7
INTRODUZIONE
L’obiettivo di questa tesi è indagare il rapporto intrinseco che il benessere
ha con la pubblicità. Infatti si può desumere che, di per sé, la tecnica
pubblicitaria utilizzi le strategie a sua disposizione per costruire un discorso
che susciti il maggior benessere possibile nel consumatore.
L’interesse per l’integrazione tra questi due temi, la pubblicità e il
benessere, è nato dalla iniziale curiosità di comprendere come agisce la
pubblicità: le sue strategie e i suoi effetti sulle persone. Uno degli effetti
più rilevanti è la costruzione discorsiva del benessere delle persone cui si
rivolge.
La pubblicità è un elemento onnipresente nella società contemporanea:
l’economia mondiale non sarebbe tale senza di essa. La pubblicità è tema di
discussione negli ambiti più disparati: dalla psicologia alla pedagogia,
dall’economia alle scienze della comunicazione, dalla letteratura all’arte,
ecc. Essa influenza le abitudini e le scelte dell’uomo, li rende consumatori
promettendo loro la felicità.
Durante le ricerche bibliografiche è emersa la ricchezza di letteratura
esistente riguardo sia la pubblicità che il benessere. Al contrario, è stato
interessante scoprire la scarsità di produzione scientifica che si è occupata
di studiare come questi due grandi temi si rapportano e si influenzano
reciprocamente. Ciò ha contribuito ad incrementare il desiderio di
conoscenza e la libertà di azione a riguardo, anche se la mancanza di basi
da cui partire ha reso il lavoro più complesso.
Per questo motivo, nei due capitoli della prima parte, saranno esposti i due
temi separatamente, analizzandone le principali teorie ed evidenziando gli
argomenti salienti per la ricerca, mentre nella seconda si tenterà una loro
integrazione e si studieranno i risultati della loro reciproca implicazione.
8
Il primo capitolo si occuperà del concetto di benessere comparando le
definizioni di senso comune con quella degli antichi filosofi e dei maggiori
teorici di questo campo. Se ne analizzeranno le componenti e le principali
teorie soffermandosi, in particolare, sulla definizione di benessere
soggettivo.
Il secondo capitolo, invece, tratterà, nello specifico, del grande tema della
pubblicità. Si occuperà dell’interesse della psicologia per la pubblicità, e
illustrerà le principali strategie utilizzate dalla pratica pubblicitaria,
soffermandosi in maniera particolare su quelle maggiormente usate per la
costruzione discorsiva del benessere e che verranno riprese nell’ultimo
capitolo.
9
CAPITOLO 1
IL CONCETTO DI BENESSERE
1. Cosa si intende per benessere?
Spiegare cosa si intende per benessere è un compito arduo, in quanto tale
concetto complesso consta di varie sfaccettature.
Se guardiamo al significato del termine benessere, troviamo delle
definizioni già nell’antichità: ad esempio, il beato domenicano Giordano da
Pisa, vissuto nella seconda metà del 1200 (Silli, 2007), lo descriveva come
uno “stato di prosperità, felicità, floridità; buona salute” (TLIO, 2007),
associandolo, quindi, al concetto di felicità.
Secondo il dizionario italiano attuale (Garzanti, 2003), invece, il
benessere, “composto di bene ed essere”, è uno “stato prospero di salute,
vigore fisico” e “florida condizione economica, agiatezza”, anche se tale
definizione appare subito povera in quanto il benessere, se riferito
all’uomo, non può limitarsi alla sfera fisica e materiale, ma coinvolge
anche quella psichica e sociale.
Per questo motivo occorre andare oltre la semplice definizione dizionariale
del benessere per dedicarsi alla definizione più ampia e completa del
concetto, che fin dall’antichità era associato a quello di felicità.
Ad esempio, Aristotele lo identificava nel Bene supremo e ciò è importante
in quanto sottolinea l’importanza che riveste il benessere per l’uomo. Esso
è l’obiettivo massimo, ultimo, a cui l’umanità aspira e su cui ruota ogni
azione umana. Secondo il filosofo, “il Bene supremo è, manifestamente, un
che di perfetto […] in senso assoluto, ciò che è scelto sempre per sé e mai
per altro. Di tale natura è, come comunemente si ammette, la felicità”
(Aristotele, 1998: 63); inoltre “(la felicità) nasce dalla virtù e da un certo
tipo di apprendimento o di esercizio […] (e) il premio ed il fine della virtù
10
è […] una realtà divina e beata.” (ivi: 73). Quindi la felicità o il benessere
appare essere ciò a cui tende l’agire umano,
“ma su che cosa sia la felicità sono in disaccordo […]. Infatti, alcuni
pensano che sia qualcosa di visibile e appariscente, come piacere o
ricchezza o onore, altri altra cosa; anzi spesso è il medesimo uomo che
l’intende diversamente: quando è ammalato, infatti, l’intende come salute;
come ricchezza quando si trova povero” (ivi: 55).
Notiamo da questi pochi estratti che il concetto di benessere è
multidimensionale in quanto coinvolge varie sfere della vita dell’uomo;
infatti è utilizzato come sinonimo, oltre che di felicità, anche di salute e di
qualità della vita, pertanto è possibile riconoscervi varie componenti:
1. oggettive, “che riguardano lo stato di salute, la qualità dell’ambiente di
vita, la sicurezza, il lavoro e la condizione socio-economica”;
2. soggettive, “che riguardano la percezione del proprio benessere, la
soddisfazione personale, l’autoefficacia, il senso di fiducia, il senso di
appartenenza”; esse evidenziano il benessere soggettivo;
3. “aspetti della persona”, che comprendono l’autonomia, la padronanza
ambientale, la crescita personale, le relazioni positive con gli altri, lo scopo
nella vita e l’accettazione di sé (Istituzione Minguzzi, 2003, Dimensioni
secondo Ryff). Tali aspetti rappresentano il benessere psicologico;
4. “e aspetti della relazione con gli altri e con la comunità di
appartenenza”, o benessere sociale, che comprende l’integrazione sociale,
la realizzazione sociale, la coerenza sociale e l’accettazione sociale
(Istituzione Minguzzi, 2003, Dimensioni secondo Keyes).
Per comprendere meglio tale complessità, potremmo adattare al concetto
generale di benessere una metafora che Bradburn (1969: 223-224) ha usato
per descrivere il benessere psicologico, o salute, o felicità: il benessere è
come una
11
“forest distinguished by a wide variety of trees – some exotic, others
commonplace – that are all intertwined in a fashion to discourage the
scientific woodsman from even beginning a search for order”
1
.
Il valore di questa analogia consiste nel richiamare l’attenzione
sull’opportunità di osservare sì le singole componenti (alberi), ma senza
perdere di vista il tutto, il concetto principale (foresta).
2. Teorie sul benessere
I tentativi di comprendere il benessere si sono susseguiti sin dall’antica
Grecia, col conseguente fiorire di numerose teorie tese a spiegarlo. Queste
teorie possono essere raggruppate in due grandi prospettive:
1. la prospettiva edonica “identifica il benessere con il piacere o la
felicità” (Ryan, Deci; 2001: 1), è il subjective well-being, il benessere
soggettivo (Diener, 1984), una “felicità soggettiva che include i piaceri del
corpo e della mente” (Ryan, Deci; 2001: 1). Riguarda la valutazione
generale che le persone hanno della propria vita ed è considerato secondo
tre fattori: la presenza di umore positivo, l’ assenza di umore negativo e la
soddisfazione nella vita.
Le teorie appartenenti a questa prospettiva sono:
1.1 la teoria top-down, per cui ogni persona ha una propensione naturale
a ricercare esperienze positive e questa influenza il suo rapporto con ciò
che lo circonda: “a person enjoys pleasures because he or she is happy,
not vice versa”
2
. Quindi, ciò che guida una persona sono i fattori globali
di personalità e, se questi sono positivi, la conducono a fare esperienze
positive (Diener, 1984: 565);
1
“foresta caratterizzata da una grande varietà di alberi, alcuni esotici, altri comuni, che
sono tutti intrecciati in modo da scoraggiare il guardaboschi con interesse per la scienza
anche dal cominciare una ricerca al fine di dargli un ordine”.
2
Tr. it.:“una persona prova piacere perché è felice e non viceversa”.
12
1.2 la teoria bottom-up. Al contrario della precedente, questa teoria
afferma che “happiness is simply the sum of many small pleasures”
3
, cioè
che una persona valuta il grado di felicità della sua vita attraverso un
semplice calcolo matematico sulla quantità di momenti felici o infelici che
ha vissuto (ibidem);
1.3 la teoria associazionistica. Secondo questa teoria, alcune persone
hanno un temperamento che li predispone a fare esperienze felici. A
questo proposito si sono sviluppate due linee di pensiero:
a. quella che “has to do with associative networks in memory”
4
(Diener,
1984: 566), per cui una persona richiama alla memoria ciò che è
congruente con il suo stato emozionale del momento. Se le associazioni
positive saranno in numero maggiore di quelle negative, la persona sarà
predisposta a reagire agli eventi in un modo positivo;
b. quella basata sul “conditioned elicitation of affect”
5
(ibidem), per cui
una persona che ha avuto molte esperienze positive, si considererà felice,
in quanto l’affetto positivo ha subìto una sorta di condizionamento.
Entrambi questi modi di porsi della persona possono verificarsi a livello
inconscio;
1.4 la teoria del confronto sociale (Diener, 1984: 566) afferma che una
persona giudica la sua vita felice attraverso il paragone tra la sua
condizione e alcuni standard. Questi standard possono essere: un’altra
persona, la propria vita passata, le persone del passato, i giudizi degli altri,
il concetto di sé, i propri valori e bisogni;
1.5 la teoria dell’adattamento (Diener, Suh, Oishi; 1997). Per questi
autori il passare del tempo diminuisce gli effetti delle circostanze, per cui
“people initially react strongly to new life events or circumstances, but
3
Tr. it.: “la felicità è semplicemente la somma di tanti piccoli piaceri”.
4
Tr. it.: “ha a che fare con le reti associative di memoria”.
5
Tr. it.: “elicitazione condizionata dell’affetto”.
13
over time habituate and return to baseline”
6
(ibidem). Quindi il benessere
e la sua percezione cambiano col tempo e ciò “not necessarily derive from
actual changes in health or symptoms
7
(…) (ma da un) psychological
adaptation”
8
(Muldoon, Barger, Flory, Manuck; 1998: 4);
2. la prospettiva eudemonica considera il benessere non come “semplice
felicità, (…) (ma) come la realizzazione del proprio demone, o vera natura
(…). La vera felicità è espressione di virtù” (Ryan, Deci; 2001: 1-2) e può
essere raggiunta con attività che portano l’uomo alla maturazione personale
e delle proprie attitudini, o “personal expressiveness” (ibidem). È la
tendenza alla perfezione di cui parlava Aristotele (1998) e il benessere
psicologico a cui si riferiva Ryff.
Le teorie appartenenti a questa prospettiva sono:
2.1 la “telic theory” o teoria del punto finale (Diener, 1984: 562).
Secondo questa teoria, la felicità deriva dal raggiungimento dei propri
scopi e bisogni e dipende dai valori e desideri di ogni persona, dalle
strategie che mette in atto per realizzarli e dalle caratteristiche della
situazione (Diener, Suh, Oishi; 1997). Quindi il benessere è raggiungibile
esternando la propria personalità e attraverso “harmonious integration of
one’s goals and fulfillment of these goals”
9
(Diener, 1984: 563).
Ci sono, però, alcuni fattori che possono interferire col benessere (Diener,
1984: 563):
a. gli obiettivi raggiunti procurano felicità a breve termine, ma con
conseguenze negative a lungo termine;
b. i desideri risultano in conflitto tra loro e ciò non permette la loro
soddisfazione;
6
Tr. it.: “una persona inizialmente reagirà fortemente ai nuovi eventi della vita o a
nuove circostanze, ma nel tempo si abituerà e tornerà ad un livello base di attivazione”.
7
Tr. it.: “non necessariamente deriva da cambiamenti nella salute o nei sintomi di una
malattia”.
8
Tr. it.: “adattamento psicologico”.
9
Tr. it.: “l’armoniosa integrazione degli obiettivi e il loro perseguimento”.
14
c. le persone potrebbero non avere né obiettivi né desideri;
d. gli obiettivi sono difficili da raggiungere per la mancanza dei mezzi
necessari (denaro, abilità, etc.);
2.2 la teoria dell’attività, secondo la quale la “happiness is a by-product
of human activity”
10
(Diener, 1984: 564), un’attività che secondo
Aristotele (1998) doveva essere svolta in maniera eccellente.
Alcuni autori (Diener, 1984; Estes, Ph., Henderson, 2003), citando la
theory of flow di Csikszentmihalyi, affermano che le attività piacevoli
sono quelle commisurate al livello di abilità della persona, non troppo
facili, né troppo difficili; inoltre devono ispirare un senso di sfida, di
novità e di realizzazione; permettere di creare cose nuove, di fare
scoperte; avere obiettivi chiari e risposte immediate.
Hills e Argyle (1998) hanno dimostrato che a tipi diversi di attività
piacevoli corrispondono diversi tipi di benessere (es. relax o eccitazione) e
che la scelta del tipo di attività da svolgere è data dalle differenze di
personalità di ogni individuo, che “could also affect the degree of
happiness which is experienced”
11
(Hills e Argyle, 1998: 525) fino a quel
momento.
Per questo approccio, quindi, “happiness arises from behavior rather than
from achieving endpoints. However, the two ideas are not necessarily
incompatible”
12
(Diener, 1984: 564).
3. Il benessere soggettivo
Il benessere è stato concettualizzato e definito in molti modi, uno dei
quali lo definisce una valutazione soggettiva della felicità, della qualità
10
Tr. it.: “la felicità è un sottoprodotto dell’attività umana”.
11
Tr. it.: “potrebbero anche dipendere dal grado di felicità che si è provato”.
12
Tr. it.: “la felicità è raggiungibile attraverso il comportamento piuttosto che dal
raggiungimento di obiettivi. Tuttavia le due idee non sono necessariamente
incompatibili”.