Capitolo 1: Riflessioni sulla lingua
“[...] na vida dos indivíduos e das sociedades, a linguagem constitui fator mais
importante que qualquer outro. Seria inadmissível que seu estudo se tornasse exclusivo de
alguns especialistas; de fato, toda a gente dela se ocupa, pouco ou muito; mas – conseqüência
paradoxal do interesse que suscita – não há domínio onde tenham germinado idéias tão
absurdas, preconceitos, miragens, ficções”.
(Ferdinand de Saussure, 1916, Corso di linguistica generale)
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C’è una regola d’oro nella Linguistica secondo la quale una lingua esiste soltanto se ci sono esseri
umani che la parlano. Secondo Aristotele l’essere umano è un animale politico. Per sillogismo si
conclude che trattare di lingua è trattare di un tema politico, giacché riguarda gli esseri umani.
(BAGNO 2002b: 9)
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Dietro la difesa di un insieme unificato di regole linguistiche c’è sempre una questione ideologica.
Tale difesa si basa sul mito secondo il quale la conoscenza della norma colta è garanzia
dell’inclusione dell’individuo nella categoria di quelli che possono parlare, sanno parlare e hanno
diritto alla parola. Tuttavia la restrizione imposta ai parlanti delle varietà stigmatizzate all’accesso al
sistema educativo fa capire che un’ascensione sociale non avverrà e tale conoscenza rimane un
privilegio di una piccola parte della società.
La discriminazione esplicita contro quelli che “non sanno il portoghese” o che fanno “errori di
grammatica” – diffusa quasi quotidianamente dai mass media – è semplicemente un meccanismo di
esclusione che agisce a un livello più sottile e insidioso. La discriminazione non detta o implicita è
quella che configura una norma occulta, entità apparentemente linguistica che nasconde una
discriminazione che è di fatto sociale. (BAGNO 2007: 14-21)
1.1 Scritto e parlato
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Citazione da BAGNO (2007:7), “[…] nella vita degli individui e delle società, la lingua è il fattore più importante.
Sarebbe inammissibile che il suo studio diventasse esclusivo di alcuni specialisti; infatti, tutti se ne occupano, alcuni di
più altri di meno; ma – conseguenza paradossale dell’interesse che suscita – non c’è un campo in cui siano state
germinate idee tanto assurde, pregiudizi, miraggi, finzioni”.
3
Marcos Bagno è dottore in Lingua Portoghese presso l’Università di San Paolo, professore di Linguistica
all’Università di Brasilia (UnB), scrittore, poeta e traduttore. Si dedica allo studio e alla ricerca nel campo
dell’educazione linguistica, con particolare interesse all’impatto della Sociolinguistica sull’insegnamento. È autore di
oltre venti libri, tra cui scritti che trattano dei rapporti tra lingua e società e le loro conseguenze sull’insegnamento.
Lo scritto non è una sequenza parlata trascritta su carta. Esso ha meno libertà del parlato.
Quest’ultimo ha una pianificazione e un controllo minori e presenta tratti grammaticali marginali o
esclusi dallo scritto. La sua sintassi preferisce discorsi diretti ed evita subordinate complesse. Può
permettersi di essere implicito, con frequente ricorso al contesto, alla presupposizione e alla deissi,
mentre la norma scritta è relativamente rigida. Scritto e parlato hanno quindi un differente peso
normativo e un diverso prestigio sociolinguistico. (SERIANNI 2003: 14-22)
Ci sono casi in cui il parlato e lo scritto sono così vicini da sovrapporsi, sia per quanto riguarda le
strategie testuali, sia per i contesti. Sono gli usi a fare la lingua, non il contrario. Così “parlare e
scrivere bene” non significa adeguarsi alle regole della lingua, ma usare adeguatamente la lingua
per produrre l’effetto desiderato in una determinata situazione. L’uso della lingua si basa quindi
sull’intenzione comunicativa, non sulla morfologia o sulla grammatica. L’attività linguistica varia a
seconda dei contesti, degli interlocutori, delle necessità e della società in cui ha luogo.
(MARCUSCHI 2007: 9-22)
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L’autore per ultimo citato crede che il mito della supremazia sociale e cognitiva dello scritto sul
parlato debba essere superato. Sottolinea che i testi orali non sono caotici né incoerenti né carenti
di coesione interna. Le realizzazioni linguistiche sono pratiche sociali in cui partecipano esseri
umani in carne e ossa. Questi hanno interessi, credenze, desideri, sentimenti, idee e ideali diversi,
che dovrebbero essere riconosciuti e rispettati. Sempre secondo l’autore, l’uomo potrebbe essere
definito come un essere che parla, non come un essere che scrive.
Oralità e scrittura appaiono quindi come pratiche e usi della lingua con caratteristiche proprie, ma
che non identificano due sistemi linguistici né una dicotomia. Permettono la costruzione di testi
coesi e coerenti, l’elaborazione di ragionamenti astratti ed espressioni formali e informali,
variazioni dialettali, sociali e di stile. I limiti e le possibilità di ognuna dipendono dal codice e dal
mezzo, fonico-acustico o visivo, ma non si limitano a esso.
L’oralità ha un primato cronologico indiscutibile sulla scrittura, ma gli usi di quest’ultima
acquistano un valore sociale superiore. Il parlato è acquisito in maniera naturale in contesti
informali e nei rapporti sociali. L’apprendimento e l’uso di una lingua è quindi una forma di
inserimento culturale e di socializzazione. Siccome la scrittura è acquisita in contesti formali, come
la scuola, ha più pregio. In ogni modo, nella società attuale sia l’oralità, sia la scrittura sono
indispensabili. Bisogna quindi fare attenzione a non confondere i loro ruoli e i loro contesti di uso e
soprattutto non discriminare quelli che fanno uso della lingua. Essa non è un mero sistema di
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Luiz Antônio Marcuschi è ricercatore e professore di Linguistica all’Università Federale di Pernambuco -Brasile.
regole né di trasmissione di informazioni, ma è un sistema socioculturale che va oltre al codice.
Contribuisce alla creazione di nuove realtà e ci fa diventare più umani.
La scrittura sarebbe un tentativo di rappresentazione, giacché non c’è un’ortografia che riesca a
riprodurre il parlato con assoluta fedeltà. La scrittura offre i punti interrogativi ed esclamativi, ma
non è in grado di tradurre tutte le intenzioni del parlante. L’autore ritiene che una valorizzazione
esagerata della lingua scritta, unita a un disprezzo per la lingua parlata, costituisca un pregiudizio
linguistico. Esiste purtroppo una forte tendenza nell’insegnamento della lingua a costringere
l’alunno a pronunciare “così come si scrive”, come se questa fosse l’unica maniera “corretta” di
parlare portoghese. Il complesso rapporto tra lingua orale e scritta dovrebbe quindi essere oggetto
di analisi anche nell’insegnamento. (BAGNO 2002b: 46-68)
La lingua parlata è quella appresa dal parlante nel contatto con la famiglia e la comunità.
Strumento essenziale di sopravvivenza già dai primi anni di vita, precede sempre l’apprendimento
della lingua scritta. D’altro canto la lingua scritta è totalmente artificiale, richiede esercitazione e
memorizzazione. Obbedisce a regole fisse e ha una tendenza conservatrice.
L’autore afferma che lo studio della grammatica nell’antichità classica aveva come obiettivo
ricercare le regole della lingua scritta per poter preservare le forme considerate più corrette ed
eleganti della lingua letteraria. La parola grammatica vuol dire appunto “l’arte di scrivere”.
L’insegnamento tradizionale della lingua vuole che le persone parlino sempre nella stessa maniera,
come i grandi scrittori hanno scritto le loro opere. La grammatica tradizionale disprezza totalmente
i fenomeni della lingua orale e vuole imporre la lingua letteraria come unica forma legittima di
parlare e scrivere, come unica manifestazione linguistica degna di essere studiata. L’enfasi posta
sul testo letterario produce una visione restrittiva della lingua, che la identifica come
regolamentazione ortografica.
L’importanza della lingua parlata nello studio scientifico consiste soprattutto nel fatto che i
cambiamenti e le variazioni che trasformano incessantemente la lingua avvengono per lo più nel
parlato. Chi vuole conoscere, ad esempio, lo stato attuale della lingua portoghese in Brasile
dovrebbe ricercare empiricamente la lingua parlata, come fanno i ricercatori dei progetti NURC
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e
CENSO
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, per esempio.
5
Progetto di studio della norma linguistica urbana colta, con l’obiettivo di documentare e descrivere l’uso urbano del
portoghese parlato in Brasile, nei suoi aspetti fonetico-fonologici, morfologici, sintattici e lessicali. Si svolge in cinque
capoluoghi brasiliani: Recife, Salvador, Rio de Janeiro, San Paolo e Porto Alegre. Il corpus rappresenta il parlato
abituale di donne e uomini laureati.
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Progetto di variazione linguistica - attualmente chiamato PEUL - dello stato di Rio de Janeiro.
1.2 Pregiudizi linguistici
Il pregiudizio linguistico si basa sulla convinzione che esiste un’unica lingua portoghese degna di
questa denominazione. Si tratta della lingua insegnata nelle scuole, spiegata nelle grammatiche e
catalogata nei dizionari. Nell’ottica di tale pregiudizio, qualsiasi altra manifestazione linguistica è
considerata sbagliata, brutta, rudimentale, inadeguata. Non di rado si sentono affermazioni come
“questo non è portoghese”. (BAGNO 2002b: 73-79)
“Muito preconceito decorre do valor atribuído às variedades padrão e ao estigma associado às
variedades não padrão, consideradas inferiores ou erradas pela gramática. Essas diferenças
não são imediatamente reconhecidas e, quando são, são objeto de avaliação negativa.
Para cumprir bem a função de ensinar a escrita e a língua padrão, a escola precisa livrar-se de
vários mitos: o de que existe uma forma ‘correta’ de falar, o de que a fala de uma região é
melhor do que a de outras, o de que a fala ‘correta’ é a que se aproxima da língua escrita, o de
que o brasileiro fala mal o português, o de que é preciso ‘consertar’ a fala do aluno para evitar
que ele escreva errado.
Essas crenças insustentáveis produziram uma prática de mutilação cultural [...]”
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È necessario quindi capire i meccanismi di esclusione che esistono alla base dell’imposizione di
norme grammaticali conservatrici nell’insegnamento della lingua. Ci vuole un grande sforzo per
non incorrere nell’errore millenario dei grammatici tradizionalisti di studiare la lingua come una
cosa morta, senza prendere in considerazione le persone vive che la parlano. Ogni varietà linguistica
risponde alle necessità di una società ed è risultato di un processo storico.
I pregiudizi linguistici sono strettamente legati alla confusione creata nel corso della storia tra
lingua e grammatica normativa. Quest’ultima non è la lingua. Essa esiste nella società,
indipendentemente dalla sua descrizione nei libri. C’è stata quindi un’inversione nella realtà storica,
in cui la grammatica è diventata strumento di potere e di controllo. Quello che non figura nella
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Citazione da BAGNO (2002b:75), “molti pregiudizi decorrono dal valore attribuito alle varietà standard e allo stigma
associato alle varietà non standard , considerate inferiori o sbagliate dalla grammatica. Tali differenze non sono
immediatamente riconosciute e, quando lo sono, sono sottovalutate. Per assolvere bene il compito di insegnare la
scrittura e la lingua standard, la scuola deve liberarsi di vari miti: che esista una forma ‘corretta’ di parlare o che il
parlato di una regione sia migliore degli altri, che il parlare ‘corretto’ sia quello che si avvicina allo scritto, che il
brasiliano parli male il portoghese, che il portoghese sia una lingua difficile, che sia necessario ‘aggiustare’ il parlato
dell’alunno per evitare che scriva in modo sbagliato. Queste credenze insostenibili hanno prodotto una pratica di
mutilazione culturale […]”.
grammatica normativa non è considerato portoghese. Si è creato dunque il mito secondo il quale
bisogna sapere la grammatica per “parlare e scrivere bene”. Se così fosse, tutti i grammatici
sarebbero grandi scrittori e gli scrittori bravi sarebbero specialisti in grammatica.
Sempre secondo lo stesso autore, i pregiudizi si instaurano nelle menti delle persone, in modo tale
che gli atteggiamenti che denotano pregiudizio diventano parte integrante del loro proprio modo di
essere e di stare al mondo. Ci vuole un lento, continuo e profondo lavoro per rivelare i meccanismi
perversi che compongono la mitologia del pregiudizio. E il tipo più grave di pregiudizio è quello
che uno ha riguardo a se stesso. Molti brasiliani credono di non sapere il portoghese, che il
portoghese sia molto difficile, e che la lingua parlata in Brasile sia tutta sbagliata.
Tali affermazioni sono dovute al fatto che l’insegnamento della lingua in Brasile si è sempre basato
sulla norma grammaticale del Portogallo. Così la maggior parte delle regole imparate a scuola non
corrispondono alla lingua che veramente si parla e si scrive in Brasile. Si pensa che il portoghese sia
una lingua difficile appunto perché si devono memorizzare concetti e regole che non vengono
riscontrati nella pratica quotidiana. Se l’insegnamento della lingua portoghese in Brasile si basasse
sul suo uso reale, vivo e genuino, probabilmente tale pregiudizio sarebbe meno diffuso.
Ogni parlante nativo sa la propria lingua, il che significa conoscere intuitivamente e impiegare con
naturalezza le regole basiche del suo funzionamento. Il problema è quindi che l’insegnamento
tradizionale della lingua in Brasile non prende in considerazione l’uso brasiliano del portoghese. Il
brasiliano sa parlare il proprio portoghese, quello del Brasile, che è la lingua materna di tutti quelli
che lì nascono e vivono, mentre i portoghesi conoscono il proprio portoghese.
La convinzione che solo in Portogallo si parla bene il portoghese è il rovescio della stessa medaglia,
che riflette il senso di inferiorità dei brasiliani nei confronti del Portogallo, Paese più antico. Tali
pregiudizi vengono tramandati di generazione in generazione tramite l’insegnamento tradizionale
della grammatica a scuola, che non ammette che il portoghese brasiliano sia diverso dal portoghese
parlato in Portogallo.
Dal punto di vista linguistico, la lingua parlata in Brasile possiede già la propria grammatica o
regole di funzionamento proprie, sempre più diverse dalla variante europea. I linguisti preferiscono
usare il termine “portoghese brasiliano” perché è più chiaro e ben indica l’esistenza di differenze.
Queste riguardano l’uso, e differenza non è sinonimo di inadeguatezza, né di inferiorità. Si tratta di
un pregiudizio negativo che coinvolge anche altre lingue, in cui si difende sempre la lingua del
colonizzatore contro la lingua dell’ex-colonia.
Sempre secondo BAGNO (2002b: 15-19), un altro luogo comune riguarda la presunta unità
linguistica brasiliana. Non riconoscendo la vera diversità del portoghese parlato in Brasile, la scuola
impone la sua norma linguistica come se fosse di fatto la lingua comune agli oltre centosettanta
milioni di brasiliani, indipendentemente dalla loro età, origine geografica, situazione
socioeconomica, grado di scolarità e sesso.
Nonostante la lingua parlata dalla maggioranza della popolazione sia il portoghese, questo presenta
un alto grado di diversità e di variabilità. Tale fatto è dovuto non soltanto alla grande estensione
territoriale del Paese, ma soprattutto alla tragica ingiustizia sociale. Molte parlate regionali sono
vittime di pregiudizio e le gravi differenze di status sociale provocano l’esistenza di un vero abisso
linguistico tra i parlanti delle varietà popolari del portoghese brasiliano e i parlanti della cosiddetta
varietà colta, insegnata a scuola.
Il mito della lingua unica è contrastato dal fatto che milioni di brasiliani non hanno accesso a tale
lingua, alla norma letteraria, colta, usata da scrittori, giornalisti, istituzioni ufficiali, organi del
potere – sono i cosiddetti “senza lingua”. Anch’essi parlano portoghese, una varietà non standard,
con una grammatica propria, non riconosciuta come valida, ridicolizzata da chi parla il portoghese
standard o da quelli che lo hanno come riferimento ideale, benché non lo parlino.
Sarebbe necessario non confondere la nozione di “monolinguismo” con quella di “omogeneità
linguistica”. Il portoghese brasiliano non è un blocco compatto, coeso e omogeneo. Spesse volte la
norma linguistica insegnata in aula è quasi una lingua straniera per l’allievo, proveniente da
ambienti sociali dove la norma linguistica impiegata è una varietà di portoghese non standard.
“Melius est reprehendant nos grammatici quam non intelligant populi”
Sant’Agostino (354-430)
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1.3 Brasiliano o portoghese?
Secondo l’ipotesi formulata da BAGNO (2002: 167-177), a cominciare dal livello più elementare
della lingua, quello fonetico, nel PE esistono suoni e combinazioni di suoni completamente
sconosciuti dai brasiliani e viceversa. Quando si considera la sintassi, la semantica e la pragmatica
l’abisso è ancora più grande. Ci sono quindi profonde differenze nell’uso e nell’interpretazione che
brasiliani e portoghesi fanno delle risorse linguistiche di cui dispongono.
Uno stesso enunciato può avere interpretazioni diverse in Brasile e in Portogallo. Ci sono costrutti
perfettamente accettabili nel PB che sembrerebbero agrammaticali, inaccettabili o incomprensibili a
un parlante del PE. Cambiarli significherebbe modificare anche la loro natura e l’uso colloquiale. È
la dimostrazione che la grammatica della lingua si evolve.
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Citazione da BAGNO (2007:7), “ Meglio essere rimproverati dai grammatici che non essere capiti dal popolo”.
L’illusione che in Brasile e in Portogallo si parli la stessa lingua è dovuta alla morfologia analoga e
al vocabolario comune, nonostante le parole non abbiano sempre lo stesso significato nei due Paesi.
Oltre alle differenze di uso e delle risorse sintattiche e lessicali, sono diverse anche le intenzioni che
riguardano gli usi. Visioni diverse del mondo implicano visioni e usi diversi della lingua. Enormi
differenze ci sono anche nell’ambito della prosodia, nel ritmo del parlato, nell’intonazione degli
enunciati e, infine, in tutto un insieme di regole di uso delle risorse foniche.
Sempre secondo l’autore citato, se si immagina il latino come un fiume da cui partono le lingue
romanze, il PB potrebbe già essere considerato come una di queste lingue. Nato nel 1500, con
l’arrivo dei portoghesi, ha cominciato il suo processo continuo di variazione e cambiamento, che
ormai prosegue da oltre cinquecento anni. L’autore ritiene che sia il PE che il PB, nelle loro forme
attuali, rappresentino due varietà che derivano dal portoghese parlato in Portogallo nel 1500. Passati
oltre cinquecento anni tanto il PB quanto il PE si sono modificati, ognuno ha seguito la propria
direzione e all’interno di essi sono state operate scelte diverse. La tendenza è che tale
differenziazione sia sempre più grande con il passare del tempo.
Quando si afferma che il portoghese è una delle lingue più parlate al mondo, si tratta in realtà del
PB, lingua materna di oltre centosettanta milioni di persone. Se le differenze tra il PB e il PE
fossero riconosciute, l’insegnamento della lingua sarebbe più democratico e realista, e si
accetterebbero come giuste e corrette, anche nella scrittura più formale, le costruzioni grammaticali
presenti nella lingua materna dei brasiliani, impiegate quotidianamente dal nord al sud del Paese.
Ammettere le differenze tra il PB e il PE significa ammettere le differenze tra le due culture. Ogni
cultura ha uno stretto rapporto con l’ecologia – suolo, clima, topografia, idrografia, ecc. – e con i
fattori etnografici – la composizione etnica della popolazione. Sulla base di tutti questi fattori che
influiscono sulle esigenze comunicative e sulle necessità espressive di ogni persona e di ogni
società, occorre quindi riconoscere la familiarità linguistica, ma non l’identità tra il PB e il PE.
L’autore crede che il PB si trovi in uno stadio intermedio della sua evoluzione. Cinquecento anni fa
poteva essere chiamato semplicemente “portoghese”. Oggi potrebbe e dovrebbe essere chiamato
“portoghese brasiliano”. Magari fra altri cinquecento anni potrà essere chiamato soltanto
“brasiliano”.
1.4 (Dis)accordo ortografico
Per quanto riguarda la questione dell’accordo ortografico, sono interessanti le affermazioni di
SILVA (2008), il quale rileva che il PB, con le sue varianti regionali, è molto più vocalico del PE
che, d’altra parte, è più consonantico. L’autore si chiede se sia possibile un accordo sul modo di
scrivere quando non esiste consenso sul parlato. Aggiunge che non è possibile congelare la lingua,
che è viva, pulsante. Parole ed espressioni in uso in un periodo cadono in disuso in un altro. Perfino
tempi verbali vengono creati ed eliminati e non c’è accademia che possa trattenere la dinamica
storica di una lingua.
L’accordo ortografico intende facilitare e standardizzare la scrittura, così il portoghese potrà avere
le stesse regole in tutti i Paesi in cui è adottato come lingua ufficiale. Secondo i sostenitori
dell’accordo, basterebbe eliminare le differenze nell’ortografia e i libri pubblicati in Portogallo non
dovrebbero più essere adattati quando vengono pubblicati in Brasile. Sia il mercato portoghese sia
quello di Paesi come Angola e Mozambico diventerebbero più accessibili ai libri e alle riviste
pubblicati in Brasile.
Secondo l’autore citato, l’ortografia è comunemente considerata uno degli aspetti più importanti
delle lingue scritte, ma è anche uno dei più polemici. La polemica si riferisce non soltanto al modo
in cui si scrive una determinata lingua, ma anche al modo in cui essa viene costituita e come
interagisce con l’universo di significati sociali, linguistici, storici e culturali attorno a sé.
La scrittura, nonostante il rapporto con il parlato, ha regole proprie, tutelate dalla normalizzazione
grafica, chiamata ortografia. Questa è sempre stata presente nei momenti di consolidamento della
lingua portoghese, sia come manifestazione di modi diversi di scrivere le parole, sia come
fenomeno ideologico e di politica linguistica di una determinata epoca o gruppo sociale. Si può dire,
quindi, che la storia della lingua portoghese è anche la storia della sua ortografia.
Non sono recenti i tentativi di unificare l’ortografia della lingua, né sono nuove le modifiche alla
lingua. Ci sono almeno tre momenti significativi riguardanti la sua trasformazione: nei sec. XIII-
XVI predominava un’ortografia fonetica, basata sulla pronuncia; nei sec. XVI-XIX era prevalente
una grafia erudita, di natura pseudoetimologica; nel sec. XX ha avuto il primato un’ortografia
semplificata, che eliminava i fenomeni puramente fonetici e l’eruditismo etimologico. Tali
cambiamenti venivano sempre seguiti da tentativi di normalizzazione dell’ortografia della lingua,
per la necessità di stabilire un ordine in ciò che sembrava caotico agli studiosi del linguaggio e ai
parlanti in generale. Il problema ortografico è stato da sempre una delle principali preoccupazioni
dei grammatici, degli intellettuali e dei politici, data la varietà grafica esistente anche nei registri più
colti della lingua.
Durante il sec. XIX le discussioni sulla questione ortografica in Brasile e in Portogallo ebbero una
base nazionalistica. Furono pubblicati decreti e realizzati accordi ortografici che davano un senso di
legalità all’indipendenza dell’idioma. Nel sec. XX, con la crescita del mercato editoriale, lo
sviluppo delle relazioni internazionali e l’intensificazione dei rapporti culturali fra Brasile e
Portogallo, la divergenza grafica sembra essere diventata fatto insostenibile per alcuni. Gran parte
degli autori brasiliani scriveva secondo l’ortografia vigente in Portogallo o pensava ai lettori
portoghesi, usando vari lusitanismi. Questo però non risolveva il problema delle variazioni di grafia,
che è diventato una vera questione ortografica. In tale contesto, le divergenze non erano più solo
ortografiche, ma anche ideologiche.
Sempre secondo lo stesso autore, nel 1907, l’Academia Brasileira de Letras propose uno dei
progetti iniziali di riforma ortografica, completata nel 1912, dopo una serie di critiche sia dai
portoghesi che dai brasiliani. Tuttavia, la riforma più polemica avvenne in Portogallo nel 1911.
Nel 1931, l’Acordo Ortográfico Luso-Brasileiro, organizzato dall’Academia Brasileira de Letras e
dall’Academia de Ciências de Lisboa è stato il primo progetto ad avere una grande accettazione da
parte di brasiliani e portoghesi. Nonostante le buone intenzioni di ambedue le parti, questo primo
accordo non ha avuto l’effetto che si attendeva. Nel 1940 è stato pubblicato in Portogallo il
Vocabulário Ortográfico da Língua Portuguesa, e nel 1943, il Pequeno Vocabulário Ortográfico
da Língua Portuguesa, in Brasile.
Nel 1945 ha avuto luogo la celebre Conferência Inter-Acadêmica de Lisboa para a Unificação
Ortográfica da Língua Portuguesa, che ha cercato di uniformare l’ortografia utilizzata dalle due
principali nazioni lusofone. In seguito, alcune decisioni parziali sono state approvate, fino alla
presentazione della principale proposta contemporanea di unificazione ortografica, l’Acordo
Ortográfico da Língua Portuguesa, del 1986/1990.
Tale accordo consiste in un documento che istituisce nuove regole ortografiche per le nazioni che
adottano il portoghese come lingua ufficiale e compongono la Comunità dei Paesi di Lingua
Portoghese (CPLP): Portogallo, Brasile, Angola, Capo Verde, Guinea Bissau, Mozambico, San
Tomé e Principe e Timor Est. La prima parte dell’accordo stabilisce l’obbligo di approvare un
lessico comune, mentre la seconda presenta le regole ortografiche.
Secondo l’autore, il portoghese è la sesta lingua al mondo, parlata da circa 240 milioni di persone,
in almeno otto Paesi. Si tratta dunque di un progetto ampio che avrà conseguenze in tutti gli ambiti
in cui la scrittura è elemento indispensabile. In alcuni Paesi tali cambiamenti saranno maggiori che
in altri: in Portogallo l’1,6% del lessico sarebbe modificato, mentre in Brasile la modifica
riguarderebbe lo 0,5% dell’universo lessicale. Nel mercato editoriale tali modifiche inciderebbero
su 320 milioni di libri.
L’accordo è stato presentato nel 1986 in occasione del primo incontro della CPLP, quando il
filologo Antônio Houaiss, rappresentante dell’Academia Brasileira de Letras, ha presentato un
memorandum sull’Acordo Ortográfico da Língua Portuguesa. Nel 1990 è stato ufficialmente
approvato a Lisbona. Era previsto che entrasse in vigore nel 1994, ma non ha ricevuto le ratifiche
necessarie. Dinanzi a questo primo fallimento, sono stati firmati due protocolli con emendamenti:
uno nel 1998, che annullava il limite dell’entrata in vigore nel 1994 e il secondo nel 2004, che
stabiliva che, per far entrare in vigore l’accordo, sarebbe bastata la ratifica di soli tre Paesi e
includeva Timor Est tra i Paesi partecipanti all’accordo.
Le prime ratifiche sono avvenute nel 2004, in Brasile, e nel 2006, a Capo Verde e San Tomé e
Principe. In teoria, l’accordo avrebbe dovuto essere valido già a partire da quella data. Il Portogallo
dovrebbe adeguarsi dal 2008, anche se le modifiche nell’ortografia comincerebbero dopo sei anni.
Capitolo 2: Confronto tra le edizioni
“ E não desconfiemos da nossa língua, porque
os homens fazem a língua, e não a língua os homens.”
(Fernão de Oliveira)
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Questo lavoro di ricerca sul romanzo “Veronika decide morrer” di Paulo Coelho ha preso in
considerazione le prime cinquantasette e quarantasette pagine delle edizioni brasiliana e portoghese
rispettivamente. Le differenze tra le due edizioni sono state sottolineate nei due libri e in seguito
sistemate in due colonne (si veda appendice) e poi raggruppate nelle tabelle che seguono. La
colonna a sinistra riporta gli esempi riscontrati nell’edizione brasiliana, mentre la colonna a destra
riporta gli esempi riscontrati nella versione portoghese.
Data la loro quantità e diversità, in questo capitolo verranno illustrate le differenze che più hanno
interesse per l’analisi linguistica. Uno studio più approfondito e un’analisi più dettagliata dei
fenomeni linguistici riscontrati nelle due diverse edizioni potranno essere realizzati in una
successiva tesi di laurea specialistica.
Nella prima parte, paragrafo 2.1, oltre agli esempi riscontrati nei due libri, sono state riportate
alcune modifiche proposte dall’accordo ortografico, con i rispettivi esempi.
2.1 Fonologia e grafematica
Secondo TAVARES (2004: 150), le differenze fonetiche tra il PB e il PE spiegherebbero il perché
di due ortografie ufficiali, una brasiliana e un’altra europea.
Già nella citazione riportata all’inizio del libro in esame è possibile riscontrare la differenza di
pronuncia della parola ‘Amen’, pronunciata come in italiano nel PE e con la seconda sillaba tonica
nel PB:
9
Citazione da ALMEIDA MOURA (2006: 11), “E non sospettiamo della nostra lingua, perché sono gli uomini a farla,
non il contrario.”