9
funzionamento dei freni inibitori”
1
], determinato da un fatto ingiusto altrui”, in deroga alla
regola generale ex art. 90 c.p. che nega rilevanza agli stati emotivi o passionali dell’agente, sia
pure ai fini dell’imputabilità), del concorso doloso dell’offeso (art. 62, n. 5, c.p.) e della non
punibilità per difendere un diritto proprio o altrui dal pericolo attuale di un’ingiusta offesa (art.
52 c.p.: Difesa legittima), oltre all’atteggiamento del soggetto passivo che può riverberarsi in
favore del reo sulle cosiddette attenuanti generiche o “indefinite” (art. 62-bis c.p., introdotto dal
D.l. 14 settembre 1944, n. 288). Bisogna poi sottolineare come, nel linguaggio giuridico penale,
il termine “vittima” non venga normalmente usato, preferendosi ad esso espressioni più
delimitate e tecniche quali “persona offesa”, “parte lesa”, “danneggiato dal reato” o “soggetto
passivo”
2
(il soggetto titolare dell’interesse compromesso dal comportamento criminoso): la
criminologia, diversamente, non ha le medesime esigenze della dogmatica giuridica e, di
conseguenza, utilizza il vocabolo “vittima” in un’accezione relativamente più ampia (“vittima”
è il soggetto che subisce conseguenze negative, perdite, danni, lesioni di natura materiale, fisica
o psicologica
3
).
È auspicabile, quindi, che il criminologo presti la dovuta attenzione anche alla vittima, oltre
che alle caratteristiche ed alle dinamiche adottate dal delinquente: l’ottica universale e completa
dello studio del crimine non si dovrebbe mai discostare dalla consapevolezza che, quasi sempre,
ove vi è reato vi è una vittima; talvolta, inoltre, il delitto è un evento in cui autore e vittima
interagiscono, sicché in questi casi esso scaturisce proprio da siffatto rapporto diretto di intima
reciprocità: la vittima è il “soggetto che diviene l’obbiettivo dell’attacco dell’aggressore,
incrociandone la strada nel momento in cui l’offender valuta favorevoli le circostanze per
commettere un crimine (assenza di testimoni, periodo della giornata, vulnerabilità della vittima,
ecc.)”
4
.
1
Cass. pen, sez. I, 13 novembre 1970, in Cass. pen., 1971, pag. 1573; Cass. pen, sez. I, 3 marzo 1971, in Cass.
pen., 1972, pag. 481; Cass. pen, 22 marzo 1977, in Giur. it., 1978, II, pag. 354.
2
G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale, parte generale, 3ª ed., Bologna, 1999, pag. 145.
3
E.A. FATTAH, Criminology: past, present and future – A critical overview, New York, 1997, pagg. 148 ss..
4
J. DOUGLAS, A. BURGESS, G. BURGESS, R. RESSLER, Crime Classification Manual, San Francisco,
1997.
10
Negli ultimi decenni, all’interno delle scienze sociali e della criminologia in particolare, è
andata concretamente sviluppandosi una branca – evolutasi, in una prospettiva interdisciplinare,
anche nell’ambito della psicologia sociale e giuridica – incentrata sulla vittima: la vittimologia.
Con tale termine – coniato da un noto studio di Wertham
5
sulla criminalità violenta – “si
designa oggi una disciplina che ha per oggetto lo studio della vittima del crimine, della sua
personalità, delle sue caratteristiche biologiche, psicologiche, morali, sociali e culturali, delle
sue relazioni con il criminale e del ruolo che ha assunto nella genesi del crimine”
6
; tale
definizione necessita di precisazioni, poiché la parte assunta nella dinamica criminogenetica non
deve far pensare, se non in rari casi, ad una sorta di “corresponsabilità” della vittima stessa; in
secondo luogo appare opportuno rilevare come non sempre sia riscontrabile una vittima effettiva
(come nei cosiddetti “reati senza vittima”, ad es. il possesso illegale di stupefacenti per uso
personale), nel senso della presenza materiale di una persona umana. Tra i campi di studio
vittimologico più praticati si annoverano le seguenti aree: il rischio ed i meccanismi di
vittimizzazione, le caratteristiche delle vittime ed i rapporti tra vittima e reo, le conseguenze ed i
danni derivanti dal reato ed il loro risarcimento, la prevenzione del crimine dal punto di vista
della vittima, l’influsso della società sui processi di vittimizzazione e l’analisi di specifiche
situazioni vittimologiche.
Esistono reati per cui la vittima è impersonale ed astratta ed il bene violato si configura come
l’interesse pubblico (reati contro la pubblica amministrazione, contro lo Stato o contro
l’amministrazione della giustizia), senza destare distinte reazioni di empatia e di
immedesimazione, come quelle che si generano quando la vittima è una persona fisica;
sussistono ulteriori reati contro l’interesse pubblico, ove però tutta la popolazione si riconosce
come vittima degli stessi (reati ecologici, di inquinamento, di evasione fiscale, ecc.); vi sono poi
reati in cui la vittima è sentita come lontana, estranea, troppo potente e facoltosa per accendere
sentimenti di solidarietà (la truffa o il furto ai danni di una grande impresa, di una banca, ecc.).
5
F. WERTHAM, The show of violence, New York, 1949, pag. 259.
6
G. GULOTTA, M. VAGAGGINI, La vittima, Milano, 1976.
11
Al di fuori dei suddetti casi particolari, si hanno tipologie di reati in cui si instaura un processo
emotivo di identificazione con la singola vittima, in virtù del quale anche chi sia estraneo al
fatto e ne venga a conoscenza mediante le cronache, ne condivide la sofferenza e l’ingiuria e
pertanto eleva richieste di sanzione contro il reo; il “mettersi nei panni” della vittima rende
conto di come solo per certa tipologia di delitti sorga lo sdegno per l’offesa o per la violenza
patita da chi ne abbia subìto le conseguenze.
1.1. Il fattore di rischio vittimologico
La probabilità di divenire vittima di un crimine (il cosiddetto “fattore di rischio
vittimologico”
7
) non è ugualmente distribuita fra tutti i membri di una popolazione, in quanto
sussistono dei fattori e delle circostanze pertinenti di alcuni soggetti, che favoriscono certi tipi di
condotta criminale: le cosiddette predisposizioni vittimogene specifiche – che possono operare
come causa scatenante del crimine, come incentivo alla scelta della vittima o come agevolazione
del comportamento criminale – sono molteplici e possono classificarsi in base a differenti
canoni
8
.
In funzione dell’origine si possono distinguere le predisposizioni innate da quelle acquisite:
le prime sono quelle che l’individuo detiene fin dal momento della nascita (il sesso, un vizio
parziale o totale di mente, un’infermità come la cecità od il mutismo, ecc.), le seconde sono
quelle che la persona sviluppa nel corso del suo vissuto (tratti psico-sociali ed infermità che
siano intervenute successivamente alla nascita).
Da un punto di vista temporale si possono invece specificare le predisposizioni permanenti,
che accompagnano il soggetto per tutta la sua esistenza, da quelle temporanee, che si
mantengono solamente per un periodo più o meno lungo di tempo e da quelle passeggere, che
7
M. PICOZZI, A. ZAPPALÁ, L’importanza della vittimologia nel criminal profiling, in M. PICOZZI, A.
ZAPPALÁ, Criminal profiling – Dall’analisi della scena del delitto al profilo psicologico del criminale, Milano,
2002, pag. 254.
8
G. TRANCHINA, La vittima del reato nel sistema penale italiano, in G. GULOTTA, M. VAGAGGINI, Dalla
parte della vittima, Milano, 1980, pag. 319.
12
sono invece caratterizzate da una durata assai breve, essendo connesse a stati particolari e
transitori dell’individuo.
È, inoltre, possibile distinguere ulteriormente tra predisposizioni bio-fisiologiche (quali l’età,
il sesso, lo stato fisico della persona – un soggetto fisicamente meno dotato del proprio
aggressore, oppure malato, indebolito, assonnato o sotto l’influsso di bevande alcoliche o di
sostanze stupefacenti, difficilmente saprà resistergli –, ecc.), sociali (professione, mestiere od
attività esercitata dal soggetto – ad es. agenti di polizia o guardie giurate che debbono, per
necessità professionale, attivamente opporsi ad episodi di criminalità, ponendosi in una
particolare situazione di interazione attiva con i delinquenti –, situazioni sociali – stranieri,
immigrati, minoranze etniche e religiose costituiscono gruppi predisposti ad essere oggetto di
determinati reati –, condizioni economiche e finanziarie, condizioni di vita – più facilmente
potrà divenire vittima chi vive da solo o in luogo isolato – e condotta generale dell’individuo –
spesso coloro che assumono una condotta antisociale diventano vittime di reati commessi dai
loro stessi complici –) e psicologiche (deviazioni sessuali, stati psicopatologici, tratti del
carattere – aggressività, negligenza, imprudenza, impulsività, passività, bassa autostima,
credulità, eccessiva fiducia, cupidigia, arrivismo –, ecc.)
9
.
Il rischio di vittimizzazione permette, pertanto, di differenziare tre livelli di rischio (basso
rischio, medio rischio, alto rischio) in ragione della probabilità di un soggetto di divenire
oggetto di un crimine violento, in relazione alle caratteristiche della propria vita personale,
professionale e sociale
10
.
9
E.A. FATTAH, La victime est-elle coupable?, Montreal, 1971.
10
M. PICOZZI, A. ZAPPALÁ, L’importanza della vittimologia nel criminal profiling, in M. PICOZZI, A.
ZAPPALÁ, Criminal profiling – Dall’analisi della scena del delitto al profilo psicologico del criminale, cit., pag.
255.
13
1.2. Le tipologie di vittima
Nella comune accezione del termine si avverte genericamente la vittima come parte
meramente passiva del reato: “nella coscienza popolare […] il sentimento comune risulta
orientato verso una visione semplicistica del soggetto passivo di una condotta criminale
supposto per lo più semplice oggetto della malvagità di colui che agisce e che lo offende”
11
; se
ciò è nella maggior parte dei casi vero, è però importante, per un più integro intendimento dei
fenomeni criminosi, esaminare anche quelle evenienze particolari nelle quali anche la vittima
gioca un ruolo favorente e/o scatenante nella genesi del reato (secondo Gulotta, “la relazione
criminale-vittima può essere spesso interpretata come un rapporto in cui uno dei componenti
della diade cerca di mantenere il controllo della situazione senza riuscirci”
12
): la letteratura
scientifica sul crimine, e sui reati violenti in modo specifico
13
, non ha, dunque, mancato di
incentrare l’analisi sull’importanza della relazione interpersonale, simmetrica o complementare,
che si viene ad instaurare tra aggressore e vittima (che assume tale ruolo definitivo solo ad
interazione consumata: “l’individuazione tra due soggetti di un criminale e una vittima
interagenti in un sistema, non implica […] alcun giudizio aprioristicamente valutativo, ma solo
la descrizione di una situazione storicamente verificatasi in cui le differenti posizioni sono il
risultato dell’interpretazione e/o risoluzione di un processo di interazione circolare all’interno di
un sistema”
14
). Può dunque specificarsi la vittima passiva, quando il reato è frutto esclusivo
dell’attività del reo, da quella che, in misura più o meno significativa, può avere collaborato nel
determinismo del fatto delittuoso, secondo una prospettiva esclusivamente psicologica e morale
e non giuridica (posto che altrimenti non si tratterebbe di vittima, ma di correo).
Le vittime passive sono quelle nelle quali non è ravvisabile alcun atteggiamento psicologico
o comportamento che possa avere in qualche maniera influenzato la genesi del delitto, ovvero
11
G. GULOTTA (a cura di), Trattato di psicologia giudiziaria nel sistema penale, Milano, 1987, pag. 304.
12
G. GULOTTA (a cura di), Trattato di psicologia giudiziaria nel sistema penale, cit., pag. 330.
13
M.E. WOLFGANG, Patterns of criminal homicide, Philadelphia, 1958; D. CANTER, Criminal Shadows:
inside the mind of the Serial Killer, Londra, 1994.
14
G. GULOTTA (a cura di), Trattato di psicologia giudiziaria nel sistema penale, cit., pag. 329.
14
che possa avere persuaso l’autore a scegliere specificamente quella vittima: in tale condizione si
situa la stragrande maggioranza delle vittime. Nell’ambito di questa macro-categoria possono
sotto-distinguersi le vittime accidentali (che sono prodotto esclusivo e casuale del
comportamento dell’offender e possono definirsi come vittime fungibili), cioè quelle che tali
divengono per pura fatalità, che senza alcuna loro attività partecipativa o favorente la condotta
del reo si vengono a trovare sul percorso dal delinquente, nei cui confronti non possono vantare
alcun rapporto (vittime di borseggio, passanti coinvolti in conflitti a fuoco, vittime di attentati
terroristici – “vittime indiscriminate”: il rapporto colpevole-vittima non ha alcun rilievo, visto lo
scopo puramente dimostrativo dell’attività criminale
15
–, ecc.: non vengono “scelte” dal reo e,
come tali, risultano allo stesso teoricamente sostituibili con altre persone); le vittime
preferenziali sono quelle prescelte dal delinquente per il ruolo dalle stesse rivestito, per la loro
posizione economica o per altre circostanze oggettive favorevoli quel particolare delitto (vittime
di sequestro a fini di estorsione, soggetti che svolgono determinate professioni quali il
gioielliere od il portavalori, vittime del razzismo – soggetti colpiti per la semplice nazionalità o
per il colore della pelle –, ecc.); la definizione di vittime simboliche, poi, interviene nel caso in
cui il delinquente, prendendo di mira un precisato individuo, intenda colpire emblematicamente
un intero gruppo, una categoria od un’ideologia (le singole ed identificate vittime del terrorismo
vengono spesso scelte in questa prospettiva, attaccando una persona per il suo ruolo – capo di
stato, leader di una fazione politica, ecc. – o per le funzioni dalla stessa svolte in quella
congiuntura); vi è, infine, il sotto-gruppo delle vittime trasversali, ovvero coloro che vengono
offesi in quanto legati da stretti vincoli – di parentela, di amicizia, ecc. – con l’effettivo
bersaglio dell’azione criminosa, che per svariate ragioni non può essere colpito direttamente
(tipico il caso di vittimizzazione dei parenti dei pentiti di Mafia); in questi ultimi tre casi è
possibile parlare di “vittime selezionate”, vittime non fungibili che per disparati motivi vengono
scelte dal reo e che, dal suo punto di vista, non possono essere sostituite.
15
P. NUVOLONE, La vittima nella genesi del delitto, in Indice pen., 1973, pag. 640; P. NUVOLONE, Il sistema
del diritto penale, Padova, 1976, pag. 89.
15
Anche le vittime attive (o partecipanti), sulla base di specifiche variabili psicologiche e
relazionali, possono essere classificate secondo diverse tipologie: le vittime alternative sono
quelle che si introducono di proposito in un determinato contesto come possibili vittime o come
agenti (ad es. rissa e duello); il caso più eclatante di relazione reo-vittima è quello della vittima
che aggredisce, la cui condotta minacciosa o violenta mette in stato di incombente pericolo un
altro soggetto, che è quindi costretto a difendersi con una reazione altrettanto violenta (art. 52
c.p. – Difesa legittima – e art. 54 c.p. – Stato di necessità –); similmente, la vittima provocatrice
subisce la violenza per avere variamente suscitato, in precedenza, l’esasperazione, l’ira o la
ribellione dell’aggressore (“provocare” significa ferire volutamente l’avversario nei suoi punti
più deboli, fargli perdere il controllo, offenderlo nei valori da lui ritenuti più importanti,
umiliarlo intimamente); altre volte la vittima non si rende conto di provocare e crede
semplicemente di difendere il suo diritto, di sostenere validamente le proprie ragioni senza
offendere o moralmente ferire l’interlocutore: la vittima inconsciamente provocatrice realizza un
comportamento provocatorio non dichiaratamente intenzionale, espressivo, però, di dinamiche
psicologiche ostili più o meno profonde, ovvero del tutto inconsce; la vittima favorente, invece,
pur senza il ricorso di una vera e propria ostilità nei confronti del reo, si comporta in modo tale
da favorire in certa misura la commissione del delitto (ad es. il caso della truffa); infine, la
vittima consenziente o volontaria si configura nell’evenienza in cui taluno acconsenta a che altri
lo uccida o lo chiede espressamente (art. 579 c.p. – Omicidio del consenziente –, eutanasia,
omicidio-suicidio concordato fra amanti infelici, ecc.).
Quale che sia la parte eventualmente recitata dalla vittima, è comunque importante evitare di
cadere nel rischio, incentrandosi eccessivamente sugli atteggiamenti di essa, di adombrare la
responsabilità del colpevole, che in ogni caso rimane, dei due attori dell’evento criminoso,
l’unico che abbia infranto le norme di legge; la vittimologia dovrebbe, pertanto, conservare un
punto di vista “dalla parte della vittima” il più possibile obiettivo e calibrato, occupandosi di
16
essa con scopi diagnostici, preventivi, riparativi e tesi al trattamento degli effetti del trauma del
reato e della conseguente vittimizzazione
16
.
16
G. GULOTTA, M. VAGAGGINI, Dalla parte della vittima, cit.; G. GULOTTA, La vittimologia e le
investigazioni, in M. PICOZZI, A. ZAPPALÁ, Criminal profiling – Dall’analisi della scena del delitto al profilo
psicologico del criminale, Milano, 2002, pag. 258.
17
2. Epidemiologia del fenomeno della violenza sessuale
L’Organizzazione Mondiale della Sanità riconosce come “violenza sessuale” qualunque atto,
approccio o commento a sfondo sessuale perpetrato utilizzando coercizione fisica o psicologica
da parte di chiunque, indipendentemente dalla relazione con la vittima
17
. La coercizione può
essere posta in essere mediante un vasto raggio di comportamenti violenti (aggressione fisica,
intimidazione psicologica, minacce, ricatti, ecc.) o giovandosi di una condizione di inferiorità
della vittima, incapace di esprimere un consenso valido per lo stato indotto dall’uso di bevande
alcoliche, sostanze stupefacenti o farmaci, per ritardo mentale o per età infantile. In
precedenza, le Nazioni Unite, con la Dichiarazione del 1993, si erano impegnate a combattere il
fenomeno generale della violenza contro le donne, enunciando come tale “ogni atto di violenza
in base al sesso che produca o possa produrre danni o sofferenze fisiche, sessuali, psicologiche,
coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che privata”. Ancora, a
testimonianza della crescente attenzione culturale riservata al problema, la Comunità Europea,
nel 2002, ha emanato una “Raccomandazione sulla protezione delle donne vittime di violenze”,
in cui si afferma che la violenza contro le donne è la conseguenza di uno sbilanciamento di
potere fra uomini e donne che comporta una grave discriminazione di queste ultime, sia
all’interno della società sia nell’ambito della famiglia (gli stati membri sono stati invitati a
rivedere legislazioni e politiche in materia di violenze contro le donne, a concretizzare interventi
atti a prevenire, investigare e porre fine ad ogni atto di violenza, nonché a fornire protezione alle
vittime; la Raccomandazione incoraggia, inoltre, azioni per combattere la violenza contro le
donne e promuove presso ogni istituzione che abbia a che fare con simili episodi – polizia,
ospedali, medici, assistenti sociali, ecc. – l’attuazione di piani per la prevenzione e la protezione
delle vittime; caldeggia, inoltre, ricerche, raccolte di dati e costruzioni di network a livello
17
E.G. KURG, L.L. DAHLBERG, J.A. MERCY, A.B. ZWI, R. LOZANO, World report on violence and health,
World Health Organization, Ginevra, 2002.
18
nazionale e internazionale e favorisce programmi di alta formazione e l’istituzione di centri
universitari di ricerca che si occupino di pari opportunità, ed in particolare della violenza contro
le donne).
All’interno del concetto specifico di violenza sessuale, pertanto, in base alle indicazioni
sopraccitate, si tende a ricomprendere lo stupro, inteso come penetrazione con il pene, con altre
parti del corpo o con oggetti, il tentato stupro ed altre forme di atti sessuali violenti compiuti da
un singolo o da più aggressori (violenza sessuale di gruppo).
2.1. La realtà mondiale
La violenza sessuale è un fenomeno mondiale, come si rileva dai dati OMS pubblicati nel
2002 sul “World report on violence and health”; anche se in diverse nazioni le ricerche volte ad
inquadrare il problema si dimostrano insufficienti ed approssimative, è possibile egualmente
desumere che in alcune aree geografiche (quali, ad esempio, gli stati del Centro America ed
talune regioni africane e del sud-est asiatico) una donna su quattro risulti potenzialmente
soggetta a questa tipologia di abuso
18
.
L’importanza del riconoscere, inquadrare e studiare siffatto problema deriva dalla
constatazione della minaccia che questo reato costituisce per l’integrità psico-fisica della
persona violata: esso può, infatti, cagionare problemi a lungo termine coinvolgenti la sfera
sessuale, riproduttiva e la psiche, può produrre la morte della vittima per suicidio, per omicidio
da parte del violentatore e può finanche essere fonte di sofferenza quotidiana per la vittima
stigmatizzata dai famigliari o dal contesto sociale in cui vive.
18
M. HAKIMI, et al., Silence for the sake of harmony: domestic violence and women’s health in central Java,
Yogyakarta, Gadjah Mada University, 2001; M.C. ELLSBERG, Candies in hell: domestic violence against women in
Nicaragua, Umea University, Umea, 1997; J. MOONEY, The hidden figure: domestic violence in north London,
Middlesex University, Londra, 1993.
19
Generalmente lo stimolo a compiere violenza sessuale è comandato dalla brama di esprimere
forza, rabbia, potere e dominio sulla vittima, anche se l’imposizione dell’atto violento può,
talora, effettivamente risolversi con la gratificazione sessuale dell’aggressore; la violenza
sessuale, così motivata, può concretizzarsi in molteplici ambiti ed in numerose circostanze, tra
cui spiccano principalmente lo stupro intrafamiliare (compreso quello perpetrato nell’ambito di
un legame matrimoniale), lo stupro da parte di sconosciuti, le molestie sessuali di ogni genere
(inclusa la richiesta di prestazioni sessuali in cambio di favori), l’abuso sessuale su bambini o su
persona inficiata da handicap fisico o mentale e la costrizione alla prostituzione (ed il traffico di
individui allo scopo di sfruttamento sessuale); al di fuori della nostra realtà, la prevaricazione
sessuale sulla donna può assumere ulteriori, riprovevoli connotazioni, tra cui, ad esempio, lo
stupro attuato come pratica di guerra o nell’ambito di conflitti interetnici, quale simbolo di
conquista e di denigrazione, la violenza carnale a scopo punitivo contro donne che abbiano
infranto codici morali o sociali, le mutilazioni genitali
19
e l’imposizione di visita ginecologica
per l’accertamento della verginità
20
, l’imposizione dell’aborto e la negazione del diritto alla
contraccezione od alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse
21
.
I dati sulle violenze sessuali vengono comunemente ricavati da casistiche giudiziarie, da
ricerche effettuate da organizzazioni non governative o da cartelle cliniche: la relazione tra le
differenti fonti e la proporzione del problema può essere figurata come un gigantesco iceberg
galleggiante, in cui la punta rappresenta i casi denunciati alle forze dell’ordine, la parte visibile
che affiora, i casi emersi attraverso le analisi di sorveglianza ed il lavoro delle organizzazioni
non governative e la parte sommersa rimanente, la casistica ancora inadeguatamente
quantificabile, ma che richiederebbe ulteriori approfondimenti e che si stima essere
particolarmente imponente.
19
M. FAYAD, Female genital mutilation (female circumcision), Il Cairo, 2000.
20
M.W. FRANK, H.M. BAUER, N. ARICAN, S.K. FINCANCI, V. IACOPINO, Virginity examinations in
Turkey: role of forensic physicians in controlling female sexuality, in J.A.M.A., 282 (5), 1999, pagg. 485-490.
21
AA.VV., Human rights are women’s rights, Amnesty International, Londra, 1999.
20
I dati epidemiologici disponibili sono, perciò, scarsi e lacunosi in quanto questo argomento è
stato per molti anni un’area di ricerca ignorata; quelli delle autorità giudiziarie sono spesso
incompleti e limitati poiché molte donne non denunciano l’episodio di violenza sessuale per
vergogna, umiliazione e timore di non essere credute; quelli medico-legali risultano sovente
distorti e limitati agli abusi sessuali più violenti e quelli rilevati dal ricorso delle donne
all’assistenza medica sono decisamente esigui.
Negli ultimi lustri sono state portate a termine importanti ricerche mirate
22
, che purtroppo
risultano difficilmente confrontabili per le disomogenee definizioni usate e per le
dissomiglianze culturali dei vari paesi, che incidono sulla disponibilità delle vittime a confidarsi
ed a parlare dell’argomento.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha elaborato i dati provenienti da indagini su
vittime del crimine, in cui era presente una parte dedicata al reato di violenza sessuale
23
: gli
studi (nei quali, però, non è stata fatta alcuna distinzione tra violenza sessuale da parte di
estranei e violenza sessuale da parte del partner, o comunque da parte di soggetti conosciuti:
sorge dunque il rischio di sottovalutare, tramite la considerazione di questi dati sbilanciati verso
lo “stupro di strada”, la reale dimensione della fenomenologia) sono stati condotti in venti città
del mondo
24
nel periodo compreso tra il 1992 e il 1997; la percentuale di donne, di età superiore
ai 16 anni, che avesse subìto violenza sessuale nei cinque anni antecedenti la rilevazione variava
da meno dell’1% (0,3% a Manila e 0,8% a Gaborone) all’8% di Rio de Janeiro.
22
P. TJADEN, N. THOENNES, Full report of the prevalence, incidence and consequences of violence against
women: findings from the National Violence Against Women Survey, National Institute of Justice Programs, United
States Department of Justice and Centers for Disease Control and Prevention, Washington, D.C., 2000; R. JEWKES,
N. ABRAHAMAS, The epidemiology of rape and sexual coercition in South Africa: an overview, in Soc. Sci. Med.,
55 (7), 2002, pagg. 1231-1244; P. WEISS, J. ZVERINA, Experiences with sexual aggression within the general
population in the Czech Republic, in Archives of Sexual Behavior, 25, 1999, pagg. 265-269.
23
AA.VV., The international crime victim survey in countries in transition: national reports, United Nations
Interregional Crime and Justice Research Institute, Roma, 1998; AA.VV., Victims of crime in the developing world,
United Nations Interregional Crime and Justice Research Institute, Roma, 1998.
24
Asunción (Paraguay), Bogotà (Colombia), Bombay (India), Budapest (Ungheria), Buenos Aires (Argentina),
Djakarta (Indonesia), Gaborone (Botswana), Harare (Zimbabwe), Il Cairo (Egitto), Johannesburg (Repubblica
Sudafricana), Kampala (Uganda), La Paz (Bolivia), Manila (Filippine), Pechino (Cina), Rio de Janeiro (Brasile), San
José (Costa Rica), Tirana (Albania), Tunisi (Tunisia), Ulan-Bator (Mongolia), Vilnius (Lituania).
21
Gli studi vittimologici hanno messo in luce l’altissima incidenza di fatti di criminalità, di
violenza in particolare, in situazioni (ad es. quella famigliare) in cui i rapporti tra l’agente ed il
soggetto passivo siano molto stretti ed altamente coinvolgenti anche dal punto di vista affettivo
ed emotivo: se si limita, infatti, il campo di osservazione del fenomeno ai casi di abuso sessuale
consumati all’interno di una relazione sentimentale, o comunque di un rapporto di coppia,
emerge un’estensione del problema ancora maggiore; si tratta di violenze sessuali che spesso si
inseriscono in un contesto di violenza fisica continuativa preesistente, come dimostrano ricerche
condotte in Messico
25
e negli U.S.A.
26
, che stimano che dal 40 fino al 52% delle donne
maltrattate subiscano anche rapporti sessuali obbligati.
La violenza sessuale di gruppo è un fenomeno poco documentato, ma senz’altro diffuso; dati
provenienti da analisi nazionali statunitensi
27
indicano che uno stupro su dieci coinvolge plurimi
perpetuatori, per lo più estranei, mentre nella realtà sud-africana
28
, in caso di compresenza di più
offenders, spesso partecipa all’abuso il fidanzato della vittima. Alcuni lavori
29
, ancora,
segnalano che la violenza di gruppo è maggiormente compiuta da ragazzi particolarmente
giovani, come dimostrazione di mascolinità e virilità per ottenere riconoscimento e stima da
parte dei compagni del “branco”.
La presenza del fenomeno della violenza sessuale in ambito sanitario è stata documentata in
diversi stati
30
: gli Stati Uniti d’America hanno, rappresentativamente, registrato un aumento
dell’incidenza di tale reato nel succitato contesto, che dai quarantadue casi osservati nel 1989 è
25
M. GRANADOS SHIROMA, Salud reproductiva y violencia contra la mujer: un anàlisis desde la perspectiva
de género, Asociacón Mexicana de Población, Colegio de Mexico, Nuevo Léon, 1996.
26
J.C. CAMPBELL, K.L. SOEKEN, Forced sex and intimate partner violence: effects on women’s risk and
women’s health, in Violence Against Women, 5, 1999, pagg. 1017-1035.
27
L.A. GREENFELD, Sex offenses and offenders, an analysis of data on rape and sexual assault, United States
Department of Justice, Office of Justice Programs, Boureau of Justice Statistics, Washington, D.C., 1997.
28
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evaluation and prevention implications, in South African Journal of Psychology, 30, 2000, pagg. 1-10.
29
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characteristics, in Personality and Individual Differences, 10, 1989, pagg. 355-362; P. BOUGOIS, In search of
respect: selling crack in El Barrio, Cambridge, 1996.
30
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emerging problem, in Lancet, 359 (9318), 2002, pagg. 1681-1685; L. GILSON, M. ALILIO, K. HEGGENHOUGEN,
Community satisfaction with primary health-care services: an evaluation undertaken in the Morogoro region of
Tanzania, in Soc. Sci. Med., 39 (6), 1994, pagg. 767-780; Y. JAFFRE, A.M. PRUAL, Midwives in Niger: an
uncomfortable position between social behaviours and health-care constraints, in Soc. Sci. Med., 38 (8), 1994, pagg.
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(10), 1992, pagg. 1225-1232.
22
passata a centoquarantasette casi nel 1996, anche se probabilmente non si tratta di un reale
incremento della prevalenza del crimine, ma piuttosto di una maggiore propensione alla
denuncia
31
.
La violenza sessuale che vede come vittime uomini e ragazzi è un problema
insospettabilmente rilevante e – con l’eccezione dell’abuso sessuale su minori maschi – è uno
dei reati maggiormente ignorati nelle ricerche; lo stupro e le altre forme di coercizione sessuale
dirette contro soggetto passivo di sesso maschile hanno luogo analogamente a quelle già citate
per quanto riguarda la realtà femminile, in una varietà di circostanze: a casa, sul lavoro, nelle
scuole, così come nelle caserme militari, durante la guerra e nelle prigioni. Le statistiche
ufficiali
32
a disposizione sull’argomento sono parecchio limitate e la maggior parte degli
studiosi ritiene che esse sottostimino abbondantemente la reale diffusione del reato: l’uomo
sembra essere, infatti, ancora meno incline della donna a denunciare un’avvenuta aggressione
sessuale, ciò anche a causa dei miti e dei forti pregiudizi che circondato la sessualità maschile e
che impediscono all’uomo di mostrarsi vittima. Per una prevenzione ed una risposta politica
adeguata alla violenza sessuale contro gli uomini è necessaria una comprensione maggiore del
problema, delle cause che sottende e delle modalità in cui si manifesta.
31
C.E. DEHLENDORF, S.M. WOLFE, Physicians discipline for sex-realted offenses, in J. Am. Med. Ass., 279,
1998, pagg. 1883-1888.
32
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cit..