comunitaria.
Il verde è metafora dell'economia e della produzione andina, della ricchezza naturale della
Terra, della flora e della fauna, dei giacimenti minerari e delle vitali risorse idriche.
Il blu raffigura lo spazio cosmico, l'infinito, l'universo, l'astronomia e la fisica, i fenomeni
naturali, l'organizzazione socio-economica, politica e culturale.
Il viola è il colore della politica e dell'ideologia andina, del potere comunitario e
armonico delle Ande, delle organizzazioni sociali, economiche, culturali ed amministrative
del popolo e del paese.
Io, all’arcobaleno, aggiungo il valore della pluralità, della ricca eterogeneità, delle
sfumature. Quell'eterogeneità che caratterizza il patrimonio ambientale, sociale e umano
peruviano, oltre che la ricchezza e la complessità del vasto patrimonio narrativo del Perù.
La stessa eterogeneità culturale che caratterizza l'attuale panorama sociale e culturale
europeo, italiano, lombardo e milanese in primo luogo.
L'arcobaleno diventa, così, simbolo di un abbondante complesso di realtà, vissuti,
tradizioni, provenienze, storie, racconti, favole, miti e leggende.
Esso, inoltre, richiama in modo evidente l'immagine del ponte: un ponte sacro tra divinità
e umanità nella mitologia, un ponte metaforico nel nostro contesto sociale (per non parlare
della valenza politica che ha acquistato la parola “ponte” in questo periodo di scolastici e
intolleranti travagli legislativi, tra l’altro proprio nell’Anno europeo del dialogo
interculturale). Esso diventa, così, l'oggetto che ostacola la discriminazione e la divisione e
che promuove l'interconnessione, la comunicazione e lo scambio reciproco.
Camminando tutti i giorni in una “città globale” come Milano, è impossibile non
farsi delle domande su quale modello d'integrazione stia adottando la nostra città.
Le strade, la metro, le scuole, qualsiasi luogo su cui noi poggiamo i nostri piedi ci ricorda
che, forse, qualche frontiera, seppur superficiale e con estreme difficoltà, è stata sfondata.
Parlo di confini territoriali, frontiere fisiche, perché, in quanto a frontiere morali e culturali,
purtroppo, i muri e le barriere continuano a resistere, sostenute da un filo spinato di
chiusura, provvedimenti assenti o sbagliati, culminando negli episodi di razzismo che
gettano buio sulle luminose “vie vetrina” della nostra città e non solo.
Almeno per quanto riguarda le strade, o le carrozze della metropolitana, il processo di
“ibridazione” è stato avviato, la contaminazione o, da un altro punto di vista, la
commistione è iniziata.
È il frutto dell'emigrazione di massa che trova uno dei tanti porti d'approdo in Italia: è la
5
celebrazione dell'ibrido, “l'impurità, la commistione, la trasformazione, che deriva da nuove
e inattese combinazioni, fra esseri umani, culture, idee, politica, film e canzoni. Si esalta
nell'imbastardimento e teme l'assolutismo del puro. (...) è la trasformazione per fusione, il
cambiamento per congiunzione”.
4
È “l'esperienza di sradicamento, di separazione e di metamorfosi (...) che è la condizione
dell'emigrante, dalla quale (si può) derivare una metafora per tutta l'umanità
5
”
.
Personalmente mi piace più pensare all'ibridismo come ad un'evoluzione
transculturale, una combinazione, uno scambio reciproco, più che ad un guazzabuglio o ad
una contaminazione, anche se le due definizioni non devono essere concepite come
contrapposte. Perché? Per la semplice ragione che parlando di “contaminazione” si parte da
un presupposto di purezza culturale: ma quale cultura si può trovare in uno stato di
purezza? Quale cultura non ha subito influenze o trasformazioni e si è mantenuta nel suo
stato autentico e originale? Forse l'ibridazione sta proprio alla base del concetto di cultura,
nel senso che essa nasce dall'incontro-confronto-influenza che caratterizza le relazioni
dell'essere umano con l'ambiente naturale, gli animali, le persone, gli avvenimenti socio-
politici ecc.
Il processo d’ibridazione, inteso come pratica transculturale multiforme può avvenire solo
quando si ha come presupposto un'idea di cultura fluida, libera, dinamica, mutevole,
inarrestabile e non “ingabbiabile”. Insomma quando il “fiume” della cultura non conosce
regole, né etichette, sia in un certo senso anarchico e libero dai pregiudizi nazionali.
La cultura, e con essa i soggetti che la fanno, dovrebbe prendere un'inclinazione
cosmopolita che sia coinvolgente e volta all'integrazione. Un atteggiamento cosmopolita
prevede indipendenza e volontà di conoscere e di impegnarsi con l'“altro”, assumendo un
comportamento empatico e sviluppando una sensibilità che ci faccia percepire il mondo
come “un mondo in cui non esistono altri”
.
Allo stesso tempo però, essendo il mondo un
luogo di “innumerevoli altri culturali”, dobbiamo avere la lucida consapevolezza della
diversità culturale che caratterizza le nostre città, ma allo stesso tempo dobbiamo avere un
atteggiamento di inclusione rispetto le differenze culturali, attraverso un dialogo costante,
sentendo il “peso” di un mondo vasto sulle nostre azioni nel nostro mondo “locale”.
6
4
Salman Rushdie, 1991, I versi satanici, pp.431-432, in J. Tomlinson, Sentirsi a casa nel mondo, 2001, Milano,
Feltrinelli, p. 168.
5
Ibidem.
6
J. Tomlinson, 2001, Sentirsi a casa nel mondo. La cultura come bene globale, Milano, Feltrinelli, pp. 210-228, 129-
175.
6
Inclusione, integrazione, interculturalità: tre concetti che fanno scattare
immediatamente l'associazione a qualcuno o qualcosa che sia inserito in qualcosa di cui non
era originariamente parte. L'integrazione è proprio la necessità dalla quale è partito tutto il
mio lavoro, il bisogno di trovare un modo in cui rendere un processo tanto complesso, sia
per adulti che per bambini, il più naturale possibile.
Pensando agli strumenti o ai mezzi a nostra disposizione, il primo che mi è venuto in mente
è il più naturale di tutti: la voce, non intesa come “emissione di suoni e parole” (o meglio
non in senso stretto), ma la voce della narrazione, la voce del raccontare, la voce del
testimoniare, la voce del comunicare vissuti reali e immagini fantastiche.
La narrazione è, infatti, il “luogo” dell'incontro tra le storie di sé e quelle che hanno altre
radici, è il terreno dello scontro e dello scambio, il punto di partenza della nostra crescita
attraverso l'arricchimento con l'immaginario e l'esperienza altrui. Il luogo in cui la distanza
si annulla, lasciando il posto alla curiosità. La narrazione, dunque, è un potentissimo
strumento transculturale.
Perché non fare intercultura attraverso la narrazione e il racconto?
La società “globale” del XXI secolo sta lanciando degli allarmi che, se sottovalutati,
possono portare, e già stanno portando, a conseguenze inaccettabili. Il razzismo, la paura
dell'“altro”, la xenofobia non sono dei fantasmi ma dei pericoli viventi e dilaganti. Tra gli
adulti, come nei giovani. È necessario un pronto soccorso a questa situazione, in un paese
che, tra l'altro, l'immigrazione massiva l'ha vissuta da protagonista, non solo da ospitante.
Quindi, come si può sputare oggi su coloro che un giorno erano i nostri nonni? Non erano
né più amati né migliori. “Italiani brava gente” non funziona.
Parlando con la gente, però, mi accorgo spesso che chi “sputa” ha anche conosciuto
(direttamente o grazie ai famigliari) l'esperienza dell'immigrazione. Ma, allora, qualcosa non
mi torna.
Perché queste paure? Perché questo rifiuto? Perché forse tanto si è faticato per ottenere
qualcosa che si ha un'incontrollabile paura di perderlo? Forse per questa domanda il
nocciolo della questione è un altro. Forse i migranti stanno diventando la valvola di sfogo
su cui far confluire una sorta di frustrazione sociale? Non sarebbe altrimenti più naturale
volere che qualcuno che sta vivendo una situazione di disagio, avendola io già vissuta, come
può essere l'emigrazione, possa trovare nel suo nuovo luogo d'accoglienza un ambiente
amico e non ostile? Non sarebbe più facile che questa gente, tanto legata al suo “Bel
Paese”, facesse qualcosa per migliorarlo il suo Paese, piuttosto che “proteggerlo” e
7
difenderlo a suon di inutili parole e giudizi? Troppe domande? Bhe! Forse poche rispetto a
quelle che si porranno coloro che oggi, forse, ancora non possono decifrare certe
dinamiche: i bambini.
Le persone nascono con una naturale predisposizione alla curiosità, peccato che
talvolta si perda o si annebbi. La curiosità è uno dei motori che può far progredire
l'educazione interculturale e la scuola ha il compito di alimentare tale predisposizione
infantile e intervenire al fine di promuovere l'intercultura. L'integrazione è uno dei principi
fondamentali su cui deve basarsi l'educazione scolastica, è un precetto “sovra-famigliare”
intoccabile.
Già a partire da metà anni '80 si è iniziato a discutere di educazione interculturale, oggi
bisogna agire concretamente. L'integrazione ha la risposta già nella natura della parola
stessa: “azione”.
Attraverso strumenti come favole, miti e leggende possiamo scoprire analogie e
differenze, caratteristiche proprie di un gruppo, un paese, un popolo, un luogo, un
ambiente, un contesto che altrimenti sarebbero distanti. La narrazione può mettere in
contatto questi luoghi e queste persone, annullando la lontananza, attraverso una
navigazione trasversale nell'immaginario. Un immaginario costituito da favole, miti e
leggende frutto di scambi e influenze che si sono arricchiti di significati profondi che
costituiscono le chiavi di lettura dei mondi e del vivere sociale dell'essere umano. Rispecchia
i desideri, le paure, la condizione umana divisa tra la vita e la morte, gli schemi morali.
Così, il racconto, da una parte esprime delle rappresentazioni collettive, dall'altra fornisce
delle testimonianze di vissuti individuali. Inoltre, presenta una duplice natura: se per certi
versi rivela il suo carattere fantastico, da altri mostra la sua componente reale, concreta,
legata alla dimensione sociale.
La scuola dovrebbe permettere ai bambini di immergersi nel mondo fantastico, creando un
terreno fertile al confronto e, dirigendo la loro curiosità in direzioni che prima erano loro
sconosciute, allo sviluppo di un intelligente senso critico, al ragionamento e all'empatia,
nonché a una maggiore auto-consapevolezza. Inoltre, permettendo alla capacità individuale
di ognuno di rielaborare le storie, lasciare che la forza del racconto agisca da sé, “con le
proprie forze di incantamento, di potenzialità, di possibilità
7
”. Il racconto sarà, così,
7 Graziella Favaro, Raccontare e raccontarsi. Fiabe, narrazioni e autobiografia nell'incontro tra storie e culture. V Incontro
Nazionale dei Centri Interculturali, Atti del convegno 2002, p. 23, in
www.comune.fano.ps.it/AltriSiti/www.cremi.it/pdf/02.pdf (22/09/2008).
8
arricchito attraverso le proprie esperienze personali, colorandosi di immagini, sfumature e
riferimenti propri.
I racconti di animali, le favole, sono diffusi ovunque e diventano rappresentazioni di
vizi, virtù e difetti degli esseri umani, assegnando in ogni cultura e ad ogni animale
particolari caratteristiche, rendendo possibile, inoltre, l'individuazione di analogie e
differenze con le proprie.
Essendo legati alla memoria, la trasmissione di favole, miti e leggende si muove verso la
costruzione dell'identità e il rafforzamento dei legami tra generazioni e radici culturali.
Il raccontare e l'ascoltare i racconti permettono la scoperta di emozioni e storie, la
sperimentazione di noi stessi e del rapporto con l’altro”, il confronto e lo scambio, e la
nostra trasformazione.
Attraverso questo lavoro ripropongo una selezione di racconti, favole, miti e
leggende della tradizione peruviana orientati ad alunni italiani e peruviani e al loro utilizzo
in chiave interculturale nel contesto italofono della scuola primaria.
9
1. PERUVIANI IN ITALIA: CHI SONO?
Lombardia 2006
Secondo le stime Caritas/Migrantes, anche per il 2006, la Lombardia è la prima regione
italiana per presenza di immigrati con permesso di soggiorno regolare (23,1% del totale
nazionale).
Al 31 dicembre 2006 i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Lombardia sono
quasi 851.000, mentre il capoluogo lombardo si colloca ancora al secondo posto su scala
nazionale, solo dopo Roma, con quasi 391.000 soggiornanti.
La provincia di Milano vede la concentrazione del 45,9% dei regolari, mentre la parte
restante si distribuisce nelle restanti province regionali.
Le nazionalità più rappresentate tra gli stranieri residenti a Milano sono le Filippine con
27.568 presenze, l'Egitto con 22.129, il Perù con 14.188 persone (pari all'8,3%), la Cina con
14.023 e l'Ecuador con 12.672.
8
La comunità peruviana in dettaglio
Secondo uno studio basato sul Registro Informatizado de Inscripciones de Peruanos del Consolato
Generale del Perù di Milano, effettuato tra il 2 gennaio 2006 e il settembre 2008, la
popolazione di migranti peruviani nelle regioni di Lombardia ed Emilia Romagna è
attualmente più di 60.000, costituendo una delle più importanti comunità di peruviani nel
mondo. Milano, infatti, occupa il settimo posto nella classifica mondiale delle città a
maggior presenza peruviana, e il secondo a livello europeo, solo dopo Madrid.
Secondo statistiche ufficiali italiane, la comunità peruviana è la terza comunità straniera per
estensione, e la comunità latinoamericana più importante nella provincia di Milano, con più
di 35.000 persone al 1/07/2007.
9
D'accordo con le cifre del Instituto Nacional de Estadística e Informatica (INEI) e la Dirección
8
“Rapporto Immigrazione Lombardia 2007”, Dossier Statistico Immigrazione 2007, Caritas/Migrantes, ed.Idos,
Roma, pp. 320-327.
9
“XI Rapporto sull'Immigrazione Straniera nella Provincia di Milano. Annuario Statistico Anno 2007”, ISMU
Regione Lombardia, settembre 2008, in www.ismu.org/orim (26/09/2008).
10
General de Migraciones (DIGEMIN), i peruviani immigrati dal proprio paese sono stati
291.500 nel 2006 e 239.491 nel 2007, mostrando una tendenza decrescente dopo il picco
del 2006.
Al contrario, si è registrato un incremento delle registrazioni al consolato di figli di
peruviani o di coppie italo-peruviane nati in Italia, da 553 nel 2006 a 677 nel 2007. Il 78%
di questi è nato nella provincia di Milano.
Del totale, l'81.8% dei peruviani registrati è nato in Perù, il 18% in Italia e solo lo 0.2% è
nato in altri paesi tra cui Argentina e Venezuela.
Donne
Degli 11.571 registrati si nota che 6.323 (il 55% del totale) sono donne, mentre 5.247 (45%)
sono uomini. Questo sta a dimostrare che l'immigrazione peruviana degli ultimi due anni e
mezzo in Lombardia ed Emilia Romagna, e per estensione in Italia, è principalmente
femminile.
Origine
I peruviani immigrati in Italia vengono dai 24 dipartimenti del Perù e della Provincia
Costituzionale di Callao. Esiste una relativa concentrazione di persone provenienti dal
dipartimento di Lima (52%), Junín (9%), Cuzco, La Libertad, Ancash e Arequipa, Callao
(4% ognuno). I dipartimenti con minore influenza migratoria sono Apurimac (3%) e
Ayacucho, Ica e Huancavelica (2% ognuno). Altri 14 dipartimenti rappresentano
complessivamente il restante 10%.
Per quanto riguarda le province d'origine, Lima continua ad essere la più importante (46%),
seguita dalla capitale del dipartimento di Junin, Huancayo (5%); Callao (4%); Arequipa e
Huaral (3%); seguono Cuzco, Trujillo (capitale del dipartimento de La Libertad) e Santa
(dipartimento di Ancash). Con un minimo 1% si riconoscono Huaural (Lima), Chiclayo
(capitale del dipartimento di Lambayeque) e Barranca (Lima). Altre 172 province
rappresentano il 30%.
Data la massiccia provenienza di peruviani dalla provincia di Lima, essa merita un'analisi
11
attenta dei distretti di provenienza dei migranti.
La maggior parte viene dallo stesso distretto di Lima Cercado (44%), e da altri
tradizionalmente di classe media e medio-bassa come Jesús-María (10%), Miraflores (5%),
La Victoria (5%) e Pueblo Libre (4%). Seguono El Augustino (4%) e del così detto Cono
Norte, Comas (4%) e San Martín de Porres (4%); e Cono Sur, Villa Maria del Triunfo (3%) e
San Juan de Miraflores (2%).
10
Età
La maggior parte dei migranti peruviani sono relativamente giovani e in età lavorativa, il
44% di loro ha tra i 26 e i 45 anni, mentre il 17% ha tra i 18 e i 25 anni. Un importante
18% sono bambini in età prescolare (riflesso dell'alta natalità di figli di immigrati); il 10% in
età scolare e ha dai 6 ai 17 anni; l'8% ha dai 45 ai 59 anni e solo il 2% ha più di 60 anni.
Anche se piccola, questa percentuale denota una tendenza, seppure minoritaria, al processo
di ricongiungimento familiare in senso esteso.
Grado di istruzione
Il 38% dei peruviani in Italia, sempre valutando la situazione delle regioni di Lombardia ed
Emilia Romagna, sono adulti con studi di scuola secundaria, completi o incompleti; il 31% ha
svolto un percorso tecnico o professionale, tra i quali dobbiamo menzionare specializzati in
infermeria, scienze economiche, amministrazione e contabilità; informatica, elettronica e
sistemi; scienze dell'educazione; medicina, veterinaria, ostetricia, odontoiatria, psicologia,
geriatria e optometria; meccanica; farmaceutica; turismo, cinema e musica.
Il 29% sono minorenni e sono in fase prescolare o scolare; solo il 2% ha un'educazione
esclusivamente primaria e uno scarso 0.05% è analfabeta.
Occupazione
Il 43% delle persone adulte di origine peruviana è occupata nel settore dei servizi e nel
settore tecnico, il 4% è costituito da casalinghe, mentre il 9% si dichiara disoccupato.
11
Il 23% è costituito da minori in età prescolare, mentre quelli in età scolare (fino ai 17 anni)
sono il 13%. Gli studenti maggiorenni (in scuole superiori, licei e università) coprono il 7%.
10
Le statistiche di provenienza sono state calcolate in base ai luoghi di nascita registrati presso il Consolato
Generale di Milano.
11
Il 27.8% dei registrati presso il Consolato non ha dichiarato la sua occupazione, pertanto l'analisi è stata
effettuata sul 72.2% restante.
12
Il grado di istruzione dei peruviani non è corrispondente al lavoro che svolgono in Italia.
Infatti, più di 1.300 dichiarano di lavorare in imprese di pulizia, come impiegate domestiche
o impiegati in generale. Le altre attività svolte sono per gli uomini quelle di operaio,
magazziniere, muratore (851 persone); le donne, invece, lavorano in qualità di badanti per la
cura di anziani e bambini (747 persone); autisti e infermieri/e. Sebbene in minor quantità, si
trovano sarti, panettieri, giardinieri, chef, commercianti e, sempre in minor percentuale,
stilisti, parrucchieri, elettricisti, meccanici e altro.
Residenza
Il 93.8% (10.462 persone) abita in Lombardia, all'interno della quale la provincia più
popolata di peruviani risulta essere, secondo le ricerche per residenza del Consolato di
Milano, quella di Milano (78%), seguita da Monza e Brianza (6%), Varese (5%) e in
proporzioni minori, Pavia, Como, Lecco, Bergamo, Lodi, Brescia e altre.
Per quanto riguarda Milano e provincia, il 70% vive nella città stessa, mentre l'altra parte è
ripartita tra i comuni a nord-ovest e nord-est del capoluogo lombardo: Cologno Monzese
(3%), Cinisello Balsamo (3%), Sesto San Giovanni (3%) e Pioltello (2%). Seguono San
Giuliano Milanese, Legnano, Rho, San Donato Milanese, Bresso, Corsico e Garbagnate
Milanese.
12
Onda e donna: l'immigrazione è femmina
Le donne sono state le prime pioniere delle migrazioni nel nostro paese dagli anni '70 del
XX secolo, e d'allora fino ad oggi (attualmente circa la metà), la loro occupazione è
prevalentemente legata a lavoro domestico e cura alle persone, sbocchi monosettoriali
(spesso obbligati) che non premiano la loro professionalità, visto che, molte di loro,
soprattutto provenienti dall'Europa dell'est e dall'America Latina, possiedono un bagaglio
personale e culturale talvolta elevato.
Parecchie donne, inoltre, sono persone di mezza età (intorno ai 40 anni in media) che
giungono in Italia con esperienze, saperi e competenze che, in realtà, si rivelano poco
spendibili nella società di arrivo, ritrovandosi, così, relegate nell'assistenza domestica, la
quale nel corso degli anni ha purtroppo acquisito una connotazione etnica.
12
Studio basato sul Registro Informatizado de Inscripciones de Peruanos del Consolato Generale del Perù di Milano,
in www.conpermilan.com (31/10/2008).
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