II
Con la settimanalizzazione si rende eccezionale la quotidianit�, dando
alla notizia un carattere extra-ordinario e facendo diventare
rilevanti anche gli eventi pi� banali.
A questo aspetto ne � legato un altro , ossia il sensazionalismo,
che non � una tecnica, bens� un modo di concepire la notizia,
tale per cui si sente la necessit� di impressionare il lettore con
qualsiasi espediente.
Questi sono solo alcuni degli elementi (forse quelli di
condizionamento pi� "visibile") che hanno inciso molto nell'uso della
lingua dei giornali negli ultimi vent'anni. Ce ne sono anche altri, fra i
quali, soprattutto ultimamente, l'influenza sempre pi� presente delle
nuove tecnologie.
In quest' analisi ci siamo occupati del cambiamento della lingua
italiana dal 1976, anno della nascita di "Repubblica", al 1996.
Nell'arco di questo periodo sono avvenuti nel giornalismo italiano e
non solo, mutamenti radicali e molto diversi fra loro.
Se gli anni '70 costituiscono un momento di "snodo" per la carta
stampata, che si modernizza ed inizia a servirsi di procedimenti
e metodi nuovi, gli anni '80 sono quelli della "omologazione" dei
quotidiani, infine gli anni '90 quelli della cosiddetta "comunicazione
globale", del "cyber spazio", di un mondo in cui le distanze sono
sempre pi� vicine, anzi in molti casi sono "virtuali". Questi
cambiamenti determinano conseguenze notevoli sul criterio di
percezione della realt� e sulla strutturazione delle notizie.
L'obiettivo dell'analisi da me condotta � quello di registrare in che
modo le testate abbiano modificato il loro rapporto di uso e,
spesso abuso, della lingua, nel nostro caso italiana (anche se sono
III
sempre pi� presenti prestiti stranieri, per lo pi� inglesi, ormai quasi
"italianizzati" ). Per mettere alla luce questo processo si sono presi in
considerazione due quotidiani nazionali: "La Repubblica" e il
"Corriere della sera".
Si � scelto il giornale di Scalfari perch� fu il primo foglio, che, fra le
altre numerose novit�, seppe servirsi fin dall'inizio della lingua in
modo originale: frasi colorite, artifici retorici spesso azzardati, mimesi
del parlato, registro a volte basso, toni ironici e allusivi-polemici,
infine stile disinvolto e leggero.
Si � scelto il "Corriere", proprio perch� all'antitesi dell'altra testata:
foglio della borghesia improntato al "conservatorismo" delle
forme, ad uno stile a volte aulico, in alcuni casi addirittura
altisonante, ma comunque sempre austero e pi� pesante di quello
di "Repubblica".
Quello che si � voluto rilevare, almeno nelle intenzioni, � stato
osservare come muti l'uso della lingua in questi due giornali cos�
diversi fra loro, che per� con il tempo hanno finito per assottigliare le
loro differenze, all' inizio notevoli, e diventare simili.
Dunque ci si � proposti di studiare un rapporto sincronico e
diacronico fra uso della lingua e stampa.
Per far ci� si sono esaminate le due testate dal 1976 al 1996,
analizzandole a scadenza decennale, per mettere in risalto i
cambiamenti maggiori. I due fogli sono stati seguiti dai mesi di
gennaio ai mesi di giugno contemporaneamente, in modo da
leggerli continuativamente per sei mesi. Il primo numero
analizzato � stato quello del 14 gennaio, prima uscita di "Repubblica",
l'ultimo � stato del 30 giugno 1996, a conclusione di quello che
IV
possiamo definire una sorta di ciclo.
E' stata anche operata una scelta tematica, perch� i giornali sono
"confezionati" con un pastiche linguistico, basti pensare alle pagine
sportive, a quelle finanziarie, o alla cosiddetta "terza pagina". Allora
si � preferito fissare l'attenzione sulla politica e sulla cronaca.
La politica � una sezione molto particolare e fa s� che il giornalista
ricopra un ruolo delicato e spesso non obbiettivo. In questo senso �
fondamentale il modo in cui si riporta la notizia: il tono, la forma, le
parole usate, quelle aggiunte e quelle omesse. Inoltre costituisce
davvero un campo di grande sperimentazione linguistica e di
creativit� lessicale: metafore, giochi di parole, neologismi occupano
sempre pi� frequentemente queste pagine.
La cronaca, invece, � interessante, perch� � un settore meno
specifico e, anzi, proprio per la sua vastit�, si presta meglio ad essere
osservata per lo scambio biunivoco fra la lingua standard e la
lingua della stampa.
Il criterio con cui sono stati scelti gli articoli risponde ad esigenze
diverse: mettere in luce ora le differenze, ora le somiglianze fra i due
fogli. Per una questione puramente tecnica si sono presi in esame
nella stesura prima gli articoli del "Corriere" e poi quelli di
"Repubblica", ma sono stati sempre letti contemporaneamente, al fine
di sottolineare i mutamenti reciproci e propri in ciascuna delle
due testate.
Il lavoro si divide in tre parti, oltre ad una premessa di
carattere generale, che serve per inserire questa analisi sulla lingua
dei giornali all'interno di una concezione pi� vasta della teoria della
comunicazione e dei suoi effetti pi� macroscopici.
V
La prima parte riguarda il 1976, data di partenza dell'analisi,
includendolo per� all'interno degli anni '70, anni davvero cruciali per
la stampa. E' strutturata in due capitoli: uno sul linguaggio della
politica, l'altro su quello della cronaca.
La seconda prende in esame il 1986, considerandolo alla luce
degli anni '80: anni della nascita di un mercato multimediale. E' a
sua volta divisa in due capitoli che mettono a confronto le due testate
e sottolineano le reciproche differenze dal punto di vista linguistico.
La terza ed ultima parte si occupa del 1996 e delle grandi innovazioni
che negli anni '90 la stampa e tutto il mondo dell'informazione hanno
subito. Esse hanno determinato, fra gli altri, cambiamenti ulteriori
anche nel modo di utilizzare la lingua e di rapportarsi ad essa e ai
lettori. A questo proposito si hanno altri due capitoli. Ne segue poi
ancora uno (il settimo) sugli errori pi� usuali compiuti dalla stampa,
sempre naturalmente a livello linguistico, senza scendere nei
contenuti, che spesso vengono travisati. E' proprio l'utilizzo
corretto o scorretto della lingua, infatti, a far scrivere notizie pi� o
meno false o pi� o meno vere.
Gli errori presi in esame non sono quelli grammaticali od ortografici,
ma gli abusi di termini, le ricorrenze eccessive di stilemi, le formule
fuori luogo, i pleonasmi, insomma tutto quello che, se usato inten-
zionalmente, pu� davvero arrivare a modificare il reale contenuto
di una notizia. E questo, a nostro avviso, costituisce il tipo di
errore pi� grave in assoluto, dettato non dall'ignoranza, ma dalle
velleit� virtuosistiche di chi scrive, o, peggio ancora, da
opportunismo o da disonest� professionale.
VI
Riguardo alle fonti utilizzate, oltre ovviamente ai giornali, che hanno
costituito la base essenziale della ricerca, sono stati preziosi anche
altri strumenti. Fra questi, alcuni sono serviti per contestualizzare
l'argomento all'interno della storia del giornalismo e all'interno del
mondo dell'informazione nel suo complesso. Altri, invece, sono stati
utili come supporto metodologico all'analisi linguistica della carta
stampata. In modo particolare molti testi di Maurizio Dardano,
soprattutto Il linguaggio dei giornali italiani, che, pur essendo un
testo del 1973, � punto di riferimento indiscusso per tutti coloro
che affrontano tematiche di questo tipo. Anche Gian Luigi
Beccaria, linguista e critico, ci � spesso venuto in aiuto, specialmente
per far emergere come il giornale sia davvero teatro delle scelte
linguistiche pi� disparate e, in alcuni casi, pi� divertenti. Infine, per il
lavoro di analisi delle scorrettezze nell'uso della lingua da parte dei
giornali, ci siamo serviti dei testi di Sergio Lepri e Mauro Magni.
Il metodo utilizzato � basato, sul calco di quello che Dardano ha usato
considerando la stampa del 1970 e prima, sullo studio della lingua
esaminata nei titoli, nella struttura espositiva, nello stile, nella
sintassi, nella morfologia e infine nel lessico.
Si � cercato di mettere in luce le tendenze linguistiche pi� comuni di
ciascun periodo analizzando le pagine politiche e di cronaca delle
due testate.
1
Premessa: il rapporto lingua-media come aspetto di una
relazione pi� ampia e biunivoca fra media e societ�.
Media e societ� sono tra loro in un rapporto di influenza
reciproca: determinate condizioni contribuiscono alle diverse
modalit� di svi- luppo di un medium e, a loro volta, i media
influenzano a livelli diversi e con effetti differenti il sistema
sociale e gli individui.
Moltissime sono le teorie, attinenti al campo della psicologia, della
psicologia sociale, della sociologia della comunicazione e della
cultura, che si occupano di questo rapporto. Esse sono tutte
distinte fra loro, l'unico elemento unificante � che si basano su
concezioni dell' individuo e della collettivit� fornite dalle scienze
sociali.
Propongono per� dei modelli che, se presi singolarmente, non
sono sufficienti ed esaustivi per comprendere le conseguenze che i
mezzi di comunicazione apportano al sistema e viceversa.
Alcune sono finalizzate a mettere in luce gli effetti diretti e a breve
termine, altre, invece, riguardano gli effetti indiretti e a lungo
termine.
Inoltre, ne esistono certe fondate su falsi presupposti e che non
hanno alcuna validit� scientifica. Fra queste c'�, ad esempio,
quella denominata del "proiettile magico", o detta anche dell' "ago
ipodermico", o ancora della "cinghia di trasmissione", secondo la
quale i messaggi mediali vengono ricevuti in modo uniforme da
ogni membro dell' audience e innescano reazioni dirette e im-
mediate.
2
Tale modello si basa sulla teoria dello stimolo-risposta e
non tiene conto della psicologia delle differenze individuali, n� di
possibili variabili intervenienti, che si frappongono tra il messaggio
(lo stimolo) e la reazione (la risposta).
Fu usato soprattutto per studiare l'incidenza e l'importanza del
ruolo dei mass media durante la prima guerra mondiale, quando le
comunicazioni di massa erano un fenomeno socialmente nuovo e
ancora poco conosciuto. In quel periodo venne impiegata la
Propaganda ed, essendo gestita con grande abilit� e capacit� di
coordinamento, essa fu in grado di persuadere su larga scala intere
popolazioni.
Oggi si danno a questi e a fenomeni analoghi delle
interpretazioni pi� elaborate e meno ingenue.
Nel caso specifico, gli effetti che ci interessano maggiormente
sono quelli che hanno una funzione rilevante nella costruzione
sociale del significato. I media danno forma ai significati e questo
ha conseguenze sul comportamento umano: infatti i simboli e le
convenzioni della lingua e dei diversi linguaggi attuano una
percezione, interpretazione e azione diversa nei confronti della
realt�.
In questa sede ci occupiamo della stampa.
Lippmann nel lontano 1922 nel suo libro "Opinione pubblica"
aveva sottolineato come la stampa offra una propria
interpretazione degli eventi secondo un particolare punto di vista.
L'autore sosteneva che le persone agiscono non sulla base di ci�
che ha effettivamente luogo, bens� su quello che pensano sia la
situazione reale secondo
3
le descrizioni fornite loro dalla stampa, cio� significati e
intepretazioni che spesso corrispondono solo in parte a ci� che �
veramente accaduto.
Maxwell e Shaw negli anni '70 hanno messo in luce la funzione
di agenda-setting della stampa: a riguardo ha estrema rilevanza
l'atten- zione attribuita ai temi, che viene assegnata, ad esempio,
in base ad un ordine gerarchico preciso e ad una maggiore
o minore enfasi nel riportare i fatti. Il modello da loro proposto
non � semplicemente descrittivo, ma � potenzialmente significativo
nella relazione dinamica tra stampa, pubblico e politici.
Ma sono De Fleur e Timothy Plax che ci vengono in aiuto in merito
a ci� che ci accingeremo ad esaminare. Essi hanno individuato per
la prima volta le funzioni che i media esercitano sul nostro
linguaggio: presentano nuove parole, ampliano i significati
gi� esistenti, sostituiscono con nuove espressioni altre pi�
vecchie, consolidano le convenzioni e rinforzano alcuni usi
1
.
I media sono una sorta di mercato dove soggetti diversi entrano in
concorrenza per influenzare la nostra comunicazione.
Gli influssi tendono a cambiare e a stabilizzare il modo di
parlare ( pronuncia, grammatica, sintassi ) e il vocabolario.
Cos� come � dialettico il rapporto media-societ�, tale deve
intendersi quello tra lingua, linguaggi e giornali.
I giornali (fissiamo l'attenzione sui quotidiani e in particolare sul
"Corriere della sera" e su "La Repubblica") attingono dalla realt�
e da numerosi fattori per esprimere e dunque confezionare
1
Cfr. MELVIN DE FLEUR - SANDRA BALL ROKEACH, Teoria delle
comunicazioni di massa, Il Mulino, Bologna 1995.
4
le notizie, ma a loro volta influenzano il modo di parlare ,
anche quello della gente comune.
I media sono diventati, piuttosto che strumenti per conoscere la
realt�, lo spazio simbolico in cui la realt�, con le sue
frammen- tazioni e contraddizioni � resa visibile e viene
percepita in quanto tale.
Si crea, cio�, un effetto che Wolff definisce bivalente: ossia nei
media si rispecchiano simbolicamente sia la realt� con il suo ca-
rattere drammatico ed emotivo, sia le sensazioni che la percezione
di questa genera nel pubblico attraverso i media stessi
2
.
In altre parole, tutti i media danno un� immagine del mondo
sociale e la questione si pone anche e soprattutto in termini
etici: � legittima questa rappresentazione?
Questo � un problema vecchio quasi quanto il giornalismo,
anzi diremo che � lo statuto conoscitivo dell'informazione
giornalistica.
Deve esserci quella che Bettetini chiama verit� dell'espressione, ma
soprattutto deve esserci una verit� pragmatica
3
.
Con la prima si intende la verit� linguistica da collegarsi uni-
camente alla semantica di una lingua.
La seconda, invece, � legata ad un mondo extra-linguistico, ossia
� relativa all'intenzionalit� del soggetto enunciatore, che non
solo pu� dire qualcosa di vero o di falso, ma pu� compiere
un atto linguistico vero o falso ( intendendo appunto l'atto
linguistico come qualsiasi altra azione dotata di una sua precisa
2
Cfr. MARK WOLFF, Le discrete influenze, saggio postumo in " Problemi
dell' informazione", a.XXI, n.4, dicembre 1996.
5
intenzione e non solo come processo di cifratura e decifratura di un
messaggio in codice).
La comunicazione ha anche una dimensione perlocutoria, ossia
de- termina con il suo dire degli effetti ben precisi.
Per questo motivo � quanto mai necessario che ogni tipo di
infor- mazione si attenga a delle responsabilit� di tipo morale.
Esiste una sorta di etica della conversazione, che potrebbe essere
considerata, ad esempio, in base alle categorie di Grice, in
particolare a quella della "Qualit�" e a quella del "Modo".
La prima implica massime attinenti alla verit�, o meglio al
credere-vero da parte del parlante, fra le quali: "Tenta di dare un
contributo che sia vero". "Non dire ci� che credi essere falso". "Non
dire ci� per cui non hai prove adeguate". La seconda si riferisce a
come vengono dette le cose, rispettando in modo assoluto la
chiarezza, l'ordine, la brevit� e risponde soprattutto all'
"imperativo": " Sii ordinato nel- l' esposizione
4
". Qualsiasi
testo pu� violare queste categorie, senza mostrarlo e
dunque ingannare il pubblico, pu� invece non essere
adeguato nel rispettarle , ancora pu� esplicitare di non
attenersi a questi canoni.
Facendo alcuni esempi, potremmo dire che non si rispetta, da
parte del giornalista, la massima della Qualit�, quando si dicono
inten-zionalmente delle menzogne, oppure quando si scrivono cose
3
Cfr. GIANFRANCO BETTETINI, L'occhio in vendita, Marsilio, Venezia 1991.
4
Cfr. HERBERT PAUL GRICE, Logic and conversation, The William James
Lectures at Harvard University, 1967, lez.II, in P.COLE e J.L.MORGAN ed.,
Syntax and Semantics- Speech Acts , Accademic Press, New York e London
1975 , pag. 41-58; trad. it., Logica e conversazione, in M.SBISA' ( a cura
di) , Gli atti linguistici, cit., pag. 199-218.
6
di cui non si � affatto sicuri o di cui non si hanno prove certe o
adeguate.
Quest'ultimo tipo di truffa informativa avviene frequentemente, per
il fatto di dover scrivere subito e in fretta, rispondendo all'
ansia concorrenziale di arrivare per primi sul mercato.
Si pu� invece non adeguarsi alla categoria del Modo, quando la
"dispositio" dei contenuti � unicamente legata ad intenti
persua- sivi e non a criteri logici-cronologici.
Paradossalmente � sicuramente pi� accettabile dal punto di
vista etico un discorso falso e disordinato, piuttosto che uno
vero e ordinato, perch� il disordine pu� velare in parte l'istanza
persuasiva, costruire un enunciatario incerto e generare un
comportamento recettivo pi� critico da parte del lettore. Invece
l'ordine, anche a livello di logica, fa seguire "pari, pari" ci� che
il giornalista ha scritto, perci� ci fa quasi totalmente identificare
con la sua interpretazione dei fatti, riducendo di molto il nostro
spazio critico
5
.
Il problema di correttezza del soggetto enunciatore deve tradursi in un
problema di verit�.
Deve esistere un contratto di "veridicit�" che comporta la
creazione non tanto di discorsi veri, quanto di discorsi che producano
un effetto di senso "verit�" e che ricerchino l'adesione del
destinatario.
5
Cfr. G.BETTETINI, op.cit.
7
Dunque � necessario "progettare" il proprio recettore potenziale,
cercare di prevedere il suo comportamento comunicativo e mettere
in conto la sua partecipazione attiva.
Naturalmente questa costruzione del rapporto di comunicazione, alla
luce della considerazione effettiva del soggetto enunciatario, � ancora
pi� difficile quando l'utenza � di massa. In questo caso le istanze di
verit� vengono quasi completamente subordinate a quelle del
successo comunicativo, inoltre viene a mancare una conversazione
empirica e una reale interazione con il pubblico.
A maggior ragione, ancora pi� complicato � costruire il proprio
destinatario quando la comunicazione � scritta. Essa si attiene ov-
viamente a dei criteri specifici e distinti rispetto a quella verbale, ma,
nell'informazione della carta stampata, i canoni non rispondono ad
esigenze letterarie, anzi, si basano su una sorta di pseudo-dialogo
senza feed-back con i lettori.
Allora il problema si pone in questi termini: "chi � il lettore-tipo?
", "Come bisogna rivolgersi a questo pubblico medio? ".
Dal momento che non si conosce effettivamente il ricevente del
messaggio, � ancora pi� urgente adottare principi di correttezza (ad
esempio le citate categorie di Grice), che, se sono applicabili per un
atto linguistico fatto in presenza di entrambi i soggetti comunicativi,
lo sono ancora di pi� per una forma di comunicazione indiretta e
senza possibilit� di un "ritorno", almeno non immediato.
L'influenza che i media, nel nostro caso i quotidiani, possono
avere attraverso l'uso della lingua nei confronti della societ� e
viceversa � un fenomeno davvero rilevante e che sta crescendo
progres-sivamente.
8
Questo si � maggiormente manifestato ultimamente, in quanto
la diffusione dei giornali e il numero dei lettori ( sebbene
sia sempre esiguo ) sono in aumento.
I quotidiani italiani hanno svolto per molto tempo (e in
parte svolgono tuttora) una funzione educativa, formativa e non
meramen- te informativa
6
.
La lingua dei giornali � " una lingua vicaria che diventa
sup- porto o veicolo per altre lingue, o meglio una lingua
codice che diventa veicolo di pi� sottocodici (...) � un
linguaggio che non parla, ma fa parlare, che d� la parola pi� che
essere parola
7
".
Infatti � arduo parlare di un linguaggio giornalistico in
generale: non solo i fogli si differenziano gli uni dagli altri,
ma al- l'interno di una stessa testata diverse sono le varie
sezioni.
Il trattamento della lingua italiana e soprattutto il modo di
usarne e di abusarne cambia notevolmente.
A livello cronologico si possono distinguere quattro periodi:
il primo dopoguerra , l'epoca fascista , il secondo dopoguerra e
il rinnovamento dopo il 1960 e soprattutto dopo il 1970.
In particolare � negli ultimi vent'anni che si possono
registrare le maggiori innovazioni 8 .
6
Cfr. CARLO SORRENTINO, I percorsi della notizia, Baskerville, Bologna
1995.
7
Cfr. ARTEMISIO MAGISTRALI, Il lettore e il suo doppio, Pubblicazioni
ISU-Cattolica, Milano 1989, cit. pag. 25.
8
Cfr. PIER VINCENZO MENGALDO, Il Novecento, in Storia della lingua
italiana, Il Mulino, Bologna 1994.