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operazioni, che la letteratura ha definito Ipo Anomalies, e le teorie che sono state
sviluppate per cercare di darne una spiegazione.
Il secondo capitolo è incentrato sulla definizione di reputazione, e più in
particolare su come questo concetto possa essere affiancato alle banche
d’investimento. Sono di seguito esposti i contributi della letteratura in materia, e nello
specifico vengono analizzate due misure che in passato sono state utilizzate per
determinare il prestigio di banche e intermediari finanziari.
Il terzo capitolo ha lo scopo di dare una visione generale dei mercati su cui si
è focalizzato il mio studio ovvero il mercato Italiano e quello del Regno Unito.
Un’attenta analisi permette di identificare affinità e divergenze tra i due mercati e
offrono un quadro migliore per comprendere i risultati del lavoro.
Il quarto capitolo è racchiude l’analisi empirica effettuata per evidenziare
relazioni tra la reputazione delle investment banks e le performance di lungo periodo.
Dopo una prima descrizione e analisi qualitativa dei due campioni di Ipo’s che sono
stati studiati, un campione di offerte avvenute nel mercato italiano e uno di offerte
emesse nel Regno Unito, viene presentata la metodologia utilizzata per la verifica
della relazione e ne sono esposti i risultati.
L’ultimo capitolo, il quinto, contiene le conclusioni dello studio. In base alle
analisi empiriche svolte sui due campioni e in base alle informazioni apprese sui due
contesti di mercato, è stato possibile elaborare i risultati ottenuti, darne una
spiegazione e trarne le conclusioni.
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Capitolo 1
Il Mercato delle Offerte Pubbliche Iniziali
Azionarie
L’importante funzione svolta dalle offerte pubbliche iniziali nell’essere fonte di
finanziamento per gli emittenti e nel creare una via d’uscita per gli imprenditori e gli
investitori “fondatori”, sono ragioni sufficienti per giustificare i molti studi effettuati a
riguardo.
Un’offerta pubblica iniziale è il primo passo che le imprese private compiono
con l’obiettivo di raccogliere capitali finanziari nei mercati azionari pubblici. In sistemi
finanziari sempre più basati sui mercati dei capitali, le banche giocano un ruolo
fondamentale come intermediari finanziari, facendo da tramite tra le imprese che
sono in cerca di capitali e gli investitori pronti a finanziare i loro progetti.
Il mercato europeo delle Ipo’s è cresciuto in maniera vertiginosa nell’ultimo
decennio ed in particolare durante la fine degli anni ’90, al punto che nell’anno 2000,
la somma delle aziende quotate in tutti i mercati azionari della comunità Europea
diventasse più alto del numero di quelle quotate negli Stati Uniti. In particolare,
grazie alle offerte iniziali di aziende internet e high tech, che hanno fatto il loro
debutto nel 1999, molti investitori ed analisti, spostarono la loro attenzione sulle
performance del mercato delle Ipo’s creando un crescente interesse per questo
mercato.
Il collocamento presso un mercato di borsa regolamentato rappresenta
un’operazione finanziaria molto importante e delicata per un’impresa. Oltre ai vincoli
e alle procedure burocratiche a cui sarà sottoposta nel periodo antecedente la
quotazione e soprattutto nel periodo successivo all’Ipo, l’impresa andrà incontro
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anche a dei cambiamenti sul fronte dell’organizzazione interna aziendale, in
particolare con riferimento all’assetto proprietario dell’impresa, a causa dell’ingresso
di nuovi azionisti nella compagine societaria. Una nuova quotazione, non deve essere
necessariamente preceduta da una Ipo, ma le offerte pubbliche si rendono
necessarie quando il capitale equity di un’impresa, non è sufficientemente “disperso”
tra gli investitori. In altre parole, una società che intenda essere ammessa alla
quotazione in uno dei mercati azionari ed è però caratterizzata da un ristretto
numero di investitori, (tipicamente per le piccole imprese questi sono imprenditori,
familiari, managers e investitori private equity) è costretta ad organizzare una Ipo in
modo da creare quel capitale flottante necessario per essere quotati. Il settore della
finanza che si occupa di questo genere di operazioni è quello dell’investment
banking.
Il termine investment banking usato in senso stretto fa riferimento ad attività
legate ai mercati dei capitali,sia di debito che equity; in una accezione più ampia, si
fa rientrare nella sfera dell’investment banking anche attività quali la finanza
strutturata, il private equity e l’advisory. Talune investment banks, si specializzano
nella vendita e distribuzione di titoli agli investitori, con il vantaggio per gli emittenti
di ridurre i costi di transazione nei processi volti a recuperare capitali dai mercati. Un
altro canale, meno visibile, attraverso cui le investment banks creano valore è il ruolo
di produttori di informazioni: i processi di emissioni di titoli nei mercati sono molto
spesso afflitti dalle cosiddette informazioni asimmetriche prima fra tutte quella
esistente tra i soggetti interni all’emittente, ad esempio i managers, e quelli esterni
come i futuri investitori. Come dimostra uno studio prodotto da Akerlof (1970),
l’informazione asimmetrica nella sua forma estrema minaccia l’esistenza stessa del
mercato. Nei mercati azionari, senza una qualche forma di intermediazione che colmi
la lacuna informativa esistente tra gli investitori e i soggetti informati, i primi
sarebbero portati razionalmente a scontare il valore del titolo in offerta, lasciando
nelle casse dell’emittente un valore minore rispetto a quello considerato equo. Le
investment banks, posizionandosi tra investitori ed emittenti, sembrano essere nella
posizione più adeguata per colmare tale lacuna ed evitare, in un’ipotesi puramente
teorica di asimmetria informativa estrema, il collasso del sistema.
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Ma come fanno le investment banks ad evitare, o per meglio dire, a ridurre
l’asimmetria informativa a cui sono esposti gli investitori e a crearsi una reputazione
come produttori di informazione? Il punto fondamentale che distingue le investment
banks dalla media delle aziende in cerca di capitali, risiede nel fatto che sono
frequenti e ripetitivi “players” dei mercati finanziari, così come che la loro vitalità
economica e i futuri redditi sono direttamente legati alla loro reputazione. Se infatti la
disonestà di una volta può produrre anche un alto profitto nel breve termine, tale
profitto sarà guadagnato col costo di perdere reputazione e conseguentemente
redditi in futuro. In altre parole, è fondamentale per una banca salvaguardare la
propria reputazione per garantirsi la sopravvivenza nel tempo. Questo bisogno di
proteggere il proprio prestigio ha delle implicazioni sulle decisioni che le banche
prendono relativamente ai deals che decidono di gestire, come ad esempio le
decisioni che riguardano la sottoscrizione, la struttura e l’ammontare delle
commissioni e la fissazione del prezzo. Banche molto grandi, con una reputazione di
prestigio costruita nel tempo da mantenere, risultano più avverse al rischio nelle
decisioni di underwriting e tendono ad occuparsi dei progetti con le migliori
prospettive o meno rischiosi. Ex post, queste decisioni prese dalle banche,
incorporano anche un contenuto informativo per gli investitori: presupponendo che le
decisioni di sottoscrizione siano prese in maniera più accurata in modo da riflettere e
garantirsi il prestigio, gli investitori ricevono un segnale positivo dalla decisione presa
da una banca con un buona reputazione di gestire un determinato progetto.
Partendo da questo assunto, e avendo in mente la teoria empirica relativa alla long-
run underperformance delle Ipo’s ci si potrebbe aspettare che le operazioni gestite
dalle banche più prestigiose possano presentare i rendimenti migliori di lungo
periodo. Questo lavoro mira a svolgere proprio uno studio della relazione, se
esistente, tra la reputazione delle investment banks e le performance dei relativi
deals da esse gestite.
Molte sono le proxies in letteratura che sono state sviluppate per definire la
reputazione degli underwriter. Logue (1973) e Beatty e Ritter (1986) sono stati tra i
primi a sviluppare delle misure di reputazione degli underwriter. Carter e Manaster
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(1990) usarono la posizione relativa di ciascuna investment banks nei tombstone
announcemnts. Janson e Miller (1988) e Megginson e Weiss (1991) proposero
modelli per misurare la reputazione che richiedevano meno sforzi e soprattutto più
facilmente aggiornabili. Queste misure saranno descritte dettagliatamente nei capitoli
successivi.
L’attore più importante del procedimento di quotazione è costituito, come si è
intuito, dagli intermediari che seguono l’impresa e fra tutti il lead manager, ovvero
colui che è a capo del processo di quotazione e del sindacato di collocamento. La sua
importanza non si limita soltanto alla creazione del sindacato di collocamento e alla
supervisione delle diverse fasi che un collocamento comporta, ma ha un ruolo
importante anche in termini di comunicazione di informazioni al mercato.
1.2 Il ruolo dell’intermediario finanziario
Tra i soggetti attivi che partecipano ad un processo di offerta pubblica, la
società emittente, gli investitori e l’intermediario finanziario, quest’ultimo è quello che
svolge il ruolo centrale e fondamentale di tutta l’operazione, facendo da tramite tra
l’impresa emittente e il mercato.
Le funzioni che esso svolge sono raggruppabili in tre fondamentali:
1) Essendo un soggetto che opera in maniera continuativa nel mercato dei
capitali, l’intermediario ha a sua disposizione informazioni precise e rilevanti
non reperibili dall’emittente. In una prima fase del processo la funzione degli
intermediari è quindi quella di fare da advisor alla società emittente,
consigliandola ad esempio sulle tempistiche, modalità e prezzo d’offerta
migliori per l’operazione.
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2) Ha un ruolo di garante verso più soggetti: verso gli investitori, grazie alla
reputazione che l’intermediario si è costruito sul mercato, e verso l’emittente
grazie alla sua esperienza creatasi nella gestione di operazioni nel passato.
All’emittente può poi offrire anche un’ulteriore garanzia, ovvero quella
dell’acquisto totale o parziale dei titoli, in modo da garantirgli la piena
sottoscrizione dell’offerta.
3) Ha poi il compito, forse il più fondamentale tra i tre, della fissazione del prezzo
dell’offerta. Nel fare questo gioca un ruolo importante l’asimmetria informativa
che esiste tra gli investitori, che hanno limitate informazione circa il titolo in
emissione, e l’underwriter. Quest’ultimo può avere interessi diversi: da una
parte potrebbe fissare un prezzo di offerta più alto in modo da favorire
l’emittente, la cui raccolta risulterebbe più elevata, ma soprattutto
aumenterebbe il suo profitto, dato che la remunerazione della banca è legata
a commissioni percentuali dell’ammontare raccolto finale. Tuttavia questa
“tentazione”, è controbilanciata da un obbiettivo di lungo termine, cioè quello
di mantenere una buona reputazione nel mercato che gli permetta di ottenere
la gestione di deals profittevoli nel lungo periodo; questi sono infatti preferibili
rispetto ad un grande profitto nel breve termine che possa però pregiudicare
la reputazione e di conseguenza la profittabilità nel futuro. Per tale motivo, il
book-runner, in fase di fissazione del prezzo ha un interesse a stimare
correttamente il valore dell’emittente e a stabilire conseguentemente un
prezzo equo.
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1.3 Le Ipo Anomalies
La maggior parte della letteratura esistente in tema di offerte pubbliche iniziali
(Ipo), si è occupata di verificare e trovare spiegazioni teoriche attendibili ad alcuni
fenomeni ricorrenti nelle Ipo’s, le cosiddette Ipo Anomalies. Queste tipo di anomalie
sono state evidenziate in quasi tutti i mercati di capitali dei principali paesi sviluppati
ed emergenti. Lo scopo di questo studio non è direttamente incentrato sullo studio di
queste “anomalie ricorrenti”, ma tuttavia è utile fare un breve richiamo delle varie
tipologie e delle diverse teorie, in quanto risulteranno successivamente necessarie
per lo svolgimento e la comprensione di questo lavoro.
Con il termine Ipo Anomalies sono distinguibili tre fenomeni ricorrenti:
• L’underpricing;
• La long-run underperformance;
• Le hot and cold issues .
1.3.2 L’Underpricing
L’underpricing altro non è che la differenza fra il prezzo d’offerta iniziale del
titolo e il prezzo di chiusura sul mercato su cui è stato collocato, al termine del primo
giorno di contrattazione. Per essere più precisi e per usare un termine finanziario, è il
rendimento registrato dal titolo matricola il primo giorno di quotazione, anche se
questa definizione può essere leggermente fuorviante in quanto il primo giorno il
prezzo di riferimento che viene normalmente utilizzato come base per il calcolo del
rendimento giornaliero di un titolo, viene fatto coincidere con il prezzo al termine
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dell’asta di apertura, il quale può risultare già parecchio differente rispetto al prezzo
d’offerta.
Dove: UR è l’underpricing
Pd1 è il prezzo di chiusura del primo giorno di quotazione;
P0 è il prezzo iniziale d’offerta del titolo.
Le analisi empiriche mostrano come, in media, i titoli soggetti ad Ipo, facciano
segnare un rendimento anomalo positivo il primo giorno di collocamento, che si
colloca tra il 10% e il 30 % rispetto al prezzo d’offerta. I primi ad evidenziare questo
fenomeno furono Stoll e Curley (1970), Logue (1973) e Ibbostone (1975).
Successivamente, questo comportamento anomalo è stato frutto di numerosi e
approfonditi studi soprattutto per le implicazioni teoriche che questo fenomeno
comporta: come è infatti possibile spiegare questo tipo di evento? Le risposte più
intuitive che vengono immediatamente in mente possono essere essenzialmente due,
o un’errata valutazione da parte dell’underwriter che in sede di definizione del prezzo
ha sottovalutato l’impresa emittente causando di conseguenza una significativa
perdita di valore per l’impresa, che Ritter (1984) definisce “money left on the table”,
letteralmente “soldi lasciati sul tavolo”, oppure, seconda ipotesi, ritenendo corretta la
valutazione da parte del lead manager, si dovrebbe sostenere l’irrazionalità da parte
degli investitori. In questo secondo caso non sarebbe nemmeno più corretto parlare
di underpricing, quanto meglio di overreaction da parte degli investitori presenti sul
mercato, che è esattamente il fenomeno economico opposto all’underpricing.
Evidenze empiriche di underpricing relative ad offerte pubbliche iniziali sui
mercati azionari, sono state riscontrate in quasi tutti i mercati, sia in quelli più evoluti
come i paesi Europei, Levis (1993), Giudici e Paleari (2001), Uhlir (1989), gli Stati
UR = Pd1
P0
-1