II
svolto e dei risultati emersi.
considerazione ad esso concessa sia costantemente aumentata. Dalla letteratura (Cascio
& Arguinis, 2008) risulta che gli articoli scientifici su clima, cultura e cittadinanza
organizzativa, cosi come quelli su job satisfaction, work attitudes, involvement e
commitment, rientrino tra quelli più pubblicati all’interno del prestigioso Journal of
Applied psychology, nel periodo 2003-2007. Sempre all’interno dello stesso giornale, la
percentuale di articoli pubblicati
1
, riguardanti clima, cultura e cittadinanza
organizzativa, è cresciuta continuamente a partire dagli anni novanta. Tutto questo per
sottolineare l’importanza e l’attualità degli argomenti che ci accingiamo a trattare.
Questo lavoro si inserisce all'interno dei contributi all'analisi del costrutto di clima
organizzativo, rispetto a uno specifico contesto, e alle sue possibili relazioni con altri
costrutti presenti in letteratura. Esso si articolerà in tre parti. Nella prima parte verrà
effettuata una trattazione teorica del costrutto di clima organizzativo, innanzitutto
attraverso un’analisi storica delle origini e delle definizioni del costrutto, dagli anni ’60
fino ai giorni nostri. Verranno poi evidenziate le principali tipologie di approccio
teorico (strutturale, percettivo, interattivo, e culturale), sottolineandone le
caratteristiche, i vantaggi e i limiti. Saranno inoltre analizzate le differenze con il clima
psicologico e i momenti e gli strumenti più idonei per effettuare un'analisi del clima
organizzativo e sarà valutato lo stato dell’arte sul clima organizzativo, passando in
rassegna una serie di articoli scientifici recenti. Nella seconda parte saranno affrontati
alcuni costrutti di interesse e valutate le loro possibili relazioni con il clima
organizzativo, mentre nella terza parte verrà presentata una ricerca, effettuata presso
un’associazione di categoria di una provincia toscana, e le fasi che l’hanno
caratterizzata. Tale indagine aveva lo scopo di analizzare diverse variabili psico-sociali
che caratterizzano il contesto lavorativo: il clima organizzativo (CO), la soddisfazione
lavorativa (SL), l’identificazione organizzativa (IO), il commitment organizzativo (OC)
e la performance lavorativa (PL.)
2
. E’ stata indagata la relazione tra questi costrutti, che
sono anche stati posti in relazione con variabili socio-organizzative quali l’età, il titolo
di studio, il tipo di contratto di lavoro, l’inquadramento contrattuale, l’anzianità di
servizio in azienda, la società di appartenenza e la presenza o meno di un rapporto
diretto con l’utenza. Nella conclusione si tenterà di delineare una sintesi del lavoro
1
Da un 1.3% nel periodo 1993‐1997, a un 3.3 % nel periodo 1998‐2002, a un consistente 7.2 % nel
periodo 2003‐2007.
2
Verrano d'ora innanzi utilizzate tali sigle nel resto del lavoro.
1
1. Clima organizzativo
1.1 Storia e definizioni del clima organizzativo
Molteplici sono le definizioni proposte da vari autori riguardo al concetto di CO e,
come si potrà notare, esse non sono quasi mai coerenti tra loro e non forniscono delle
chiare linee guida per la misura e la costruzione di una teoria unitaria (Glick, 1985). Si
cercherà qui di fornirne una breve rassegna in ordine cronologico.
Vige ormai un certo consenso, tra gli studiosi che si interessano di CO, nell'indicare
nelle ricerche condotte da Lewin sulla dinamica di gruppo, la matrice originaria di
questo tipo di studi (Glick, 1985; Quaglino & Mander, 1987; Mestitz, 1987). Egli, con
la sua “teoria del campo”, elaborata negli anni '30, che tanto ha influenzato la psicologia
sociale, concepisce la persona e l'ambiente come un unico insieme di fattori
interdipendenti che si influenzano a vicenda. Lewin sintetizza questo concetto nella
formula C = f (A, P), in cui C, cioè il comportamento umano, risulta una funzione (f)
della persona (P), con le sue caratteristiche e dell'ambiente (A) in cui la persona agisce.
Per quest’autore, il campo psicologico (o spazio di vita), è una rappresentazione che
l'individuo si forma dell'ambiente e di se stesso in esso, così come viene percepito in un
determinato momento. Inoltre lo spazio di vita non assume solo una dimensione
individuale ma è possibile parlare del campo in cui esistono un gruppo, un'istituzione o
un'organizzazione. Quindi Lewin aveva già intuito come fosse possibile “misurare”
l'atmosfera psicologica in una struttura. Il concetto di clima sociale viene introdotto da
Lewin, Lippit e White e compare per la prima volta nel 1939 in una loro pubblicazione
dal titolo “Patterns of aggressive behaviour in experimentally create social climate”, in
seguito alle osservazioni dei fenomeni prodotti da differenti stili di leadership nei gruppi
e nei vissuti interpersonali. Lewin indica le condizioni di tipo psico-sociale che si
vengono a creare nei gruppi con il concetto di “atmosfera”: “L'atmosfera è qualcosa
d'intangibile, una proprietà della situazione sociale complessiva, e potrà essere valutata
scientificamente se verrà valutata da questo punto di vista” (Lewin 1980, p.114).
La prima definizione completa di CO viene fornita da Forehand e Gilmer (1964): "Un
set di caratteristiche che descrivono un'organizzazione e che la distinguono da altre
organizzazioni, sono relativamente durature nel tempo e influenzano il comportamento
2
degli individui.". Questa definizione rientra nel primo di due approcci che James e
Jones (1974) hanno individuato rispetto alle fasi iniziali di studio del clima (si veda il
paragrafo 2.2.1). Questi due approcci condividevano la visione del clima come
caratteristica o attributo dell’organizzazione nel suo complesso ma si diversificavano
dove il primo, in cui rientra la definizione sopraccitata, utilizzava indicatori oggettivi
multipli del clima come attributo organizzativo mentre il secondo faceva uso di misure
percettive di un attributo organizzativo. In questo secondo approccio rientra la
definizione di Campbell, Dunnette, Lawler e Weick (1970; in James & Jones, 1974),
che parlano del clima organizzativo come “un insieme di attributi specifici di una
particolare organizzazione, che possono essere dedotti dal modo in cui l’organizzazione
si rapporta ai propri membri e al proprio ambiente. Per ogni lavoratore, membro
dell’organizzazione, il clima prende la forma di una serie di atteggiamenti e di
aspettative che descrivono l’organizzazione in termini di caratteristiche statiche (come il
livello di autonomia), di conseguenze comportamentali e dei relativi risultati”.
Facendo un breve passo indietro, Tagiuri e Litwin, nel 1968 (in Gould-Williams, 2007),
parlano del CO come “della qualità, relativamente duratura, dell’ambiente interno di
un’organizzazione che (a) è percepita dai suoi membri; (b) influenza i loro
comportamenti; (c) può essere descritta come il risultato di un particolare set di
caratteristiche dell’organizzazione.” Schneider e Hall (1972), con il termine CO, si
riferiscono ad una “percezione globale che gli individui hanno nei confronti del loro
ambiente organizzativo” mentre per Pritchard e Karasick (1973) si po’ parlare di
“qualità relativamente duratura di un ambiente interno all'organizzazione, che la
distingue da altre organizzazioni e che emerge dal comportamento e dalle politiche dei
suoi membri, è percepito dagli stessi membri dell’organizzazione, serve all'analisi ed
all'interpretazione della situazione, agisce come fonte di pressione nell'espletamento
dell'attività”.
Si possono poi menzionare Joyce e Slocum, che nel 1979 hanno definito il CO come
“descrizione collettiva dell'ambiente, misurata attraverso la media delle percezioni dei
membri dell'organizzazione”. Si tratta di “aggregati di aspettative e credenze,
organizzati attorno a questioni che riguardano i loro membri” per Poole e McPhee
(1983), mentre per DuBrin (1984) il CO “è un'astrazione. La sua realtà dipende da come
esso viene percepito dagli individui ed ha influenza sui comportamenti”.
Glick, nel 1985, sostiene che il CO è un “termine generico per riferirsi ad un’ampia
classe di variabili, organizzative più che psicologiche, che descrivono il contesto
organizzativo per l’azione individuale”. Spaltro, sempre nel 1985, sottolinea
3
l’importanza del gruppo nella creazione del CO (“È il modo con cui il singolo
individuo, sotto l'influenza del suo, o dei suoi, gruppi d'appartenenza, percepisce
l'organizzazione”) mentre James e James (1989; Burke, Borucki & Hurley, 1992)
utilizzano il termine work-climate in riferimento “alle valutazioni o gli appraisals
cognitivi degli attributi dell'ambiente nei termini in cui queste acquisiscono significato e
significatività per l'individuo”.
Andando verso definizioni sempre più recenti, incontriamo quella di Quaglino, Cortese
e Ronco (1995; in Quaglino 1999), che parlano di “una valutazione delle qualità delle
relazioni interne” e quella di Deninson (1996, Gould-Williams, 2007), secondo cui il
CO “riguarda quegli aspetti dell’ambiente sociale che sono percepiti coscientemente dai
membri dell’organizzazione”.
Una delle più esaustive ma, allo stesso tempo, sintetiche, è stata proposta da Marocci e
Pozzi (Majer & Marocci, 2003), che lo definiscono come un “costrutto psicologico che
si riferisce a percezioni molari sviluppate dalle persone nei riguardi del proprio
ambiente di lavoro”.
Ancora, Burton, Lauridsen e Obel (2004; in Gould-Williams, 2007) definiscono l’OC
come “l’atteggiamento collettivo dei lavoratori nei confronti della propria
organizzazione” e Stone (2005; in Stone, Mooney-Cane, Larson, Pastor, Zwanziger &
Dick, 2007), parlando di CO, fa riferimento alle “percezioni dei lavoratori riguardo le
caratteristiche della loro organizzazione, quali, ad esempio, come vengono prese le
decisioni, la leadership e le norme”.
D’Amato e Majer (2006) parlano del CO come de “l’insieme delle politiche, pratiche e
procedure condivise e riconosciute all’interno delle organizzazioni lavorative”. Sempre
i due autori italiani: “Si tratta di cognitive appraisal (valutazioni cognitive) delle
priorità dell’azienda, che hanno il potere di orientare il comportamento dell’individuo,
del gruppo e dell’organizzazione nel suo complesso”. Infine, Dawson, Gonzalez-Romà,
Davis, West, (2008) affermano che il CO è “un fenomeno complesso, multilivello e
multidimensionale, che deriva dalle percezioni dei lavoratori riguardo alle loro
esperienze all’interno di un’organizzazione, stabile nel tempo e largamente condiviso
all’interno di un’unità organizzativa”.
Come si può notare anche dagli esempi appena riportati, le definizioni cambiano in
relazione agli aspetti su cui gli autori si focalizzano e all'approccio in cui si inquadrano i
loro lavori. Nel paragrafo seguente verranno analizzati brevemente quelli che sono stati
gli approcci che hanno caratterizzato la storia del clima organizzativo.
4
1.2 Gli approcci teorici
1.2.1 L'approccio strutturale
I primi approcci, anche in senso cronologico, allo studio del clima, sono quelli definiti
strutturali. Questi ritengono il clima una caratteristica o un attributo oggettivo, che
deriva da aspetti oggettivi dell'organizzazione e che esiste indipendentemente dagli
individui e dalle loro percezioni, le quali sono solamente una conseguenza della
struttura organizzativa. In pratica il clima è determinato dalla struttura organizzativa e
può venire solo colto, ma non modificato, dalle percezioni individuali.
In letteratura si possono rintracciare critiche importanti ai datati approcci strutturali. La
prima è che non sono in grado di spiegare quegli studi in cui emergono climi differenti
all'interno della stessa organizzazione, pur essendo i fattori strutturali condivisi da tutta
l'organizzazione (Moran & Volkwein, 1992). In secondo luogo dovrebbe essere
riscontrabile una relazione significativa tra il clima organizzativo e le caratteristiche
strutturali, che però emerge come inconsistente dalla letteratura (Berger & Cummings,
1979; in Majer & Marocci, 2003). Un altro problema nasce dal fatto che in questo
approccio si ritiene che i lavoratori siano in grado di percepire con grande accuratezza e
obiettività i fattori strutturali, senza tenere in considerazione l'impatto soggettivo che
essi possono avere su individui diversi in situazioni diverse (Bhagat & McQuaid, 1982;
in Majer & Marocci, 2003). Infine non vengono per niente presi in considerazione i
processi interpretativi all'interno dei gruppi dove gli individui interagendo danno
significato a quello che gli circonda e condividono la medesima cultura organizzativa.
1.2.2 L’approccio percettivo
Questo approccio, anche detto “percettivo/psicologico”, colloca la nascita del clima
all’interno dell’individuo. Gli individui interpretano e rispondono alle variabili
situazionali in modo soggettivamente significativo; il clima è osservato a livello
individuale e viene definito come una “descrizione della situazione basata sulla
percezione e interpretata psicologicamente” (James, Hater, Gent & Bruni, 1978).
La critica che viene più frequentemente mossa a questo approccio riguarda il fatto che è
parziale, teorizzando la nascita del clima all’interno del singolo individuo e
precludendo quindi la possibilità di formulare una teoria più ampia e comprensiva.
Inoltre, come anche nell’approccio strutturale, l’individuo è considerato passivo nei
confronti del clima, in quanto vengono ignorate le interazioni tra i membri
5
dell’organizzazione, che sono invece il luogo dove vengono, per la maggior parte,
costruiti i significati. Come dimostrato dalla “psicologia culturale” (Bruner, 1992), gli
individui cambiano in risposta all’ambiente ma mettono anche in atto molti sforzi per
modificarlo, a livello dei significati che gli attribuiscono e, conseguentemente, anche
delle azioni che vi agiscono. Nelle teorie organizzative più recenti è ampiamente
accettato che l’interazione all’interno dei gruppi produca attivamente l’ambiente.
1.2.3 L'approccio interattivo
Il concetto base di questo approccio è che le persone, trovandosi davanti alle situazioni
e rispondendovi, interagiscono gli uni con gli altri e questi scambi conducono ad un
accordo condiviso, che diviene l'origine del clima. In qualche modo le percezioni
individuali (enfatizzate dall'approccio percettivo) e le condizioni organizzative
(enfatizzate dall'approccio strutturale) si uniscono, si mischiano e prendono nuove
forme condivise nell'interazione gruppale, dando origine al clima organizzativo.
Diviene qui centrale il concetto di “comunicazione”, che, come dimostrato da alcune
ricerche empiriche (Gordon & Cummins, 1979; Welsch & LaVon, 1981; O'Driscoll &
Evans, 1988; in Majer & Marocci, 2003), è la parte più importante nella formazione del
clima.
Il limite maggiore di questo approccio è che esso non spiega adeguatamente come il
contesto sociale influenza gli scambi e le interazioni in cui si costruisce il significato,
poiché è evidente che gli individui non formino le loro percezioni comuni dal nulla ma
esistono delle basi, delle “fondamenta” su cui si esse reggono. Le interazioni sono già
fortemente incanalate e regolate nei loro significati più profondi (e spesso non
consapevoli) dalla cultura organizzativa, cioè da elementi quali i valori, le norme, gli
assunti e i miti che circolano nel contesto organizzativo.
1.2.4 Differenze tra clima e cultura: l’approccio culturale
Questo approccio, come il precedente, pone il fuoco dell’attenzione sull’interazione tra i
membri dell’organizzazione, ma, in più, sottolinea il peso che la cultura ha nella
formazione dei processi che danno vita al clima.
Spesso i concetti di clima e cultura vengono confusi ed usati come sinonimi e questo è
imputabile principalmente all’assenza di un’adeguata e condivisa definizione dei due
costrutti da parte dei ricercatori. Il concetto di cultura organizzativa è si da considerare
come confinante e strettamente legato a quello di clima, ma si tratta comunque di due
6
costrutti differenti.
Secondo Geetrz (1973; in Majer & Marocci, 2003) la cultura è essenzialmente “la
fabbrica del significato, cioè il modo in cui gli esseri umani interpretano le loro
esperienze e guidano le loro azioni”.
Secondo Denison (1996; in Patterson et al., 2004) la cultura si riferisce alle strutture più
profonde di un’organizzazione mentre il clima concerne prevalentemente quegli aspetti
dell’ambiente sociale percepiti consciamente dai membri dell’organizzazione. Per Poole
(1985; in Gould-Williams, 2007), “il clima è il sostituto empirico del più ricco termine
“cultura”, in quanto il CO è spesso visto come un concetto quantificabile mentre la
cultura è più qualitativa e meno tangibile”.
Moran e Volkwein (1992), sostenitori dell’approccio culturale, ritengono che le
condizioni organizzative siano i punti di partenza su cui si basano le percezioni
individuali, che sono moderate dalla personalità e dalla struttura cognitiva di colui che
percepisce. Queste percezioni si trasformano nelle interazioni tra gli individui, tendono
a diventare comuni e vanno a influenzare direttamente il clima organizzativo che è
influenzato anche dalla cultura organizzativa, la quale è in grado di moderare
direttamente la creazione sia le percezioni individuali che i processi inter-soggettivi. La
cultura è concettualizzata come un contenitore che incanala il clima fornendogli una
forma precisa. Sempre Moran e Volkwein (1992): “Il clima organizzativo è una
reazione che un gruppo di individui in interazione tra loro danno, informati e costretti
da una comune cultura organizzativa, alle contingenze ambientali interne ed esterne di
un’organizzazione”.
In definitiva, mentre la cultura emerge come un concetto più ampio e stabile, il clima è
un costrutto più di gruppo, ha una dimensione più locale ed è relativamente mutevole.
Esso descrive meglio le differenze riscontrabili all’interno di una stessa organizzazione,
riguarda gli atteggiamenti mentali ed è più superficiale e più facilmente accessibile
(Alvesson & Berg, 1993). Il clima è una proprietà prevalentemente di gruppo mentre la
cultura è una proprietà dell’intera dimensione organizzativa, all’interno della quale si
possono anche riscontrare diversi climi di gruppo. Il clima si esprime nei gesti, nelle
espressioni quotidiane, negli atteggiamenti dei lavoratori, mentre la cultura è più
sfuggente, è qualcosa che viene percepito nell’aria, un insieme di assunti non detti ma
presenti, impliciti nell’organizzazione (James et al., 2008).
Così come la cultura influenza il clima è possibile ipotizzare anche che le variabili di
contesto più superficiali (i climi) influenzino il livello di astrazione più profondo (la
cultura) e quindi sia possibile che interventi o modificazioni dei climi organizzativi