Introduzione
1) Fattori di rischio non modificabili: età, sesso, ereditarietà e fattori familiari,
razza/etnia, localizzazione geografica.
2) Fattori di rischio modificabili ben documentati: cardiopatie (fibrillazione atriale,
endocardite infettiva, stenosi mitralica e infarto miocardico esteso e recente), fumo di
sigaretta, attacchi ischemici transitori (TIA), stenosi carotidea asintomatica, diabete
mellito, iperomocisteinemia, ipertrofia ventricolare sinistra.
3) Fattori di rischio modificabili non completamente documentati: livelli ematici elevati
di colesterolo e di lipidi, cardiopatie (cardiomiopatia, calcificazione dell’anello
mitralico, prolasso valvolare mitralico, ecocardiocontrasto spontaneo, anomalie della
motilità parietale, stenosi aortica, forame ovale pervio e aneurisma del setto interatriale),
uso di contraccettivi orali, consumo di alcol, uso di droghe, inattività fisica, obesità,
emicrania, ematocrito elevato, iperinsulinemia e resistenza all’insulina, fattori scatenanti
acuti (stress), fattori dell’emostasi e infiammazione (formazione della fibrina e
fibrinolisi, fibrinogeno, anticorpi anticardiolipina), patologie subcliniche (ispessimento
medio-intimale della carotide), fattori socio-economici, clima.
L’ipertensione arteriosa è indubbiamente uno dei più importanti fattori di rischio per
l’ictus. Basti pensare che la prevalenza di ipertensione nella popolazione italiana tra i 65
e gli 84 anni d’età è superiore al 60%. Tra le varie forme di ipertensione, quella che
sembra esporre maggiormente al rischio di ictus è l’ipertensione sistolica isolata.
Per quanto riguarda le cardiopatie, l’incidenza di ictus aumenterebbe dell’1-2% all’anno
dopo un infarto miocardico. Dati epidemiologici, invece, indicano la fibrillazione atriale
come responsabile dell’85% dei casi di ictus dovuti ad aritmie cardiache. In particolare,
il rischio di ictus legato a fibrillazione atriale non sarebbe sempre uguale, ma
aumenterebbe in presenza di altre patologie, tra cui: la stenosi mitralica (40%),
l’ipertensione arteriosa (11-22%), la cardiopatia ischemica acuta (11-18%) e cronica
(<2%) e la cardiomiopatia dilatativa (25%).
Riguardo al rischio di ictus legato al fumo di sigaretta, l’incidenza sembra variare a
seconda dell’età, con una minor prevalenza nelle persone anziane. Il rischio tende a
ridursi se si smette di fumare.
Per il rischio associato a diabete mellito, numerosi studi hanno evidenziato chiaramente
un aumento dell’incidenza di ictus nella popolazione colpita da questa malattia. Più
precisamente, il rischio di ictus nel paziente diabetico risulterebbe 4 volte più alto
rispetto a quello dei soggetti sani. Ciò, secondo gli esperti, potrebbe dipendere, oltre che
3
Introduzione
dalle malattie spesso associate al diabete come l’ipertensione arteriosa, la dislipidemia e
l’obesità, anche da una serie di anomalie coagulative tipiche del paziente diabetico.
Attualmente, invece, non esistono ancora studi certi su una possibile correlazione tra
livelli elevati di colesterolo (iperlipidemia) e aumentato rischio di ictus. Tuttavia, è
documentato come un aumento dei livelli di colesterolo LDL (noto anche come
“colesterolo cattivo”) possa influenzare l’insorgenza di ischemia cerebrale in modo
indiretto. E’ ormai certo, infatti, che esiste una correlazione diretta tra aumento del
colesterolo LDL, con contemporanea diminuzione del colesterolo HDL, e un aumento
dell’aterosclerosi delle arterie carotidi , disturbo che, a sua volta, aumenterebbe il
rischio di ictus. Il rischio di ictus legato al consumo di alcol, infine, risulterebbe di ben
tre volte superiore rispetto alla norma nei bevitori che superano le sette unità di alcol
giornaliere (1 unità corrisponde a una lattina di birra o a un bicchiere di vino). Al
contrario, sembrerebbe esserci un rischio notevolmente ridotto nei soggetti che
consumano moderate quantità di alcolici (circa 3 bicchieri di vino alla settimana). In
particolare, bere non più di due unità giornaliere di vino conferirebbe persino un “effetto
protettivo” nei confronti dell’ictus, come già dimostrato per la malattia coronaria (Sacco
et al., 1997).
1.1.2 Caratteristiche fisiopatologiche
L’ictus cerebrale appartiene a una più ampia categoria di patologie denominate malattie
cerebrovascolari che comprendono tutte quelle alterazioni encefaliche causate da un
processo patologico a livello dei vasi sanguigni ed è riconducibile a tutte quelle
situazioni (trombosi, embolia, emorragia) in cui gli aspetti fondamentali sono costituiti
dall’ipossia, dall’ischemia e dall’infarto della regione cerebrale interessata, causati da
una compromissione del flusso ematico e quindi dell’ossigenazione dei tessuti.
In funzione della diversa fisiopatologia è possibile distinguere due diversi tipi di
ischemia cerebrale:
1) l’ischemia globale, determinata dall’arresto completo e transitorio dell’apporto
sanguigno all’intero cervello, che può verificarsi per esempio nell’arresto
4
Introduzione
cardiaco, nello shock e nella ipotensione grave conseguente ad ampie lesioni,
emorragia o traumi.
2) L’ischemia focale, causata dalla diminuzione del flusso ematico in una regione
limitata del cervello, riferita alla sola zona di competenza del vaso occluso.
Nell’area ischemica si distinguono due zone: il core e la penombra (Fig. 1.1). Il
primo è il nucleo dell’ischemia focale caratterizzato da una drastica riduzione
(80-90%) del flusso ematico e da una rapida insorgenza della morte delle cellule
neuronali. Nel caso in cui il flusso non viene ripristinato in un tempo breve, a
seconda della zona colpita, si può avere un danno irreversibile. La penombra,
invece, è un area intermedia posta tra il core e le regioni del cervello perfuse
normalmente, in cui la riduzione del flusso ematico non supera il 60-70% grazie
alla presenza di circoli collaterali. Nella penombra il danno si sviluppa
lentamente, rendendo il tessuto più facilmente recuperabile mediante trattamento
farmacologico.
Espressione genica selettiva
Necrosi
Infiammazione
e
apoptosi
Aspetti
morfologici
Aspetti
biochimici
Perdita dei gradienti ionici
Depolarizzazione anossica
Utilizzo glucosio
Acidosi
Rilascio di glutammato
Utilizzo glucosio
Sintesi proteica
Estrazione ossigeno
Figura 1.1: I diversi aspetti morfologici e biochimici del danno nell’area ischemica.
Nell’area del core, colorata in rosso, si ha una riduzione della perfusione ematica pari a circa il
90%, in questa zona si ha una rapida morte cellulare per necrosi, dovuta ad alterazioni
biochimiche (perdita dei gradienti ionici e del potenziale di membrana, mancata sintesi di ATP)
che sono incompatibili con la sopravvivenza cellulare. Le aree colorate dal blu scuro al giallo
rappresentano quella che viene chiamata penombra, in cui si ha una riduzione del flusso ematico
pari a circa il 65% grazie alla presenza di circoli collaterali. In questa zona l’utilizzo del glucosio,
quindi la sintesi di ATP, e il potenziale di membrana continuano a mantenersi, si ha un intenso
fenomeno infiammatorio e morte cellulare prevalentemente per apoptosi.
5
Introduzione
1.1.3 Meccanismi di danno neuronale
I principali meccanismi cellulari e molecolari alla base del danno ischemico consistono
in: collasso energetico con conseguente sbilanciamento ionico, eccitotossicità,
neuroinfiammazione e morte cellulare per apoptosi e necrosi.
Collasso energetico ed eccitotossicità
La produzione di energia nel tessuto cerebrale avviene esclusivamente attraverso il
consumo di ossigeno e glucosio, quindi dipende essenzialmente dai processi della
fosforilazione ossidativa. Durante l’insulto ischemico si ha una riduzione dell’apporto di
questi substrati metabolici al tessuto con la conseguente caduta dei livelli energetici
(ATP) nelle cellule nervose e un aumento dei processi anaerobi con conseguente
abbassamento del pH per la formazione di acido lattico (Folbergovà et al., 1992, Sun et
al., 1995, Lipton, 1999).
La deplezione di ATP determina una ridotta funzionalità delle pompe, in particolare
della Na
+
/K
+
ATPasi, fondamentali nel preservare le concentrazioni ioniche intra ed
extra cellulari e quindi garantire il mantenimento del potenziale di membrana (Bonvento
et al., 2002) e l’integrità osmotica della cellula (Camacho e Massieu, 2006). Il collasso
energetico venutosi a creare conduce rapidamente alla perdita del potenziale di
membrana fisiologico e alla depolarizzazione non solo dei neuroni, ma anche delle
cellule gliali. Di conseguenza vengono attivati i canali del Ca
2+
voltaggio-dipendenti sia
somato-dendritici che presinaptici i quali, attraverso l’incremento della concentrazione
di Ca
2+
intracellulare, causano il rilascio di amminoacidi eccitatori (prevalentemente
glutammato) nello spazio extracellulare.
Nello stesso tempo, i processi ATP-dipendenti, quale il re-uptake presinaptico di
amminoacidi eccitatori, diventano insufficienti, per cui l’accumulo di glutammato nello
spazio extracellulare aumenta ulteriormente. Questo determina l’attivazione dei recettori
NMDA ma anche di quelli metabotropi del glutammato che attraverso l’attivazione
della fosfolipasi C (PLC) e la conseguente produzione di inositolo-3-fosfato (IP
3
)
contribuiscono all’accumulo intracellulare di Ca
2+
. Inoltre, per attivazione dei recettori
ionotropi di tipo AMPA da parte del glutammato, anche Na
+
e Cl
-
entrano nei neuroni.
Da ciò deriva un ingresso di acqua nelle cellule per osmosi, dal momento che l’influsso
di Na
+
e Cl
-
è maggiore dell’efflusso di K
+
.
6
Introduzione
Nell’ischemia cerebrale, ed in particolar modo in quella focale, l’aumento del calcio
intracellulare conseguente all’iperstimolazione dei recettori del glutammato di tipo
NMDA assume un ruolo fondamentale nell’insorgenza del danno neuronale (Silver ed
Erecinska, 1992).
Lo ione calcio funziona da secondo messaggero universale in quanto innesca una serie
di eventi citoplasmatici e nucleari fondamentali per lo sviluppo del danno tessutale,
quali l’attivazione di enzimi proteolitici che degradano le proteine del citoscheletro
(actina e spectrina) e le proteine della matrice extracellulare (laminina). Inoltre
l’attivazione della fosfolipasi A
2
e della ciclossigenasi genera varie specie di radicali
liberi che superano i meccanismi di neutralizzazione endogeni (“scavengers”) e
producono pertanto perossidazione lipidica che è alla base del danno di membrana.
Inoltre, l’accumulo di calcio intracellulare determina gravi alterazioni a livello
mitocondriale, con abbattimento del potenziale di membrana. Il disaccoppiamento del
trasporto di elettroni dalla fosforilazione ossidativa causa l’inibizione della sintesi di
ATP e il rilascio di elettroni ad alta energia che portano alla formazione di radicali liberi
e rilascio del citocromo c (Cyt-c) dal mitocondrio. I radicali liberi dell’azoto e le specie
reattive dell’ossigeno reagiscono con proteine, DNA e lipidi, alterando la normale
funzione di queste molecole e determinando la conseguente perdita dell’integrità delle
cellule (Lipton, 1999).
Neuroinfiammazione
Per anni il sistema nervoso centrale è stato considerato un tessuto immuno-privilegiato,
ovvero non suscettibile a processi infiammatori. In realtà negli ultimi decenni è emerso
come nel cervello possano manifestarsi reazioni infiammatorie in risposta a traumi,
infezioni o patologie neurodegenerative (Lucas et al., 2006).
Durante l’ischemia cerebrale l’attivazione Ca
2+
-dipendente dei sistemi dei secondi
messaggeri intracellulari, l’incremento dei radicali liberi dell’ossigeno, l’ipossia stessa,
stimolano l’espressione di geni pro-infiammatori mediante la sintesi di fattori di
trascrizione quali il fattore nucleare-kB (NF-kB), il fattore indotto dall’ipossia di tipo 1
(HIF-1), il fattore di regolazione dell’interferone di tipo 1 (IRF-1) e STAT3. Di
conseguenza le cellule del tessuto cerebrale danneggiato iniziano una intensa
produzione di mediatori dell’infiammazione quali citochine, come il fattore di necrosi
tumorale α (TNFα) e l’interleuchina 1β (IL-1β), enzimi, come la nitrossido sintasi
inducibile e la ciclo-ossigenasi 2 e, rispettivamente, dei loro prodotti (nitrossido e
7
Introduzione
prostaglandine). Inoltre, è indotta anche l’espressione di molecole di adesione sulla
superficie delle cellule endoteliali dei vasi capillari e sui leucociti, tipo la molecola di
adesione intercellulare 1 (ICAM-1), le P-selectine e le E-selectine. Le molecole di
adesione a loro volta interagiscono con recettori complementari presenti sulla superficie
dei neutrofili che quindi aderiscono all’endotelio, attraversano la parete capillare
(processo definito diapedesi) ed entrano nel parenchima cerebrale (Fig. 1.2).
Figura 1.2: Processo multifasico della migrazione dei leucociti attraverso i vasi sanguigni.
I leucociti inizialmente rotolano, poi vengono attivati e aderiscono all’endotelio, quindi migrano
attraverso l’endotelio, perforano la membrana basale e seguono il gradiente dei
chemioattrattori prodotti dalla sede della lesione.
Anche i macrofagi e i monociti migrano nel tessuto ischemico con lo stesso
meccanismo multifasico, ma successivamente ai neutrofili (dopo circa 5-7 giorni dopo
l’insulto).
Nel tessuto danneggiato dall’ischemia sono prodotte anche alcune chemochine
(l’interleuchina 8 e la proteina chemiotattica 1 dei monociti) che svolgono una funzione
di chemiotassi, ovvero guidano la migrazione delle cellule infiammatorie presenti nel
sangue verso i loro bersagli nei tessuti.
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