lavoro di ri-costruzione, trova la base del suo"modus operandi" nella capacità di
porsi delle domande alternative superando il dato acquisito.
Ma, prima di procedere in maniera operativa, è necessario fare il punto sui percorsi
di ricerca che sino ad oggi hanno contribuito a costruire l'ambiente in cui si muove
l'odierna storiografia valdese. Questi percorsi hanno faticato ad uscire dalle
contrapposizioni confessionali che nei secoli precedenti, focalizzando l'attenzione
sulla figura dell'iniziatore del movimento, hanno identificato in Valdesio di Lione,
per parte cattolica,una figura che anticipa Francesco d'Assisi,discostandosene, però,
nell'atteggiamento di disobbedienza nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche, con
il conseguente attributo scismatico. Per parte protestante, invece, Valdesio ha
rappresentato il campione di un'umanità che antepone l'obbedienza scritturale a Dio
rispetto a qualsiasi autorità umana, allargando anche alla gerarchia ecclesiastica
questa attribuzione(4).
Herbert Grundmann è riuscito ad allontanarsi dalla dimensione agiografico-
dogmatica con l'intuizione di un punto di vista globale, che abbracci l'intera
compagine sociale, che collochi gli automatismi(5) innescati dalle energie originali
dei movimenti religiosi medioevali in un unico processo storico dello svilupo
religioso dell'Occidente. Ciò ha permesso di poter evidenziare maggiormente il
problema delle origini e dei processi evolutivi attraverso i quali le singole esperienze
si siano venute concretizzando. Il Grundmann ha definito il movimento valdese un
movimento di risveglio nel seno della Chiesa romana, cresciuto per l'adesione di
rappresentanti di tutti gli strati sociali-- principalmente laici. Il suo phatos ha avuto
come fonte l'impoverimento della spiritualità che provoca l'esigenza della
predicazione delle buone opere; in pratica, dei laici si sono messi a predicare al
posto di un clero delegittimato dal suo comportamento incoerente, richiamando
quest'ultimo ai propri doveri(6).
4
In questa iniziativa innovativa lo studioso tedesco è stato affiancato dall'opera del
Dondaine, che, per le sue nuove scoperte documentarie, ha contribuito a modificare
le visioni tradizionali del movimento valdese originario. Per lo storico francese la
riforma di Valdesio, centrata sulla povertà totale, sulla protesta contro la corruzione
annidata nella casa del Signore e sulla rivendicazione del diritto di predicare per
tutti, è rimasta uno sforzo incompiuto, soprattutto per l'atteggiamento della gerarchia
ecclesiastica; ma è stata una lezione per la Chiesa romana per la nascita di un
atteggiamento più liberale nei confronti di successive iniziative, come nel caso di
Francesco d'Assisi(7).Da queste basi storiografiche si è successivamrnte sviluppata
l'attività della Thouzellier,giunta ad individuare nella scelta pauperistica il primo
motore di un movimento nato ortodosso e divenuto eterodosso. La studiosa francese
ha rilevato, infatti, che se la povertà totale è stata l'essenza del valdismo delle
origini, questa ha costituito in seguito, con l'apporto dell'apostolicità, quello che si
potrebbe definire il valdismo primitivo, proponendo di conseguenza una prospettiva
dinamica a più fasi sin dai primissimi tempi(8) . Ma è in Germania che Kurt Victor
Selge, raccogliendo l'eredità della tradizione storica tedesca di studi valdesi(9) , ha
potuto realizzare una sintesi di ricerca determinante per la storiografia degli ultimi
decenni.Identificando nella imitatio Apostolorum, di cui la tematica pauperistica
sarebbe solamente una delle caratteristiche costitutive, l'elemento vocazionale
originario dei pauperes Christi del movimento valdese, è riuscito a raccogliere i
frutti di una rigorosa impostazione metodologica che trova in una attenta rilettura
delle fonti il suo punto nevralgico . Il Selge ha rilevato come le fonti parlino della
grazia del ministero della predicazione accordata a Valdesio ed ai suoi compagni:
"Predicare secundum gratiam nobis a Deo collatam". Questa grazia consiste
nell'azione che i valdesi potevano svolgere nei confronti dei peccati dei loro fratelli,
poichè essi si sentivano responsabili davanti a Dio dell'aiuto che potevano fornire
facendo conoscere le Scritture. La forma attraverso la quale i valdesi si assunsero
5
questa responsabilità è quella dell'ufficio apostolico della predicazione e della vita
apostolica. Le parole di Gesù sulla missione degli Apostoli erano divenute un
elemento fondamentale dell'ideale della vita apostolica all'interno di una parte della
tradizione canonica. Valdesio sentì riferito a se stesso il comandamento della
missione e le parole di invito di Gesù, egli non si identificò con gli Apostoli ma
ritenne di poter adattare a sé il precetto biblico che parla della responsabilità di ogni
uomo nei confronti della salvezza del prossimo. Ugualmente le Scritture indicavano
la forma nella quale la predicazione delle buone opere si doveva realizzare: l'appello
doveva essere totalmente libero per realizzare la missione, libero da ogni
preoccupazione temporale per permettere la totale consacrazione all'attività della
predicazione, secondo il sermone sul monte e Matteo 10, 9-10. La vita apostolica
non implicava il diritto all'ufficio della predicazione ma rendeva un servizio a questa
attività. Pertanto i valdesi delle origini non fondarono l'imitatio Apostolorum sulla
vita apostolica ma, al contrario, la vita apostolica sul ministero delle predicazione
che Dio aveva loro conferito(10). In Italia la storiografia valdese ha beneficiato
dell'opera di uomini ed idee in un percorso che,partendo da Gioacchino Volpe, con
la sua intuizione che "il moto ereticale tutto quanto, nel suo complesso, è moto di
coltura,...è cioè indice di un più vivo lavorio intellettuale"(11), dallo Zanoni e da
Raffaello Morghen che ha sottolineato come lo sforzo di rationabiliter vivere
l'Evangelo rappresenti il carattere fondamentale dell'eresia medievale(12), ha
raggiunto il fondamentale discorso metodologico di Arsenio Frugoni(13) e
l'ineludibile puntualizzazione sull'arcipelago ereticale di Raoul Manselli(14) . Il
Manselli ha individuato nella povertà l'ideale che la predicazione valdese avrebbe
proposto a tutti i cristiani, quale elemento salvifico di primaria importanza, ed ha
evidenziato, inoltre, lo stretto legame del movimento valdese con tradizioni ereticali
precedenti, sottolineando alcune tematiche ancora aperte: il rapporto tra
predicazione e povertà, il modello della prima predicazione valdese e la spinta del
6
movimento all'eresia. Non si può dimenticare,in campo specificatamente valdese, il
lavoro di ricerca del Molnar e del Gonnet(15). Lo storico boemo, in particolare, ha
approfondito un'analisi attenta sull'Europa centrale, ponendo in luce il fenomeno
dell' "Internazionale valdo-hussita", dopo aver raggiunto,per il periodo delle origini,
la convinzione che i valdesi non fossero stati in partenza un movimento
rivoluzionario, che la povertà volontaria fosse in funzione della loro predicazione e
che servisse alla loro autentificazione apostolica. Il Gonnet si è invece adoperato in
un'analisi testuale delle fonti, cercando di individuare, riguardo ai primi episodi
dell'esperienza valdese, una serie di punti resi credibili dalla concordanza delle fonti
e passibili di ulteriori integrazioni con il procedere della ricerca storica. Al
contributo del Dupré Theseider , di Ovidio Capitani(16) e di Giovanni Miccoli con
una attenzione particolare al piano istituzionale ed ai rapporti con le gerarchie
ecclesiastiche e laiche,--- il Miccoli ha rilevato come i valdesi "... non avevano
mirato a conquistare gli altri ad un altro credo" (similmente alla chiesa catara) " ma
ad un'altra vita, è l'assolutezza e la priorità di queste scelte semplici ed essenziali,
così intime al vissuto quotidiano, a determinare la rottura con la gerarchia romana.
...Si trattava di un vero e proprio salto culturale e di mentalità: rifiutare tutto
l'apparato esterno di un organizzazione ecclesiastica, per stabilire solo
un'incarnazione totale in se stessi del messaggio cristiano, comportava una
lacerazione con convinzioni, sicurezze, abitudini, modi di essere e di pensare, quali
il catarismo certo non reclamava ai propri aderenti"(17) ---è seguita , negli ultimi
decenni, l'opera puntuale e rigorosa di Giovanni G. Merlo che, inserendosi nella
tradizione metodologica inaugurata dal Selge, ha contribuito all'ampliamento degli
orizzonti storiografici su quelli che egli chiama "i valdismi". Collegandosi, infatti,
ad una riflessione del Gonnet che, criticando il termine "valdismo" per la scarsa
efficacia nel designare la pluralità del movimento, adottava il termine più concreto
di "valdesi" per la capacità di allontanare l'idea di un tutto unico, omogeneo,
7
immutabile nello spazio e nel tempo(18) , il Merlo si è posto il problema del
"...come continuare nell'utilizzazione di un termine genericamente onnicomprensivo,
quando ci si trova davanti a una pluralità di espressioni ed esperienze religiose e
umane, individuali e collettive, i cui nessi ed elementi di continuità, storicamente
accertati e accertabili, sono incerti o non esistono affatto"(19). Da qui l'adozione di
"valdismi", "non si tratta dunque di stabilire quale sia la genuina tradizione valdese
medievale,ma di individuarne , e di accertarne, la ricca e contrastata
articolazione:con l'accortezza di non lasciarsi trarre in inganno dalle etichette
verbali, né di impaniarsi in questioni meramente terminologiche"(20).
Il panorama italiano recente è stato arricchito dai contributi di Franco Dal Pino,
Roberto Rusconi, Romolo Cegna ed in particolare da Lorenzo Paolini e Gabriele
Zanella; quest'ultimo ha prodotto una notevole ricerca sul fenomeno dell' "eretico
quotidiano" nell'area padana foriera di interessanti prospettive. Perchè, con le parole
del Merlo, nel dibattito storiografico "la dimensione sociale, benchè accantonata per
quanto riguarda il momento genetico dell'eterodossia, ricompare però in primo piano
non appena ci si concentri sugli eretici, analizzandoli nell'ambito di precisi contesti
spazio-temporali e, talvolta, nella loro quotidianità (quando le eresie non si
istituzionalizzano, non si sostanziano di consapevolezze e di strutture per durare nel
tempo)(21).
Anche in ambito europeo gli studi valdesi hanno continuato ad ottenere dei riscontri:
in Francia con l'Audisio, il Dossat, il Duvernoy e la Paravy ;in Germania con il
Kurze e soprattutto il Patschovsky e lo Schneider ;in Austria con il Maleczeck e il
Segl ; in Gran Bretagna con il Cameron e il Biller ; in Belgio con il Gilmont(22).
Lavori che riguardano, in gran parte, il secondo periodo dell'esperienza valdese, in
cui, superato lo slancio iniziale, il movimento tende,nelle sue diverse articolazioni,
all'appropriazione di un'autocoscienza se non alla definizione di una qualche propria
struttura, dopo aver verificato, con il Selge, nei "...limiti strutturali collegati a un
8
legame tra ideale evangelico e istituzione salvifica che esercita il potere...", il
cortocircuito che determina la mancata convergenza tra movimenti pauperistici e
"società a senso unico"(23). Ma ciò forse appare più dal carattere istituzionale delle
fonti, che da una constatazione effettiva, se si ricordino le riflessioni del Merlo su
questa linea interpretativa che "...non spiega ancora le ragioni per le quali, un
imperativo etico-religioso riesca a condurre sino all'estrema coerenza del martirio
individui i quali, per sacrificare la vita, altri motivi e interessi non avevano se non di
mantenersi fedeli ad una vocazione evangelica, a un'identità religiosa"(24).
Il periodo delle origini che ha raccolto l'interesse quasi elitario di uomini e donne
come il Manselli, la Thouzellier, il Selge ed il Merlo, per citarne alcuni, che con le
loro ricerche hanno dissodato un terreno difficile per la scarsità delle fonti
"interne"(25), merita un ulteriore contributo, non tanto per trovare delle risposte
innovative, quanto per ampliare ed accrescere le prospettive di approccio.
Prospettive che, proprio sulla strada indicata dai lavori precedenti, riescano a
proporre un quadro d'insieme il più possibile scevro "...dalle cristallizzazioni
concettuali e tematiche imposte dagli sviluppi della repressione ecclesiastica e dalla
cultura degli inquisitori"(26), ma anche da una rilettura sulla base degli sviluppi
successivi all'interno del mondo valdese. Si tratta quindi di cogliere, nei limiti del
possibile, il momento dinamico nella sua forza e mobilità, di evidenziarne alcune
tematiche riguardanti le cause costitutive e dirompenti, di tentare di ricostruire lo
spettro delle sostanze ideali che hanno dato contenuto, forma ed energia
all'intuizione valdese delle origini, sperando di dipanare un altro piccolo lembo di un
quadro che, per molti aspetti, appare ancora nascosto alla nostra vista. Operando su
piani diversi, rivalutando spunti storiografici, approfondendo tematiche lasciate
aperte o riaprendo alcune di quelle già consegnate alla "storia", utilizzando un
approccio filologico alle fonti(27), ma anche osservando quegli elementi di contorno
sociale , tradizionale, popolare ed elitario(28) dai quali si sviluppa e sui quali va ad
9
incidere il proposito di Valdesio, penso si possa giungere alla formulazione di un
discorso integrato che vada a portare un suo contributo alla ricerca.
Tutto ciò, tenendo a mente le riflessioni del Merlo: "Diversamente che dai "buoni
cristiani" dualisti, dai valdesi non nascono chiese antagoniste, soprattutto, io penso,
in assenza di speculazioni teologiche, ecclesiologiche, canonistiche: poichè, in altri
termini, il loro evangelismo pauperistico non si fece pensiero, rimase a livello di
convinzione religiosa non rielaborata sul piano "teoretico", una vocazione cioè alla
povertà cristiana e alla vita apostolica da vivere, sorretta dalla lettura in chiave etica
della Bibbia, anzi delle parti bibliche forse meno "teologiche" ". In questo modo si "
...vedrà come i frammenti prevalgano sull'insieme: a impedire facili generalizzazioni
e schematiche risposte. La dialettica frammento/insieme non riesce a risolversi in
sintesi. Mentre si ampliano le nostre conoscenze, si approfondiscono i problemi, si
eleva il livello delle ricerche, tuttavia non si arriva ancora alla soluzione "definitiva".
La ricerca storica accresce, inventaria,pulisce i frammenti: non è però
"tecnicamente" capace di metterli uno di segiuto all'altro, incerta sul significato
storico di quei frammenti/esperienze religiose. Ha difficoltà di fissare ciò che appare
fluido, instabile e sfuggente: quasi che l'identità valdese permanga in uno stato
incoativo, per lungo tempo non volendo o non potendo o non riuscendo a definirsi
come tale "(29).
Esistono tuttavia delle domande ancora aperte o che hanno avuto un inizio di
risoluzione, sulle quali vorrei procedere per comprendere meglio l'idealità composita
del movimento valdese originario. Quale tipo di cultura laica si trova alla base della
spiritualità del movimento? Quale cultura religiosa si innesta, se si innesta, su questa
base e con quali conseguenze? E' verificabile una convergenza, cosciente o meno,
con una tradizione popolare agiografica e con una tradizione esegetica di determinati
passi scritturali? Se un processo di questo tipo risulta constatabile, una
rielaborazione sul "piano teoretico" della convinzione religiosa mancò, perchè non
10
se ne sentì la necessità, perchè non ve ne fu il tempo o perchè era già presente in una
parte della tradizione dell'ortodossia?
La storia dei valdesi, per quel che riguarda il problema delle fonti, richiede una
trattazione particolare per sottolineare alcune caratteristiche originali peculiari di
questo fenomeno socio-religioso. Il Gilmont(30) ha chiarito alcune tematiche
necessarie ad inquadrare il lavoro in un passaggio precedente all'approccio diretto al
testo. Il fatto che i valdesi abbiano costituito una minoranza perseguitata, condiziona
fortemente la ricerca storica. Similmente alla situazione di altri gruppi minoritari,
quale che fosse il motivo della persecuzione, la maggioranza ha avuto in sé la
tendenza ad eliminare tutte le tracce della dissidenza o a non ricordare visioni dei
fatti che siano diverse dalla propria. Nell'evitare il confronto aspro con la compagine
cattolica, i valdesi tendono a dissimulare le loro opinioni , di qui una accresciuta
difficoltà nel ricercare ciò che sia originalmente "valdese", è infatti non infrequente
il passaggio dalla discrezione alla dissimulazione. Un altro elemento da non
sottovalutare è il fatto che il movimento valdese non si è mai costituito in una
organizzazione ecclesiastica. L'assenza di un organismo centrale ha permesso lo
sviluppo di una storia polimorfa difficile da trattenere, nelle sue varie articolazioni,
nella memoria storica dei valdesi. Tutto ciò ha prodotto un risvolto negativo per la
scarsità dei documenti di origine valdese, il lato positivo è da ricercare in una
storiografia che non ha conosciuto il controllo autoritario comune alle società
fortemente organizzate. Vi è infine da evidenziare la caratteristica del mondo e della
società medievali come produttori di una cultura di tradizione orale piuttosto che
scritta, a cui attinge pienamente la storia valdese(31). Il Gonnet ha proposto una
divisione in due gruppi delle fonti della storia valdese: fonti valdesi e fonti cattoliche
o non valdesi, avvalorando l'idea che un tale tipo di contrapposizione corrisponda
alla realtà storica piuttosto che a preoccupazioni puramente confessionali(32). Egli
ha identificato due schieramenti: da una parte la chiesa ufficiale, con le decretali dei
11
papi, i canoni conciliari, i trattati e gli atti degli inquisitori (Salvo Burci, Moneta da
Cremona, Rainerio Sacconi, Stefano di Borbone, L'Anonimo di Passau, David
d'Augsbourg, Anselmo d'Alessandria)(33), i manuali di procedura inquisitoriale
(Bernardo Gui, Nicolas Eymerich), i trattati dei controversisti (Bernardo di
Fontcaude, Gioacchino da Fiore, Alano di Lilla, Eberardo di Bethune, lo pseudo-
Ermengaudo)(34), affiancati dai decreti e le costituzioni di imperatori, re e principi,
senza dimenticare il contributo cronachistico (Goffredo d'Auxerre, Walter Map,
Rccardo di Poitiers, l'Anonimo di Laon, Pietro di Vaux de Cernay, Guglielmo di
Puylaurens, Cesario di Heisterbach, Burcardo e Corrado d'Ursperg)(35); dall'altra
parte l'eresia o l'eterodossia nelle sue molteplici facce, aspetti che si riducono a
frammenti nelle poche fonti a disposizione (Professione di fede di Valdesio, "Liber
antiheresis" di Durando d'Osca, resoconto della Conferenza di Bergamo del
1218)(36). Fonti che, in molti casi, non sono contemporanee ai fatti ed alle dottrine
esaminati e che risultano pertanto intaccate nella loro attendibilità da visioni
unilaterali, da incomprensioni, da superficialità ed anche da mistificazione. Il
Gonnet ha sottolineato infine la necessità di porre l'attenzione sulle motivazioni che
hanno portato alla creazione delle singole fonti ed all'uso che se ne è fatto per
individuarne i limiti e le potenzialità. Anche il Merlo ha contribuito
all'approfondimento del problema delle fonti, rilevando che gli archivi della
"repressione", che è di ordine ecclesiastico, propongono un impianto fortemente
ideologico, di qui la prospettiva di un'eresia come necessaria all'istituzione
ecclesiastica, all'inizio del XIII secolo, per giustificare la propria egemonia. Lo
studioso piemontese ha pure evidenziato una differenza tra le opere polemistiche del
XIII e del XIV secolo: le prime mostrano uno sforzo di comprensione delle
motivazioni religiose degli eretici, per una maggiore efficacia nel combatterli, le
seconde presentano solamente degli stereotipi a beneficio degli specialisti, seguendo
l'intuizione dello Schneider, secondo il quale le osservazioni meno attendibili sul
12