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preciso, per capire e per dare a chi legge la possibilità di capire cosa
fosse quel mondo e quel secolo, su quale sfondo e con quali strutture
mentali agissero gli uomini, quali fossero le loro merci, il loro cibo, quali
le navi, quali le armi...
Per ottenere questo è necessario fare della Storia economica; non è cer-
tamente un caso, dunque, che gran parte della nostra ricerca sia avve-
nuta su atti notarili, perché ci è parso che per comprendere una realtà
così lontana fosse necessario cominciare a comprenderne gli scambi, die-
tro cui certamente si celano, almeno in parte, le priorità di una società.
Abbiamo indagato due città, ma si può legittimamente dire che ne ab-
biamo indagate quattro, e che attraverso esse siamo giunti ad
un’immagine ampia e verosimile di tutto l’Adriatico di allora. Le città sono
Ancona (con tanta parte della sua regione, allora aperta all’esterno - al
mare, all’Oriente - come non le sarebbe più capitato per secoli) e Cattaro
(capoluogo di quelle Bocche che sono mare e Balcani insieme, striscia di
spiaggia finissima su cui si gettano le pietre del Montenegro); ma sono
anche Ragusa, che è legata ad Ancona attraverso mille fili, e mille altri la
tengono avvinta ai Balcani, e Venezia, che di Cattaro è la dominatrice.
Perché queste città, e non altre? Ancona la conosciamo bene, sui suoi
documenti abbiamo svolto la tesi di laurea; e in quell’occasione abbiamo
scoperto un’Italia che viveva ogni giorno, anche nei suoi centri più piccoli
e perfino insospettabili, dello scambio coi Balcani, delle materie prime
che appartenevano a quei Turchi che erano per questo non solo neces-
sari, ma perfino consueti e familiari; non per questo meno nemici, o me-
no paurosi, ma parte integrante della propria stessa civiltà. Parte inte-
grante di se stessi, diremo quasi; perché allora essere europei significa-
va non essere turchi.
Cattaro è un altro mondo ancora, una città che per secoli sperimenta il
governo di Venezia – e di questa impara le leggi e la lingua; in molti sen-
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si, la ama e attraverso di lei si apre all’Italia – ma non perde nulla della
propria identità slava; Cattaro è un centro polimorfo, affine e vicino tanto
al Rinascimento italiano e ai suoi palazzi (come quelli di Urbino, concepi-
ti da un dalmata) quanto agli slavi ortodossi o islamizzati dell’interno, su
cui non può giungere lo sguardo dell’Europa Occidentale, e che per que-
sto l’avvento dell’Illuminismo classificherà subito come diversi, orientali.
Cattaro parla il linguaggio di entrambi e riesce perfino a metterli in co-
municazione; oltre a questo, è una città doppia anche nel contatto con i
Turchi, con i quali a volte si combatte, a volte si commercia, e non sem-
pre quando si fa la prima cosa non si può fare la seconda. A qualsiasi
approccio tendenzioso, che dipinga l’islamico come nemico ereditario
della civiltà occidentale o che al contrario neghi od edulcori la storia di
conflitti del Mediterraneo, lo studio di una realtà simile risponde con
l’evidenza della Storia: che è una cosa complessa, e non è riducibile ad
uno slogan e neppure ad un auspicio.
Lo scopo della nostra ricerca è quello di gettare luce su un’epoca e
un’organizzazione sociale che appaiono lontane, ma che non sempre lo
sono davvero (il Seicento, in modo particolare, è un secolo cruciale per
la costruzione dell’Europa come la vediamo oggi). Per conoscere, e se
possibile per capire, serviva dare una visione generale, indagare in tutte
le direzioni suggerite dai documenti, in qualche maniera seguendo la le-
zione dei lavori di Giovanna Motta e di Sante Graciotti (il debito con
quest’ultimo è evidente dal titolo stesso della ricerca, giacché è sua la
definizione di koinè adriatica); tuttavia, in ogni momento ci è stato chiaro
l’obiettivo finale e più importante, che è quello di fare di tutti questi filoni
un lavoro coerente, organico, unito, che si sviluppi attraverso una narra-
zione certamente difforme nei suoi temi, ma intrecciata e mai rapsodica.
L’intreccio di questi filoni è lo stesso che univa, in maniera a nostro pare-
re innegabile, le città che sono al centro della nostra indagine:
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quest’intreccio è la koinè, è il terreno di dialogo, è la lingua comune, è la
civiltà peculiare dell’Adriatico, che non è un postulato, ma è il filo rosso
che lega ambiti diversi, vicende lontane nello spazio nel tempo, governi
ostili o anche nemici. Ma vogliamo che questo appaia com’è apparso a
noi, dal confronto e dall’esame dalle tante realtà storiche (che poi, ov-
viamente, in più di un secolo non restano uguali a se stesse). Il nostro
scopo non è provare che l’Adriatico era unito; è conoscerlo, e attraverso
il suo studio conoscere il Mediterraneo e l’Europa. Poi, solo poi, è lecito
e necessario osservare cosa rimane al fondo di questa indagine, quali
sono i tratti e le strutture che ritornano sempre e che devono dunque ap-
partenere ad un comune modello di civiltà.
Dichiariamo subito, dopo lo scopo e il modo di conduzione della ricerca, i
modelli e le fonti d’ispirazione che ci hanno influenzato; abbiamo già cita-
to Giovanna Motta e Sante Graciotti, ma non possiamo certamente di-
menticare Braudel, Delumeau, Earle, Paci, Preto, Tenenti... Siamo debi-
tori ad ognuno di loro e a molti altri: per le informazioni che ne abbiamo
tratto, ovviamente, ma soprattutto perché leggere dei bravi storici inse-
gna a scrivere di Storia, ed è inoltre un pungolo ed uno stimolo a provare
a far bene questo mestiere.
Per quanto riguarda invece le fonti “originali” di questa ricerca, esse con-
sistono essenzialmente del materiale raccolto studiando ad Ancona, Cat-
taro e Venezia, con una brevissima permanenza anche a Dubrovnik. A
Cattaro ed Ancona, in particolare, sono state svolte due ricerche
d’archivio “parallele”, per materiale studiato (gli atti notarili) ed epoca at-
traverso cui si è snodato questo studio (dal 1588 al 1680, circa, passan-
do per dei periodi-campione all’interno di questo lasso di tempo). Definire
dei periodi è stato necessario per avere delle basi che fossero abbastan-
za ampie da permettere ipotesi “scientifiche”, e insieme agili quanto ser-
viva a renderli gestibili per massa di dati e a poterne estrarre delle storie
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interessanti; d’altra parte, ovviamente, ci siamo avvicinati a questi limiti
con la flessibilità che il caso richiedeva. Per comodità di indagine e di
confronto, i periodi scelti ad Ancona e a Cattaro sono grossomodo gli
stessi.
Diamo qui di seguito l’elenco dei fondi esaminati nei due archivi dove si è
svolta la parte “notarile” della ricerca (a Cattaro i volumi della Cancelleria
pubblica portano i nomi dei Provveditori veneti della città).
Ancona:
Not. Francesco Spinelli, vol. 1144 (1588-89);
vol. 1159 (1598-99);
vol. 1164 (1600-01);
vol. 1182 (1617-18);
vol. 1181 (1619-20);
vol. 1179 (1621-22);
vol. 1178 (1623-24).
Not. Orazio Brancadori, vol. 321 (1598-99)
vol. 346 (1617);
vol. 360 (1636-39);
vol. 365 (1640).
Not. Sante Micheli, vol. 840 (1598-99);
vol. 861 (1617-19).
Not. Sebastiano Ludovici, vol. 1859 (1618).
Not. Alessandro Postumi, vol. 1043 (1618);
vol. 1044 (1619).
Not. Ludovico Albaracci, vol. 1260 (1622-23);
vol. 1263 (1623-24);
vol. 1267 (1637-38);
vol. 1240 (1639-40).
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Not. Pier Matteo Pesarini, vol. 2007 (1623-24);
vol. 2047 (1640).
Not. Giovanni Antonizza, vol. 1256 (1630-36).
Not. Giovanni Francesco Brancadori-Venturini, vol. 1510 (1638-42);
vol. 1521 (1659);
vol. 1525 (1660).
Not. Giovanni Filippo Leonardi, vol. 1822 (1639-41).
Not. Giovanni Battista Cornacchini, vol. 1671 (1639);
vol. 1674 (1640).
Not. Domenico Bonifazi, vol. 1425 (1658).
Not. Giacinto Cicconi, vol. 1556 (1658);
vol. 1546 (1659);
vol. 1542 (1660-61);
vol. 1611 (1678);
vol. 1580 (1678);
vol. 1605 (1678);
vol. 1597 (1680).
Not. Oliviero Scalamonti, vol. 2148 (1659).
Not. Giuseppe Trofelli, vol. 2208 (1676-1678);
vol. 2207 (1681-1683).
Not. Antonio Paci, vol. 1950 (1679);
vol. 1954 (1681).
Not. Giuseppe Rossi, vol. 1952 (1679).
Cattaro:
Marco Diedo, vol. 64 (1580-81);
Girolamo Pisani, vol. 65 (1588-90);
Zuanne Lippomanno, vol. 67 (1592-1594);
Zuanne Manin, vol. 70 (1598-1600);
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Antonio Grimani, vol. 71 (1600-1604);
Zanmarco da Molin, vol. 72 (1600-1602);
Marcantonio Contarini, vol. 80 (1618-1620);
Paris Malipiero, vol. 81 (1621-1623);
Alessandro Contarini, vol. 89 (1637-1640);
Zorzi Morosini, vol. 90 (1639-1641);
Anzolo Gabriel, vol. 91 (1641-1644);
Zuanne Briani, vol.100 (1657-1661);
Pietro Gabriel, vol. 101 (1657-1661);
Alvise Foscarini, vol. 114 (1678-1680);
Alvise Foscarini, vol. 115 (1678-1680);
Lorenzo Tiepolo, vol. 116 (1680-1682).
Ad Ancona, tuttavia, abbiamo esaminato non solo fondi dall’archivio no-
tarile della città, ma anche volumi di notai senigalliesi (all’epoca in cui la
cittadina era ancora parte del Ducato d’Urbino) e altri fondi dell’Archivio
Comunale che appariranno in nota.
A Venezia, invece, abbiamo ricercato tutti i documenti provenienti da
Cattaro nel XVI secolo inoltrato e nel XVII secolo (dunque le lettere e le
relazioni dei Provveditori), e li abbiamo integrati con la lettura di alcuni
volumi dei Provveditori Generali in Dalmazia ed Albania.
Nell’Archivio di Dubrovnik, per il poco tempo a disposizione, sono stati
esaminati soltanto alcuni libri notarili, in modo da avere un termine di
confronto tra l’organizzazione mercantile ragusea e quella degli altri cen-
tri dell’Adriatico.
Per dare al nostro lavoro quell’unitarietà e quella coerenza che più di o-
gni altra cosa sembravano necessarie, lo si è diviso dapprima in tre
grandi aree, a loro volta separate in diversi capitoli e in tanti paragrafi o
“spezzoni”, anche per rendere la narrazione non solo scorrevole, ma
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quanto possibile avvincente e piacevole. Quanto questo sia riuscito, lo
giudicheranno i lettori.
Ad ogni modo, la prima delle tre grandi aree è di argomento economico;
essa si apre con la trattazione di quasi un secolo di storia su una grande
piazza commerciale, quella di Ancona, che perde man mano i motivi del
suo successo e torna ad essere una cittadina di provincia, con le disfun-
zioni e i problemi che sono propri della provincia italiana e che non pote-
vano che ripercuotersi maggiormente in un secolo di pesante riflusso
come il XVII; dopo questo lungo capitolo, si passa all’esame della struttu-
ra economica di Cattaro, sempre nello stesso periodo. Quella cittadina
sul confine con gli Ottomani non poteva certo essere, a differenza di An-
cona, mercato e scala, come si diceva allora, ma dovette adattarsi ad
essere centro di collegamento tra due mondi, e di “smistamento” delle
diverse produzioni. La storia della classe marittima che mise in pratica
questo collegamento è centrale nel capitolo. Infine, a chiudere la storia
economia, c’è una breve pagina di storia “minore”: l’analisi e la ricostru-
zione della piccola navigazione in Adriatico, che fu poi quella che mag-
giormente contribuì a legare e ad unire l’insieme dei centri costieri e a
farne una civiltà coesa. Ognuno di questi tre capitoli economici, in ogni
caso, non dimentica le persone a vantaggio delle cifre: si è cercato di fa-
re della storia economica e di farla bene, in maniera oggettiva e dando
spazio alle evidenze, ma senza renderla fredda e distante dalle vicende
quotidiane. In fondo, anche la storia economica è storia di uomini.
La seconda parte racchiude i racconti delle minoranze, delle identità par-
ticolari, di chi stava sull’Adriatico ma etnicamente o anche socialmente
ne era ai margini, o era semplicemente diverso: è il caso degli ebrei di
Ancona, cui è dedicata una vasta narrazione, o delle comunità etnico-
mercantili presenti nel capoluogo marchigiano; nelle Bocche di Cattaro,
terra di una frontiera aspra e di una società per forza di cose spietata, i
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diversi erano i confinanti turchi, certamente, coi quali comunque si dove-
va raggiungere un modus vivendi, ma erano estranei o comunque emar-
ginati anche coloro che non potevano essere utili ad una società in pe-
renne lotta per la sopravvivenza: tra questi, anche tenendo presente
l’essenza tradizionale e a volte tribale di Cattaro, hanno un peso preva-
lente le donne, con le loro storie. Anche qui, speriamo che raccontare il
margine aiuti a capire la normalità.
La terza parte, infine, è quella più “politica” e anche quella che maggior-
mente si espone nel formulare interpretazioni, come crediamo sia dovere
per uno storico, anche perché in fondo il confronto e perfino la contrap-
posizione di ipotesi differenti sono necessarie alla migliore comprensione
di un periodo storico. Il primo capitolo di questa terza parte è una dove-
rosa premessa, data la lunga e complessa storia dei rapporti tra le città e
i potentati adriatici; ad essa segue un’analisi della politica veneta in una
città dominata, effettuata attraverso lo studio dell’amministrazione della
giustizia, che è il campo in cui più chiaramente si mostra lo spirito di un
governo e gli scopi che questo si prefigge. Di seguito a questo rapporto
tra dominata e dominante (Cattaro e Venezia), è presa in esame la storia
e la quotidianità, nel XVI e XVII secolo, delle relazioni invece più o meno
paritarie – e comunque molto differenti – tra Ancona e Ragusa. Questa
analisi prepara il capitolo più “politico” del nostro lavoro, non a caso ba-
sato essenzialmente sui documenti che gli amministratori veneti inviava-
no al Senato e al Doge: in esso vediamo lo svilupparsi dei rapporti tra le
due Repubbliche adriatiche di Venezia e Ragusa attraverso
l’osservatorio molto privilegiato dei sudditi veneti di Cattaro, e constatia-
mo come cambino con l’inoltrarsi del Seicento le realtà sociali e perfino
le priorità delle popolazioni della costa e dei Balcani (che fanno capolino
in un ruolo non secondario nella storia adriatica di quel secolo).
Infine, a chiudere la terza parte c’è un capitolo sulla realtà e la percezio-
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ne del Turco nella società cristiana del bacino adriatico e dell’intero Me-
diterraneo: è un capitolo che in realtà appartiene a tutte e tre le parti di
questo lavoro e che, almeno a nostro parere, lo conclude degnamente.
D’altra parte, ogni grande area e forse ogni capitolo sconfina in parte in
molti degli altri, ed è a sua volta invaso dagli altri; ma crediamo sia inevi-
tabile, perché è così che funziona la realtà. Poi, certamente, è compito
dello storico presentarla con chiarezza, ed è ciò che ci auguriamo di aver
saputo fare.
In conclusione, non possiamo che ringraziare sinceramente, per
l’opportunità stessa che ci viene data di dare prova delle nostre capacità,
in primo luogo il Professor Antonello Biagini, coordinatore del Corso di
Dottorato in Storia dell’Europa; naturalmente, la medesima gratitudine va
al nostro tutor, Professor Roberto Valle. Ci piacerebbe ripagare la fiducia
che questo Dottorato e questa Università hanno dimostrato di riservarci,
e ci piacerebbe che ciò avvenisse attraverso un’opera che sappia dire
qualcosa di interessante, di utile e di nuovo*.
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Non possiamo poi che ringraziare dal profondo del cuore la cortesia e la competenza del personale
degli Archivi e delle Biblioteche che abbiamo frequentato in questi tre anni. L’elenco dei nomi sarebbe
lungo; ma è doveroso e gradito ricordare la generosità e la ricchezza umana di Snežana Pejović e di
suo marito Branko. Grazie ad essi, e anche a tutti gli altri impiegati dell’Archivio Storico cittadino, pos-
siamo mettere il ricordo di quei mesi in Montenegro tra i più piacevoli della nostra vita.