Invece si parla d’Europa solo per trovare un responsabile al diminuito potere
d’acquisto dei cittadini europei, in particolare si parla di effetto euro; si parla
d’Europa per evidenziare le perdite o il restringimento di mercato da parte di
settori che rientrano nelle politiche comunitarie; si parla d’Europa quando si
affronta il problema migratorio, oggi tanto attuale e drammatico.
Insomma sembrerebbe che gli Stati europei abbiano trovato un capro espiatorio
per ogni loro impopolare politica interna.
Certo si parla anche di un’Europa che permette e favorisce la libera circolazione
dei cittadini europei, ma, il più delle volte, questo concetto viene tradotto dalle
masse nella possibilità di viaggiare più facilmente e liberamente, oppure nella
possibilità di studio negli altri paesi europei, il famosissimo progetto “Erasmus”.
L’idea d’Europa è, inoltre, sicuramente oggetto di studio, ma anche in questo
caso, le analisi sono solitamente volte a ricercare i limiti e le carenze di questa
istituzione più che i suoi punti di forza.
L’euroscetticismo è uno degli argomenti più diffusi nei paesi europei, non solo
quelli di recente associazione, come ci conferma Geremek, ma anche nei
consolidati Stati membri o addirittura fondatori.
L’età contemporanea è un periodo di crisi, dalla fine del secondo conflitto
mondiale in poi si sono diffusi studi e analisi volti a sottolineare la crisi dello Stato,
della sovranità, della democrazia e infine della società attuale.
5
Per molti, come Morin, la crisi è generalizzata e fa parte dell’essere della società
contemporanea, anzi avrebbe radici nell’età moderna quando tutto è stato rimesso
in discussione.
Ovviamente anche l’idea d’Europa non fa eccezione.
Ciò che risalta è che la nostra società è sicuramente una società complessa, una
società dalle innumerevoli articolazioni in cui l’individuo stesso è chiamato a
molteplici ruoli.
In questo contesto ci troviamo ad affrontare sfide nuove, come i problemi
ambientali, la minaccia terroristica, la globalizzazione dei mercati e i flussi
migratori che comportano delle relazioni internazionali e interculturali molto più
strette di quanto non fosse mai avvenuto.
Accanto a queste si ripresentano classici problemi come il rapporto fra
l’individuo e la comunità, le aspirazioni individuali e il bene comune,
l’organizzazione dello Stato in riferimento a queste istanze.
Può l’analisi dell’idea d’Europa dare un contributo alla comprensione dei fatti
attuali e magari apportare dei miglioramenti?
Federico Chabod e Carlo Curcio erano convinti che lo studio dell’idea d’Europa
fosse necessario per la comprensione dell’Europa odierna, la stessa convinzione
hanno espresso altri studiosi contemporanei a noi come Haikki Mikkeli, Pietro
Rossi e tanti altri.
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L’Unione Europea aspira a divenire un soggetto politico completo e da più parti
viene espressa e richiesta questa esigenza, ma anche chi ha una visione dell’Unione
prettamente tecnica e giuridica si rende conto che la collaborazione con
un’organizzazione internazionale sarebbe molto più efficiente se ci fosse un
collante più forte del solo aspetto economico.
Insomma sono in molti a lamentare uno scarso legame tra Unione Europea e
cittadini d’Europa, anzi c’è chi lamenta la mancanza di una vera e reale
cittadinanza europea.
La denuncia sottolinea le responsabilità di questo stato di cose, il venir meno di
un vero collante sociale comune a tutti gli Stati europei.
Nelle recenti analisi alcuni studiosi evidenziano la difficoltà di tracciare e
ritrovare un’identità europea, un senso d’appartenenza, una civiltà e addirittura una
cultura che si possano definire europee e comuni a tutti i popoli d’Europa.
Allora l’analisi dell’idea d’Europa e dei suoi presupposti culturali ha un senso,
infatti capire lo sviluppo che ha avuto questa idea ci aiuta a comprendere la nostra
situazione e i fondamenti, i princìpi che ne sono alla base.
Già Chabod sottolinea come si può parlare di cultura europea nelle diverse età
storiche, ma poco si può definire l’identità europea o la coscienza di questa in
epoche remote.
Rossi sottolinea come in realtà sia forviante parlare di radici europee, di un’idea
7
d’Europa omogenea e costante nel tempo.
La nostra ricerca ha voluto sottolineare come sia possibile trovare la base dei
princìpi che oggi fanno parte della nostra cultura, come si possa tracciare lo
sviluppo di quelli e dell’idea stessa d’Europa, che ovviamente è cambiata nel
tempo e cambia anche oggi.
L’attenzione è stata rivolta all’età moderna perché è in quel periodo che hanno
origine i motivi e le istanze a noi più vicini, perché è in quell’età che l’idea
d’Europa acquista maggiore e più profonda coscienza di sé.
Si è dovuto inevitabilmente parlare anche di epoche precedenti, antiche, proprio
perché i princìpi e i temi culturali hanno origini remote, fanno parte della storia
dell’uomo e quindi si sono sviluppati assieme all’umanità.
Ma analizzando più a fondo proprio i primi progetti europei dell’età moderna si
è potuto constatare l’attualità dei loro princìpi ispiratori.
Ci si rende conto, nell’analisi di quei progetti, di quanto sia antico il desiderio
d’unione europea, di quanto sia sempre stato considerato indispensabile, utile,
vantaggioso e addirittura urgente per i popoli d’Europa.
Un progetto che trova linfa vitale nella ricerca della pace, ma poi segue una sua
strada autonoma, sulla base del diritto e dell’organizzazione giuridica, del pensiero
laico, che si fa strada, e della guida della ragione.
Esaminando i punti di differenza e di contatto tra i diversi progetti nei diversi
8
periodi storici, si diviene consapevoli delle costanti comuni che si ritrovano nello
sviluppo dell’idea d’Europa.
Quindi si ritrovano le costanti del rapporto fra singolo e Stato, individuo e
comunità, particolarità e universalità, la costante del senso di superiorità europea, il
senso della conquista, l’egemonia nazionale e la teoria dell’equilibrio, la dicotomia
guerra e pace con la conseguente ricerca di una società che riesca ad assicurare il
benessere di tutti.
Quella società paradisiaca cui l’uomo da sempre aspira e che anche oggi, pur in
maniera disincantata e scettica, rappresenta il fine dei suoi progetti.
A partire dall’età moderna vengono proposti numerosi e diversi progetti per
l’Europa, nel cercare di analizzarli si è scelto quelli che sembravano più
interessanti, più rappresentativi della propria epoca, quelli che anticipavano delle
novità o che ricevevano consensi e diffusione maggiori.
Nelle proposte di Sully, Penn, Saint Pierre, Rousseau, Kant e Saint Simon si può
notare quella vicinanza di princìpi di cui si faceva cenno, ma soprattutto non si può
evitare di provare ammirazione per quelle menti che hanno saputo esprimere tanto
le tematiche della loro epoca, quanto apportare spunti nuovi, spesso definiti
utopistici, ma che sono serviti allo sviluppo del progetto europeo.
Il conseguente sommario esame dello sviluppo dell’idea d’Europa fino ai nostri
giorni ha confermato l’esistenza di una cultura, che può definirsi europea, di
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princìpi condivisi, non solo in Europa ma in quella che è ormai la civiltà
occidentale, e soprattutto il proseguimento di un’idea che ha radici così lontane.
L’idea d’Europa oggi è quindi un’idea che trova le proprie fondamenta e i propri
princìpi nel clima culturale europeo del passato, un’idea che si è sviluppata fino ad
oggi e ha trovato nell’età contemporanea il terreno fertile per concretizzarsi.
Non sono mancate le polemiche, gli ostacoli e le battute d’arresto, che d’altra
parte sono state costanti anche queste, ma il progetto europeo ha sempre trovato il
modo di procedere.
Di fronte alle critiche odierne, in merito al deficit democratico, alla lontananza
delle istituzioni dai cittadini, alla mancanza di un vero senso d’appartenenza e
d’identità c’è chi come Enrico Scoditti propone un approccio nuovo.
Se è vero che ci troviamo in un’epoca nuova, nella società post-moderna,
complessa ed articolata, allora forse l’organizzazione internazionale, Unione
Europea, rappresenta un’istituzione nuova e un nuovo processo governativo.
Nell’analizzarla non si può continuare ad usare schemi e concetti che sono validi
per una differente realtà e società, quella nazionale.
Ciò nonostante resta fondamentale l’aspetto culturale e spirituale come collante
più profondo e duraturo per la società europea; la società contemporanea anche se
complessa anche se in crisi, o forse proprio perché in crisi, ha bisogno di trovare un
legame che vada oltre il solo aspetto economico, utilitaristico o di classica
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contrapposizione con l’altro.
Ma perché si attui questo ulteriore sviluppo dell’idea d’Europa c’è bisogno dell’
impegno, della volontà non solo degli Stati ma anche dei cittadini.
Come sottolineava Chabod, l’aspetto volontaristico caratterizza da sempre
l’Europa, i nostri giorni non fanno eccezione.
Nelle conversazioni con il prof. Gambino e la prof.ssa San Mauro, nelle fasi di
stesura di questa tesi, il professore sottolineò l’aspetto fondamentale del
volontarismo.
Ebbe a dire “rimane da chiedersi se gli individui e gli Stati avranno la volontà di
attuare fino alla fine un processo che realizza princìpi comunitari, se ci sarà la
volontà di passare da una società come quella attuale, impegnata alla realizzazione
esclusiva dell’individuo, ad una società che miri a migliorare l’individuo e la
società stessa, che sappia sostituire l’ “io” personale con il “noi” comunitario”.
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Capitolo I:
La cultura europea
La cultura europea prescinde l’istituzione dell’Unione Europea, tanto che questa
stessa istituzione vi fa più volte riferimento proprio per giustificare ed avvalorare
la sua esistenza.
L’Unione Europea è il risultato di un lungo processo che è stato segnato dalla
tragica esperienza della seconda guerra mondiale, momento in cui i paesi vincitori
della guerra sentirono l’esigenza di ristabilire relazioni normali di commercio e
creare le condizioni per il rispetto dei fondamentali diritti dell’uomo e di una reale
pacificazione internazionale.
L’Europa, divisa dal conflitto bellico e poi dall’esperienza della guerra fredda,
cercava di ritrovare un ruolo e una posizione autorevole nel contesto
internazionale; prese consapevolezza che solo un’integrazione economica e
politica poteva restituirle un ruolo da protagonista.
Possiamo osservare che in questo processo l’aspetto economico-finanziario fu
predominante, ma inevitabilmente iniziò a coinvolgere sempre più aspetti
propriamente politici e culturali urtando anche e spesso con la concorrente
sovranità nazionale.
Esaminando questo processo d’integrazione europeo possiamo trovare una
costante: si tratta del riferimento, quasi sempre presente nei vari trattati, di una
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serie di formule piuttosto vaghe, a ciò che è considerato cultura comune, a quelli
che sono i valori comuni dei popoli europei.
I trattati di Maastricht, Amsterdam e Nizza, insieme alla carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea, sottolineano questi aspetti, come pure il
controverso trattato per una costituzione europea del 2004 che ha subito la
bocciatura da parte di Francia e Olanda.
Il trattato di Lisbona, infine, firmato il 13 dicembre 2007, afferma, nel
preambolo, che gli Stati sono pervenuti a questo trattato: «ISPIRANDOSI alle
eredità culturali, religiose e umanistiche dell'Europa, da cui si sono sviluppati i
valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della libertà,
della democrazia, dell'uguaglianza e dello Stato di diritto,»
1
.
È chiaro che si riferisce ad un patrimonio comunemente accettato dai membri
dell’Unione cui gli Stati europei affidano addirittura la responsabilità di aver
ispirato diritti inviolabili, inalienabili e fondamentali della persona, ormai divenuti
universali.
È come se i membri dell’Unione Europea, rendendosi conto della debolezza
dell’aspetto economico-finanziario, finora predominante, vogliano spostare
l’attenzione sull’aspetto culturale, un collante sicuramente più forte, per realizzare
una reale unità politica.
1
Trattato di Lisbona, www.europa.eu.
13
L’Unione Europea è sempre stata sottoposta ad innumerevoli critiche e
scetticismi; recentemente la polemica sul mancato chiaro riferimento alle radici
giudaico-cristiane, e da qui, ma non solo, il rimprovero che arriva da più parti di
aver dimenticato, quasi offuscato, proprio quelle origini culturali per una visione
più strettamente economica ed economicistica.
Ma si può veramente parlare di cultura comune, di cultura europea?
Sull’argomento si sono cimentati in molti e anche nelle diverse epoche storiche
sembra che questo tema abbia attirato molta attenzione.
Non fanno eccezione nemmeno i nuovi membri dell’est Europa, gli scrittori che
si sono prodigati alla ricerca di valori comuni sono tanti, quasi a cercare una base
solida per legittimare la loro entrata nell’Unione.
Tra questi Bronislaw Geremek che mette in evidenza come i paesi dell’Est
abbiano sempre sentito l’appartenenza all’Europa come un’alta aspirazione, forse
proprio perché se ne sentivano esclusi, mentre l’Occidente ha trascurato questo
sentimento e ha portato avanti a fatica il progetto europeo. D’altra parte Edgar
Morin nota nel suo libro Pensare l’Europa, come la cultura europea non è affatto
in declino all’Est, anzi egli afferma che proprio in quei territori si rigenera
2
.
Il vero problema, da ciò che emerge, non è tanto il non aver considerato le radici
2
B. Geremek, Le radici comuni dell'Europa , a cura di Francesco M. Cataluccio, Milano, Il
saggiatore, 1991, pag. VIII s.
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culturali quanto l’aver affrontato il problema in termini vaghi privilegiando di più
l’aspetto economico-finanziario dando per scontato l’aspetto culturale.
Ma così le radici culturali europee, racchiuse negli enunciati dei trattati, non
sono state fatte oggetto di approfondimento e diffusione da parte degli Stati
membri e ciò ha impedito agli individui non solo di sentirle realmente comuni ma
anche di identificarsi nel processo unitario europeo.
Sono stati trascurati i presupposti culturali europei per la necessità di un mercato
comune, molto più rispondente alle numerose e spesso nuove esigenze di
un’economia sempre più globale; sono stati trascurati per il coinvolgimento in un
sistema sempre più frenetico che tende a lasciare poco spazio alla riflessione e alla
memoria; sono stati anche messi in dubbio a causa delle molteplici differenze tra
gli Stati europei che hanno portato spesso a tragiche conseguenze.
Ma se si vuole, come sembra, approdare ad un progetto politico che divenga
reale e più vicino ai cittadini, che instauri una vera “cittadinanza europea”,
obiettivo espresso nei vari trattati, bisogna partire proprio da questo sentimento
culturale comune.
Non è, infatti, la cultura che costruisce un certo tipo di società? Che ci fa
partecipi di certi e ben precisi valori, modelli, progetti, norme comportamentali e
tradizioni? Che ci porta ad essere definiti e a definire il mondo che ci circonda in
un determinato modo peculiare rispetto ad altri? Che ci fa appartenere a un gruppo,
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a una collettività, così come è aspirazione dell’uomo, come diceva Aristotele,
animale sociale, collettività che si organizza in una certa società, tutto per
soddisfare i bisogni dell’uomo?
3
Il preambolo del trattato di Lisbona ci dice che i diritti dell’uomo, il senso della
libertà, della democrazia, dell’uguaglianza e dello Stato di diritto provengono dalle
“eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa”, quindi almeno questi
princìpi, qualificati come patrimonio comune, dovrebbero essere rintracciati, non
solo nei vari Stati europei, ma anche come un’unica trama, “un’eredità culturale
religiosa umanistica”, nel corso dei secoli.
Secoli durante i quali questi valori e princìpi si sono formati e sviluppati fino ad
arrivare a noi, a formare proprio quel patrimonio comune cui troppo spesso
ricorriamo solo quando ci poniamo in contrasto con altre culture, altri popoli.
Dal contrasto con il mondo esterno molti pensano che si sia veramente
sviluppata la coscienza europea, tra questi Federico Chabod, uno dei primi a
sentire la necessità e l’opportunità di un approfondimento dell’idea d’Europa.
4
Non bisogna però confondere cultura e coscienza, ad esempio Guglielmo
3
C. Mongardini, La Conoscenza Sociologica , Genova, ECIG,2002, pag. 247 s.
4
F. Chabod, Storia dell’idea d’Europa, Roma/Bari, Laterza, 1995, pag. 6 “… per l’idea di
Europa, ricordiamo il canone che il momento della contrapposizione è sempre decisivo in simile
processo …”
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Ferrero vede la cultura come un processo di contrapposizione nei confronti della
natura, vista come minacciosa e misteriosa, e dell’altro, visto come possibile
nemico.
Ma a questo proposito vorrei citare le parole di Carlo Mongardini che sottolinea
come non sia solo la paura, e aggiungo la contrapposizione, “a spingere l’uomo a
cercare di fissare la natura attraverso la cultura. Egli si ritiene portatore di
un’istanza superiore, che legittima il suo tentativo di ordinare e incanalare gli
accadimenti naturali verso i fini che questa istanza gli assegna”
5
.
La cultura quindi come un’architettura originale dell’ingegno umano, prodotto
di “un’istanza superiore”, e non solo come momento di contrapposizione, pur
restando un momento importante per il suo sviluppo e per la nascita di una
coscienza.
Allora capiamo che la cultura ha una dimensione spaziale e temporale, che le
viene data proprio dall’uomo, dalle risposte ai suoi bisogni, cioè dai suoi valori,
proprio perché tali, perciò, in continuo sviluppo; ecco che l’Europa si presenta
come una realtà composita, più punti di vista, più culture, ma riconducibili a delle
basi comuni fondamentali che ritroviamo ovunque in Europa e si moltiplicano e si
sviluppano, andando anche oltre quelli che sono di volta in volta i diversi confini
fisici.
5
C. Mongardini, La conoscenza sociologica, cit. pag. 247, 248.
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