La prima riguarda la struttura bifasica, in quanto il procedimento risulta
essere costituito da una fase sommaria e una di merito, come già
anticipato.
La seconda tesi verte sulla costituzione di una sola fase che trova la sua
conclusione con ordinanza reclamabile, alla quale non segue il giudizio
di merito a cognizione ordinaria.
La terza, ed ultima, tesi sancisce che il procedimento è costituito da due
processi autonomi e diversi, uno sommario e l’altro di merito a
cognizione ordinaria, da instaurare entro i termini perentori di cui
all’articolo 669 octies del codice di procedura civile.
Successivamente a tali contrasti, è intervenuta, con la sentenza n. 1984,
la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, che ha disciplinato la nuova
formulazione dell’articolo 703 c.p.c., stabilendo che così come è stata
introdotta dal legislatore del 1990 non influisce sulla struttura del
procedimento possessorio, il quale continua ad essere contraddistinto da
una duplice fase, “la prima di natura sommaria, limitata all’emanazione
dei provvedimenti immediati, la seconda, a cognizione piena, avente ad
oggetto il merito della pretesa possessoria, e da concludersi con
sentenza soggetta alle impugnazioni ordinarie”.
Il secondo comma dell’articolo 703 contenente il rinvio agli artt. 669 bis
e ss, ha lo scopo di consentire l’estensione delle norme sui procedimenti
cautelari a quelli possessori solo “nei limiti consentiti dalle
caratteristiche e dalla struttura di questi ultimi”.
Chiarita la struttura del procedimento possessorio, rimane da chiedersi
quid iuris nell'ipotesi in cui il giudizio di merito sia stato introdotto con
2
citazione entro il termine perentorio fissato dal giudice ai sensi dell'art.
669 octies c.p.c..
Secondo alcune pronunce giurisprudenziali il provvedimento con cui il
giudice reintegra lo spogliato nel possesso ed assegna alle parti un
termine per l'inizio del giudizio di merito è di natura decisoria e
conclusivo del procedimento possessorio. Tale provvedimento è
impugnabile attraverso l'appello.
Un’altra parte della giurisprudenza ritiene, al contrario, che il
provvedimento attraverso il quale il giudice reintegra lo spogliato nel
possesso ed assegna alle parti il termine per l'introduzione del giudizio di
merito non ha natura decisoria, ma ordinanza interdettale, per cui non è
appellabile.
Questa parte della giurisprudenza ritiene, inoltre, che essendo
inapplicabile al giudizio possessorio l'art. 669 octies c.p.c., al suo posto
deve essere applicato l’art. 298 c.p.c., ciò comporta che l'ordinanza è
soggetta ad integrazione entro il termine perentorio di sei mesi dalla sua
emissione.
Il 2005 e l’inizio del 2006 sono stati caratterizzati da un'intensa attività
riformatrice in materia di diritto processuale civile.
Il Decreto legge n. 35/05 (c.d. "decreto competitività") ha introdotto una
serie di importanti modifiche al codice di procedura civile, nella
conclamata intenzione di abbreviare i tempi del processo di cognizione e
di esecuzione e di rendere più efficiente ed efficace la tutela
giurisdizionale dei diritti. Peraltro, già in sede di conversione il testo
originario è stato rivisto in maniera sostanziale. L'attesa degli operatori
3
del diritto rispetto all'entrata in vigore di tale riforma è, comunque, stata
delusa: infatti, la relativa data è slittata da settembre a novembre 2005 e,
infine, al primo marzo 2006.
Nel frattempo la Legge n. 80, prima ancora di trovare applicazione, ha
subito profonde modifiche ad opera della legge n. 263/05. Nel primo
scorcio del 2006, inoltre, sono state approvate la legge n. 52, in materia
di espropriazione mobiliare, la legge n. 54 sul c.d. affidamento condiviso,
la legge n. 102 sulle controversie in materia di circolazione di veicoli, il
decreto legislativo 40, di riforma del procedimento in Cassazione e
dell’arbitrato.
Il complesso di queste riforme tocca alcuni dei punti nevralgici del
processo civile. Gli operatori pratici sono dunque chiamati ad un'intensa
attività di aggiornamento, resa tanto più complessa dall'apparente
carattere a-sistematico delle recenti innovazioni, che presentano, tra
l'altro, molteplici aspetti lacunosi e problematici. Ad un anno dall’entrata
in vigore di tali riforme, appare opportuno fare il punto su alcuni dei
principali problemi applicativi della nuova normativa, proponendo chiavi
di lettura e soluzioni, alla luce dei primi orientamenti giurisprudenziali.
Il presente lavoro è articolato in quattro capitoli.
Il primo capitolo verte sulla riforma del processo civile introducendo la
riforma apportata dalla legge del 14 maggio 2005, n. 80. Si procederà con
un breve appunto storico riguardante il procedimento a partire dall’Unità
d’Italia ad oggi, analizzando le innovazioni introdotte con la legge del
1990, sottolineando le correnti di pensiero e le critiche dottrinali, nonché
gli interventi della Corte costituzionale. Dopodiché si passerà all’analisi
4
del codice di rito prestando particolare attenzione al quadro normativo e
alle modifiche del procedimento possessorio. Infine, l’ultima parte sarà
incentrata sulla soluzione introdotta dal legislatore del 2005.
Il secondo capitolo è interamente dedicato alla struttura del nuovo
procedimento possessorio e sue modifiche.
Il terzo capitolo focalizzerà l’attenzione sulla legge competitività n.
80/2005, evidenziando le modifiche arrecate agli artt. 703, 704 e 705
c.p.c.. Verrà, inoltre riportata la sentenza della Cassazione civile del 10
maggio 2007, n. 10715, riguardante il procedimento possessorio, la fase
interdittale, la decisione e la natura giuridica.
Infine, il quarto capitolo, focalizzerà l’attenzione sul rapporto tra il
giudizio possessorio e il giudizio petitorio. In particolare sarà esposto il
divieto di cumulo, il regolamento nei rapporti tra i due giudizi e si
cercherà di dare una definizione al concetto di giudizio petitorio in base
all’art. 704 c.p.c.
5
CAPITOLO I
RIFORMA DEL PROCESSO CIVILE MODIFICHE AL
CODICE DI PROCEDURA - AL PROCEDIMENTO
POSSESSORIO INTRODOTTA CON LEGGE 14 MAGGIO
2005, N. 80
6
1. Il procedimento possessorio dall’Unità d’Italia ad oggi
Oltre alle norme che regolavano i rapporti col petitorio (artt. 443-445),
nel codice del 1865 (codice di rito), l’art. 82 includeva la disposizione
cardine, la quale attribuiva le azioni possessorie alla «competenza dei
pretori, qualunque sia il valore della causa, purché proposte entro l'anno
dal fatto che vi diede origine»
1
.
La norma si trasponeva in una regola di procedimento, in quanto mirava
all’applicazione per gli interdetti al rito dettato per i giudizi, in presenza
dei pretori.
Il quadro delineato dagli artt. 415-447 appariva come un procedimento a
cognizione piena ma ad istruttoria semplificata. Le caratteristiche di tale
procedimento, rapidità e snellezza, oltre ad adattarsi al contesto in cui il
giudice era destinato ad operare, agevolavano il rapporto diretto che
soventemente veniva a crearsi tra l’autorità giudicante e le parti.
Ciò si può riassumere riportando un brano della Relazione governativa al
codice di procedura civile, intitolato «del procedimento davanti i
pretori»
2
.
«Nei giudizi mandamentali già fu avvertito che le instanze e le difese si
possono fare dalle parti o verbalmente o per iscritto, e che il giudice
stesso viene considerato come moderatore dell' istruZIone della causa.
1
La disposizione riproduceva anche per questa parte l’art. 5 del codice 1859 per gli
Stati sardi.
2
GARGIULO, Il codice di procedura civile del Regno d’Italia, III, Napoli, 1887, p.
92.
Gli è data facoltà di chiudere tale istruzione, non solo quando la parte
dichiari di non voler rispondere alta difesa dell'altra parte, ma ancora
quando egli ravvisi la causa sufficientemente istruita È questo un
benefizio per le parti medesime, le quali per inesperienza o spinte dalla
pressione volessero protrarre una discussione che già trovasi al suo
termine.
Come le istanze e le difese possono proporsi verbalmente, così potrà
anche essere verbale la deduzione delle prove Ma quando la prova sia
stata articolata oralmente, il giudice dovrà determinare nel processo
verbale, nel provvedimento, o nella sentenza che la ordina, i fatti su cui
essa deve cadere Così pure riguardo alla perizia, occorrendo spesso di
verificare oggetti sul luogo stesso della sede del giudizio, e trattandosi
per lo più di questioni di facile ed urgente soluzione, o di poco valore, il
giudice potrà ordinare che la relazione sia fatta verbalmente»
3
.
Come si evince, la Relazione raffigurava un giudizio pretorile a
cognizione piena, con mancanza di forma istruttoria
4
.
L’applicazione del rito alle azioni possessorie recava con se che nel
vigore del primo codice unitario di entrambi i caratteri partecipasse
anche il giudizio interdittale. Al secondo requisito faceva poi eco, ma
solo apparente, il precetto dell'art. 696 del coevo codice civile, per cui
«la reintegrazione deve ordinarsi dal giudice, premessa la citazione
3
Relazione governativa, Capo V del titolo IV del libro I, “Del procedimento davanti
i pretori”.
4
MORTARA, Manuale della procedura civile, I, Torino, 1916, p. 520.
8
dell'altra parte, sulla semplice notorietà del fatto, senza dilazione e con la
maggior celerità di procedura ...».
Non è possibile documentare quanto del requisito della
deformalizzazione si sia conservato nel tempo, e quanto invece sia stato
abbandonato a vantaggio di forme meno dirette e più elaborate. Non si è
lontani dal vero, però, nel supporre che col passare degli anni l'oralità e
la speditezza del rito mandamentale si siano progressivamente smarrite:
l'incremento di popolazione in ciascun mandamento, il maggior distacco
che ne dovette conseguire fra parti e giudice, l'aumento esponenziale del
contenzioso, concorsero verosimilmente a rendere più macchinoso e
meno immediato il processo dinanzi al pretore e, in conseguenza, anche i
giudizi possessori.
In ogni caso resta il dato che dall'Unità e per quasi ottant'anni le azioni
interdittali nel nostro Paese hanno seguito le regole del comune processo
dinanzi al pretore: assistite dalla cognizione piena (più o meno
semplificata), si snodavano lungo un'unica fase, all'esito della quale il
giudice rendeva sentenza impugnabile coi rimedi ordinari. Non erano
invece previsti provvedimenti anticipatori di alcun genere, né sommari,
né interinali, né cautelari.
Il legislatore del ’40 venne ad incidere su quest disciplina introducendo
importanti innovazioni al procedimento possessorio. Il nuovo codice
assimilò la procedura interdittale a quella nunciatoria, all'evidente scopo
di sfruttare la rapidità connessa alla portata tipicamente cautelare di
quest'ultima. Il sistema si fondava (oltre che sugli artt. 704 e 705 c.p.c.)
9
sul richiamo che l'art. 703, secondo comma, faceva agli artt. 689 ss.,
stesso codice.
Dettati per lo svolgimento delle azioni di nunciazione, quest'ultimi
disponevano che sul ricorso della parte il pretore, assunte se del caso
sommarie informazioni, potesse concedere con decreto i provvedimenti
immediati. In ogni caso doveva fissare la comparizione dinanzi a se e
all'esito rendere i provvedimenti necessari, procedendo poi alla
trattazione della causa di merito se competente, o fissando termine per la
riassunzione dinanzi al diverso giudice fornito di competenza.
L'innovazione passò senza grandi rivolgimenti. Eppure il semplice rinvio
a una procedura cautelare per la disciplina di un procedimento che
senz'altro non era cautelare, avrebbe dovuto indurre perlomeno a qualche
riflessione in punto di applicazione delle norme richiamate. Invece,
risaltò che la tradizione del giudizio a cognizione piena si legava bene
con la struttura bifase del procedimento nunciatorio, la cui fase
sommaria consentiva di soddisfare l'esigenza di rapidità tradizionalmente
associata alla tutela interdittale. Fu così che in merito alla struttura del
giudizio possessorio si diffuse subito una totale concordia. Il
procedimento lungo era così articolato:
a) la procedura si componeva di due fasi: una a cognizione sommaria,
l'altra a cognizione piena;
b) l'unico ricorso era idoneo a introdurre sia la prima che la seconda fase.
c) entrambe le fasi appartenevano alla competenza per materia del
pretore;
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