– –
6
catalizzerà la sua attenzione in particolar modo nelle opere della maturità. A tutto questo si deve
aggiungere che egli respirava il clima culturale del suo tempo: non vi era una chiara distinzione tra
filosofia e teologia tanto che il rapporto tra “fides” e “ratio” non trovava soluzioni soddisfacenti.
Nell’aprile 1826 lasciò Berlino per trasferirsi a Erlangen, ove si addottorò nella locale
università con una dissertazione dal titolo De infinitate, unitate, atque communitate rationis: in
essa, Feuerbach asseriva che tutti gli uomini sono dotati della facoltà di pensare ed è proprio la
ragione che unisce gli uomini in un legame avente valenza universale. Interessante notare il sapore
hegeliano (ma fino a un certo punto) della tesi, come osserva giustamente U. Perone: «l’elemento
hegeliano di questa tesi consiste soprattutto nel modo in cui essa è raggiunta […] Feuerbach infatti
mira a mostrare l’identità della coscienza individuale con la coscienza in quanto genere»
2
. Risulta
hegeliano sino a un certo punto, come accennato, poiché «si limita ad affermare l’identità di ciò che
egli stesso ha determinato come opposto»
3
, conservando così in stato di irrisolutezza una
condizione dialettica.
Il filosofo tedesco iniziò ufficialmente il suo incarico di docente a Erlangen nell’anno
accademico 1828-1829 e proseguì per un triennio, aspirando alla carica di professore straordinario,
tuttavia inutilmente. Ciò fece maturare in Feuerbach un progressivo rifiuto per l’attività accademica,
specie quando, nel 1837, si vide rifiutare per l’ennesima volta la sospirata carica; sposatosi
quell’anno con Bertha von Löw, decise di ritirarsi a vita privata nella campagna di Bruckberg,
contando sulla cospicua rendita lasciata dal padre.
Nel 1830 aveva pubblicato anonimamente i Pensieri sulla morte e l’immortalità: la tematica
della morte consente al filosofo tedesco di meditare sul concetto di individuo e di finito,
relazionandoli con il genere e l’infinito. In quegli anni pubblicò inoltre una serie di studi di storia
della filosofia: Geschichte der neueren Philosophie (1833), Leibniz (1837), Bayle (1838); sono
tutt’oggi note le Vorlesungen uber die Geschichte der Philosophie, tenute a Erlangen tra il 1835 e il
1836. Tutti questi studi appaiono interessanti poiché ci consentono di rilevare come, in Feuerbach,
le categorie di “necessità”
4
, “sistema”
5
e “sviluppo”
6
possano spiegare la storia della filosofia: è
palese in questo la presenza della matrice hegeliana.
Nel 1838 iniziò la collaborazione con gli «Annali di Halle»: gli avvenimenti politici del
tempo avevano spinto a qualificare la rivista come espressione dell’hegelismo di sinistra; per questo
2
Ugo Perone, Invito al pensiero di Feuerbach, Milano, Mursia, 1992, p. 30.
3
Ivi, p. 31.
4
Ivi, p. 44.
5
Ibidem.
6
Ibidem.
– –
7
tale rivista divenne ben presto bersaglio polemico di coloro che, in nome di Hegel difendevano la
religione dalle istanze razionalistiche.
In questo periodo, il filosofo pubblicò due scritti: Per la critica della filosofia hegeliana
(1839) e Filosofia e cristianesimo (1839). Nel primo, introduce i germi della futura critica a Hegel,
asserendo che quest’ultimo manca di un autentico rapporto con la realtà, in quanto si limita ad
operare continue classificazioni e differenziazioni, mentre la realtà conosce anche coesistenze; nello
specifico, si afferma che «Hegel è dunque il culmine di un processo, ma un culmine solo logico-
astratto»
7
, “Filosofia e cristianesimo” (1839). Nel secondo, sostiene l’inconciliabilità tra religione e
filosofia, soprattutto perché quest’ultima si presenta come un sapere scientifico e rigoroso, che parla
alla ragione, mentre la religione, basata sulla fede e sul miracoloso, parla all’animo, anche se la
teologia ha inutilmente tentato di dare una parvenza di razionalità alla fede. Si osserva peraltro, nel
saggio, come ricorda U. Perone, un continuo e febbrile tentativo da parte di Feuerbach, di
«sottomettere al vaglio del cristianesimo la verità della filosofia»
8
e non se ne comprende bene la
motivazione.
Nel 1841 esce L’essenza del cristianesimo, su cui mi soffermerò nel punto successivo, nella
quale si analizza la religione cristiana nella sua essenza. Anche negli scritti successivi, è possibile
rinvenire un’accezione del fenomeno religioso, in virtù della quale quest’ultimo sarebbe espressione
di una futura verità per l’uomo: è il nucleo del progetto feuerbachiano di un nuovo sapere che è
l’esatto opposto dell’Aufhebung hegeliana; infatti questo nuovo inizio si qualifica come una
Auflösung, in quanto, come osserva U. Perone, «avendo a che fare con lösen, sciogliere, implica un
portare, come nella chimica, un determinato elemento a una trasformazione che, togliendo il suo
stato precedente e trasformandolo in uno nuovo, ne sprigiona però talune proprietà […] infine ha
cura che il processo di trasformazione sia irreversibile»
9
. Nondimeno è necessario che, in
opposizione alla passata filosofia, entri in gioco il cuore, ossia il principio della sensibilità, al fine di
innescare un processo dialettico con l’intelletto: «la filosofia vera sarà la filosofia che pone al centro
del proprio interesse l’uomo nella sua interezza»
10
.
Nelle Tesi provvisorie per una riforma della filosofia e nei Principi della filosofia dell’avvenire,
opere pubblicate nel 1843, individua quelle che sono le basilari tappe della formazione di questa
nuova filosofia: una consiste nella dissoluzione religiosa ad opera del protestantesimo e l’altra, di
matrice teoretica, «è la dissoluzione razionale del Dio della religione in contenuto interno della
7
Ivi, p. 58.
8
Ivi, p. 65.
9
Ivi, p. 109.
10
Ivi, p. 110.
– –
8
ragione»
11
. In particolar modo (e qui si ritrova l’essenza delle presenti opere feuerbachiane), il
filosofo traccia un iter che ha il suo punto di partenza nella finitezza del reale al fine di riproporre
l’unità di “essere” e “pensiero”: in tal modo, il rapporto tra “soggetto” e “oggetto” assume una luce
nuova, vive di nuova vita e di nuovo splendore, in quanto, dal momento che «ciascuno è soggetto,
perché è anche oggetto agli altri»
12
, i pensieri del singolo possono essere pensati da altri,
contribuendo in tal modo a garantire l’unità tra la finitezza e determinatezza del soggetto e il
pensiero. La sensazione, propria dell’uomo in quanto consente all’uomo di toccare l’infinito, di
partecipare del divino, come ricorda U. Perone, «consente a Feuerbach la rivalutazione di un
pensare che si costituisce al di là della solitudine e che disegna una strutturale dimensione societaria
dell’uomo»
13
.
Nel 1844 il Nostro pubblica L’essenza della fede secondo Lutero, in cui intende radicare la
secolarizzazione all’interno della fede, avendo come esempio proprio il protestantesimo: punto
focale dell’esposizione è «l’individuazione, in Lutero e nella teologia protestante, di una dialettica
tra l’esteriorità della parola che chiama alla fede e l’interiorità del significato di essa per il
cristiano»
14
. Diversamente dal cattolicesimo, che tende a riconoscere maggiormente l’umanità, il
protestantesimo opta per una svalutazione, o meglio, negazione, della sfera umana, al fine, tuttavia,
di legarla saldamente a Dio per riscattarla. Nel Lutero, inoltre, viene mostrato «come l’ateismo sia
un prodotto immanente della religione»
15
.
Nel 1846 pubblica L’essenza della religione, in cui sposta il fulcro della sua analisi dall’uomo
alla natura: l’essenza di Dio è la natura stessa e il sentimento religioso nasce dalla dipendenza
dell’uomo dalla natura; nondimeno, «l’innalzarsi dell’uomo al di sopra della natura attraverso
volontà e intelligenza è all’origine del costituirsi di Dio come ente soprannaturale»
16
. Quale suo
ultimo intervento pubblico, dal 2 dicembre 1848 al 2 marzo 1849, nella sala del municipio di
Heidelberg, tiene le Lezioni sull’essenza della religione.
Già a partire dal 1848, diviene sempre più evidente il declino della produzione feuerbachiana,
nonché quello della sua importanza culturale. In questa fase, degni di nota sono gli scritti: Contro il
dualismo di corpo ed anima, carne e spirito (1846); La scienza della natura e la rivoluzione (1850);
Teogonia secondo le fonti dell’antichità classica, ebraica, cristiana (1857), in cui sviluppa le
considerazioni avanzate ne L’essenza della religione, ponendo al centro del discorso la dialettica tra
11
Ivi, p. 114.
12
Ivi, p. 122.
13
Ivi, p. 124.
14
Ivi, p. 133.
15
Ivi, p. 136.
16
Ivi, p. 147.
– –
9
“individuo” e “genere” e il sentimento di dipendenza dell’uomo dalla natura; Intorno allo
spiritualismo e al materialismo, particolarmente rispetto alla libertà del volere (1866).
Nello specifico, due sono le tematiche che compaiono, come osserva U. Perone, in questi ultimi
scritti: «la precisazione del sensualismo materialistico, inteso come rivendicazione dell’unità
dell’uomo, contro ogni forma, nascosta o esplicita, di dualismo»
17
e «il tentativo di costruire
un’etica della felicità»
18
, nella quale fondamentali sono le categorie di libertà, volontà, legge,
relazione con l’altro e sviluppo storico.
Nel 1867, Feuerbach è vittima di un attacco di trombosi da cui riesce a rimettersi, ma ne subisce
un altro tre anni dopo, dal quale esce gravemente menomato; muore il 13 settembre del 1872, dopo
lunghe sofferenze. Le sue spoglie mortali furono inumate nel cimitero di Norimberga.
L’essenza del cristianesimo
In quest’opera, pubblicata, come si è detto, nel 1841, Feuerbach intende analizzare la religione
cristiana considerandola puramente nella sua essenza: questo è uno dei due termini basilari
dell’opera (l’altro appunto è genere), senza i quali non è possibile comprendere appieno il discorso
che Feuerbach sviluppa attorno al cristianesimo. E’ un termine che va inteso nella sua derivazione
hegeliana ed è indice dell’intenzione dell’autore di «cogliere nelle manifestazioni storiche della
religione il loro contenuto permanente, la loro essenza»
19
. C’è tuttavia da rilevare che il termine
Wesen assume anche il significato di “esistenza”, segno palese che detta espressione, come
sottolinea U. Perone, può coprire un range di significati «che va dal particolare finito dell’esistenza
concreta fino all’universale e al permanente del concetto di essenza»
20
. L’altro termine basilare
dell’opera è appunto genere, sempre di chiara e confermata derivazione hegeliana; in particolare,
«la coppia terminologica Wesen [essenza] / Gattung [genere] riconferma una costante
dell’atteggiamento feuerbachiano: quello di impadronirsi di una terminologia e di una problematica
consolidate, per forzarle in una direzione che ne mostri il “vero” contenuto»
21
.
Si riscontra altresì nel discorso feuerbachiano sul cristianesimo una «duplicità di affermazione e
negazione»
22
, di cui fa fede principalmente la suddivisione dell’opera in una pars construens (nello
specifico, la parte prima del testo, intitolata «La religione nel suo accordo con l’essenza
17
Ivi, p. 159.
18
Ivi, p. 163.
19
Ivi, p. 75.
20
Ibidem.
21
Ivi, p. 76.
22
Ivi, p. 77.
– –
10
dell’uomo»
23
) e in una pars destruens (la seconda parte dello scritto, dal titolo «La religione nella
sua contraddizione con l’essenza dell’uomo»
24
): tutto ciò serve all’autore per negare il valore
autonomo della religione proprio al fine di riconoscere la specificità del fenomeno religioso stesso.
Infatti l’essenza della religione sta in un soggetto non religioso, l’uomo, mentre la falsità e l’errore
della stessa risiede proprio nella metodologia teologica utilizzata per giungere alla sopra citata
verità. Sul piano relativo al metodo, si riscontra un generale rovesciamento dei rapporti di
predicazione, il nucleo del quale è l’asserzione secondo cui «la verità del soggetto è espressa dal
predicato»
25
: infatti il predicato ha la funzione di determinare e specificare quelle che sono le
caratteristiche del soggetto della proposizione, permettendone la conoscenza.
Lo scritto incomincia con una generale definizione dell’essenza dell’uomo e della religione: se
ne evince che l’uomo, a differenza dell’animale, appare dotato di coscienza di sé come individuo e
come genere; la religione, stanti queste premesse, è la coscienza, da parte dell’essere umano,
dell’infinità della propria essenza, in quanto la religione si fonda sull’essere coscienti dell’esistenza
dell’infinito o, meglio, dell’infinità del potenziale del genere umano. Identità, dunque, tra “uomo” e
“religione”. Il discorso feuerbachiano non si limita tuttavia alla sola essenza del cristianesimo, bensì
ne considera anche l’aspetto storico, se si tiene in considerazione la relazione dialettica instaurata
dall’autore tra il cristianesimo moderno e quello delle origini. Ma c’è di più: per Feuerbach, l’uomo,
nella religione, incontra Dio «in cui si rispecchia l’essenza assoluta dell’uomo»
26
. Dunque, in
definitiva, incontra se stesso.
In generale, seguendo lo sviluppo storico del cristianesimo, si nota come Dio sia stato dichiarato
inconoscibile nella cultura moderna e sia stato altresì attuato, avviando così un processo di
alienazione in virtù del quale viene appunto sottratto all’uomo ciò che ora è attribuito alla
dimensione divina.
I successivi diciassette capitoli, come avremo modo di spiegare compiutamente in seguito,
mirano ad una «risoluzione antropologica dei contenuti del cristianesimo»
27
.
Il punto di partenza dell’autore è il concetto di Trinità, analizzando la quale si deduce che la
coscienza si fonda sull’unità tra Io e Tu: la Trinità si ridurrebbe a due Agenti, vale a dire il Padre e
il Figlio, in quanto lo Spirito Santo altro non è che la personificazione dell’amore che li lega; il
principio divino femminile esiste come interno a Dio, così è possibile comprendere che Egli è
amore.
23
Feuerbach, L’essenza del cristianesimo, indice del volume, p. 365.
24
Ivi, p. 366.
25
Perone, Invito al pensiero di Feuerbach, p. 78.
26
Ivi, p. 82.
27
Ivi, p. 86.
– –
11
E la natura? Essa è stata creata dalla divina Provvidenza attraverso un volontario atto d’amore.
Un aspetto basilare della religione cristiana è costituito dal miracolo, fondamentale per il
consolidamento della fede umana. Si tratta per l’autore di qualcosa di falso e nello stesso tempo
scandaloso: falso, poiché è un evento che appartiene al passato, quando la religione era più viva e
più vera, a differenza della modernità; scandaloso, perché sovverte le leggi naturali, pur essendo
derivato comunque da un atto di amore del divino verso l’uomo; nei confronti della storia, inoltre,
assume una valenza natura tipicamente didascalica.
La seconda parte dell’opera (a differenza della prima che aveva come scopo la risoluzione
antropologica del cristianesimo) ha come obiettivo l’analisi della contraddittorietà (in chiave
teologica) del cristianesimo: dopo aver delineato il carattere prettamente pratico del cristianesimo e
aver ripreso tematiche già trattate (ad esempio il miracolo e la preghiera), Feuerbach «mostra come
al centro dell’interesse della religione non sia il genere, l’essenza dell’uomo, ma l’utilità che
ciascuno può ricavarne»
28
. Nel prosieguo si analizzano le contraddizioni insite nell’esistenza, nella
rivelazione e nell’essenza stessa di Dio: nello specifico, l’originaria unità tra sfera umana e divina
viene scissa teologicamente nel momento in cui si avverte il bisogno di prove che supportino
razionalmente l’esistenza di Dio; la rivelazione, poi, per essere autentica e completa, dovrebbe
rivelare all’uomo tutti i misteri a lui inaccessibili (cosa che non avviene) e la stessa essenza di Dio
appare in evidente contraddizione, se si considera che Egli viene considerato sia un Ente personale
sia un Ente universale: come risolvere dunque tutto ciò? Il vero nucleo della contraddizione insita
nel cristianesimo, come spiegherò in maniera più approfondita nel prosieguo dell’esposizione,
risiede infine nel particolare binomio dialettico tra “amore” e “fede”.
Nel complesso, si può dire che, nell’opera in questione, due siano le accezioni secondo cui il
cristianesimo viene considerato: la prima, in cui è assimilato ad una mera superstizione della storia
passata; la seconda, nella quale si mettono in evidenza le contraddizioni costituzionali che si
ritroverebbero al suo interno.
28
Ivi, p. 97.