scambiata in equilibrio, in un mercato monopolistico, è minore rispetto a quella
scambiata in un mercato concorrenziale (
CM
qq ) e il prezzo del bene è superiore (
CM
pp ! ). Il
monopolista produce l’intera offerta del mercato Qq
i
, quindi ha il pieno controllo sulla quantità
di prodotto offerta sul mercato.
In condizioni di monopolio, l’equilibrio è rappresentato da quella quantità e quel prezzo che
massimizzano il profitto del monopolista:
*
0max1
imm
i
iii
q
qCR
dq
d
qCqqp
i
Σ
Σ
Ciò corrisponde a imporre l’uguaglianza tra il ricavo marginale e il costo marginale dell’impresa. Il
prezzo lo si legge sulla curva di domanda, in corrispondenza della quantità di monopolio (Figura 1).
A differenza della concorrenza perfetta, in monopolio la curva di domanda (che coincide con la
curva di ricavo medio) è superiore alla curva di ricavo marginale. Infatti, se si riduce di un
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centesimo di euro il prezzo, questo non diminuisce solo sull’ultima unità (al margine) ma su tutte le
unità vendute. Se la curva di domanda è lineare, si dimostra che la curva di ricavo marginale ha la
stessa intercetta verticale ma una pendenza doppia rispetto alla curva di domanda inversa
(l’intercetta orizzontale della curva del ricavo marginale è la metà dell’intercetta orizzontale della
curva di domanda).
Ma come fa un’impresa a fissare il prezzo nella pratica e, di conseguenza, a stabilire quanto offrire?
Esiste una regola empirica frequentemente applicata nella pratica.
Dato il ricavo totale qqpR e il costo totale C(q), dalla condizione di ottimo (che corrisponde
all’uguaglianza tra ricavo marginale e costo marginale) si ottiene la seguente regola empirica:
q
qC
qpqCR
q
qC
qC
qp
p
q
q
p
qp
q
p
qp
q
R
R
mm
m
m
ω
ω
≈
…
≡
↔
←
♠
ω
ω
≈
…
≡
↔
←
♠
≈
…
≡
↔
←
♠
ω
ω
ω
ω
ω
ω
Η
Η
1
1
,
,
1
112
Dalla quale si ricava che:
Η Η
Η Η
1111
4
11
3
qC
poppure
qC
p
p
qCp
oppure
p
qCp
mm
mm
dove ε indica l’elasticità della domanda rispetto al prezzo
1
.
Dato che il potere monopolistico consiste nella capacità di praticare un prezzo superiore al costo
marginale, la (4) evidenzia come il prezzo praticato dal monopolista sia superiore al costo
marginale di un ammontare inversamente proporzionale all’elasticità della domanda al prezzo:
1
L’elasticità della domanda è il grado con cui la domanda reagisce ad una variazione del prezzo. Il coefficiente di
elasticità in funzione del prezzo è dato dal rapporto fra la variazione relativa della quantità domandata e la variazione
relativa del prezzo:
p
p
q
q
d
∋ ∋
Η
.
10
quanto più la domanda dell’impresa è anelastica, tanto maggiore è il suo potere monopolistico.
Risulta anche evidente la ragione per cui il monopolista non opera mai nel tratto anelastico della
curva di domanda, cioè nel tratto in cui 1 Η . Quando 1 Η , infatti, il ricavo marginale è
negativo, come si evince dalla (2).
Dalla (3) si può notare come il ricarico o markup sul costo (in percentuale rispetto al prezzo) sia
uguale al reciproco dell’elasticità della domanda, preso con segno negativo. Il mark-up misura di
quanto il monopolista è in grado di incrementare il prezzo di vendita rispetto al costo marginale;
esso è tanto più elevato quanto più la domanda è rigida e tanto più basso quanto più la domanda è
elastica. Tale espressione, detta anche Indice di Lerner, ci indica che la politica di prezzo ottimale
del monopolista è quella per cui egli fissa un prezzo tanto più alto quanto più bassa è l’elasticità
della domanda; e, inoltre, misura la distorsione del prezzo del monopolista oltre il livello del costo
marginale; essa, quindi, rappresenta un indice del potere di mercato.
Prezzo
Quantità
pM
pC
qM qC
S
C
E
B
D
F
H
D
A
G
Rm
Poiché in regime di monopolio
CM
qq e
CM
pp ! , la presenza di un’unica impresa con potere di
mercato impone un costo alla società, visto che meno consumatori acquistano il bene e quelli che
possono acquistarlo lo pagano di più. Pertanto, ci si può aspettare che il potere di monopolio apporti
un danno ai consumatori e un vantaggio alle imprese.
Figura 1
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Alcuni consumatori continueranno a consumare il bene a un prezzo più alto (subendo una perdita
corrispondente all’area AHED), altri non potranno più acquistarlo perché il prezzo di monopolio è
superiore al loro prezzo di riserva (subendo una perdita pari all’area HCE).
Ne consegue, che la perdita totale per il consumatore è data dall’area ADEC. D’altro lato, il
monopolista venderà il prodotto a un prezzo più alto, ottenendo un guadagno addizionale pari
all’area del rettangolo AHED, ma perderà il profitto derivante dalla vendita di un numero maggiore
di unità (
mc
qq ) al prezzo di concorrenza perfetta (
c
p ) corrispondente all’area HCF.
Pertanto, dato che il benessere sociale complessivo può essere misurato come somma del surplus
dei consumatori e di quello dei produttori, in regime di monopolio si genera una perdita sociale
netta. La perdita netta derivante dal potere monopolistico è pertanto rappresentata dall’area del
triangolo ECF che misura il costo c.d. “sociale” in termini di minore benessere derivante dalla
riduzione della produzione, esso è pari alla somma delle differenze tra valore e costo marginale per
ogni unità di bene, che verrebbe prodotta in regime di concorrenza ma che non viene prodotta in
regime di monopolio.
Le legislazioni antitrust hanno, appunto, il compito di promuovere e intensificare la concorrenza
rendendo più difficile far sorgere o esercitare un potere di monopolio il quale è colpevole di creare
un costo sopportato dalla società a cui corrispondono, invece, gli extraprofitti del monopolista.
Tuttavia, abbiamo visto che un monopolista produce in corrispondenza di un livello inefficiente di
output perché lo riduce fino al punto in cui i consumatori sono disposti ad acquistarne un’unità
addizionale ad un prezzo superiore al suo costo di produzione. La perdita del monopolio deriva dal
fatto che il monopolista non intende produrre questo output addizionale perché ciò farebbe
diminuire il prezzo di tutta la produzione.
Se il monopolista potesse vendere diverse unità di output a prezzi diversi allora le cose
cambierebbero e si potrebbe raggiungere il livello di produzione efficiente. Questa soluzione è
proprio la discriminazione dei prezzi.