ebraica si stabilissero a Mosca e che varie comunità ebraiche si stanziassero nelle
regioni di confine, e di avere tra i suoi più stretti collaboratori un ebreo, Šapirov.
Durante il regno di Caterina I gli ebrei russi subirono nuove discriminazioni,
culminate con il decreto di espulsione varato nel 1740. Elisabetta, nota per il suo
fanatismo religioso, intensificò tale politica di discriminazione anti-ebraica,
rifiutandosi di dare ascolto alcuno a chi cercava di dissuaderla da tale
atteggiamento in nome delle necessità economiche dell’impero russo, e chi si
trovò a succederle, Caterina la Grande, pur di mentalità assai più liberale, si trovò
costretta a continuare la politica anti-ebraica dei suoi predecessori anche e
soprattutto a causa delle problematiche derivanti dall’assorbimento di un
consistente numero di ebrei a seguito delle spartizioni della Polonia di fine secolo.
Fu inoltre sempre Caterina la Grande a creare il cosiddetto “recinto ebraico”, che
stava ad indicare il territorio in cui agli ebrei era ammesso vivere.
Per gli ebrei russi però un secolo cruciale risultò essere il XIX, che
cominciò con l’ascesa al potere di Alessandro I, il quale pur concedendo alla
minoranza ebraica delle facoltà mai riconosciute dai suoi predecessori, come ad
esempio il diritto all’istruzione per i figli anche se rigorosamente in lingua russa,
nel suo ultimo anno di regno, il 1824, emanò un ordine di espulsione che colpiva
la maggior parte degli ebrei. Il suo successore Nicola I dedicò nel corso dei trenta
anni del suo regno oltre seicento provvedimenti alla questione ebraica, regolando
dettagliatamente ogni singolo aspetto della vita degli ebrei russi, dalla coscrizione
obbligatoria al divieto di indossare i loro costumi tradizionali. La situazione
sembrò arrivare ad una svolta nel corso del regno del figlio di Nicola, Alessandro
II, che migliorò in maniera significativa lo status legale degli ebrei russi, ma poi
la sua uccisione, nella quale fu coinvolto un gruppo di ebrei, scatenò il primo di
6
una lunga serie di cruenti pogromy, ai quali in molti reagirono scegliendo di
emigrare negli Stati Uniti ed in Palestina.
Senza dubbio decisivo per la sorte degli ebrei russi fu il periodo a cavallo
del XIX e del XX secolo, in cui se da una parte essi dovevano guardarsi dalle
politiche antisemite degli zar, in particolar modo di Nicola II, seguito da un altro
sovrano dai sentimenti antisemiti come Alessandro III, dall’altra la crescita del
movimento rivoluzionario apriva per loro nuove importanti prospettive,
accompagnate però da pericolose insidie. In effetti la scomparsa delle classi
sociali, unitamente a quella delle nazionalità, rappresentava uno degli elementi-
cardine della dottrina comunista. Se Marx, malgrado discendesse da una famiglia
di rabbini, aveva una visione del tutto negativa della religione ebraica, la visione
di Lenin non era meno radicale: tutto ciò portò ad un assai difficilmente
risolvibile contrasto tra i principi basilari della dottrina marxista-leninista e quelli
che ispirarono il movimento sionista, nato nella seconda metà dell’Ottocento in
Europa Centrale grazie all’attività dell’ebreo ungherese Theodor Hertzl, ed il suo
stesso sviluppo, particolarmente significativo all’interno dei confini russi. Il primo
chiaro segno di tali divergenze ideologiche venne alla luce nel corso del
Congresso di Bruxelles del luglio 1903, in cui il Partito operaio socialdemocratico
di Lenin costrinse al ritiro i rappresentanti del Bund, la Lega generale dei
lavoratori ebrei fondata nel 1897 allo scopo di compiere opera di agitazione
politica tra le fila degli operai di origine ebraica.
Ciò nonostante la partecipazione di ebrei alla causa rivoluzionaria fu
imponente, il che non stupisce visto il clima in cui gli ebrei russi erano costretti a
vivere durante il regno di Nicola II, il cui atteggiamento ostile nei loro confronti
fu palesato dalla pubblicazione dei Protocolli dei savi anziani di Sion, un falso
storico che ebbe la funzione di rappresentare il manifesto dell’antisemitismo russo
7
di inizio secolo, anche se restano ancora dei dubbi tra gli storici su chi
commissionò in realtà la stesura e la distribuzione di questo libello. Non può non
stupire, d’altra parte, l’alta percentuale degli ebrei presenti nelle alte sfere del
nuovo Stato nato a seguito della Rivoluzione di ottobre del 1917, l’Unione
Sovietica, anche se la stragrande maggioranza di essi, come lo stesso Trockij, era
del tutto estranea all’ideologia sionista: tre dei sette membri del primo Comitato
Centrale dell’URSS erano di origine ebraica. Tale dato acquisisce ulteriore
significato se rapportato alla percentuale dei membri ebrei del Partito comunista:
se i membri di origine russa erano in netta maggioranza con il 60% del totale,
quelli di origine ebraica rappresentavano solo il 16%. Agli ebrei fu inoltre
concesso di aprire una loro sezione autonoma all’interno del PCUS, sezione che
rimase in funzione fino al 1930: molto era cambiato e stava cambiando all’interno
della gerarchia comunista in quegli anni. L’ascesa al potere di Stalin, oltre a
provocare un decisivo cambiamento nel breve e nel lungo termine per la stessa
politica interna ed estera dello Stato sovietico, fu di cruciale importanza per la
stessa minoranza ebraico-sovietica, che da subito iniziò a subire la durezza della
nuova leadership del Cremlino.
Questo studio è dedicato proprio alla politica di Stalin nei confronti degli
ebrei sovietici, in particolar modo nel periodo compreso tra il 1939 ed il 1953,
ossia dalla stipulazione del Patto Molotov-Ribbentrop, con cui l’URSS legò il suo
destino alla Germania nazista nei primi due anni della Seconda guerra mondiale,
sino alla morte del dittatore georgiano, avvenuta nel mezzo di uno scandalo creato
ad arte in cui erano coinvolti eminenti medici di origine ebraica. La trattazione è
suddivisa in tre capitoli, ognuno dei quali dedicato ad uno specifico periodo
storico di cui sarà analizzato l’atteggiamento del Cremlino nei confronti degli
8
ebrei, atteggiamento spesso condizionato in maniera decisiva dalla situazione
interna ed esterna della politica e della diplomazia sovietiche.
Il primo capitolo, incentrato sugli anni della Seconda guerra mondiale, farà
luce sulle reali motivazioni che portarono l’URSS ad allearsi con la Germania di
Hitler, lo Stato antisemita per eccellenza, e sulle conseguenze subite dagli ebrei
sovietici a seguito di tale accordo come pure del suo tradimento da parte dei
nazisti attraverso il lancio della cosiddetta Operazione Barbarossa nel giugno
1941. D’altronde, se si metterà certamente in evidenza come l’invasione tedesca
ebbe tragiche conseguenze per la comunità ebraica sovietica, si dovrà notare come
lo stesso tradimento nazista portò ad un radicale cambiamento dell’atteggiamento
del Cremlino nei confronti degli ebrei sovietici. Di questo nuovo atteggiamento si
cercherà di individuare le motivazioni. In questo contesto verrà illustrata la storia
della nascita del Comitato antifascista ebraico, un organo nato nel 1942, la cui
presidenza fu affidata al celebre attore yiddish Solomon Mikhoels con il non
dichiarato scopo di fare propaganda allo sforzo bellico dell’URSS contro gli ex-
alleati tedeschi e di raccogliere aiuti economici da parte delle comunità ebraiche
occidentali, in particolar modo quella statunitense.
Nel secondo capitolo, dedicato ai primi anni del dopoguerra, si analizzerà
la storia del fallimento di due progetti ai quali il Comitato di Mikhoels aveva
dedicato la propria attività, ossia la pubblicazione di un Libro nero in cui
avrebbero dovuto essere raccolte le testimonianze e le storie degli ebrei sovietici
che avevano subito l’occupazione nazista (alla cui realizzazione si dimostrarono
interessati esponenti di spicco delle principali comunità ebraiche internazionali
come Albert Einstein), e la realizzazione di una Regione autonoma ebraica in
Crimea. Non a tutti è nota la difficile storia della Regione autonoma ebraica del
Birobidžan, nell’Estremo Oriente sovietico, formalmente ancora in essere nel
9
periodo in questione, e dunque ad essa saranno dedicate alcune pagine. Si
analizzeranno poi le conseguenze per gli ebrei sovietici del periodo di chiusura
culturale dell’URSS, motivato in grande parte dall’inizio della “guerra fredda”,
durante il quale accanto alla figura di Stalin spiccò quella di Andrej
Aleksandrovič Ždanov. Ci si soffermerà poi su due episodi cruciali che
caratterizzarono il 1948 della comunità ebraica sovietica, quali la morte di
Solomon Mikhoels, con ogni probabilità non causata da un incidente come le
autorità sovietiche tentarono di far credere, e la nascita dello Stato israeliano, per
la quale risultò di essenziale importanza l’appoggio dell’URSS, sia politico che
militare.
Nel corso del terzo ed ultimo capitolo si cercherà di far luce sugli
avvenimenti del periodo compreso tra la fine del 1948 ed il 1953, periodo che
molti storici si sono spinti a definire “gli anni neri degli ebrei sovietici”. Non si
mancherà di evidenziare la tendenza sempre più marcatamente antisemita della
campagna di chiusura culturale contro i cosiddetti “cosmopoliti”, che portò
all’arresto di un gruppo di eminenti intellettuali di origini ebraiche, la maggior
parte dei quali aveva fatto parte del Comitato di Mikhoels, ufficialmente chiuso
pochi mesi dopo la sua morte. Prima di illustrare gli avvenimenti decisivi come i
processi che videro coinvolti in primo luogo ebrei svoltisi a Praga e a Mosca nel
1952 a preludio della deflagrazione del “Complotto dei medici”, anche
quest’ultimo dai toni inequivocabilmente anti-ebraici, si cercherà quanto nella
politica sempre più antisemita del Cremlino nel periodo analizzato pesasse la
personale disposizione di Stalin nei confronti degli ebrei, molti dei quali non
poterono fare a meno di sentirsi sollevati nel momento in cui appresero la notizia
della morte del dittatore georgiano.
10
Con il presente studio ci si propone dunque di fare chiarezza su uno degli
aspetti meno noti della dittatura di Stalin, attraverso il contributo di opere
saggistiche di numerosi storici, in buona parte pubblicate in lingue diverse
dall’italiano. Essendo però la maggior parte dei testi opera di autori di origini
ebraiche, come d’altronde è ovvio considerato l’argomento in questione, si farà in
modo di evitare la pericolosa insidia di usufruire di una bibliografia in qualche
modo “univoca”, attraverso lo studio del punto di vista di altri autori di origini
diverse. Si cercherà, oltre a realizzare un’analisi incentrata sugli eventi del
periodo, che fu tanto tragico quanto pregno di conseguenze per la storia futura
dell’intera comunità ebraica internazionale, di soffermarsi sulle scelte dell’Unione
Sovietica e sulle motivazioni che portarono a repentini e radicali cambiamenti
dell’atteggiamento sovietico nei confronti degli ebrei: si tenterà in tal modo di
colmare quella che è possibile definire una lacuna nella storiografia in lingua
italiana.
11
Capitolo Primo
1. 1 – Il patto Molotov-Ribbentrop
Come tutti gli anni da quando era diventato commissario agli Esteri
dell’Unione Sovietica, il primo maggio 1939 Maksim Litvinov si trovava a fianco
dei principali esponenti della gerarchia comunista sul podio situato sulla tomba di
Lenin a Mosca nella Piazza Rossa, in occasione della Festa dei Lavoratori. Poche
ore più tardi Litvinov confidò la propria preoccupazione alla moglie,
preoccupazione alimentata dall’atteggiamento di Stalin nei suoi confronti durante
la parata: il georgiano tutte le volte che incrociava il suo sguardo faceva finta di
non vederlo e guardava da un’altra parte. “Stanno cambiando politica. Sapevo che
sarebbe successo”, le disse. La moglie capì subito la situazione e si sfogò
maledicendo “quel pazzo di Chamberlain”
1
, il premier inglese dell’epoca.
Appena due giorni dopo Stalin avvalorò le sue sensazioni comunicandogli
la sua uscita di scena, ufficialmente come dimissionario, dalla carica di
commissario agli Esteri, sostituito da Vjačeslav Molotov, all’epoca presidente del
Consiglio dei commissari del popolo, in altri termini Primo Ministro.
Tale avvicendamento al Commissariato degli esteri dell’URSS è
considerato dagli storici come un avvenimento decisivo in quel percorso che
avrebbe portato di lì a pochi mesi all’inizio della Seconda guerra mondiale.
Litvinov era stato colui il quale, all’interno dei vertici sovietici, più aveva
sostenuto la necessità di un’alleanza con le Potenze occidentali, nel corso dei
negoziati anti-tedeschi che si trascinavano da lungo tempo con Francia ed
1
A. Read - D. Fisher, L’abbraccio mortale, Milano 1989, p. 95.
12
Inghilterra e che non avevano portato a nulla di concreto. Inoltre l’ormai ex
commissario agli Esteri era ebreo, l’unico dei numerosi ebrei facenti parte del
primo Politbjuro di Lenin che si era registrato con la nazionalità ebraica e non con
quella grande russa. “L’eminente ebreo, l’obiettivo dell’antagonismo tedesco, fu
messo da parte come una posata rotta, e, senza che fosse autorizzata una parola di
spiegazione, cacciato fuori dalla scena mondiale verso l’oscurità, (gli venne
concessa) un’elemosina, e (fu posto sotto) la supervisione della polizia (…).
L’ebreo Litvinov era andato, ed il principale pregiudizio di Hitler placato”
2
.
Le parole di Churchill dimostrano l’importanza di questo avvicendamento
in seno alla gestione della politica estera sovietica. L’atteggiamento di Stalin nei
confronti di Francia e Inghilterra aveva subito una brusca svolta in seguito al
Patto di Monaco del 1938, dalle cui trattative l’URSS era stata esclusa. Gli sforzi
fatti per crearsi una buona reputazione con il resto dell’Europa si erano dimostrati
vani
3
. Nel 1935 l’Unione Sovietica era infatti entrata nella Lega delle Nazioni, e
nello stesso anno fu firmato un trattato con la Francia, cui seguì nel giro di alcuni
mesi la stipulazione di una serie di accordi bilaterali con la Cecoslovacchia.
Anche la Costituzione del 1936 può essere vista come un segno di tale proposito
sovietico. D’altra parte Stalin, dopo gli accordi di Monaco, dimostrò la sua
diffidenza nei confronti delle due Potenze occidentali in più occasioni, diffidenza
alimentata e giustificata dalla scarsa determinazione delle due diplomazie
occidentali per arrivare ad un accordo con Mosca in funzione anti-tedesca. Agli
occhi di Stalin la politica di Litvinov aveva avuto esiti fallimentari, ed inoltre
minacciava di incastrare l’Unione Sovietica in una, per il momento, inopportuna
guerra contro la Germania, guerra che si sarebbe corso il rischio di dover
2
Winston S. Churchill, The Second World War, Boston 1948 vol. 1, cit. da Y. Gilboa, The black
years of Soviet Jewry, Boston 1971, p. 14.
3
Cfr. M. McCauley, Stalin e lo Stalinismo, Bologna 2000, p. 63.
13
affrontare senza il supporto della Francia e dell’Inghilterra, che avrebbero senza
dubbio fatto di tutto per starne fuori
4
. Le prime chiare avvisaglie di un
cambiamento di atteggiamento nella politica estera sovietica possono essere
trovate nel discorso che Stalin tenne in occasione del diciottesimo congresso del
PCUS, il 10 marzo 1939. Il leader sovietico ebbe parole di duro rimprovero nei
confronti di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, che si erano a suo avviso
macchiati di eccessiva compiacenza nel permettere la realizzazione dei piani
hitleriani attraverso numerose concessioni.
“Voglio solo far osservare che il grande e pericoloso gioco iniziato dai
sostenitori della politica del non-intervento, può finire con un duro colpo per
loro”
5
. Se poi l’obiettivo a breve termine di Stalin era “essere vigilanti e non
consentire che il nostro Paese venga attratto verso un conflitto da parte di
guerrafondai abituati a farsi togliere da altri le castagne dal fuoco”
6
, è facile capire
come la sostituzione di Litvinov fosse ampiamente prevedibile.
Dunque da una parte l’allontanamento di Litvinov era un chiaro messaggio
ad Hitler, messaggio recepito perfettamente dal dittatore tedesco, che di lì a poco
ordinò al suo ministro della Propaganda Josef Goebbels di dare disposizione a
tutti i direttori dei giornali tedeschi di interrompere tutti gli attacchi nei confronti
dell’URSS
7
. Ovviamente ai tedeschi era stato nascosto il fatto che chi sostituiva
Litvinov aveva una moglie ebrea.
Dall’altra parte la nomina di Molotov ebbe un ulteriore significato politico
molto importante: dato che il nuovo commissario agli Esteri era in tutto e per tutto
una creatura di Stalin, quest’ultimo dava di fatto il segnale al mondo intero di
assumersi personalmente la missione di decidere e formulare l’intera linea politica
4
Cfr. W. L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Torino 1962, p.523.
5
A. Read - D. Fisher, op. cit., pp. 78-79.
6
Ibidem.
7
Cfr. A. Read - D. Fisher, op. cit., p. 97.
14
sovietica
8
. Da questo momento in poi i diplomatici inglesi e francesi a Mosca
furono costretti a constatare il cambiamento del tono usato nei loro confronti: le
esigenze dell’Unione Sovietica furono espresse senza mezzi termini. Stalin voleva
un’alleanza seria ed impegnativa, senza possibilità di ambiguità o scappatoie, e
per tutto il periodo che portò alla rottura finale sancita dal patto Molotov-
Ribbentrop
9
i sovietici si contraddistinsero per la loro fermezza e concretezza.
Dall’altro lato non ci fu mai la reale volontà di stringere un’alleanza alle
condizioni dettate dall’URSS, e Chamberlain nella sua cerchia esprimeva la
speranza di evitare la firma del trattato
10
.
Al contrario Hitler aveva una fretta smaniosa di concludere un accordo
con l’URSS, specialmente dopo i segnali inequivocabilmente positivi in tal senso
che arrivavano da Mosca. Nei piani del Fürher la Polonia andava invasa al più
presto, entro la fine dell’estate 1939, e perché ciò avvenisse senza l’apertura di un
doppio fronte ad Est e ad Ovest, il che sarebbe equivalso ad un suicidio
strategico-militare, necessitava di un’intesa con Stalin. Inoltre era da scongiurare
l’ipotesi che l’URSS trovasse all’improvviso il ventilato accordo con Francia ed
Inghilterra. L’intesa sovieto-germanica fu profilata in un tempo politicamente
brevissimo, il che fa capire quanto fosse forte la necessità dell’accordo per l’una e
per l’altra parte.
Che Hitler odiasse i sovietici non era un mistero. Considerava il mondo
troppo piccolo per ospitare due nazioni dalle ideologie così ambiziose come la
Germania nazista e l’URSS
11
, ed inoltre disprezzava gli slavi in genere e
l’ampiezza della componente ebraica all’interno della gerarchia sovietica.
Numerose pubblicazioni naziste avevano posto l’accento sul fatto che le posizioni
8
Ivi, p. 101.
9
Joachim von Ribbentrop, ministro degli esteri tedesco, 1938-45.
10
Cfr. G. Boffa, Storia dell’Unione Sovietica, Roma 1990, vol. II, pp. 300-301.
11
Cfr. M. McCauley, op. cit., p. 64.
15
chiave in tutti rami dell’amministrazione sovietica erano occupate da ebrei. Lo
stesso Hitler, una volta rotta l’alleanza con l’URSS, non avrebbe esitato a
dichiarare come il suo unico nemico fosse il “Giudeo-Bolscevismo”
12
. Ma
nonostante queste premesse dall’una e dall’altra parte prevalse un cinico
opportunismo, che portò alla firma del patto Molotov-Ribbentrop il 23 agosto
1939.
Il patto fu preceduto da un accordo commerciale decisamente vantaggioso
per i Sovietici, sul quale si discuteva dall’anno precedente, che servì da apripista
per la frettolosa missione di von Ribbentrop a Mosca. Il ministro degli Esteri del
Reich arrivò il giorno della firma del patto in un aeroporto decorato da una serie
di bandiere sovietiche accanto alle quali spiccavano, a suggellare la prossima
alleanza tra i due Paesi, bandiere con la svastica rimediate in fretta e furia dai
sovietici negli studi cinematografici di Mosca, dove erano precedentemente state
usate in alcuni film anti-nazisti
13
. Nel pomeriggio cominciarono le trattative, che
portarono nel giro di poche ore alla firma di un accordo strutturato in sette punti
che entrava in vigore immediatamente. Si trattava di un trattato di non-
aggressione della durata di dieci anni, in cui le due Potenze si impegnavano ad
“astenersi da qualunque atto di forza, da qualsiasi azione aggressiva e da qualsiasi
attacco reciproco, o per proprio conto o insieme ad altre Potenze”
14
. L’articolo 2
del patto faceva poi ulteriore chiarezza sulla natura dei rapporti che ne sarebbero
conseguiti: “Se una delle due parti contraenti dovesse diventare oggetto di un atto
di violenza o di attacco da parte di una terza potenza, l’altra parte contraente in
nessun modo concederà il suo appoggio a tali atti da parte di quella potenza”
15
. A
12
Cfr. A. Dallin, German Rule in Russia, 1941-1945, Londra 1957, p. 65, cit. da Y. Gilboa, op.
cit., p. 4.
13
Cfr. A. Read - D. Fisher, op. cit., p. 290.
14
Art. 1, cit. da A. Read - D. Fisher, op. cit., p. 295.
15
Ibidem.
16