5
risultassero, in forza del principio pas de nullitè sans texte, addirittura ininfluenti
sulla validità di esso
4
.
Dall’altra parte, non essendo chiara la differenza tra nullità ed annullabilità, venne
elaborata nella dottrina civilistica, una serie di fattispecie nulle, quali quella
assoluta, quella relativa, la nullità radicale o di pieno diritto; in merito, autorevole
dottrina nota infatti che <<il codice civile del 1865 non conosceva una categoria
chiara e netta di atto annullabile contrapposto all’atto nullo. Esso parlava
genericamente di nullità...Nell’ambito della nullità veniva poi fatto distinguere, a
seconda che la domanda fosse prescrittibile, fosse riservata ad uno specifico
legittimato, e così via…Il sistema codicistico della nullità appariva troppo grezzo
perché la dottrina non fosse portata a mettervi le mani ad elaborarlo. Gli autori
legati alla tecnica delle scuole francesi costruirono, perciò, la distinzione
fondamentale fra nullità assoluta (deducibile da entrambe le parti) e relativa
(deducibile da una parte soltanto), precisando che, nella nullità relativa,
confluiscono casi di ‘nullità radicale o di pieno diritto’(cioè: nullità nel significato
del codice), e casi di semplice rescindibilità>>
5
.
Di conseguenza, l’impossibilità di distinguere nettamente queste diverse
categorie, fu ripresa completamente nella prima opera
6
volta a studiare la nullità
dell’atto amministrativo, nella quale tale istituto, fu analizzato alla luce della
visione civilistica francese.
In questa opera innanzitutto, si mise in evidenza che <<la nullità degli atti
amministrativi sostanzialmente non è diversa da quella che colpisce i negozi
giuridici d’ordine privato. L’origine ne è sempre la stessa, cioè la violazione di
una norma giuridica: e non diverso è il suo scopo e funzione, la reintegrazione del
diritto che un cittadino o un pubblico funzionario ha violato>>
7
. Questo non
significa, peraltro, che vi sia un’assoluta coincidenza, in quanto <<la
dichiarazione dell’incorsa nullità al riguardo di atti amministrativi può, quindi,
essere contenuta non solo in una sentenza o in una decisione, ma in altro atto della
superiore attività che in modo precipuo, al solo fine di tutelare la legalità
nell’amministrazione, pone nel nulla l’atto contrario al diritto>>
8
. In seguito a
4
G. Filanti, Inesistenza del negozio giuridico, cit. 14-15
5
R. Sacco, Nullità e annullabilità (Diritto civile), in Nss. dig. it., XI, Torino, 1976, 455 ss.
6
R. Porrini, Contributo alla teoria delle nullità di atti amministrativi, op. cit.
7
R. Porrini, Contributo alla teoria delle nullità di atti amministrativi, cit., 524.
8
R. Porrini, op. cit., 531.
6
questa premessa, si fa una distinzione dal punto di vista contenutistico, parlando
di nullità assolute e relative.
Le nullità assolute <<sono quelle che la legge ha stabilito in favore di tutti quelli
che possono avere interesse a prevalersene. Sono per contro relative quelle che
risultano dalla violazione di una legge le cui disposizioni sono stabilite in favore
di certe persone >>. Vi sono, poi, le nullità di diritto o di pien diritto e le nullità
giudiziali: <<sono nullità di pieno diritto quelle che il legislatore pronunzia, o ad
ogni modo sono la virtuale conseguenza di una norma giuridica…per contro le
nullità da dichiararsi in seguito a ricorso o azione si fondano non sul testo della
legge o sovra principi giuridici assoluti, ma in un apprezzamento equitativo
lasciato al magistrato o all’autorità decidente>>
9
.
Il quadro appena delineato, mutò con la diffusione nella tradizione giuridica
italiana delle categorie elaborate dalla pandettistica tedesca, che andarono a
stratificarsi su una concezione dottrinaria (francese appunto) sostanzialmente
diversa.
La distinzione di matrice tedesca risultò alquanto rigorosa in materia di nullità
(Nichtigkeit) e annullabilità (Anfechtbarkeit) e <<offriva all’interprete non solo
una demarcazione assai netta fra i due tipi d’invalidità, ma anche una notevole
risorsa ermeneutica per colmare le lacune del codice civile del 1865>>
10
che
conobbe grande adesione dalla dottrina civilistica italiana.
Si evidenziò infatti che: <<nel concetto dell’invalidità vi sono contrapposti. Il
contrapposto di gran lunga più importante fra questi è quello… fra nullità ed
annullabilità. O cioè un negozio giuridico è invalido, in guisa che non produce
l’effetto giuridico a cui mira, proprio come se mai fosse stato concluso: un tale
negozio giuridico si dice nullo. L’annullabilità al contrario si verifica allorquando
il negozio, pur essendo invalido, genera l’effetto giuridico cui mira.>>
11
Maggiore gradualità traspare invece dalle riflessioni degli studiosi del diritto
amministrativo
12
impegnati soprattutto nella ricerca di tratti di specialità dell’atto
amministrativo rispetto alla categoria negoziale. Infatti pur muovendo dall’esame
9
R. Porrini, op. cit., 533.
10
R. Sacco, Nullità e annullabilità, cit., 464.
11
B. Windscheid, Diritto delle pandette, trad. con note di Fadda e Bensa, I, Torino, Cedam, 1930,
264 ss.
12
V. E. Orlando, I criteri tecnici per la ricostruzione del diritto pubblico, in Arch. giur., 1889,
XLII, 107 ss; G. Azzariti, Forme e soggetti della democrazia pluralista. Considerazioni su
continuità e trasformazioni dello stato costituzionale, Torino, Giappichelli, 2000, 19ss.
7
dell’atto amministrativo secondo l’esame degli elementi essenziali dello stesso
13
(volontà, forma, contenuto, causa e oggetto), tali riflessioni non si discostarono
eccessivamente dal modello tratto dalla tradizione francese; questo anche per le
difficoltà di adattare le diverse categorie di derivazione tedesca al nostro sistema,
già costruito a livello positivo, intorno ai tre vizi di legittimità e alla presenza di
un giudice dell’annullamento
14
.
Diverse furono, infatti, le posizioni relative al trattamento giuridico della
mancanza di alcune degli elementi indicati; si rilevò che <<la nozione di atto
amministrativo, importata dalla Francia, fu adattata dalla cultura tedesca: ne
derivarono, tra l’altro, un’accentuazione della natura autoritaria dell’atto, in
quanto atto di esercizio di un potere sovrano, e il frequente accostamento tra l’atto
amministrativo e gli altri atti d’esercizio di simili poteri, come la legge o la
sentenza>>. Si precisò che la difficoltà di adattare le categorie tedesche della
nullità e annullabilità era dipesa dal fatto che tale distinzione <<non era stata
ancora pienamente recepita, soprattutto per la difficoltà di adattarla al diritto
positivo: il Codice civile allora vigente non distingueva tra diversi stati viziati del
contratto e in esso il rapporto tra nullità ed efficacia era incerto>>
15
.
Tale mancanza per una parte della dottrina
16
andava ricondotta nell’alveo del
sistema proprio dell’invalidità del diritto amministrativo, costruito intorno alla
nozione, sia pure all’epoca ancora incerta, di illegittimità-annullabilità; per
un’altra parte della dottrina
17
, fedele alla teoria funzionale della fattispecie, essa
avrebbe dovuto determinare viceversa, talvolta l’inesistenza, talvolta la nullità,
ritenendo inesistenti gli atti adottati nel caso di “usurpazione del potere” e
nell’ipotesi di vis absoluta, mentre nelle altre ipotesi si sarebbe riscontrata nullità,
termine usato per indicare genericamente invalidità, ossia i tre vizi di
incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere e questo anche se in
merito a tale distinzione si avevano ancora diverse incertezze.
Soltanto grazie ad un più forte collegamento tra la teoria pandettistica del negozio
giuridico con la concezione dell’atto amministrativo operato da parte della
13
F. Cammeo, Corso di diritto amministrativo, Padova, Cedam, 1960, 571 ss.
14
E. Cannada Bartoli, voce Annullabilità e annullamento (Diritto amministrativo), in Enc. dir.,
vol. II, Milano, 1958, 484 ss.
15
B. G. Mattarella, L’imperatività del provvedimento amministrativo. Saggio critico, Padova,
Cedam, 2000, 76.
16
A De Valles, La validità degli atti amministrativi, Padova, Cedam, 1986, 123
17
S. Romano, Il diritto pubblico italiano,Milano, Giuffrè , 1988, 286.
8
dottrina
18
, si riuscì a trattare con maggiore uniformità giuridica il tema delle
invalidità.
Partendo dall’affermazione di principio secondo il quale nell’esame dei singoli
elementi o condizioni, fosse necessario rilevare quando la loro mancanza
producesse la nullità dell’atto e quando ne costituisse solo un vizio, dal quale far
nascere l’annullabilità, parte della dottrina, infatti in rottura con la tradizione
precedente, cercò di portare a compimento una costruzione in chiave negoziale
dell’atto amministrativo; e specularmente, delle forme di divergenza dello stesso
secondo il modello strutturale di derivazione privatistica appena delineato.
Quindi l’approccio dei cultori della pandettistica ebbe l’indubbio merito di aver
offerto una prima sistematizzazione degli istituti del diritto amministrativo; il
limite di questo approccio fu però quello di non aver valorizzato adeguatamente il
significato e la portata della specialità delle regole d’azione della pubblica
amministrazione.
Anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato specialmente nel primo decennio
del 1900, attinse alla tradizione francese, prova ne è che in molti casi sanzionò
l’invalidità del provvedimento con la nullità relativa da intendersi come sinonimo
di annullamento; in particolare, sfogliando i repertori giurisprudenziali si rileva
subito che almeno fino agli anni 30 del 1900, si ritrovano sentenze che
pronunciano la nullità relativa dei provvedimenti per errore essenziale
19
.
Più o meno nello stesso periodo anche il legislatore impiegò il termine nullità
riferito alle deliberazioni amministrative nel t. u. comunale e provinciale
20
.
Anche in questo caso, il concetto di nullità impiegato dal legislatore doveva
essere considerato come un sinonimo di annullamento/annullabilità, come anche
affermato dalla giurisprudenza del periodo
21
a questo proposito, il Consiglio di
Stato già nel 1911 precisò che il sistema amministrativo non ammette la <<nullità
18
O. Ranelletti, Le guarentigie amministrative e giurisdizionali della giustizia amministrativa,
Milano, Giuffrè, 1930; B. Cavallo, Provvedimenti ed atti amministrativi, in Trattato diritto
amministrativo, diretto da Santaniello, III, Padova, Cedam, 1993, 46; B. G. Mattarella,
L’imperatività, cit., 141.
19
Ex plurimis Cons. St., Sez. IV, 24 novembre 1933, in Foro it., 1934, III, 234; Cons. St. Sez. IV,
14 maggio 1926, n.254, in Foro amm., 1926, III, 227; Cons. St., Sez. V, 12 febbraio 1926, in Giur.
It, 1926, III, 227.
20
Nello specifico art. 288 t. u. della legge comunale e provinciale del 1934 secondo il quale <<
sono nulle le deliberazioni prese in adunanze illegali, o adottate sopra oggetti estranei alle
attribuzioni degli organi deliberanti, o che contengano violazioni di legge>>. Si ricorda inoltre tra
le varie disposizioni analoghe l’art. 326 del t. u. com. prov. Del 1915.
21
Cons. St., Sez. IV, 3 ottobre 1911, in Giur. it., 1912, III, 162 e Cons. St., Sez. V, 28 gennaio
1916, in Giur. it., 1916, III, 177.
9
d’ordine pubblico>> denunziabile <<in qualunque stato e grado della causa e
rilevabile dalla stesso giudice di propria autorità>>, poiché, da un lato <<le leggi
di giustizia amministrativa esigono che il ricorsi sia prodotto entro un dato
termine e che nel ricorso si specifichino i motivi di gravame>> e, dall’altro si
arriverebbe alla <<conseguenza esorbitante che la massima parte delle violazioni
di norme amministrative, dettate appunto, nel pubblico interesse, sarebbero in
qualunque tempo denunziabili, mettendo così quasi nel nulla l’efficacia dei
termini stabiliti per ricorrere>>
22
.
La dottrina filo germanica dei primi anni del XX secolo comunque, criticò
duramente la conformazione dell’invalidità contenuta nel codice civile del 1865,
sottolineando la grande confusione presente in materia vista <<la varietà delle
espressioni adoperate dagli scrittori e la difforme significazione attribuita da
ciascuno al medesimo termine, si parla di nullità, di inesistenza giuridica, di
inefficacia, d’invalidità, d’impugnabilità, di annullabilità, di una nullità assoluta o
radicale e di una relativa e così via. La legge stessa pecca d’imprecisione,
parlando di nullità, dove si ha invece semplice annullabilità>>
23
.
La poca chiarezza legislativa apparve ancora più grave in virtù dell’elaborazione
pandettistica sul negozio giuridico, dove al contrario la teoria dell’invalidità era
stata tracciata con dei confini ben definiti. Infatti a differenza dell’esperienza
francese la dottrina pandettistica distinse nettamente tra nullità (Nichtigkeit) ed
annullabilità (Anfechtbarkeit), facendo seguire a ciascuna delle due categorie
conseguenze giuridiche ben precise: la nullità oltre ad essere insanabile, poteva
essere fatta valere in qualunque tempo e da chiunque vi aveva interesse;
l’annullabilità, invece, oltre ad essere convalidabile, poteva essere fatta valere in
uno spazio di tempo ben delimitato e solo da una cerchia ristretta di legittimati
24
.
La dottrina italiana, profondamente attratta dalla rigorosa elaborazione dottrinale
della pandettistica, introdusse la teoria dell’invalidità di origine germanica sul
codice civile di derivazione francese; a riguardo, è interessante notare che una
volta importato in Italia il complesso delle categorie elaborate dalla pandettistica
22
Cons. St., Sez. IV , 3 ottobre 1911, in Giur. It., 1912, III, 162; questa sentenza condizionò la
giurisprudenza amministrativa successiva fino agli anni ’90 del 1900, solo a partire dalle sentenze
del Cons. St., ad. plen., 29 febbraio 1992, n. 1, in Foro it., 1992, III, 438 e Cons. St. ad. plen., 29
febbraio 1992, n. 2, in Foro amm.1992, 319 si superò il principio che i casi di nullità testuale del
provvedimento debbano essere considerati come ipotesi di annullabilità per violazione di legge.
23
R. De Ruggiero, Istituzioni di diritto civile, I, Messina, Principato,1926, 293.
24
B. Windscheid, Diritto delle pandette, trad. con note di Fadda e Bensa, I, Torino, Giappichelli,
1930, 264 ss.
10
sul nostro codice d’ispirazione decisamente napoleonica, fu introdotta una
concezione dottrinaria che gli era sconosciuta: la riduzione delle invalidità alla
nullità operante ipso iure, e all’annullabilità; la distinzione ebbe rapido successo
nella dottrina poiché <<offriva all’interprete non solo una demarcazione netta fra i
due tipi d’invalidità,ma anche una notevole risorsa ermeneutica per colmare le
lacune del codice civile del 1865>>
25
.
Questa opera di ‘stratificazione’ avvenne ad opera di grandi studiosi
26
i quali oltre
a riprendere la distinzione tra Nichtigkeit ed Anfechtbarkeit come differenti
sanzioni dell’atto invalido, vennero specificati i vizi che rendevano nullo un
negozio, applicando la teoria degli elementi essenziali; si precisò dunque che la
nullità del negozio si realizza laddove lo stesso difetti di uno degli elementi
essenziali, quali la mancanza del soggetto, dell’oggetto, della causa e della forma
scritta laddove sia prevista ad substantiam
27
.
Per avere un quadro più completo, è utile far riferimento alle regole giuridiche,
soprattutto dal lato prospettico della teoria generale del diritto.
Il primo punto da esaminare, ad avviso di importante dottrina
28
, è che ogni norma
giuridica può essere sottoposta a tre diverse valutazioni e queste valutazioni sono
indipendenti l’una dall’altra.
Di fronte ad una qualsiasi norma giuridica, si possono avere sostanzialmente un
triplice ordine di problemi: 1) se essa sia giusta o ingiusta; 2) se essa sia valida o
invalida; 3) se essa sia efficace o inefficace. Si tratta dei tre distinti quesiti della
giustizia, della validità e dell’efficacia della norma giuridica.
Il quesito della giustizia è legato alla corrispondenza o meno dei normali valori
finali che ispirano un determinato ordinamento giuridico.
Senza soffermarci se esista un ideale di bene comune identico per ogni tempo,
l’importante è evidenziare che ogni ordinamento giuridico persegue certi fini e il
legislatore dovrebbe indirizzare il proprio operato nell’attuazione di questi fini.
Qualora si ritenesse che esistano valori supremi, oggettivamente evidenti, il
chiedersi se una norma sia giusta o ingiusta significa domandarsi se essa sia atta o
meno a realizzare quei valori.
25
R. Sacco, Nullità ed annullabilità (Diritto civile), cit., 464.
26
N. Coviello, Manuale di diritto civile italiano, I, Milano, Giuffrè, 1910, 313 ss; R. De Ruggiero,
Istituzioni di diritto civile, I, cit., 294.
27
R. De Ruggiero, op. cit., 465.
28
N. Bobbio, Teoria generale del diritto, Torino, Giappichelli, 1955, 24.
11
Ma anche nel caso in cui non si creda in valori assoluti il problema della giustizia
o meno di una norma non ha fondamento poiché equivale a chiedersi se quella
norma sia atta o meno a realizzare valori storici, che ispirano quel concreto e
storicamente determinato ordinamento giuridico. Il problema se una norma sia o
non sia giusta è legato al contrasto tra mondo ideale e mondo reale, tra ciò che
deve essere e ciò che è: norma giusta è quello che deve essere, norma ingiusta è
quello che non dovrebbe essere. Il porsi il problema della giustizia o meno di una
norma equivale a porsi il problema della corrispondenza tra ciò che è reale e ciò
che è ideale; quindi il problema della giustizia è definito solitamente come il
problema deontologico del diritto.
Il problema della validità riguarda l’esistenza della regola in quanto tale,
indipendentemente dal giudizio di valore se essa sia giusta o meno. Mentre il
problema della giustizia viene risolto con un giudizio di valore, la questione della
validità si risolve in un giudizio di fatto; si tratta in sostanza di constatare se una
regola giuridica esista o meno o meglio se quella determinata regola in quel modo
determinato sia una regola giuridica. Validità giuridica di una norma equivale ad
esistenza di quella norma in quanto regola giuridica, mentre per giudicare della
giustizia di una norma bisogna commisurarla ad un valore ideale, per giudicare
della sua validità bisogna compiere ricerche di tipo empirico-razionale, quelle
ricerche che si compiono quando si tratta di stabilire l’entità e la portata di un
evento.
In particolare, per accertare se una norma sia valida (ovvero esista come regola
giuridica appartenente ad un determinato sistema), bisogna solitamente compiere
tre operazioni: 1) accertare se l’autorità che l’ha emanata aveva il potere legittimo
di emanare norme giuridiche, cioè norme vincolanti in quel determinato
ordinamento giuridico (questa ricerca conduce inevitabilmente a risalire alla
norma ‘primaria’, che è il fondamento di validità di tutte le norme di un
determinato sistema);
2) accertare se non sia stata abrogata, giacchè una norma deve essere stata valida,
nel senso che fu emanata da un potere autorizzato, ma non è detto che lo sia
ancora, il che accade quando un’altra norma successiva nel tempo l’abbia
espressamente abrogata o abbia regolato la stessa materia; 3) accertare se sia
incompatibile con altre norme del sistema (ciò che si dice abrogazione implicita),
in particolare con una norma gerarchicamente superiore (una legge costituzionale
12
è superiore ad una legge ordinaria in una costituzione rigida) o con una norma
successiva dal momento in cui vige in ogni ordinamento giuridico il principio che
due norme incompatibili non possano essere considerate entrambi valide (così
come in un sistema scientifico due proposizioni contraddittorie non possono
essere entrambi vere).
Il problema dell’efficacia di una norma si sostanzia nel quesito se la norma sia
seguita o meno dalle persone a cui è diretta (i cosiddetti destinatari della norma
giuridica).
Questi tre criteri di valutazione danno origine a tre ordini distinti di problemi e
sono indipendenti l’uno dall’altra, nel senso che la giustizia non dipende né dalla
validità, né dall’efficacia, l’efficacia non dipende né dalla giustizia né dalla
validità. Per mostrare questi vari rapporti di indipendenza, si possono analizzare
sei distinte situazioni:
1) una norma può essere giusta senza essere valida: il classico esempio è
quello dei teorici del diritto naturale i quali nei loro trattati formulavano un
sistema di norme ricavate dai principi giuridici universali. Chi formulava queste
norme le considerava giuste poiché corrispondenti a principi universali di
giustizia. Ma queste norme fin quando erano solo scritte in un trattato di diritto
naturale, non erano valide; diventavano valide solo nella misura in cui esse
venivano accolte in un sistema di diritto positivo. In pratica il diritto naturale
pretende di essere il diritto giusto per eccellenza, ma per il solo fatto di essere
giusto non è anche valido.
2) Una norma può essere valida senza essere giusta: per quanto riguarda
questo aspetto non è difficile trovare degli esempi. Partendo dal presupposto che
nessun ordinamento giuridico è perfetto, si può certamente affermare che tra
l’ideale di giustizia e la realtà del diritto vi è sempre uno scarto più o meno ampio
a seconda del regime. Sicuramente il diritto che in determinati regimi ammetteva
e ammette la schiavitù, non era giusto, ma non per questo era meno valido. Le
leggi razziali ad esempio, che nessuna persona ragionevole considera giuste erano
comunque valide; eppure né il socialista né il reazionario avranno dubbi sul fatto
che in un ordinamento positivo come quello italiano, tanto le regole che indicano
la proprietà individuale quanto quelle che riconoscono il diritto di sciopero siano
valide.
13
3) Una norma può essere valida senza essere efficace: il caso più clamoroso è
pur sempre quello della legge sulla proibizione e sulle bevande alcoliche negli
Stati Uniti d’America, che furono in vigore nel ventennio tra le due guerre. Fu
sostenuto che il consumo delle bevande alcoliche durante il regime
proibizionistico non era inferiore al consumo del periodo immediatamente
successivo quando la proibizione fu soppressa. Certamente si trattava di legge
“valide”, nel senso che erano state emanate dagli organi competenti a emanare
norme giuridiche, ma non erano efficaci. Senza andare troppo in avanti, molto
articoli della nostra costituzione non sono sinora stati applicati. Quando si parla di
disapplicazione della costituzione ci troviamo di fronte a norme giuridiche che
pur essendo valide cioè esistenti in quanto norme, non sono efficaci.
4) Una norma può essere efficace senza essere valida: vi sono molte norme
sociali che vengono seguite spontaneamente o per lo meno abitualmente, cioè
sono efficaci, come ad esempio per una determinata cerchia di persone le regole
della buona educazione. Queste regole per il solo fatto di essere seguite, non
diventano per ciò stesse regole appartenenti ad un sistema giuridico e non
acquistano validità giuridica. Si potrebbe obiettare che il diritto consuetudinario
costituisce un cospicuo esempio di norme che acquistano validità giuridica, cioè
vengono a far parte del sistema normativo solo attraverso la loro efficacia e
all’uso costante, regolare, generale, uniforme. A questa obiezione si può
rispondere sostenendo che nessuna consuetudine diventa giuridica solo attraverso
l’uso, poiché ciò che la fa diventare giuridica, ciò che la inserisce in un sistema è
il fatto che essa sia accolta e riconosciuta dagli organi competenti, in quel sistema
a produrre norme giuridiche, come il legislatore o il giudice; fin quando è
soltanto efficace una norma consuetudinaria non diventa giuridica, lo diventa
quando gli organi del potere le hanno attribuito validità che conferma che l’
efficacia non si trasforma direttamente in validità e pertanto una norma può
continuare ad essere efficace senza per questo diventare giuridica.
5) Una norma può essere giusta senza essere efficace: abbiamo visto che una
norma può essere giusta senza essere valida. Non dobbiamo esitare ad aggiungere
che può essere giusta senza essere efficace; in genere una norma può essere
efficace deve essere anche valida; se è vero che molte norme di giustizia non sono
valide a maggior ragione non sono neppure efficaci.
14
6) Una norma può essere efficace senza essere giusta: il fatto che una norma
sia universalmente seguita non è prova della sua giustizia, così come del resto, il
fatto che non sia seguita non è prova della sua giustizia. La derivazione della
giustizia dall’efficacia si potrebbe paragonare ad uno degli argomenti che veniva
di solito discusso tra i giusnaturalisti, all’argomento cosiddetto del consensus
humani generis o più semplicemente del consensus omnium; i giusnaturalisti
infatti si chiedevano se dovesse considerarsi massima di diritto naturale quella
accolta da tutti i popoli o meglio da tutti i “popoli civili”, quesito al quale la
frangia più intransigente dava risposta negativa con un certo margine di ragione:
ad esempio il fatto che la schiavitù fosse praticata da tutti i popoli civili in un
determinato periodo storico, non trasformava la schiavitù in un’istituzione
conforme a giustizia. Si può quindi è ribadire che la giustizia è indipendente dalla
validità ma è anche indipendente dall’efficacia
29
.
Ciascuno dei criteri sin qui esaminati delimitano un campo ben preciso di ricerche
per il filosofo del diritto e si può affermare che i tre problemi fondamentali di cui
si occupa tradizionalmente la filosofia del diritto coincidono con le qualificazioni
normative della giustizia, della validità e dell’efficacia.
Il problema della giustizia dà luogo a tutte quelle ricerche che mirano a enucleare
i valori supremi a cui il diritto tende; da qui la filosofia del diritto in quanto teoria
della giustizia. Il problema della validità costituisce il fulcro di quelle ricerche
volte a definire in cosa consiste il diritto come regola sanzionatoria e coattiva,
quali sono i caratteri peculiari di un ordinamento giuridico distinto da altri
ordinamenti normativi, da qui la filosofia del diritto come teoria generale del
diritto. Il problema dell’efficacia diretta sul terreno dell’applicazione delle norme
giuridiche e sul terreno dei comportamenti effettivi degli uomini che compongno
la società, dei loro interessi contrastanti, delle azioni di fronte alle autorità tende
invece a confluire nella sociologia giuridica.
Questa tripartizione è oggi generalmente riconosciuta dai filosofi del diritto e
corrisponde alla distinzione dei tre compiti della filosofia del diritto ovvero
deontologico, ontologico e fenomenologico.
Sicuramente questa distinzione non deve esser concepita come una divisione in
comportamenti stagni; infatti chi vuol comprendere l’esperienza giuridica nei suoi
vari aspetti, deve considerare che essa è quella parte dell’esperienza umana i cui
29
N. Bobbio, Teoria generale del diritto, op. cit.,26-28.
15
elementi costitutivi sono ideali di giustizia che richiedono istituzioni normative
per realizzarli, azioni e reazioni di fronte a quegli ideali e a quelle istituzioni. Ci
troviamo di fronte quindi a tre diversi aspetti di uno stesso problema centrale,
ovvero la migliore organizzazione della vita dei consociati. L’importante è non
ricorrere ad un eccessivo “riduzionismo” delle diverse teorie che vorrebbero
ricondurre i diversi aspetti ad un unicum.
Dopo questo excursus storico-tecnico, è utile affrontare la ricostruzione giuridica
sul tema della validità e dell’invalidità di diritto amministrativo che ha comunque
ricevuto un notevole impulso in seguito al superamento della ricostruzione del
provvedimento basata sulle categorie privatistiche.
Questo passaggio è stato aiutato da alcune riflessioni
30
che hanno portato a
compimento la ricostruzione del provvedimento come figura eminente nelle
categorie degli atti amministrativi, che si distingue, in particolare, dagli atti del
procedimento per l’essere il momento nel quale si definisce e realizza in concreto
il rapporto autorità-libertà e nei confronti del quale gli atti stessi si pongono in
funzione servente.
Questa importante elaborazione teorica, si traspone in diverse situazioni: oltre alle
tradizionali classificazioni di atti amministrativi, improntate prevalentemente
sull’analisi degli elementi strutturali secondo le indicazioni della scienza
privatistica, anche nel modo stesso di valutare la conformità del provvedimento
stesso al modello normativo.
La distinzione tra atti amministrativi negoziali e atti amministrativi non negoziali,
era in realtà, già entrata in crisi in dipendenza sia delle ricerche privatistiche
sull’autonomia privata sia di quelle pubblicistiche sul potere, sulla discrezionalità
e sul concetto di funzione
31
.
In una fattispecie a funzionalità libera, come è considerato tradizionalmente il
negozio giuridico, nei confronti del quale cioè non assume rilevanza l’interesse
perseguito dalle parti se non nei limiti della liceità, il regime della validità è stato
focalizzato sulla presenza degli elementi strutturali positivamente fissati e
preordinati ad assicurare la riconoscibilità del negozio concretamente stipulato e
dall’assetto di interessi ivi racchiuso, fra i contraenti e nei riguardi dei terzi e
quindi a garantire certezza giuridica. L’invalidità, infatti, è stata delineata sulla
carenza e sullo stato viziato di tali elementi strutturali, salvo quelle cause di
30
M. S. Giannini, Lezioni di diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 1950, 290.
31
A. M. Sandulli, Il procedimento amministrativo, Milano, Giuffrè, 1940, 110.
16
invalidazione, quale la rescissione,che non sono pacificamente riconducibili alla
dicotomia nullità-annullabilità.
L’attività privata, quindi, si svolge in un ambito proprio che l’ordinamento
giuridico riconosce come un’espressione dell’autonomia riconosciuta alle persone
dell’art. 2 Cost. che può eventualmente circoscrivere per fini d’interesse
pubblico;il negozio si presta quindi ad una verifica delle condizioni alle quali è
subordinato il riconoscimento giuridico di un certo regolamento di interessi, per
cui, per stabilire la validità della fattispecie concretamente posta in essere, è
sufficiente svolgere un confronto del negozio concluso con la fattispecie
normativa perché, salvo casi marginali, non assume rilievo giuridico né la scelta
delle parti sul modo di soddisfare il proprio problema né l’attività preparatoria
svolta per giungere alla conclusione dell’accordo, né il contenuto dato all’assetto
della fattispecie concreta
32
.
L’analisi sul provvedimento amministrativo basata inizialmente sull’aspetto
strutturale riconducibile all’ambito negoziale e quindi privatistico, ha finito per
seguire una logica del tutto diversa
33
.
Infatti la rilevanza dell’interesse pubblico, ha fatto si che nella valutazione di
validità entrasse pienamente l’esame dell’aspetto funzionale, ossia il rispetto
dell’interesse che è doveroso perseguire e soddisfare da parte
dell’amministrazione. Rispetto all’impostazione privatistica, dunque, il giudizio di
validità del provvedimento è venuto così a privilegiare la correttezza
nell’esercizio del potere ed entro certi limiti, l’idoneità del comportamento
amministrativo alla cura dell’interesse pubblico rispetto alle carenze strutturali,
quali i vizi della volontà e della esternazione.
Infatti come sostenuto da autorevole dottrina
34
, l’autonomia privata è
caratterizzata dal fatto che il soggetto <<ha la piena disponibilità oggettiva
dell’atto giuridico da porre in essere , e quindi la possibilità di attuare negozi
innominati o misti… Le autorità amministrative non hanno invece la piena
disponibilità di atti determinati solo oggettivamente, ma a ognuna di esse è
assegnato un certo numero di atti, né sono possibili atti innominati>>
35
. Inoltre si
32
F. Ledda, L’attività amministrativa, in Il diritto amministrativo degli anni ’80, Atti del XXX
Convegno di studi di scienza dell’amministrazione, Varenna, , Milano, 1987, 88.
33
A. Romano Tassone, Tra diversità e devianza. Appunti sul concetto d’invalidità, in Studi in
onore di V. Ottaviano, vol. II, Milano, 1993, 1116 ss.
34
M. S. Giannini, Lezioni di diritto amministrativo, cit., 14.
35
M. S. Giannini, Lezioni di diritto amministrativo, cit., 119.
17
precisa che <<la disciplina dell’atto amministrativo è fondamentalmente diversa
da quella dell’atto privato, non solo per la parte più appariscente che concerne i
vizi dell’atto, ma anche per l’intrinseca conformazione e per il modo onde
vengono in rilievo i vari elementi>>
36
.
Ma vi è un ulteriore aspetto da sottolineare, ovvero l’importanza dell’elemento
funzionale assunta come giustificazione dell’efficacia del provvedimento
invalido, ha finito per infrangere con un certo anticipo rispetto alla maturazione
degli studi sulla causalità giuridica, quella necessarietà del rapporto tra invalidità
ed inefficacia caratterizzante le meno recenti teorie funzionali della fattispecie.
L’interesse pubblico ha assunto sempre più un’importanza teorica soprattutto
nella ricostruzione dei tratti distintivi del provvedimento amministrativo, senza
dimenticare le riflessioni sul potere e sulla funzione, che hanno reso
eccessivamente riduttiva una valutazione dello stesso condotta con riferimento
esclusivo alla sua fattispecie normativa. La procedimentalizzazione dell’azione
amministrativa attraverso l’assoggettamento del concreto esercizio del potere alle
norme cogenti, di carattere generale e speciale, nonché ai principi che attengono
alle scelte discrezionali dell’amministrazione, ha fatto si che assumesse rilevanza
e potesse essere sindacato tutto l’esplicarsi dell’attività che porta al
provvedimento considerato, ormai pacificamente, come atto finale.
L’attenzione posta al processo di transizione dal potere al provvedimento ha senza
dubbio offerto un contributo altamente significativo al superamento dei vecchi
schemi di origine privatistica la cui utilizzazione impediva di cogliere pienamente
il ruolo del provvedimento nello svolgimento dell’azione amministrativa e le
peculiarità del giudizio di conformità del provvedimento al paradigma normativo,
determinando, altresì un allargamento notevole della “area” dell’invalidità
amministrativa. Essa infatti, può essere rilevata nei modi e nelle forme previste a
proposito di ogni atto della sequenza procedimentale intesa alla produzione del
provvedimento; con la conseguenza che la invalidità di uno degli atti preparatori è
stata ritenuta idonea a riflettersi sull’atto finale, che risulta così altrettanto viziato
per illegittimità derivata.
A tal proposito la giurisprudenza distingue tra invalidità ad effetti caducanti e
invalidità ad effetti meramente vizianti, plasmando su tale distinzione il regime
36
M. S. Giannini, Lezioni di diritto amministrativo, cit., 120.
18
impugnatorio degli atti, nonché la dimensione soggettiva del processo
amministrativo
37
.
Queste considerazioni fanno luce sulle ragioni per cui una parte della dottrina
38
,
nel sottolineare l’accento sugli aspetti funzionali dell’attività amministrativa,
svalutando, conseguentemente,l’ approccio strutturale, ritiene maggiormente
conforme al modo di atteggiarsi dal potere amministrativo nell’ordinamento
giuridico generale non richiamare, a proposito degli stati patologici del
provvedimento amministrativo, la nozione di invalidità , costruita secondo lo
schema logico-giuridico del negozio. Dà ragione altresì alla ritenuta estraneità al
diritto amministrativo del concetto di provvedimento illecito, parametrato sul
concetto di negozio giuridico illecito, quale status viziato del provvedimento
39
.
La tradizionale bipartizione degli stati patologici del provvedimento
amministrativo in illegittimità-inesistenza viene ricondotta positivamente al
sistema di giustizia amministrativa
40
le cui previsioni infatti pur non contenendo
una disciplina idonea a definire il contenuto dei concetti di legittimità,
illegittimità, e, in più in generale dei tre vizi dell’atto amministrativo, hanno finito
per influenzarne notevolmente la ricostruzione sul piano sostanziale. Si può dire
altresì pacifica l’idea che tra i fattori che hanno a lungo ostacolato una
razionalizzazione sistematica degli stati vizianti dell’atto amministrativo
importanza non marginale sia stata rivestita fino al 1990, dalla mancanza di una
legge generale sul procedimento amministrativo
41
.
37
A. M. Sandulli, Il procedimento amministrativo, cit., 86.
38
F.G. Scoca, Contributo sulla figura, cit.,136 dove si precisa che l’invalidità <<è legata alle
prospettive delle imperfezioni del negozio giuridico, che peraltro rispondono ad un diverso regime
giuridico e soprattutto, ad una diversa impostazione logico-sistematica>>.
39
F.G. Scoca, Contributo sulla figura, cit.,134.
40
Art. 26 e 45 del T.U. del C.d.S. che indicano rispettivamente i vizi di legittimità e le relative
conseguenze.
41
R. Caranta, L’nesistenza dell’atto amministrativo, Milano, Giuffrè, 1990.