4
tragedia, come se sentisse gravare sui personaggi l’ombra della fine
imminente. La giovane sembra librarsi tra la vita e la morte, e di queste
realtà ne porta tutto l’ardore e la malinconia. Il romanzo, infatti, si svolge
negli anni trenta, contro uno sfondo di crescente discriminazione razziale e
di persecuzione rese più tragiche dal fatto che fin dall’inizio si scopre che
nel 1943 Micòl ed i suoi genitori saranno deportati in Germania, luogo dal
quale non ritorneranno
5
.
Nel 1963 escono, con Einaudi, la raccolta antologica di versi L’alba
ai vetri
6
, che, nelle sezioni Primi versi, Te lucis ante e Un'altra libertà,
comprendono il meglio della produzione che va dal 1942 al 1950. Questa
raccolta è importante anche perché, oltre a darci il corpus poetico di
Bassani scelto e ordinato dall’autore medesimo, offre, in un poscritto, non
solo una dichiarazione di poetica, ma anche il filo conduttore per seguire la
genesi, soprattutto ideologica, di alcuni componimenti
7
.
Il presente lavoro mette in luce ed analizza uno degli aspetti
dell’attività letteraria di Giorgio Bassani, ossia l’opera narrativa che egli ha
composto dopo Gli occhiali d’oro
8
, importantissimo per l’introduzione
nella produzione bassaniana dell’"io" narrante, e dopo il successo del suo
4
G. Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, Torino, Einaudi, 1962.
5
Scrive I. Scaramucci, Studi sul Novecento. Prospettive e itinerari, Milano, I.P.L., 1968,
p. 111: "Se l’amore si presenta [...] con l’amaro profumo di un fiore cimiteriale, la morte
appare, in un singolare clima di attesa e di presentimento che viene a conferire ai gesti più
banali dei personaggi come una misteriosa significazione che li trasfigura e li trascende,
la vera protagonista di tutto il racconto".
6
G. Bassani, L'alba ai vetri. Poesie 1942-'50, Torino, Einaudi, 1963.
7
Scrive G. Monteleone, Appunti di letture. Keats Rimbaud Jacob Viani Alvaro Malaparte
Bassani, Reggio Calabria, SGROI, 1966, p. 61: "Il libro contiene poesie scritte dal 1942
al 1950, e un poscritto nel quale l’autore spiega e giustifica il passaggio da una poetica
degli affetti primordiali su uno sfondo d’idillio, di trame delicate e amate, a un’altra tutta
nuova, suggeritagli da Montale, realistica e aggressiva, capace di rappresentare con ferma
crudezza l’orrenda ferita alla gola di un mutilato di guerra, la rigida sagoma di un soldato
con i particolari della baionetta inastata sul lungo fucile ottocentesco [...], idonea a
distoglierlo dalle immagini puramente mentali e sognate, ad allontanarlo anche dalla
fantasia, nella quale riconosce, tuttavia, l’attitudine a consolare".
8
G. Bassani, Gli occhiali d’oro, Torino, Einaudi, 1958.
5
capolavoro Il giardino dei Finzi-Contini. Le opere da noi prese in
considerazione sono tre: Dietro la porta
9
, L’Airone
10
e i racconti de L’odore
del fieno
11
. L’analisi di questo corpus, che copre un arco di tempo che va
dal 1964 al 1972, nasce dalla volontà di analizzare le principali tematiche
della produzione bassaniana alla luce dei suoi ultimi romanzi e racconti.
Soggetto principale della produzione letteraria di Giorgio Bassani è
la crisi dell'ebreo marginale
12
, cioè il dramma di un uomo incapace di creare
contatti con un mondo verso il quale in definitiva si sente estraneo. La
partecipazione sentimentale dell’autore ebreo a questa materia lo porta ad
esprimere, in clima neorealista, un dissenso sempre più ragionato nei
confronti dell’arte ridotta a pura gioia evocativa. Bassani opera una
polemica critico-narrativa contro l’arte-letteratura, in nome di un’arte-
realtà, di un’arte-storia. Egli sconfessa un neorealismo postbellico,
cronacistico e deviato verso il crepuscolare ed il sentimentale, sviluppando
la ricerca verso una forma di racconto e romanzo come mixtum compositum
di storia e vita sociale, di esistenza e stati d’animo, di avvenimenti privati e
pubblici, amalgamati e fusi dalla tensione narrativa quale necessità e
ragione ultima della pagina
13
.
L’introspezione dei personaggi bassaniani testimonia, tuttavia, anche
nella privatezza delle esperienze narrate, una condizione storica di
estraneità e di impotenza. L’intimismo è il carattere di fondo dei suoi lavori,
che hanno prevalentemente come tema dominante la società ferrarese e, in
particolare, la vita della popolazione ebraica nel periodo dal fascismo al
dopoguerra. Ma, se i temi di Bassani sono la solitudine e l'incomprensione e
9
G. Bassani, Dietro la porta, Torino, Einaudi, 1964.
10
G. Bassani, L’Airone, Milano, Mondadori, 1968.
11
G. Bassani, L’odore del fieno, Milano, Mondadori, 1972.
12
A. Neiger, Bassani e il mondo ebraico, Napoli, Loffredo, 1983, p. 7.
6
se i romanzi sono narrati da un "io" che si è posto al di fuori della società ed
è incapace di creare dei contatti con essa, che non sa capirla, allora tutto
questo non può non condizionare la sua tecnica narrativa, ovvero
l’osservazione e la rappresentazione della realtà esterna, l’uso del dialogo e
la caratterizzazione dei personaggi.
Nella sua ultima produzione letteraria, cioè nel corpus oggetto del
presente studio, Bassani non inserisce molti dialoghi sebbene questi siano
stati, nella produzione precedente, a volte importantissimi a livello
strutturale come per Il giardino dei Finzi-Contini. Nei suoi ultimi romanzi
non si hanno molti dialoghi perché in genere si tratta di rievocazioni di
avvenimenti in cui l’uomo sceglie la solitudine. Nondimeno, quelle brevi
conversazioni che vi trovano posto riecheggiano con sensibilità il ritmo e le
cadenze del racconto. Tuttavia, quello che ne risente maggiormente sono le
caratterizzazioni dei personaggi, i quali sembrano spesso minori, come se
fossero esempi di atteggiamenti borghesi o fascisti. Essi sembrano descritti
esternamente e non analizzati nel profondo, a meno che non siano in
qualche modo simili al narratore, nel qual caso, come avviene per Micòl ne
Il giardino dei Finzi-Contini e per Fadigati ne Gli occhiali d’oro, sono
rappresentati con maggior ricchezza di particolari. Tutto questo è
abbastanza naturale, perché, se colui che narra è un estraneo, un reietto, la
nostra visione degli altri personaggi deve per forza essere limitata al suo
punto di vista. In tal modo, nei suoi ultimi lavori, tutto contribuisce a farci
comprendere non gli altri personaggi ma la crescente capacità di
introspezione del narratore
14
.
13
G. Bassani, Neorealisti italiani, ne Le parole preparate e altri scritti di letteratura,
Torino, Einaudi, 1966, [Sezione II]. Cfr. R. Bertacchini, Giorgio Bassani, ne AA.VV.,
Letteratura italiana. I contemporanei, vol. III, Milano, Marzorati, 1970, p. 802.
14
B. Moloney, Tematica e tecnica nei romanzi di G. Bassani, in Convivium 34 (1966), p.
493: "Le prime fasi del declino di Fadigati sono semplicemente un argomento di
curiosità: «Sapeva che sapevamo?»; e le ultime fasi, riportate in modo frammentario,
7
D’altronde, l’introspezione è usata da Bassani per ricercare la verità.
Infatti, a proposito dell’intimismo psicologistico di Bassani, M.T. Acerbi e
S. Faré
15
scrivono che
Nei suoi modi più tipici l’intimismo psicologistico ci sembra
essere attenzione esclusiva portata agli stati di coscienza in tutte
le loro gamme e sfumature fino al limite dell’inconsapevole e del
torbido, in una evocazione vibrante di memoria e di sensazione,
a volte sconnessa e apparentemente incurante della logicità. Ma
gli autori più intelligenti vi aderiscono come all’unica legittima
possibilità di esprimere il nucleo vitale del vero, facendone il
filtro di ogni aspetto vitale della vita, e insieme la catarsi di ogni
indiscreto frugare o di ogni impudico raccontare le piaghe
dell’umanità. Al fondo si tratta della ricerca di verità e di unità
nel loro narrare. In un mondo di ambigue relatività, che non dà
basi etiche né veritative al vivere, essi muovono da un’esigenza
dell’essenziale che inserisca la vita in un ordine coerente di
giustificazioni.
La realtà, nei suoi aspetti storici ed ambientali, è carica di attrattiva
per Bassani, cosicché la sua opera è continuamente volta ad essa ed al suo
pieno possesso. La storia diventa un aspetto dilatato e generalizzato della
realtà, costituita dalle vicende dei singoli, apparentemente non significative.
Questo scegliere come protagonisti delle sue narrazioni delle persone
sono importanti in quanto si svolgono parallele e servono a illustrare il crescente senso
d’isolamento del narratore. E’ per questo che Micòl non è mai vista in modo completo,
sotto ogni aspetto; è per questo che Luciano Pulga asserisce cose contrastanti: il narratore
viene così rivelato come colui che non comprende".
15
M.T. Acerbi, S. Faré, Cassola e Bassani. L’intimismo psicologistico, in Aevum 40
(1966), p. 177.
8
qualsiasi, fa apparire più acuto e sottile lo sguardo che ha saputo scoprire, al
di là della banalità, il segreto interesse umano e poetico di quelle creature,
negli atti e nelle esperienze comuni sì agli altri, ma dagli altri ciascuna così
intimamente diversa, individui solitari e incomprensibili ai più. L’interesse
dell’opera bassaniana è, allora, di mettere in scena persone apparentemente
simili agli altri, ma il cui essere ebrei li mette nolens volens a parte.
L’agire individuale è permeato dalla convinzione che la piena verità
continuamente sfugge e l’uomo appare conteso da avvenimenti di fronte ai
quali non ha possibilità di scelta
16
. Proprio perché tutta la realtà presente è
sentita come qualcosa di confuso, nasce la necessità di rivolgersi al passato;
e la memoria, come filtro di tutte le cose, resta l'unica possibilità di
rappresentare gli eventi, di raggiungere il vero. La creazione cosmogonica
bassaniana, infatti, è una risposta, anche memoriale, alla violenza della
Storia, alla Shoah
17
, colpevole della distruzione di punti di riferimento
aboliti
18
.
Questa riduzione di tutto alla memoria personale è identificabile
come motivo unico e insieme modo espressivo dell’atteggiamento
intimistico costante nell’opera di Bassani. La fedeltà al reale si configura
come attenzione esclusiva e costante all’uomo ed a quanto dell’uomo è
componente essenziale, cioè il nucleo delle sue reazioni psicologiche.
16
M. Boselli, Ambiguità di Bassani, in Nuova Corrente 27 (1962), pp. 7-27.
17
In ebraico h fa Ow Šô’â. Nel corso del lavoro le parole ebraiche verranno riportate
secondo la grafia in cui compaiono in M.M. Cohn, Nouveau dictionnaire hébreu-
français, Paris, Larousse, 1997; per la traslitterazione delle stesse in caratteri latini, si
seguiranno le indicazioni contenute in Instructions for Contributors, in Biblica 70 (1989),
pp. 577-594.
18
Eventi diversi, in contesti anche distanti fra loro, sembrerebbero indicare che il mondo
contemporaneo non sia ancora riuscito a liberarsi dei vecchi retaggi antisemiti. C.
Delacampagne, L’antisémitisme en France, in L’arche 437 (1994), pp. 36-37; M.
Waintrater, Le mauvais juif de Sion, in L’arche 437 (1994), pp. 35-36; S. Midal,
L’extrême droite sur Internet, in L’arche 466 (1996), pp. 60-61; R. van den Brink,
L'Internationale de la haine, paroles d'extrême droite, Belgique, France, Italie,
Bruxelles, Editions Luc Pire, 1996; N. Leibowitz, L'affaire Carpentras, Paris, Plon, 1997.
9
L’elemento unificatore dei diversi tempi in cui le azioni si attuano e si
sviluppano nella narrazione è dato, dunque, dalla memoria: filtro attraverso
il quale gli avvenimenti si susseguono con rapidissimi passaggi.
Il viaggio nella memoria attraverso le opere di Bassani richiama
alcune riflessioni di Isaac Deutscher:
Se non la razza allora cos'è che fa un ebreo? La religione? Io
sono ateo. Il nazionalismo ebraico? Sono un internazionalista.
Quindi, in nessuno di questi due significati io mi considero
ebreo. Ma sono ebreo lì dove subentra la mia incondizionata
solidarietà con i perseguitati e le vittime degli eccidi. Sono ebreo
in quanto sento mia la tragedia degli ebrei, in quanto percepisco
il pulsare della storia ebraica; sono ebreo in quanto desidero
fare di tutto per garantire agli ebrei una sicurezza genuina e non
spuria, un loro reale rispetto di sé
19
.
In Bassani questa meditazione avviene in un contesto ben definito:
l’ebraismo diasporico d’Italia. Però, il particolare clima religioso e culturale
in cui si dipanano i racconti bassaniani non sono tali da rendere il lettore
italiano, non pratico della cultura ebraica, estraneo a quanto legge.
Nell'avventura spirituale dell'uomo occidentale, infatti, l'ebraismo assume
un posto di rilievo perché, lungi dall'essere semplicemente una delle civiltà
orientali che influirono in maniera sensibile sulla cultura europea, è stato
parte vivente ed integrante del mondo occidentale, soprattutto se pensiamo
a quanto la Bibbia abbia significato nella storia dell'Umanità
20
.
Tra i tanti aspetti in cui si estrinseca la civiltà ebraica, Bassani ha
spesso prescelto quelli in cui la pratica religiosa, per la sua stretta
19
I. Deutscher, L'Ebreo non Ebreo, Milano, Mondadori, 1969, pp. 64-65.
10
connessione con la problematica della vita quotidiana, è testimonianza di un
inscindibile rapporto fra l'organizzazione sociale e le credenze religiose.
Questa scelta è dettata probabilmente dal fatto che, da sempre, gli ebrei
della diaspora, non avendo una loro patria geograficamente definita, né una
lingua che li contraddistingua, si interrogano sulla loro identità
21
. Tra questa
popolazione definita secondo altri criteri che non quelli strutturalmente
nazionali o linguistici, che costituisce un gruppo minoritario, alcuni membri
manifestano forti sentimenti di lealtà nei confronti della propria unità
religiosa, altri vi rinunciano, esprimendo in tal modo l'aspirazione ad
abbandonare un ruolo giudicato subalterno, nella speranza di conseguire
uno status privilegiato
22
. Questi ultimi sono individui incerti riguardo
all'appartenenza a uno dei due gruppi, sulla cui frontiera idealmente si
collocano, e una loro eventuale scelta - sia nel caso in cui la società nella
20
F. Michelini Tocci, La letteratura ebraica, Milano, Sansone, 1970, pp. 8-14.
21
Interessante, a questo proposito, la lettura di S.N. Eisenstadt, Civiltà ebraica.
L’esperienza storica degli Ebrei in una prospettiva comparativa (titolo originale: The
Jewish Civilization: The Jewish Historical Experience in a Comparative Perspective,
New York, 1992), Roma, Donzelli, 1996
2
, in cui l'autore analizza l’esperienza storica
ebraica considerando gli ebrei non soltanto un gruppo religioso o etnico, una nazione o un
popolo, ma anche portatori di una civiltà. “Uso il termine civiltà perché desidero
sottolineare esplicitamente che concetti come «religione», «nazione» e «popolo» non
sono sufficienti per la comprensione della storia ebraica, benché, è inutile dirlo, si
riferiscano tutti ad aspetti importanti dell’esperienza storica degli Ebrei” (p. 7).
22
Per H.S. Hughes, Prigionieri della speranza. Alla ricerca dell'identità ebraica nella
letteratura italiana contemporanea (titolo originale: Prisoners of Hope. The Silver Age of
the Italian Jews 1924-1974, Cambridge, Harvard University Press, 1983), Bologna, Il
Mulino, 1983, p. 37, "I primi narratori di origine ebraica ad ottenere il consenso della
critica, Italo Svevo e Alberto Moravia, non erano affatto convinti che il fatto di essere
ebrei avesse influito positivamente su ciò. Entrambi cattolici battezzati, parlavano
raramente dei loro ascendenti e, nella maggior parte dei casi, soltanto quando veniva loro
esplicitamente richiesto [...]. Ad entrambi sembrava inutile dichiararsi ebrei e, del resto,
anche nei loro romanzi il tema dell'inutilità della vita in generale sarebbe stato ricorrente
[...]. La sensazione di estraneità nei confronti delle proprie origini ebraiche provata da
Svevo e da Moravia ha rafforzato il loro naturale pessimismo, la loro disillusione nei
confronti di un mondo privo di un significato ultimo?".
11
quale vogliono integrarsi tolleri il loro ingresso, sia nel caso in cui
l'integrazione risulti rigorosamente vietata - è sempre sofferta
23
.
E' interessante segnalare la rilevanza che il problema dell'identità
ebraica ha assunto anche presso pensatori di varia estrazione. Si chiede
Jean-Paul Sartre:
L’antisemita rimprovera all’Ebreo di essere Ebreo; il
democratico gli rimprovererebbe volentieri di considerarsi
Ebreo. Tra il suo avversario e il suo difensore, l’Ebreo sembra
veramente a mal partito: sembra che non abbia nient’altro da
fare che scegliere l’albero a cui dovrà essere impiccato. Ci
conviene dunque porci a nostra volta il problema: esiste
l'Ebreo? E se esiste, chi è? E' un Ebreo o è un uomo? La
soluzione del problema risiede nello sterminio di tutti gli
Israeliti o nella totale assimilazione? Non si può intravedere
un’altra maniera di impiantare il problema e un’altra maniera
di risolverlo?
24
Alcune pagine dopo, il pensatore risponde: «L'ebreo è un uomo che gli altri
uomini considerano Ebreo: ecco la verità da cui bisogna partire»
25
. E, come
il filosofo francese, altri intellettuali si ripropongono di continuo tale
interrogativo
26
.
23
Neiger, Bassani e il mondo ebraico, op. cit., p. 7.
24
J.P. Sartre, Ebrei (titolo originale: Réflexions sur la Question Juive), Milano, Edizioni di
Comunità, 1948, p. 57. E’ l’autore che sottolinea.
25
J.P. Sartre, Ebrei, op. cit., p. 68.
26
Cfr., per esempio, M. Buber, Sette discorsi sull'Ebraismo, Firenze, Israel, 1923;
Deutscher, L'Ebreo non Ebreo, op. cit. A titolo di chiarimento, senza entrare nel vivo
della disquisizione giuridica, si può dire che la qualità di ebreo si acquista quasi sempre
con la nascita, ma si conserva nel tempo per un preciso atto di volontà, con una scelta.
Secondo i criteri della h fk fl h_ Halakhâ, la legge rabbinica, chiunque sia nato da
madre ebrea o si sia convertito al culto ebraico osservando le norme della tradizione
12
Gli ebrei sono il gruppo umano cui è richiesto più insistentemente di
definirsi e di giustificare la propria esistenza. E’ una richiesta che non viene
solamente da chi non è ebreo, perché il problema è sentito anche da chi
l’ebraismo lo vive quotidianamente
27
. Ne Il giardino dei Finzi-Contini
28
,
Bassani afferma che
Una delle forme più odiose di antisemitismo [è] lamentare che
gli ebrei non [siano] abbastanza come gli altri, e poi, viceversa,
constatata la loro pressoché totale assimilazione all’ambiente
circostante, lamentare [l'opposto: che essi sono] tali e quali
come gli altri, nemmeno un poco diversi dalla media comune.
Cosa resta, allora, di un'identità etnica una volta scomparsi linguaggio e
religione?
29
ebraica e ottenendo l'approvazione del tribunale rabbinico è ebreo. Inoltre, non per tutti la
condizione di ebreo è reversibile. Per la h fk fl h_ Halakhâ, per esempio, l'atto di
rinnegare la propria religione per un'altra non produce alcuna modificazione sull'ebraicità
della persona: semel Judaeus semper Judaeus. Cfr., per esempio, la traduzione francese
del Traité Qiddouschin, III, 12, ne Le Talmud de Jérusalem, vol. 5, Paris, Maisonneuve et
Larose, 1969, pp. 271-275.
27
S. Jesurum, Essere ebrei in Italia, Milano, Longanesi, 1987; J. Liberman, Se choisir
juif, Paris, Syros, 1996; O. Guland, Enquête d’identité, in Tribune Juive 1390 (1997), pp.
14-16.
28
G. Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, ne Il romanzo di Ferrara, Milano, Mondadori,
1980, p. 363.
29
Propongo, come ultima riflessione, quanto potrebbe suggerire la lingua ebraica
attraverso una semplice e suggestiva analisi popolare-etimologica dei termini ebreo,
israelita e giudeo. Il termine y Ir b: Ii ‘ibrî «ebreo» è legato al verbo r b fi ‘abar che
significa «passare». Ebreo è quindi colui che passa, che erra, che va da un paese all’altro.
l a" fr s: Iy Yis
e
ra’el «Israele» è il nome dato a Giacobbe dall'Angelo del Signore,
dopo una lotta che li aveva visti uno contro l'altro. Con l'anca lussata, contuso, ma non
domo, Israele aveva combattuto non solo per sé, ma, anche e soprattutto, per la
discendenza (Gen 32, 23-33). y Il a" r: s: Iy yisr
e
’elî «israelita» significa, dunque,
membro del popolo che ha tenuto testa a Dio. y Id Vh y: y
e
hûdî «giudeo», corradicale del
verbo h fD Iv widdâ «ringraziare», designerebbe i figli di Giuda che durante l'esilio
erano rimasti fedeli ai riti aviti, mentre chi rimase in Palestina non aveva resistito
altrettanto tenacemente. I giudei erano quindi coloro che rimasero fedeli a Dio. Ebreo,
13
Il pensatore S. Levi Della Torre ha scritto che una mentalità
collettiva prende forma non solo dai fatti vissuti obiettivamente, ma ancor
più da come se li racconta: da come ha trasformato gli eventi in memoria, la
memoria in narrazione, la narrazione in tradizione, la tradizione in
identità
30
. Ad esempio, ne Il giardino dei Finzi-Contini, le prime avvisaglie
della campagna antisemita e le successive leggi razziali non trovano
impreparato Ermanno Finzi-Contini, né lo precipitano in un baratro di
angoscia. Poco, in effetti, gli viene tolto, avendo egli con la società esterna
legami e interessi meramente superficiali e formali. Ed anche perché il
problema ebraico, per gli ebrei italiani o per gli ebrei occidentali in genere,
è un problema di coscienza divisa, sentito soltanto dagli ebrei parzialmente
assimilati che vivono sulla frontiera del mondo gentile, non dagli abitanti
del ghetto, che restano al riparo del calore del focolare familiare e
religioso
31
.
Il corpus bassaniano, allora, testimoniando un’effettiva problematica
ebraica, dimostra una diversa tendenza della letteratura italiana del post-
guerra. A.M. Canepa
32
, infatti, ha osservato che l’elemento che ha
tradizionalmente unito i romanzi in lingua italiana post-risorgimentali di
argomento ebraico è la degiudaizzazione finale dei protagonisti ebrei, che si
compie, o attraverso la conversione, o attraverso la rivelazione che in realtà
non erano mai stati ebrei. La conversione al cattolicesimo oppure
israelita e giudeo: tre sfumature linguistiche con tre etimologie nascoste: ebreo come
errante, israelita come indomito, giudeo come fedele.
30
S. Levi Della Torre, Essere fuori luogo. Il dilemma ebraico tra diaspora e ritorno,
Roma, Donzelli, 1995, p. 13.
31
L. Wirth, Il ghetto, Milano, Edizioni di Comunità, 1968, p. 221.
32
A.M. Canepa, Immagine dell’ebreo nel folclore e nella letteratura del post-
risorgimento, in Rassegna Mensile di Israel 44 (1978), p. 397.
14
un’origine ebraica falsamente attribuita, infatti, sono al centro della maggior
parte di queste opere, in cui manca un’effettiva problematica ebraica
33
.
E’ stato detto che la storia della letteratura italiana non ha avuto un
interesse per gli ebrei e per l’ebraismo della diaspora paragonabile a quello
riscontrato in altri paesi
34
. Studi analoghi a quelli di C. Lehrmann
35
sull’elemento ebraico nella letteratura francese o di A. Guttmann
36
in quella
americana sembrerebbero molto improbabili nel panorama italiano.
33
Se i migliori letterati del periodo post-risorgimentale hanno trascurato argomenti e
personaggi ebrei, uno spazio molto più ampio è stato dato a questa tematica nella
letteratura popolare. Due romanzi, in particolare, possono fungere da esempio: 1) G.A.
Giustina, Il ghetto: romanzo storico-sociale, Torino, Fino, 1881. La storia si svolge a
Torino prima del 1848. Cosimo Sinibaldi, patriota esiliato dal Trentino si innamora di una
ragazza ebrea, Rachele Zan-Tedeschi. I genitori della ragazza, Sara ed Abramo, si
oppongono al loro amore. Alla fine Cosimo sposa Rachele, che in realtà è la figlia
illegittima della contessa Di Bricheron, e si presume che vivranno felici e contenti.
Malgrado le sue dichiarazioni filosemitiche, all'interno del romanzo Giustina dipinge gli
ebrei come venali, ingannatori e superstiziosi. Anche prima che ne venisse rivelata
l'identità, c'erano molti sospetti che Rachele non fosse veramente ebrea, dal momento che
era «bionda», non aveva «l'accento ebreo» e «amava la pulizia e la proprietà della
persona» (pp. 7-8). Inoltre, Rachele «si sentiva fatta per un altro mondo meno egoista,
meno materiale» di quello del ghetto ebreo (p. 14); 2) C. Invernizio, L'orfana del ghetto:
romanzo storico-sociale, Firenze, Salani, 1887. La trama del romanzo è un intricato
groviglio di passioni extraconiugali, di suicidi, di assassini e di scoperte inaspettate di
identità nascoste, ambientate per la maggior parte in locali segreti e anfratti sotterranei. I
due motivi portanti della storia sono l'amore e la vendetta. Fiorenzo Servi, figlio di un
banchiere ebreo, e Renata, figlia unica del conte Fiorentino Mario Ariani si innamorano
l'uno dell'altra contro la volontà del padre di lei, e, fuori dal matrimonio, avranno una
figlia che chiamano Viola. Ariani consegna la neonata alla sua governante perché la
esponga alle intemperie, ma questa, prima di eseguire la crudele sentenza, battezza
segretamente la bambina e la marchia sul braccio destro con il segno della croce.
Fiorenzo salva la figlia, e la affida ad una sarta del ghetto perché la allevi come una
trovatella, e quindi se ne va all'estero, presumibilmente per sempre. Ma sedici anni dopo,
nel 1876, decide di tornare a Firenze, dove, sotto il falso nome di barone Armando Viser,
favolosamente ricco, intende vendicarsi sia su Ariani, sia sulla sua ex innamorata Renata
che, tormentata e plagiata dal padre, ha nel frattempo dimenticato il suo amore giovanile e
si è felicemente sposata con un nobile locale. Alla fine del romanzo, Fiorenzo-Armando
rinunzia alla sua vendetta, si converte, e parte per passare il resto dei suoi giorni in
espiazione in monastero. La vera identità di Viola viene rivelata, ed ella sposa Marcello,
un giovane ufficiale di bell'aspetto che in realtà è il fratellastro illegittimo di sua madre.
34
G. Romano, Ebrei nella Letteratura, Roma, Carucci, 1979, p. 17.
35
C. Lehrmann, L’élement juif dans la litterature française, 2 vol., Paris, Albin Michel,
1960.
36
A. Guttmann, The Jewish writer in America. Assimilation and the Crisis of Identity,
New York, Oxford University Press, 1971.
15
Modesto apparirebbe l’apporto degli ebrei nella letteratura italiana e scarsi i
segni di una tematica ebraica nelle opere in prosa e in versi apparse, nel
corso dei secoli, in Italia. Un tale interessamento, però, si è fatto più vivo e
diversificato negli ultimi anni
37
.
Nella prima parte del XX secolo la narrativa e la poesia italiana
hanno mostrato poco interesse per gli ebrei e le loro vicende,
contemporanee o lontane, o per la nascita del sionismo che all’inizio aveva
suscitato viva curiosità. Soltanto negli ultimi anni, a seguito della tragedia
dell’ebraismo europeo a causa della Shoah, della nascita dello Stato
d’Israele e di una maggior consapevolezza dei problemi ebraici, sono
apparsi molti libri, specialmente nel campo della memorialistica e della
storia, che hanno obiettiva importanza. E gli scritti di Bassani evidenziano,
quali elementi caratterizzanti, proprio l'autobiografismo e la storia.
L’analisi di questo autore si è rivelata, per la critica, un esercizio di
grande impegno. Per pochi altri scrittori contemporanei è dato di riscontrare
tanta disparità di giudizi quanta ne possiamo reperire nell’abbondante
critica dedicata allo scrittore ferrarese, non solo per quanto riguarda la sua
collocazione in questa o in quella corrente letteraria, ma anche per la
validità dell’opera in sé.
37
Romano, Ebrei nella Letteratura, op. cit., p. 35; Hughes, Prigionieri della speranza, op.
cit; M. Actis-Grosso, Ecrivains juifs italiens ou écrivains juifs d'Italie?, articolo non
pubblicato.
16
Al centro di polemiche, immerso nel vivo della politica culturale,
uomo di parte, Bassani ha, come ogni altro scrittore, i suoi esaltatori ed i
suoi detrattori. Chi vede in lui una delle punte più alte della narrativa
italiana, e chi invece nota nei suoi romanzi e racconti solo il desiderio di
piacere al vasto pubblico.