2
Dinanzi alla notevole quantità di componimenti, per quanto la maggior parte fosse
meritevole di menzione, mi sono vista costretta a compiere una selezione preliminare, scelta
rivelatasi alquanto difficoltosa. Sottoscrivo infatti pienamente il parere di un critico esperto ed
oculato come Silvio Ramat, quando, in occasione di un’inchiesta, dichiara:
Il futuro della poesia lo vedo simile al suo passato, con la differenza che con il diffondersi
dell’alfabetizzazione è difficile che si vedano versi sgrammaticati, con errori di interpunzione o
di sintassi. Questo ha fatto sì che sia possibile a molti, se non moltissimi, scrivere delle cose
leggibili, rendendo così difficile graduare nella nostra valutazione il meglio e il peggio, […]. Un
tempo la poesia era un tentativo in cui si cimentavano meno autori e quindi era più facile fare le
dovute scremature e decidere che erano i più validi. […] oggi ho la sensazione che i valori che
si attribuiscono siano abbastanza ribaltabili
1
.
I criteri per la cernita si sono innanzi tutto basati sull’intenzione di fornire, a livello
tematico, una vasta gamma di tipologie di padre: apportando esempi concreti, ho cercato di
mostrare come anche una singola categoria, espressa da ogni capitolo, presenti numerose
sfumature al suo interno, riscontrabili nei paragrafi. Inoltre la peculiare esperienza biografica di
ciascun poeta, ma soprattutto l’estrema soggettività con cui si vivono i sentimenti, hanno
generato ulteriori suddivisioni (basti pensare al differente modo di manifestare l’affetto,
argomento su cui s’incentra il primo capitolo, o di suscitare ansia nel ragazzo, come spiegato
nel quarto capitolo). Ho perseguito dunque lo scopo primario di osservare il genitore adottando,
di volta in volta, differenti prospettive: benché abbia privilegiato l’ambito familiare,
esaminando specialmente il rapporto col figlio, non ho tuttavia trascurato la sfera lavorativo-
sociale (si veda il cap.VI); se in svariate poesie si ritrae la quotidianità, in alcune si analizza il
comportamento paterno inserito in contesti critici determinati da traumatizzanti eventi storici
(primo fra tutti, il secondo conflitto mondiale). Una terza distinzione ruota intorno alle diverse
stagioni della vita del genitore, dal padre giovane legato ai ricordi d’infanzia (capp. I-II-III) a
quello più anziano, descritto in tutta la sua caducità di essere umano (cap. VII); anche l’istante
della definitiva scomparsa e delle sue conseguenze ricorre con notevole frequenza (cap. IX),
similmente ai vari modi utilizzati dall’ombra del defunto per mantenere un legame con chi resta
(richiami verbali, oggetti, epifanie nel capitolo conclusivo). A proposito dell’opinione generale
da parte degli autori su questa figura, emerge un profondo sbilanciamento verso una positiva
valutazione, che la promuove a pieni voti; in rari casi si polemizza col padre con uno scontro
1
S. RAMAT, Bisogna rifiutare di essere artisti sulla banalità della cronaca, nell’inchiesta La situazione
della poesia – Tra internet, slam poetry e tradizione, ecco la poesia del terzo millennio, luglio 2005, pagina web
www.ilfiloonline.it.
3
radicale, specie a causa della sua assenza (cap. V), mentre altri tentano di equilibrare i difetti
riportandone anche i pregi o, addirittura, si trovano a rivalutarlo (cap. VIII). La sproporzione
rispecchia effettivamente le percentuali raggiunte da queste tre tipologie di giudizio nel
complesso dei testi rinvenuti: forse chi ha sperimentato una relazione caratterizzata da continue
tensioni e contrasti è spontaneamente indotto a non scriverne, perché non ne avverte l’esigenza,
si vergogna o preferisce evitare di acuire la sofferenza scaturitane.
Se per un’analisi tematica più profonda si rimanda all’indice ed ai singoli capitoli,
nonché alla conclusione che confronta e raggruppa i testi per determinate somiglianze, un altro
obiettivo è stato quello di considerare un percorso che non presentasse eccessivi salti temporali,
ma che, al contrario, cercasse di toccare tutte le fasi e gli sviluppi della nostra poesia nell’arco
del secolo appena trascorso, con un’attenzione particolare agli aspetti stilistici lungo le
coordinate sincroniche e diacroniche. A livello pratico, pur prediligendo un taglio
contenutistico, ho assunto il criterio cronologico per disporre i sottoparagrafi, ordinandoli per
data di nascita dello scrittore, non per anno di composizione.
Per quanto concerne gli autori più recenti, ho avuto il privilegio e la gioia di
interpellarne direttamente la maggior parte, ricevendo ben venticinque riscontri: via telefono, e-
mail o lettera, oltre ad un paio di incontri di persona, ho reperito testimonianze preziose proprio
perché scevre da filtri o da intermediari; le risposte ai miei quesiti mi hanno grandemente
aiutato nell’esegesi delle poesie e nella loro contestualizzazione.
Parallelamente all’entusiasmo dovuto ad una viva presa di contatto con persone dalla
squisita gentilezza, mi resta il rimpianto per non essere riuscita ad includerli tutti entro i
capitoli, relegandone un gruppo ad un puro riferimento onomastico all’interno della
conclusione: mi auguro che l’interessante materiale raccolto e qui non sviluppato funga da
stimolo per proseguire in futuro quest’appassionante indagine lungo un cammino tuttora in
fieri, come dimostra l’imminente uscita di due plaquettes sul padre annunziatami durante il
colloquio con due poeti (F. Buffoni, F. Maroni).
4
Desidero ringraziare di cuore tutte le persone che mi hanno seguito, sostenuto ed incoraggiato
nel corso di questo lavoro: il carissimo Professor Elli, la mia famiglia, il mio fidanzato.
Un sentito ‘grazie’ collettivo ai numerosissimi poeti, che hanno dimostrato la loro profonda
cortesia e sensibilità, mettendosi a completa disposizione di una sconosciuta laureanda e riservandole
parte del loro tempo prezioso: in particolare Annalisa Cima (che mi ha invitato a farle visita a Lugano
e che mi ha donato la copia di un manoscritto inedito), Maria Luisa Spaziani, Alessandro Quasimodo
(figlio del celeberrimo Salvatore, incontrato personalmente a Milano), Maurizio Cucchi, Giuseppe
Bonaviri, Umberto Piersanti, Silvio Ramat, Giuseppe Conte, Arnaldo Ederle, Luigi Fontanella, Elio
Andriuoli, Anna Liverani Barberini, Gian Ruggero Manzoni, Vico Faggi, Gabriella Sica, Giovanna
Vizzari, Giuseppe Rosato, Vito Moretti, Carla Baroncelli, Anna De Lutiis, Franca Maroni, Danilo
Naglia, Elio Pecora, Michele Stellato e Maria Grazia Tacchi.
Infine, un ringraziamento particolare va alla squisita disponibilità di Maria Giovanna Maioli
Loperfido, curatrice di due antologie poetiche sul padre, rivelatesi fondamentali per la mia ricerca.
5
Cap. I L’AFFETTO
Annalisa Cima da bambina insieme al padre Titta ed al fratello, 1944.
6
1. L’affetto e la sollecitudine
a. L’uomo dal cuore fanciullo
Scorrendo le pagine di Pianissimo
1
, la raccolta poetica fondamentale nella produzione di
Camillo Sbarbaro (Santa Margherita Ligure, 1888 – Savona, 1967), la figura del padre emerge con
una certa frequenza: nel corso dell’opera che lo ha accompagnato per l’intera esistenza («è l’unico
libro che ho fatto e al quale, senza propormelo, ho lavorato mentalmente sino alla fine»
2
), non solo
ci s’imbatte nel vocabolo «padre» in ben otto poesie
3
(I, 4; I, 7; I, 11; I, 12; I, 14; I, 17; I, 18; II, 5),
ma persino la dedica, di pascoliana memoria, suona «A mio padre morto» (la scomparsa avviene
due anni innanzi, nel novembre 1912).
Attraverso la «sconsolata confessione fatta a fior di labbro a se stesso», l’autore rivela una
profonda negatività esistenziale, rappresentata da solitudine, mutismo, sonnambulismo, estraneità
dell’automa e giunge ad invocare il sonno come temporanea pausa consolatoria (I, 6); ma, in I, 7
4
,
relega in secondo piano la figura dell’io lirico-riflessivo normalmente protagonista ed introduce
l’unico mondo ancora ‘genuino’ degli affetti familiari, tuffandosi nella memoria dell’infanzia, in un
passato tutto teso a celebrare la figura paterna.
Padre, se anche tu non fossi il mio
padre, se anche fossi un uomo estraneo,
per te stesso egualmente t’amerei.
Ché mi ricordo d’un mattin d’inverno
che la prima viola sull’opposto
muro scopristi dalla tua finestra
e ce ne desti la novella allegro.
Poi la scala di legno tolta in spalla
di casa uscisti e l’appoggiasti al muro.
Noi piccoli stavamo alla finestra.
E di quell’altra volta mi ricordo
che la sorella mia piccola ancora
per la casa inseguivi minacciando
1
C. SBARBARO, Pianissimo, a cura di L. Polato, Venezia, Marsilio, 2001. Il volume fu pubblicato per la
prima volta a Firenze, Edizioni della «Voce», 1914.
2
E. ELLI, “Pianissimo” e altro di Sbarbaro, ne Il canto strozzato – Poesia italiana del Novecento, a cura di
G. Langella ed E. Elli, Novara, Interlinea, 1997, p. 209: il saggio riporta le parole di Camillo Sbarbaro in una lettera del
1967 a Vanni Scheiwiller, in accompagnamento ad alcune varianti di Pianissimo.
3
Si parlerà della poesia I,17 e di altri versi nel cap. VII, par. 1.
4
La lirica comparve per la prima volta insieme a I, 17, sotto l’unico titolo A mio padre, nel settembre 1912
sulla «Riviera Ligure».
7
(la caparbia aveva fatto non so che).
Ma raggiuntala che strillava forte
dalla paura ti mancava il cuore:
ché avevi visto te inseguir la tua
piccola figlia, e tutta spaventata
tu vacillante l’attiravi al petto,
e con carezze dentro le tue braccia
l’avviluppavi come per difenderla
da quel cattivo ch’era il tu di prima.
Padre, se anche tu non fossi il mio
padre, se anche fossi un uomo estraneo,
fra tutti quanti gli uomini già tanto
pel tuo cuore fanciullo t’amerei.
Carlo Sbarbaro, ingegnere ed architetto, nonché militare a riposo dal 1893, resta
precocemente vedovo proprio in quell’anno, quando la moglie Angiolina, ammalatasi di
tubercolosi, abbandona per sempre il marito e i due figlioletti, Camillo (di cinque anni) e Clelia.
La lirica riportata diviene un atto d’amore da parte del figlio poeta nei riguardi di questo
affettuoso genitore che, grazie anche all’aiuto della giovane cognata Benedetta, cercò di allevare la
sua prole nel migliore dei modi, nonostante il grave lutto occorso.
Tuttavia, già il primo verso denota un aspetto originale, a confronto con molta letteratura
concernente i genitori: solitamente, questi non sembrano avere uno spazio indipendente,
un’autonomia e risultano descrivibili soltanto nel loro ruolo, inscindibilmente legato ai figli. Al
contrario, Sbarbaro sa guardare il padre «non come tale, ma come uomo»
5
: anche se fosse un
ipotetico «estraneo» susciterebbe comunque sentimenti di stima e di benevolenza, in virtù della sua
purezza d’animo, dolcezza e sensibilità. In un episodio ricordato dall’amica Gina Lagorio, a
proposito di questa poesia, l’autore così si esprime: «Volevo solo dire che mio padre era da amare
così com’era, per come era fatto dentro, a parte la circostanza di essere mio padre»
6
.
Gli endecasillabi sciolti, raggruppati in tre strofe di varia misura (rispettivamente di 10, 12, 4
versi), conferiscono una ben delineata partizione a livello contenutistico. La dichiarazione iniziale
dei sentimenti nei confronti del padre trova una sua specularità in chiusura del testo, circoscrivendo
così, nella seconda parte della prima strofa ed in tutti i versi di quella successiva, il fulcro emotivo
5
C. SBARBARO, L’opera in versi e in prosa, a cura di G. Lagorio e V. Scheiwiller, Milano, Scheiwiller-
Garzanti, 1985, p. 516.
6
M. BARILE, Camillo Sbarbaro: la semplice confessione di un modo spoglio di esistere, pagina web
www.club.it/autori.
8
e sentimentale: la tenera rievocazione dei due episodi infantili, dimostrazione concreta e, al
contempo, causa di quanto affermato sin dall’incipit.
Il vocativo iniziale manifesta la volontà d’instaurare un colloquio diretto col caro genitore,
denotando un notevole livello di confidenza, non scontato in una persona dal carattere notoriamente
schivo; anche la forte disseminazione della consonante t lungo l’intero componimento si presenta
come espansione sintomatica del pronome «tu».
Definito il piano comunicativo, l’immediato e diretto riconoscimento dell’umanità
dell’individuo Carlo lascia spazio ai ricordi che lo vedono principale protagonista. La scoperta della
prima viola sul muretto di fronte a casa in un mattino invernale non solo dimostra l’attenzione del
padre verso la natura e la capacità di apprezzarne i suoi doni, semplici e preziosi; ma il trasmetterne
la lieta notizia ai figli e l’accingersi a cogliere il fiore implicano anche il desiderio di condividere la
gioia privata con l’amata famiglia. L’adulto, ‘gigante’ con la scala in spalla si mostra sollecito
davanti a «noi piccoli», coloro che dipendono ancora totalmente da lui, gli unici destinatari e
testimoni del suo gaio stupore.
L’attributo «piccola» connota pure la sorella nella strofa successiva, dedicata alla
descrizione del lieve dramma infantile, poi risoltosi in un commosso gesto d’affetto: l’inseguimento
minaccioso di Clelia a causa di una marachella e l’impulso teso alla punizione cedono il passo ad un
improvviso intenerimento (l’adulto diviene «vacillante»), che sfocia in un forte abbraccio
(«avviluppare» rende l’idea di avvolgere strettamente), corredato di «carezze». Proprio tale presa di
coscienza del padre, che si osserva nel suo ruolo di severo educatore («avevi visto te inseguir la tua
/ piccola figlia») e che sa correggere il suo istintivo comportamento (la volontà di difendere la
bimba «da quel cattivo che era il tu di prima»), conferma la peculiare prospettiva adottata dal poeta,
oltrepassando il semplice ed univoco punto di vista filiale. Il dispensatore della paura, debitamente
sdoppiato, si trasforma nel misericordioso, che dà consolazione e che perdona. E’ possibile
riscontrare una scena analoga in Storia con bambina dell’austriaco Peter Handke. L’uomo che ha
schiaffeggiato la piccola figlia ha «orrore» di sé:
Prese in braccio la bambina che piangeva (a lui mancavano amaramente le lacrime) e la portò per la
casa attraverso le stanze [...] Per la prima volta l’adulto vide se stesso come un uomo cattivo
7
.
La strofa conclusiva, oltre a ribadire quanto affermato in apertura, specifica e condensa il
motivo di questa sincera dichiarazione d’affetto: «pel tuo cuore fanciullo t’amerei», per l’animo
semplice, buono e generoso di questo modello genitoriale.
7
P. HANDKE, Storia con bambina, Milano, Garzanti, 1989, pp. 36-37.
9
Stilisticamente, si presenta un andamento nel complesso discorsivo e colloquiale, come
dimostrato dalla frequenza di nessi ipotattici (particolarmente il causale «ché», l’ipotetico «se») e
dalla presenza d’incisi, soprattutto durante la narrazione dei due episodi centrali (vv. 8, 14, 15).
Tuttavia, per bilanciare una sintassi troppo argomentativa, il ritmo è variato dall’inserzione di
scarsi ma significativi enjambements (specie fra l’aggettivo possessivo ed il sostantivo «padre») e di
costrutti prolettici (del complemento oggetto rispetto al verbo, v. 12; dell’attributo rispetto al
sostantivo, v. 18): tali procedimenti contribuiscono ad innalzare un tono volutamente prosastico,
nonché a conferire maggiore pregnanza semantica a certe espressioni.
Il lessico utilizzato risulta semplice e concreto (è tipica del poeta una certa tendenza al
monolinguismo, agli antipodi rispetto al coevo espressionismo vociano), eppure non esente da
forme più ricercate («ché», «novella») o apocopate («mattin», «inseguir»). La ripetizione di certi
vocaboli («piccola», «t’amerei») e d’intere proposizioni (i vv. 1-2 sono identici ai vv. 23-24; il v. 3
richiama l’explicit; il v. 4 viene ripreso in disposizione chiastica al v.11) concorre a formare la
peculiare ciclicità sbarbariana.
Le poche modifiche apportate nella seconda redazione di Pianissimo
8
celano un generale
proposito di elevazione del registro retorico-stilistico, complice l’assiduo esercizio formale di
Sbarbaro traduttore, che ricerca il termine più preciso ed acconcio: così «Noi piccoli stavamo alla
finestra» del v. 10 si trasforma in «Noi piccoli dai vetri si guardava»; il v. 17 «avevi visto te
inseguir la tua / piccola figlia» diventa «t’eri visto rincorrere la tua / piccola figlia». Le varianti
sinonimiche spesso annullano le iterazioni lessicali: ad esempio, al v. 4, «mi ricordo» è soppiantato
da «mi sovviene», mentre la «piccola» del v. 12 si muta in «bambinetta». Infine, la chiusura subisce
una semplificazione, e attraverso un’allusiva dissolvenza, aperta a sospensioni e sottintesi, si dona
definitivo risalto al destinatario-protagonista: «Padre, se anche tu non fossi il mio / padre...».
8
C. SBARBARO, Pianissimo, Venezia, Neri Pozza, 1954.