2
esercitata sul comportamento del minore dall’ambiente socio-familiare4. Tutto
questo perché alla base dell’istituto c’è la consapevolezza che il recupero del reo
avviene più facilmente nel suo ambiente di vita quotidiana che non nella
istituzione chiusa del carcere che lo isola, lo impoverisce e lo stimola
negativamente5. Di conseguenza nei confronti del minore, le limitazioni della
libertà personale e soprattutto il carcere, sono estremamente marginalizzanti, e lo
stesso processo penale è considerato un accadimento che può arrecare pregiudizio
all’evoluzione della personalità del soggetto6 . Nel nostro ordinamento, prima
della riforma del 1988, la risposta penale nei confronti del minorenne era
caratterizzata da specificità riguardanti le condizioni di esclusione o diminuzione
dell’imputabilità e quindi della responsabilità e della pena, i luoghi e le condizioni
di esecuzione della pena detentiva, la concessione del perdono giudiziale, la
misura di sicurezza del riformatorio. Nel sistema attuale, il processo penale deve
servire più radicalmente a favorire il recupero sociale del minore deviante, che
abbia commesso un reato e la cui personalità è in corso di formazione7.
4
S. Giambruno (2003), op. cit.
5
P. Giannino – P. Avallone (2000), op. cit.
6
E. Lanza, La sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato minorenne, Giuffrè, Milano, 2003.
7
E. Lanza (2003), op. cit.
3
CAPITOLO 1. La giustizia minorile.
1.1 – ORIGINE DEL TRIBUNALE PER I MINORENNI.
a storia della giustizia minorile comincia a delinearsi nel
momento in cui, alla fine del XVII secolo, si vanno
affermando i grandi movimenti di pensiero che, prendendo le
mosse dall’esigenza di una riforma in senso più umanitario delle carceri,
ponevano l’accento sulla necessità di valutare la personalità del reo nell’ambito
del processo penale al fine di applicargli una sanzione individualizzata che ne
consentisse il reinserimento nel contesto sociale. Comincia, così, a sorgere l’idea
di una giustizia minorile che si differenziasse dalla giustizia riguardante gli adulti,
anche nel campo giudiziario e, in tal modo, si va concretamente prospettando la
possibilità di istituire un giudice minorile specializzato, attraverso la creazione di
un autonomo tribunale per i minorenni8.
La necessità di un organo giurisdizionale destinato ad occuparsi dal punto
di vista penalprocessuale dei soggetti minori di età, da non considerare
delinquenti o criminali, ma semmai disadattati o antisociali da recuperare e da
rieducare, fu avvertita dalle legislazioni di tutti i paesi. All’inizio del XX secolo,
infatti, erano parecchi gli Stati che avevano già provveduto a darsi un
ordinamento in materia di giustizia minorile9.
In Europa la prima normativa organica a proposito di tribunale per i
minorenni si ritrova nel Regno Unito, dove con il Children Act del 1908 si resero
obbligatorie in Inghilterra, Scozia e Irlanda le corti giovanili, ossia organi aventi
giurisdizione completa ed autonoma sui fanciulli (minori di 14 anni) e gli
adolescenti (minori dai 14 anni ai 16 anni), che apparissero bisognosi di
protezione e di guida o che fossero autori di fatti costituenti reato o, comunque, in
contrasto con le regole di convivenza sociale. Tuttavia fu il Belgio ad adottare per
primo una regolamentazione completa in materia. Ben presto altri paesi europei si
preoccuparono di avere un organo giurisdizionale particolarmente idoneo ad
8
S. Giambruno (2003), op. cit.
9
S. Giambruno (2003), op. cit.
L
4
esaminare non solo il fatto illecito commesso dal minore, ma soprattutto la
condotta tenuta in precedenza e l’influsso dell’ambiente, sia familiare che
scolastico, in cui era maturata la sua personalità. In Austria la legge istitutiva del
tribunale minorile risale al 1919, mentre in Francia al 1912; Germania e Grecia vi
provvidero rispettivamente nel 1923 e nel 1931; la Russia promulgò le prime
norme relative ai minori con due leggi che risalgono rispettivamente al 1918 e al
1926. Negli Stati Uniti d’America il primo tribunale per i minorenni fu istituito
nel Colorado nel 1907. Anche il Giappone creò i primi tribunali per minori come
organi speciali, indipendenti dagli altri organi giudiziari e sottoposti unicamente
alla sorveglianza del ministero della giustizia10.
A seconda delle caratteristiche dei sistemi legislativi adottati dai vari
paesi, la procedura seguita dalle istituzioni minorili presentava aspetti diversi e
tuttavia parecchie erano le peculiarità che ne accomunavano i tratti salienti. In
primo luogo, per tutti era essenziale, allorché si trattava di giudicare un minore, la
valutazione non tanto della condotta illecita, quanto delle motivazioni di essa, che
andavano ricercate osservando la personalità del minore e studiandone la psiche
attraverso il coinvolgimento delle istituzioni familiari e sociali. Altra caratteristica
ricorrente nei sistemi processuali riguardanti imputati minorenni era la presenza,
nella composizione dell’organo giudicante, dell’elemento laico, di solito
rappresentato da due persone, una di sesso maschile e una di sesso femminile,
particolarmente esperte nello studio delle scienze psicologiche e sociali e dei
problemi minorili. Inoltre le udienze non erano pubbliche ed erano chiamati ad
assistervi i genitori. Ciò su cui tutti concordavano era che la sanzione da
infliggere al minore imputato dovesse consistere in un trattamento rivolto
esclusivamente al recupero sociale dei soggetti interessati11.
In conclusione, il criterio di specialità che caratterizza il processo penale
minorile trova la sua ratio nella esigenza di comprendere prima e giudicare poi le
manifestazioni devianti della personalità dei giovani senza dover per forza fare
ricorso al circuito penale e penitenziario, e si articola sia nel senso della
istituzione di un giudice specializzato competente a conoscere i reati commessi
dai soggetti minori d’età, sia nel senso della individuazione di modelli processuali
10
S. Giambruno (2003), op. cit.
11
S. Giambruno (2003), op. cit.
5
differenziati idonei ad un’accurata analisi della personalità dell’imputato e non
necessariamente volti ad applicare, in caso di condanna, le sanzioni penali
tradizionali12.
1.2 – IL TRIBUNALE PER I MINORENNI NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA.
In Italia la risposta delle istituzioni alla esigenza di un trattamento
giuridico-processuale differenziato nei riguardi dei minori è stata abbastanza
lenta13 . Già da tempo era stato mostrato notevole interesse per la particolare
condizione del minorenne e si prospettava la necessità di considerare sotto un
profilo nuovo e diverso i problemi legati al disadattamento e alle criminalità
minorili14. Infatti già il codice penale Zanardelli, che fissava la maggiore età a fini
penali al raggiungimento del ventunesimo anno, distingueva l’età minore in
quattro periodi: il primo periodo, fino ai nove anni, era caratterizzato dalla
assoluta improcedibilità per fatti penalmente rilevanti; il secondo periodo, dai
nove ai quattordici anni, comportava il dovere per il giudice, di stabilire in
concreto se il minore avesse agito “con discernimento”. In caso di risposta
negativa non era prevista la pena, mentre in caso di risposta positiva la pena
veniva fortemente ridotta; per quanto riguarda il terzo periodo, dai quattordici ai
diciotto anni, e il quarto periodo, dai diciotto ai ventuno anni, erano previste
riduzioni di pena. In ogni caso non era previsto l’intervento di un giudice
specializzato15.
Tra i primi testi normativi rivolti alle forme di delinquenza minorile va
ricordata la legge 26.6.1904, n°267, con la quale venne introdotto nel nostro
ordinamento l’istituto della sospensione della pena. Si andava così affermando
l’esigenza di un trattamento individualizzato del minore, da compiersi non solo, e
non tanto, col presidio delle regole del diritto penale classico, ma con effettiva
preoccupazione pedagogica e assistenziale16.
Il primo intervento incentrato sul risalto attribuito alla specifica personalità
dell’imputato minorenne si ebbe nel 1908 con una circolare del ministro
guardasigilli Orlando, dove si sottolineava la peculiarità dell’esame della
12
S. Giambruno (2003), op. cit.
13
S. Giambruno (2003), op. cit.
14
M. Bouchard, Processo penale minorile, in Dig. Disc. Pen., vol. X, UTET, Torino, 1997.
15
S. Giambruno (2003), op. cit.
16
S. Giambruno (2003), op. cit.
6
personalità del soggetto da sottoporre al processo e l’esigenza della non pubblicità
del processo stesso. Si raccomandava poi che ad occuparsi dei processi a carico
dei soggetti minori d’età fossero sempre gli stessi giudici i quali non dovevano
limitarsi all’accertamento del fatto delittuoso nella sua pura materialità, ma
dovevano procedere a tutte quelle indagini utili a far conoscere le condizioni
familiari e socio-ambientali in cui era vissuto l’imputato. La circolare Orlando,
pur importante nell’iter che condusse alla istituzione del Tribunale per i
minorenni, in pratica non ebbe l’attuazione sperata. Nel 1912 una commissione
presieduta dal senatore Quarta predispose un progetto di “codice dei minorenni”
in cui si poneva l’accento sui metodi processuali da adottare nei riguardi dei
minori; tale progetto non giunse neppure all’esame del Parlamento. Fra i
provvedimenti volti a trovare la strada per una concreta ed effettiva
differenziazione della giustizia minorile non va dimenticato il Progetto Ollandini,
pubblicato nel 1922, che prevedeva l’istituzione di un organo collegiale misto con
competenza limitata a sole opere di vigilanza, tutela e protezione. Più
significativo è il Progetto Ferri, pubblicato nel 1921, in cui si sottolineava che i
rimedi più efficaci per la lotta contro la criminalità dei minorenni stanno fuori dal
sistema penale17.
Con la circolare n°2236 del 24.9.1929, il ministro guardasigilli Alfredo
Rocco riprendeva alcuni dei principi che avevano ispirato la circolare Orlando e
suggeriva, in attesa della riforma del codice penale e del codice di procedura
penale, di provvedere alla istituzione di magistrati per i minorenni e ad assicurare
una migliore applicazione delle norme di carattere preventivo riguardanti la
criminalità minorile concentrando in capo ai magistrati facenti parte degli organi
dell’Opera maternità e infanzia i compiti di protezione e assistenza dei minorenni
delinquenti affidati agli organi stessi e rendendo più stretto il collegamento tra
questi e l’autorità giudiziaria. Veniva, così, disposto che nelle più importanti sedi
di Corte d’appello venissero costantemente affidate ai medesimi magistrati, nei
processi riguardanti minorenni, sia la funzione istruttoria sia quella requirente
spettante al pubblico ministero, così da facilitare la specializzazione nelle relative
attività. Si stabiliva inoltre che i dibattimenti a carico dei minori di anni diciotto si
sarebbero dovuti svolgere possibilmente in sedi separare e lontano dagli edifici in
17
S. Giambruno (2003), op. cit.
7
cui venivano giudicati imputati maggiorenni. A tal proposito il codice di
procedura penale del 1930, in cui furono poste regole speciali per i singoli
dibattimenti riguardanti i minori, stabilì la destinazione di speciali udienze per i
dibattimenti in cui erano imputati minori infradiciottenni, dibattimenti che
dovevano svolgersi a porte chiuse, salva la possibilità per il presidente o il pretore
di consentire la partecipazione all’udienza ai genitori, ai tutori o ai rappresentanti
di istituti di assistenza per i minorenni18.
La creazione di un organo autonomo e specializzato si ebbe soltanto con il
R.d.l. 20 luglio 1934 n°1404, che istituì il Tribunale per i minorenni, il quale
rappresenta la svolta decisiva verso la creazione del diritto penale minorile, che
viene completato con l'operare di un organo ad hoc per quei soggetti
particolarmente deboli e con caratteristiche del tutto peculiari, della cui tutela si
faceva portatore quel movimento antropologico e umanitario presente in gran
parte dei paesi occidentali, di cui abbiamo detto precedentemente19. Tale organo
doveva essere composto di un magistrato avente il grado di consigliere di Corte
d’appello che lo presiedeva, di un magistrato avente il grado di giudice e di un
cittadino benemerito dell’assistenza sociale scelto tra i cultori di biologia, di
psichiatria, di antropologia criminale, di pedagogia. Esso risultava istituito in ogni
sede di Corte d’appello o di sezione di Corte d’appello, ma la sua competenza era
estesa a tutto il territorio facente capo all’una o all’altra e comprendeva un ufficio
autonomo del pubblico ministero, ritenendosi che solo con una vasta competenza
territoriale fosse possibile concentrare nel tribunale per i minorenni un complesso
di affari che, da un lato rendesse vitale un organo specializzato, e dall’altro
offrisse la possibilità della formazione spirituale e tecnica dei magistrati che
dovevano costituirlo. Veniva anche costituita una sezione della Corte d’appello
per minorenni composta come una ordinaria sezione della Corte d’appello, della
quale, però, doveva far parte pure un giudice laico scelto tra cittadini cultori di
biologia, psichiatria, antropologia criminale, pedagogia, in sostituzione di uno dei
giudici togati. Il tribunale per i minorenni doveva risiedere presso un unico
ufficio, sede anche del centro di rieducazione per minori a cui facevano capo un
riformatorio giudiziario, un riformatorio per corrigendi, un carcere per i minori,
un centro di osservazione per i minori. Le udienze davanti al tribunale per i
18
S. Giambruno (2003), op. cit.
19
S. Giambruno (2003), op. cit.
8
minorenni dovevano tenersi a porte chiuse con possibilità di intervento dei
prossimi congiunti dell’imputato, del tutore o del curatore dello stesso, del
rappresentante del locale comitato di patronato dell’Opera nazionale per la
protezione della maternità e dell’infanzia, dei rappresentanti dei comitati per
l’assistenza e la protezione dei minori che fossero riconosciuti dal presidente di
sicura serietà ed efficienza20. Dopo la legge 27.12.1956, n°1441 che ammise le
donne a svolgere funzioni in materia giudiziaria si stabilì che del tribunale per i
minorenni facesse parte, oltre al cittadino di sesso maschile, una donna, anche se
ciò faceva sì che il collegio, nei giudizi di primo grado, fosse composto di quattro
membri e che ci potessero essere difficoltà per la formazione numerica di una tesi
di maggioranza. Evidentemente interessava di più riprodurre in qualche modo
nell’organo giudicante in materia minorile l’atmosfera della famiglia, fondata
anche, e non poco, sulla complementarietà tra la psicologia tipica dei due sessi. La
legge del 1956, che per la prima volta introdusse per i giudici onorari il requisito
dell’età (trent’anni), modificò anche la composizione della sezione della Corte
d’appello per i minori. Infatti, fu disposta la sostituzione di due magistrati ordinari
della sezione con due privati cittadini forniti dei requisiti già previsti per i
componenti privati del tribunale, di cui uno di sesso femminile. Peraltro, la
composizione delle sezioni di Corte d’appello per i minori è stata ulteriormente
modificata dall’art. 2 della legge 8.8.77. Con questa norma si è stabilito che la
sezione minorile della Corte d’appello giudica con l’intervento di due esperti, un
uomo e una donna, aventi i requisiti prescritti dalla legge, i quali si aggiungono ai
tre magistrati togati della sezione stessa21.
1.3 – LE SCELTE DEL LEGISLATORE NELLA NORMATIVA DEL 1930.
Anche se sotto il profilo processuale poche erano le novità e il processo
penale minorile si presentava in realtà identico a quello per gli adulti, in tutta la
normativa del 1930 è chiara la volontà di attuare un sistema giudiziario minorile
nel quale si tenesse conto che il comportamento del minore, nel momento in cui
viola la legge penale, pur essendo formalmente delinquenziale, perché identico
esteriormente a quello posto in essere da un adulto, è pur sempre un
comportamento diverso, in quanto proviene da un soggetto che per la sua
20
S. Giambruno (2003), op. cit.
21
S. Giambruno (2003), op. cit.
9
mentalità, per la sua immaturità, per la sua sensibilità agli impulsi esterni, più di
ogni altro può sentire efficacemente gli effetti dei mezzi educativi22.
In tale prospettiva, il Codice Rocco introduce una serie di norme
specifiche per i minorenni. In tema di imputabilità prevede la presunzione
assoluta di non imputabilità fino ai quattordici anni (art. 97 c.p.). Per il minore di
età compresa fra i quattordici e i diciotto anni la capacità di intendere e di volere,
che sottende alla imputabilità, deve essere accertata di volta in volta (art. 98 c.p.);
non essendo prevista, per questa fascia di età, alcuna presunzione il soggetto sarà
imputabile solo ove l'accertamento della capacità di intendere e di volere abbia
avuto esito positivo. L'incapacità può essere causata da situazioni patologiche di
anormalità biologica o psichica o da 'immaturità', concetto elaborato
successivamente dalla giurisprudenza. Il codice Rocco non prevede speciali
fattispecie di reato per i minorenni, ma valgono anche per essi le fattispecie
previste dal diritto comune: "previsioni incriminatrici valide per il tipo di rapporti
sociali voluto dagli adulti e per gli adulti, vengono automaticamente applicate ai
giovani senza alcuna mediazione con gli interessi e i valori di cui essi sono
portatori"23. Non muta nemmeno la qualità della sanzione, consistente nella pena
pecuniaria e nella detenzione. La pena è, però, ridotta fino ad un terzo rispetto ai
limiti edittali previsti dal codice penale. Merito della legislazione del 1930 e del
1934 fu quello di porre l’accento sulla necessità di approfondire la conoscenza
della personalità del minore attraverso la valutazione delle cause della sua
devianza e la ricerca del mezzo più idoneo per eliminarla, imponendo ai giudici di
effettuare con ogni mezzo speciali ricerche per accertare i precedenti personali e
familiari dell’imputato sotto l’aspetto fisico, psichico, morale ed ambientale (art.
11 R.d.l. n°1404 del 1934). Al fine di consentire un valido esame della personalità
del minore e di attribuire contenuto educativo all’intervento penale furono
predisposte alcune norme volte ad assicurare la continua presenza dell’imputato,
il diretto contatto suo e dei familiari con i magistrati e la concessione di particolari
benefici per gli imputati considerati più meritevoli. Il codice penale del 1930, a tal
proposito, introdusse l’istituto del perdono giudiziale che consentiva al giudice, in
taluni casi, di non applicare la pena. Ritenendosi che la rieducazione dei
minorenni dovesse consistere soprattutto in un’opera di profilassi, si spostò a
22
S. Giambruno (2003), op. cit.
23
F. Palomba (1991), op. cit.
10
monte l’intervento dello Stato, che attraverso gli organi competenti, veniva
chiamato ad intromettersi nel processo causale della delinquenza minorile al fine
di impedire lo sbocco nella criminalità di qualsiasi tipo di irregolarità della
condotta e del carattere24. Così il R.d.l. n°1404 del 1934 diede al Tribunale per i
minorenni il potere di intervenire con un provvedimento di internamento in un
riformatorio per quei minori infradiciottenni, i quali “per abitudini contratte
avessero dato prova di traviamento e apparissero bisognevoli di correzione
morale” 25.
Dunque il legislatore del 1930 aveva chiaramente scelto di realizzare la
specializzazione del giudice minorile nella forma più completa e più ampia; di
indirizzare la funzione punitiva verso la finalità del riadattamento del minorenne;
di organizzare un sistema di prevenzione della delinquenza minorile con la
rieducazione dei traviati; di rendere possibile ai minori responsabili di delitti o
semplicemente di comportamenti irregolari il ritorno alla vita sociale senza che su
ciò influissero negativamente pregresse condotte deviate26.
1.4 – DALLA COSTITUZIONE AL CODICE DI PROCEDURA PENALE DEL 1988.
L’entrata in vigore della Costituzione influì notevolmente sulla evoluzione
della giustizia minorile che richiedeva una normativa più adeguata alle reali
esigenze del minore. Il sistema già prevedeva la possibilità di rinunciare alla
pretesa punitiva, laddove ciò avesse giovato al recupero del minore, e una
attenuazione della responsabilità oltre ad una disciplina dell’esecuzione più
attenta a realizzare un processo evolutivo positivo. Ma la cosa più importante fu il
prendere coscienza del fatto che i problemi del minore deviante vanno risolti
coinvolgendo e sostenendo la famiglia e la comunità di appartenenza27.
L’art. 30 Cost. trasforma la funzione educativa da diritto del genitore a
diritto esclusivo del minore, portando così ad un mutamento dell’ideologia che
sovraintende al modello educativo. In quest’ottica il minore ha un diritto
all’educazione rivendicabile verso gli adulti e verso la società: egli ne è titolare
esclusivo, indipendentemente dall’essere imputato, condannato o detenuto.
24
S. Giambruno (2003), op. cit.
25
S. Giambruno (2003), op. cit.
26
S. Giambruno (2003), op. cit.
27
S. Giambruno (2003), op. cit.