II
nell’instaurare una comprensione empatica tra gli interlocutori. Si definiscono, quindi,
le competenze linguistiche, comunicative e sociali del counselor e si determinano i
diversi stili comunicativi sulla base della tassonomia di Norton. L’analisi integrata del
comportamento verbale e non verbale consente di classificare gli interlocutori in
conformità a tre categorie espressive, utili al counselor per ravvisare nel cliente gli
indicatori della sua mappa cognitiva ed emotiva personale. La comunicazione è
l’elemento fondamentale per costruire un buon rapport, ossia una relazione di fiducia e
stima tra gli interlocutori, fondamentale nel counseling. La parte finale del capitolo è
dedicata agli strumenti ed alle tecniche utili per realizzare una comunicazione efficace
da un punto di vista emotivo: si considerano due categorie d’interventi comunicativi
(tempestivi e non tempestivi) e si passano in rassegna i principali metodi pertinenti a
ciascuna classe (la strategia del posizionamento e la tecnica delle domande per la
prima; la ristrutturazione ed il metamodello per la seconda).
Il secondo capitolo tratta del gruppo nei suoi aspetti evolutivi. Una prima parte è
dedicata alla storia d’ogni gruppo, quindi ai fenomeni dell’entrata, della socializzazione
e dell’uscita dallo stesso. Una seconda parte s’interessa alle dinamiche di gruppo a
fronte di forze centripete e centrifughe interne: sono indagati gli aspetti della
conformità, della devianza e del conflitto, secondo le teorie psicosociali di Lewin,
Sherif, Tajfel e Moscovici. Queste conoscenze costituiranno l’asse portante del discorso
sull’appartenenza di gruppo nelle sue implicazioni sull’identità personale e sociale e
sulla categorizzazione del sé: i riferimenti teorici cui si guarderà saranno le teorie di
Tajfel e Taylor, principalmente. Il taglio prettamente psicosociale del capitolo è
essenziale per stabilire alcuni concetti cardine applicabili al gruppo in situazione di
counseling: quest’ultima, infatti, è l’ambiente interattivo in cui avvengono tutti i
fenomeni tipicamente riscontrabili in ogni aggregazione sociale di piccola entità, cui
s’assommano, inoltre, le dinamiche correlate allo specifico dell’intervento e del setting.
Il collegamento di questo capitolo con il quarto è chiaro e volontariamente costruito.
Il terzo capitolo si concentra sugli aspetti metodologici del colloquio, concentrandosi
soprattutto sulle misure difensive del cliente e sulle contromisure adottate dal counselor
per superare la resistenza dell’interlocutore. La trattazione di queste tematiche avviene
tenendo conto della distinzione tra colloquio a motivazione intrinseca ed estrinseca.
L’analisi si sposta, quindi, all’intersezione tra gli aspetti istituzionali, organizzativi e
psicodinamici dello strumento, giungendo alla definizione del colloquio come
orientamento verso il cambiamento. I principali referenti a proposito sono Graham,
Hogan e Tienson con la teoria della first person agency: quest’espressione indica la
capacità d’agire in prima persona verso un obiettivo e, riportata al colloquio, segnala
l’azione responsabile e consapevole che il cliente intraprende verso un’accresciuta
maturità personale. Ho aggiunto la trattazione del colloquio orientativo in campo
professionale, perché ho creduto utile fornire un esempio metodologico della
convergenza dei diversi aspetti caratterizzanti lo strumento in un settore di quotidiano
contatto.
La parte centrale del capitolo è dedicata agli elementi tecnici e formali della conduzione
del colloquio: il discorso interessa la comunicazione non direttiva, l’attaccamento ed i
suoi prototipi d’organizzazione, le funzioni e le fasi del colloquio. I principali
riferimenti teorici sono Bowlby con la teoria dell’attaccamento, Bandler e Grinder, per
ciò che concerne la comunicazione non direttiva. Il quadro operativo è completato, a
fine capitolo, con una rassegna schematica delle competenze e dei comportamenti
necessari al conduttore per una buona riuscita del colloquio.
III
Il quarto capitolo termina la tesi, esponendo l’argomento principale dell’elaborato: il
counseling di gruppo. Ho conferito al capitolo una struttura implicitamente tripartita: i
paragrafi iniziali si occupano della relazione d’aiuto e del counseling in termini
generali, per rintracciarne i caratteri, i fondamenti teorici ed operativi; la parte centrale è
esplicitamente dedicata al setting di gruppo, con l’obiettivo di preparare un corposo
insieme di conoscenze valide per l’intervento. Tale sezione verte sull’identificazione di
uno specifico campo euristico e metodologico del counseling di gruppo, attraverso un
processo di differenziazione tra questo tipo d’intervento, la psicoterapia ed il
counseling individuale.
Nella parte centrale del capitolo si ritrovano, ampliati ed articolati, i temi trattati nei
precedenti tre capitoli (la comunicazione, il gruppo ed il colloquio) ed è questa
convergenza espositiva che maggiormente testimonia la struttura ad imbuto, dal
generico allo specifico, di tutto il documento. Il tema della comunicazione è ripreso
soprattutto nella trattazione del feedback fenomenologico e delle strategie a fronte di
comportamenti difficili da parte dei partecipanti. Gli assunti sul gruppo sono ripresi
nella discussione delle fasi e degli stadi del counseling, secondo il modello evolutivo di
gruppo formulato da Rogers, e nella classificazione delle tipologie comportamentali e
dei ruoli più ricorrenti tra i membri. Un parallelismo tra il colloquio ed il counseling di
gruppo è possibile lungo tutta la trattazione, soprattutto per il costante riferimento alla
non direttività dell’intervento ed allo stile di conduzione dello stesso. È un esempio di
tale parallelismo il nesso causale tra stili di leadership nel counseling di gruppo, le
misure difensive del cliente e le contromisure del counselor. Quest’attenzione è
implicitamente ripresa nell’appendice e nel penultimo paragrafo del capitolo, in cui
sono fornite le principali indicazioni operative per fronteggiare le situazioni gruppali di
difficoltà, per stimolare l’autoconsapevolezza attraverso il rispecchiamento ed il
confronto con gli altri membri, e, infine, per agevolare la conduzione e la gestione del
lavoro grazie anche a giochi psicologici specificamente orientati.
Ho ritenuto interessante confrontare i due differenti setting di counseling, per poter
operare una prima delimitazione dei campi di pertinenza e delle condizioni di una loro
integrazione operativa. L’analisi delle somiglianze e delle differenze tra i due setting
introduce e sostiene la trattazione dei vantaggi e degli svantaggi del counseling di
gruppo.
Un’ampia trattazione è dedicata al ruolo del counselor di gruppo, quale mediatore
esperto e facilitatore competente dell’interazione tra i partecipanti: sono investigate le
competenze e le abilità richieste dal ruolo, le caratteristiche basilari della facilitazione,
gli stili di leadership ed i corrispondenti comportamenti controproducenti.
La metodologia del counseling di gruppo costituisce l’ultimo argomento della seconda
sezione del capitolo. L’attenzione è focalizzata sugli stadi evolutivi del gruppo e sui
comportamenti del counselor in ciascuna fase; da questa trattazione si ricavano le regole
fondamentali con cui, in corso d’intervento, è garantito il rispetto della libertà personale
d’ogni membro.
L’individuazione delle fasi di una seduta in gruppo conduce ad individuare l’elemento
costante dell’intervento: il feedback fenomenologico, ossia il fenomeno della retroazione
attraverso espressioni verbali che fanno riferimento alle percezioni uditive e visive.
Il complesso compito del counselor è ulteriormente sondato a partire
dall’individuazione dei più frequenti modelli di comportamento difficile, secondo la
tipologia proposta da Murgatroyd e la classificazione statuita dall’ASPIC. Ogni
categoria di comportamento è descritta nelle sue caratteristiche fondamentali, nei
IV
pericoli che essa comporta per il lavoro di gruppo e nelle strategie di cui il counselor
può avvalersi per contrastare il fallimento dell’intervento.
Il riferimento a Carl Rogers, il padre fondatore della terapia centrata sul cliente, occupa
la terza parte del capitolo ed è indispensabile per comprendere al meglio l’approccio
umanistico che informa il counseling, quindi i requisiti necessari per una professionalità
ed un intervento efficace. Ho volutamente ripreso la trattazione del colloquio
“umanistico”, dandone una più completa definizione e spiegazione, per introdurre un
estratto, interessante ed istruttivo a mio giudizio, inerente ad una seduta tra Rogers e Mr
J., un suo cliente affetto da leucemia e particolarmente reticente nell’accettare la sua
condizione di malato. Ho scelto questo brano, perché permette di “toccare con mano” la
sottile differenza tra consigliare e fare counseling, tra empatia e sincerità, tra tecnica
della riflessione e della riformulazione, tra il fare del counseling efficace e l’essere un
buon counselor.
Gli argomenti esposti nei capitoli sono integrati con le tabelle d’appendice; esse
integrano principalmente gli ultimi due capitoli, perché si occupano direttamente dei
comportamenti inibitori messi in atto dal counselor, delle migliori tecniche d’ascolto e
di alcuni giochi psicologici che l’operatore può utilizzare per favorire l’espressione del
gruppo lungo tutto l’arco temporale dell’intervento.
1
CAPITOLO 1
LA COMUNICAZIONE
La comunicazione è definita come “una forma d’interazione circolare ed intenzionale
con cui un emittente ed un ricevente instaurano uno scambio informativo” (Villamira,
1995)
1
. Secondo un punto di vista prettamente tecnico, essa si basa sulla trasmissione di
messaggi, inerenti a specifici referenti (contenuti), convenzionalmente codificati e
veicolati da un canale prescelto.
È, tuttavia, riduttivo interpretare la comunicazione come una semplice circolazione di
dati e notificazioni, perché ingloba aspetti più propriamente relazionali e sociali, che
concorrono a determinarne l’efficacia e l’efficienza.
La comunicazione e l’interazione sono legate da un rapporto sinteticamente espresso
dall’equazione:
COMUNICAZIONE = INTERAZIONE
Quest’equazione può essere letta in due direzioni opposte (da sinistra a destra e
viceversa), a seconda che si pone in risalto il primo o il secondo membro
dell’uguaglianza: il primo caso porta a definire la comunicazione come interazione,
evidenziando la sua dimensione relazionale e l’incastonatura entro la complessa
struttura degli aggregati microsociali nelle loro differenti forme e costituzioni; l’altro
caso, invece, fa coincidere l’interazione con la comunicazione e le attribuisce un
insieme eterogeneo di variabili macrosociali, di fattori storici e culturali a forte valenza
simbolica, di strategie psicosociali di massa.
Questa duplice prospettiva inquadra la comunicazione nella più ampia azione sociale,
facendole assumere la fisionomia di un processo tra due o più attori agenti e interagenti
in un sistema d’attese, di simboli, di significati che sono collettivamente condivisi. Lo
scambio comunicativo presuppone sempre una relazione triadica tra i partecipanti e
l’ambiente esterno, che s’instaura con l’obiettivo di indurre un cambiamento nel sistema
di credenze, opinioni e atteggiamenti (Ricci Bitti e Zani, 1983)
2
.
Per meglio sviluppare il discorso sulla comunicazione, è necessario seguire quattro
direttrici concettuali focalizzate rispettivamente su:
1) L’influenza sociale nei processi di produzione e ricezione dei messaggi;
2) L’interrelazione tra comunicazione verbale e comportamento non verbale;
3) La connessione tra le competenze linguistiche, comunicative e sociali;
4) Gli strumenti di una comunicazione efficace. L’interazione a somma
diversa da zero.
1
Villamira M. A. (1995), Comunicazione e interazione. Aspetti del comportamento interpersonale e
sociale, Franco Angeli, Milano.
2
Ricci Bitti P. E., Zani B. (1983), La comunicazione come processo sociale, Il Mulino, Bologna.
2
1.1 L’influenza sociale nella produzione e ricezione dei messaggi.
Gli individui si rapportano all’ambiente loro circostante adottando un complesso di
procedure cognitive, che consentono di raccogliere le informazioni e di trasformarle in
unità dotate di senso. Questo meccanismo prende il nome di costruzione sociale ed
interessa solo apparentemente il singolo soggetto: in verità, è a pieno titolo un processo
sociale che coinvolge un sistema di fattori di natura interattiva, culturale e psicologica.
Alla base della costruzione del mondo sociale c’è l’interpretazione di sé, degli altri e
della realtà, che consiste nella riduzione degli stimoli ambientali esterni in una serie di
categorie mentali facili da trattare, cui si attribuisce un contenuto semantico non
univoco né arbitrario, ma socialmente negoziato.
In questo processo, la comunicazione svolge una triplice funzione: realizza la
circolazione delle informazioni e dei significati, veicola la negoziazione e consente
l’attivazione della codifica e decodifica dei messaggi.
L’interpretazione dipende strettamente dal meccanismo comunicativo di codifica e
decodifica, attraverso cui i dati dell’esperienza sono selezionati, organizzati e arricchiti
di senso. La codifica e la decodifica dei segnali avvengono in modo immediato,
tendenzialmente non intenzionale e sotto l’influenza di molteplici fattori, quali:
ξ L’attenzione e la memoria selettiva: vagliano preventivamente le
informazioni in entrata e in uscita;
ξ La categorizzazione sociale: consente all’individuo di suddividere la società
in gruppi intercorrelati funzionalmente e strutturalmente, quindi di
percepirsi come loro membro in conformità a determinate caratteristiche
sociali, economiche, politiche, culturali. La categorizzazione agisce
sull’interpretazione, poiché l’appartenenza ad una categoria o gruppo
sociale influenza gli schemi cognitivi attraverso i quali l’individuo
costruisce e condivide la realtà circostante. Di conseguenza, la codifica e la
decodifica sono orientate sia dal modo preconcetto di gestire le
informazioni sia dalla disponibilità esterna delle risorse per la
negoziazione;
ξ Gli atteggiamenti e le rappresentazioni sociali: costituiscono il parametro
di scelta tra le possibili interpretazioni di un evento, in modo tale da
adottare quella più compatibile con le credenze possedute. Nello specifico,
le rappresentazioni sociali sono strutture d’idee e di convinzioni condivise
pubblicamente da un determinato gruppo o da una data cultura. Esse
concorrono alla costruzione e al mantenimento della coesione interna di un
gruppo, fornendo ai membri le teorie ed i sistemi di valori che agiscono da
codice negli scambi comunicativi;
ξ La negoziazione sociale della realtà: è il meccanismo della trattativa
collettiva per giungere ad un giudizio unanimemente accettato sulle
procedure ed i risultati dell’interpretazione. La realtà esterna, lungi
dall’essere un dato oggettivo, è costruita e decostruita continuamente, in un
processo infinito che implica necessariamente il coinvolgimento ed il
consenso almeno della maggioranza di un gruppo.
3
Tutti questi fattori orientano l’individuo nelle sue interazioni e comunicazioni
quotidiane, attraverso meccanismi e processi di natura non soltanto psicologica, ma
anche politica culturale ed economica. I soggetti interagenti portano con loro un
bagaglio di credenze, valori, stereotipi, modelli relazionali e comportamentali,
atteggiamenti e conoscenze, tutti determinati e vincolati dall’appartenenza sociale ad
uno specifico gruppo. Nel corso dello scambio interattivo, tale bagaglio funziona da
parametro e da strumento per la catalogazione dell’altro, da filtro per la selezione delle
informazioni, da criterio interpretativo, da codice comunicativo, da contenuto e mezzo
di condivisione, da “carta d’identità” dell’interlocutore e, infine, da metro di giudizio
con cui ognuno valuta se stesso, la relazione in corso e la controparte interagente.
Comunicare senza che tutto ciò avvenga non è possibile, sia perché si tratta di processi
non controllabili coscientemente sia perché ogni individuo è parte integrante e vitale del
suo ambiente sociale, così come questo lo è per qualsiasi suo membro.
Riguardo al ruolo svolto dall’ambiente esterno e dal canale di trasmissione, s’individua
un insieme di fattori distorcenti la comunicazione verbale non mediata e diretta: il modo
di parlare o di articolare le parole nel linguaggio scelto, le contingenze esterne come il
tempo disponibile e gli elementi fisici di disturbo, le circostanze ambientali quali la
distanza tra gli interlocutori e la loro disposizione spaziale, gli aspetti relazionali legati
allo status, al ruolo, al gruppo sociale d’appartenenza (Mucchielli, 1983)
3
.
A livello d’emittente e ricevente, i più frequenti ostacoli comunicativi sono
raggruppabili in tre categorie: elementi oggettivi (la formulazione e la
concettualizzazione, la comprensione e la saturazione, la scelta del mezzo e della
situazione), elementi di personalità (presentazione soggettiva e l'atteggiamento, la
percezione e la deformazione, il quadro di riferimento e l'interpretazione), elementi
psicosociologici (status, ruolo, situazione).
Si può ovviare, o rimediare, ad una cattiva trasmissione del messaggio agendo
direttamente sul livello in cui si presenta il problema: l'origine può adottare un pensiero
preciso ed economico, un'espressione adatta alla situazione ed allo status
dell'interlocutore, un atteggiamento oggettivo e di rispetto dell'informazione. D'altro
canto, il destinatario può incrementare il grado della sua disponibilità all'ascolto,
uscendo dal quadro di riferimento personale e ponendo domande. Insieme, infine,
possono controllare gli impedimenti materiali, scegliendo l'ambiente e gli strumenti più
consoni. Entrambi gli interlocutori devono saper, e voler, mettersi l'uno nei panni
dell'altro, conoscere se stessi e la situazione, ed avere una cultura psicologica, per
realizzare una comunicazione efficace ed una corretta codifica e decodifica dei
messaggi (Anzieu e Martin, 1971)
4
.
1.2 L’interrelazione tra comunicazione verbale e non verbale.
L'importanza della comunicazione non linguistica è ampiamente riconosciuta,
nonostante la mancanza d'un sistema teorico consolidato, il disaccordo
sull’intenzionalità del comportamento connesso e l'assenza di un’unica classificazione
delle sue funzioni comunicative.
3
Mucchielli R. (1983), L’entretien de face à face dans la relation d’aide, Les Editions ESF (trad. it.
Apprendere il counseling, Erikson, Trento, 1987).
4
Anzieu D., Martin J.Y. (1971), La dynamique des groupes restreints, Puf, Paris.
4
La comunicazione non verbale trasmette messaggi appartenenti alla realtà emotiva, i
quali incidono profondamente sulla decodifica da parte del destinatario; pertanto, essa è
interagente e interdipendente con quanto espresso verbalmente, nell’ambito di uno
stesso scambio informativo.
Lowen (1958)
5
sostiene che si comunichi più chiaramente con il corpo (postura,
mimica, uso dello spazio) che con le parole. La comunicazione non verbale si esprime
in un linguaggio che anticipa e trascende il parlato, come dimostra uno studio
comparativo sull'efficacia dei diversi sistemi informativi umani, in caso d’incongruenza
tra i canali: le parole, il sistema vocale ed il comportamento non verbale trasmettono il
messaggio rispettivamente nella percentuale del 7%, 38% e 55% (Mehrabian, 1970)
6
.
La massima efficacia della comunicazione non verbale si ha nell'espressione degli stati
emotivi e degli atteggiamenti: com’è dimostrato dalle ricerche d’Argyle, gli indici non
verbali influenzano i giudizi dicotomici d’inferiorità/superiorità ed amicizia/ostilità, in
modo più rilevante rispetto agli indici verbali. La percezione della tonalità vocale e la
ricezione dell'informazione dipendono dal comportamento non verbale, soprattutto nel
caso d’incongruenza tra i due gruppi d'indicatori sperimentali, mentre le parole hanno
un ruolo intensificante di quanto già compreso attraverso il linguaggio corporeo
(Argyle, Alkema e Gilmour, 1972)
7
.
Il linguaggio non verbale rappresenta lo strumento principale nella relazione
interpersonale, nella manifestazione dell'emotività e degli atteggiamenti
autoreferenziali, nella regolazione dei turni comunicativi, nella raccolta e
completamento delle informazioni per l'interpretazione e per la retroazione.
Al suo interno, hanno un ruolo fondamentale le macrounità della mimica facciale, del
comportamento spaziale e di quello motorio-gestuale, del sistema vocale e dell'aspetto
esteriore.
La mimica facciale comprende tutti i movimenti del volto, atti ad esprimere gli stati
d’animo dell’individuo. Si possono distinguere due aree del volto sulla base della loro
valenza espressiva, ossia la zona “fronte/ occhi” e quella “naso/ bocca/ mento”: i piccoli
e rapidi movimenti di queste regioni determinano il significato, il ritmo, la direzione del
discorso, proprio perché enfatizzano o ridimensionano il messaggio, scandiscono le
sequenze interattive, commentano l'informazione emessa e ricevuta, stimolano alla
prosecuzione o all'interruzione della comunicazione in corso.
E’ possibile realizzare ad un numero smisurato d’espressioni, ma la maggioranza rimane
sotto il controllo cosciente, com’è dimostrato dalla ricerca d’Ekman, Hager e Friesen
(1981)
8
. Lo stesso studio rileva anche che la parte sinistra del volto è adibita alla
manifestazione spontanea delle emozioni, mentre il lato destro è sottoposto alle regole
d’ostentazione ed al controllo volontario; questa scoperta si allinea perfettamente con la
teoria della distribuzione funzionale tra i due emisferi cerebrali, per la quale si ha il
prevalere del pensiero creativo/emotivo nella regione sinistra e della
5
Lowen A. (1958), Phsycal dynamics of character structure (The language of the body), Grune and
Stratton, New York.
6
Mehrabian A. (1970), “When are feelings communicated inconsistently?”, Journal of Experimental
Research in Personality, 4, 198-212.
7
Argyle M., Alkema F., Gilmour R. (1972), “The communication of friendly and hostile attitudes by
verbal and nonverbal signals”, European Journal of Social Psycology, 1.
8
Ekman P., Hager J. C., Friesen W. F. (1981), “The symmetry of emotional and deliberate facial
actions”, Psychophysiology, 18, 101-106.