Crisi d’impresa: gli interventi tecnici di risanamento
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in un contesto complesso e variabile come quello della crisi d’impresa, soprattutto
mancando un’esperienza, direttamente vissuta, di un progetto di risanamento1.
Sulla base dei suddetti presupposti, il primo capitolo ha la funzione di offrire un
quadro generale della crisi d’impresa, tentando innanzitutto di fornirne una
definizione esaustiva: molto difficile tuttavia, nonostante l’argomento sia oggetto
di numerosi studi, si è rivelato individuare una definizione univoca e
universalmente valida del problema; ciò crediamo sia dovuto al fatto che ogni
crisi presenta proprie peculiarità. Il capitolo prosegue con l’illustrazione degli
stadi attraverso i quali si giunge ad una situazione di crisi acuta2 (ma ancora
reversibile), nonché con la presentazione di una possibile classificazione delle
cause della crisi d’impresa, per concludere, infine, con alcuni cenni agli strumenti
che permettono di realizzare un’adeguata diagnosi della crisi. L’accertamento
delle cause determinanti lo stato critico è parte attiva del processo di risanamento,
nonché di cruciale importanza per una corretta diagnosi e per l’eventuale
successiva definizione degli interventi da adottare.
1
Icastico è il titolo di un paper di STEVEN L. VICTOR, Tips from the Trenches (in Turnaround
Management 2003: A guide to Corporate Restructuring and Renewal, Istitutional Ivestor Inc.), che
con le sue “notizie dalla trincea” evidenzia la necessità di solide basi di conoscenze empiriche per
poter realizzare un turnaround di successo.
2
L’interesse è concentrato infatti sull’esame delle situazioni critiche giunte ad uno stato molto
avanzato e che hanno compromesso gravemente l’economicità dell’impresa, al punto che la crisi è
percepita come un evento globale e al limite della cronicizzazione, così da richiedere un
cambiamento di rotta intensamente articolato e soprattutto organico.
Crisi d’impresa: gli interventi tecnici di risanamento
3
Il secondo capitolo si concentra su una fase fondamentale del processo di
risanamento, vale a dire la scelta tra l’opzione di risanamento e quella alternativa
della liquidazione; la criticità di detta scelta risiede nel fatto che una puntuale
presa di coscienza della crisi e, conseguentemente, l’adozione immediata di
interventi propedeutici e preparatori del turnaround, aumentano notevolmente le
probabilità di successo dello stesso. Una volta optato per il risanamento, è poi
necessario decidere se utilizzare strumenti stragiudiziali e/o giudiziali per la
realizzazione dello stesso; i sistemi privatistici sono certamente quelli che
maggiormente consentono il mantenimento del valore dell’impresa e dei
cosiddetti intangibles. È necessario tuttavia ricordare che, con la recente riforma
fallimentare, si è tentato, anche nell’ambito degli strumenti giudiziari, di spostare
il focus dalla tutela dei creditori, alla conservazione dell’impresa in crisi.
Alle decisioni di cui sopra segue l’elaborazione della vera e propria strategia di
risanamento, volta al recupero della redditività e dell’efficienza. L’analisi delle
alternative strategiche, praticabili in funzione dei diversi fattori causali della crisi,
è oggetto del terzo capitolo, il quale illustra altresì brevemente, le fasi e le
caratteristiche di fondo del processo di turnaround per il risanamento.
Il quarto capitolo entra nel vivo dell’argomento oggetto del presente lavoro,
essendo dedicato più dettagliatamente al superamento della crisi, ed in particolare
all’illustrazione dei principali provvedimenti urgenti e comunque propedeutici
all’impostazione del piano di risanamento vero e proprio; si tratta di interventi
Crisi d’impresa: gli interventi tecnici di risanamento
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immediati posti in essere al fine di evitare un ulteriore aggravamento della crisi e
di guadagnare tempo per l’elaborazione del piano.
Il contenuto del piano di risanamento, invece, è analizzato più nel dettaglio negli
ultimi tre capitoli; nello specifico, il quinto e il sesto capitolo si focalizzano sui
provvedimenti programmati nel piano industriale, illustrando rispettivamente,
l’uno gli interventi di asset restructuring, l’altro quelli sulla gestione (interventi di
razionalizzazione e di riorientamento strategico), che pongono le basi per il
ritorno alla redditività.
Il settimo capitolo, infine, si occupa del piano finanziario, complemento
indispensabile per la realizzazione della ristrutturazione a livello industriale; la
debt restructuring è stata trattata soffermandosi in modo particolare sugli
interventi tecnici, adottabili autonomamente o combinati tra loro, quali:
consolidamento dell’esposizione debitoria, rinegoziazione del tasso d’interesse,
ottenimento di nuova finanza, ricapitalizzazione dell’impresa, riduzione del debito
e conversione dei debiti in capitale.
Crisi d’impresa: gli interventi tecnici di risanamento
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CAPITOLO I
LA CRISI D’IMPRESA: ASPETTI INTRODUTTIVI
I.1 LA DEFINIZIONE DI CRISI D’IMPRESA
Negli studi dedicati al tema, la crisi viene spesso descritta attraverso l’analisi delle
possibili cause e dei relativi effetti, cercando al contempo di individuare eventuali
opzioni di risoluzione; ciò è conseguenza della difficoltà di addivenire ad una
definizione che sia in qualche modo oggettiva3. Tale circostanza suggerisce
dunque di tentare una deduzione concettuale che tenga conto dei vari contributi
teorici e delle caratterizzazioni del fenomeno.
Per comprendere appieno il significato del fenomeno “crisi” occorre partire dalla
considerazione secondo la quale l’azienda, per svolgere in modo proficuo la
propria attività, deve mostrare attitudine ad una economicità adeguata e duratura4.
3
Un tentativo di offrire una definizione su base quantitativa del fenomeno è quello proposto dal
Guatri, il quale si ricollega alla teoria della creazione del valore. Egli afferma come la vitalità
dell’impresa possa essere misurata in termini di capacità prospettica di accrescimento del valore
del capitale economico (ΔW); se la propensione alla crescita rallenta per poi invertirsi, significa
che l’impresa sta distruggendo valore nel tempo, palesandosi la situazione di declino. Se alle forti
perdite economiche seguono gravi e crescenti ripercussioni sul piano dei flussi finanziari, della
solvibilità, della perdita di credito e di fiducia, siamo di fronte ad una situazione di crisi. Cfr.
GUATRI L., Turnaround. Declino, crisi e ritorno al valore, EGEA, Milano, 1995, pagg. 107 e ss.
4
«In quest’ambito, il termine economicità è utilizzato per esprimere la capacità della gestione di
mantenersi in equilibrio economico: pertanto, come sinonimo di forza di reddito, di vitalità
economica, ovvero, con termini analoghi, di autosufficienza economica, di oggettiva curabilità, di
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6
Ciò avviene quando la gestione è in grado di produrre ricavi di vendita tali da
remunerare tutti i fattori produttivi e da assicurare un congruo compenso al
soggetto economico (c.d. oneri figurativi); è necessario altresì vi sia garanzia che
tali risultati non sono meramente contingenti.
Al fine di evitare fraintendimenti tuttavia, sono necessarie alcune precisazioni
circa la durevolezza e l’adeguatezza della condizione di economicità.
Avendo riguardo alla durevolezza, è importante chiarire che i concetti di reddito
positivo e di economicità non coincidono. Il primo è espressione della
performance di breve termine; risulta perciò poco significativo perché, da un lato,
potrebbe dipendere da eventi congiunturali e/o occasionali, dall’altro sconta
l’incertezza legata alla scomposizione della dinamica aziendale in esercizi5 e alle
c.d. politiche di bilancio. Ne consegue che la valutazione di economicità va estesa
agli sviluppi ulteriori del moto aziendale: tale impostazione farà ritenere
potenzialmente in crisi le aziende attualmente in equilibrio economico, se si può
ragionevolmente intuire vi sarà una perdita di capacità reddituale; non farà
considerare invece in crisi le imprese che non sono attualmente in condizione di
equilibrio economico, quando si prospetta lo diverranno in tempi accettabili.
capacità propria di esistenza. La redditività, intesa come attitudine a produrre redditi, è un concetto
meno ampio perché, per coincidere con l’economicità, deve essere equa e duratura». PROSPERI S.,
Il governo economico della crisi aziendale, Giuffrè, Milano, 2003, pag. 18.
5
In effetti soltanto il risultato economico riferito all’intera vita dell’azienda è definibile come dato
certo, reale, essendosi sciolti i vincoli tra le componenti aziendali al momento della cessazione.
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Con riferimento all’adeguatezza inoltre, va rilevato che l’economicità deve
tendere allo sviluppo: ciò significa che l’azienda, in presenza di costi prospettici
superiori a quelli storici, non può limitarsi a reintegrare quest’ultimi, trovandosi
altrimenti in una posizione di disequilibrio economico6.
In definitiva si potrà parlare di crisi, più o meno grave, soltanto qualora sia
accertato il difetto di economicità7, anche nell’ottica delle suddette “condizioni di
tempo e di misura”. Di qui l’affermazione che l’equilibrio fondamentale è quello
economico; pur essendo lo stesso certamente influenzato dall’equilibrio
finanziario, è altrettanto vero che quando l’equazione economica non è soddisfatta
(e si ha la crisi) ne risultano pregiudicate sia la dinamica finanziaria che la
struttura patrimoniale8. Quanto detto ci permette di affermare che raramente lo
6
Dovrà dunque essere in grado di garantire il rinnovo dei fattori pluriennali, al fine di mantenere
la dinamica ad un livello equivalente a quella precedente, nonché un’equa remunerazione del
soggetto economico in ottica prospettica, venendo altrimenti meno l’incentivo alla conservazione
ed allo sviluppo dell’azienda.
7
«Un’azienda è in crisi quando non è più in condizioni di soddisfare il suo equilibrio economico».
SCIARELLI S., La crisi d’impresa. Il percorso gestionale di risanamento nelle piccole e medie
imprese, Cedam, Padova, 1995, pag. 10. Sul punto si legga anche: PEZZANI F., Le crisi aziendali e
le procedure concorsuali: il contributo all’analisi delle discipline economico aziendali, in
AA.VV., Crisi di impresa e procedure concorsuali. Spunti critici emergenti da un’indagine
empirica, Giuffrè, Milano, 1996, pag. 11.
8
«Il perdurare di risultati negativi determina da un lato uno squilibrio monetario, dovuto
all’eccedenza dei costi rispetto ai ricavi e, dall’altro, un depauperamento patrimoniale,
precludendo altresì la possibilità di colmare tale deficit attraverso il ricorso a fonti esterne
aggiuntive, di rischio e/o di credito». PROSPERI S., L’insolvenza e la crisi aziendale: aspetti
Crisi d’impresa: gli interventi tecnici di risanamento
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stato di crisi ha matrice esclusivamente finanziaria; se così fosse sarebbe infatti
sufficiente ripristinare tale equilibrio per risolvere lo stato di dissesto. Nella
maggior parte dei casi invece, lo squilibrio finanziario rappresenta soltanto la
manifestazione ultima, che certamente va ad aggravare ancor di più le perdite, di
patologie aventi altra origine, specialmente economica9.
Ulteriori aspetti vanno ad arricchire la prima definizione, sin qui prospettata, dello
stato di crisi. Innanzitutto lo stesso si caratterizza per avere un carattere globale, in
quanto si sostanzia in disfunzioni diffuse che vanno a compromettere gli equilibri
di fondo dell’impresa nel complesso.
A ciò va aggiunto che la crisi è solitamente conseguenza del progressivo
deterioramento di situazioni di squilibrio e di inefficienza di origine interna e/o
esterna; è data cioè da una situazione latente che diviene manifesta solo quando è
giunta in fase acuta, al verificarsi del c.d. trigger event (evento scatenante)10. La
introduttivi, in AA.VV., I modelli di previsione delle crisi aziendali: possibilità e limiti, Giuffrè,
Milano, 2006, pag. 17.
9
La dottrina è pressoché concorde sul punto. Si vedano, tra gli altri: BASTIA P., Pianificazione e
controllo dei risanamenti aziendali, Giampichelli, Torino, 1996, pag. 47 e pag. 134; GUATRI L.,
Turnaround. Declino, crisi e ritorno al valore, op. cit., pag. 147; SCIARELLI S., La crisi d’impresa.
Il percorso gestionale di risanamento nelle piccole e medie imprese, op. cit., pag. 11.
10
«Una crisi aziendale difficilmente può essere il risultato di un drastico e improvviso
cambiamento dell’ambiente, mentre normalmente si configura come l’emersione, in uno stadio
finale, di un lento deterioramento nel tempo della strategia e della struttura aziendale». SCIARELLI
S., La crisi d’impresa. Il percorso gestionale di risanamento nelle piccole e medie imprese, op.
cit., pag. 8.
Crisi d’impresa: gli interventi tecnici di risanamento
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gravità di uno stato di crisi poi viene segnalata, più che dall’entità delle risorse da
investire, dai tempi disponibili per il suo fronteggiamento, ossia dal grado di
urgenza: tale elemento renderà necessari interventi immediati, volti ad avviare il
processo di risanamento, nonché, in una prospettiva temporale meno breve,
interventi decisivi ai fini della risoluzione della crisi.
La corretta definizione del concetto di crisi aziendale impone, infine, di accennare
alla sua espressione qualitativa, avente un proprio influsso sulla vicenda
aziendale, essendo quella quantitativa necessaria ma non sufficiente per esprimere
compiutamente la condizione di salute dell’impresa. Il riferimento è tanto alle
condizioni e modalità produttive interne, e dunque alle cosiddette risorse
intangibili identificabili in know-how, esperienze, interdipendenze, quanto al
grado di affermazione dell’azienda e alla sua immagine all’esterno. In tale ottica,
la crisi d’azienda è stata definita «[…] anche come l’epilogo di una situazione di
degrado delle risorse immateriali fondamentali, che - piuttosto che seguire il
circolo virtuoso dell’arricchimento del patrimonio aziendale favorendo lo
sviluppo dell’impresa - innescano un circuito vizioso che, in assenza di interventi
di risanamento, conduce al progressivo impoverimento delle “conoscenze” e alla
perdita di “fiducia” all’interno e all’esterno dell’impresa»11.
11
VICARI S., Risorse aziendali e funzionamento d’impresa, in Finanza, Marketing e Produzione, n.
3, 1992, pag. 135.
Crisi d’impresa: gli interventi tecnici di risanamento
10
I.2 GLI STADI DEL PROCESSO DI DETERIORAMENTO DEL
SISTEMA-AZIENDA
Si è detto che la crisi aziendale trae origine dalla progressiva propagazione delle
disfunzioni aziendali, conseguenza di una tardiva o assente efficace reazione.
A tal proposito l’analisi delle politiche gestionali delle aziende in crisi, integrata
dalle valutazioni dei risultati economici e finanziari correlati alle scelte operate, ha
consentito l’identificazione, pur nella peculiarità degli accadimenti che segnano la
vita della singola impresa, di un percorso “tipico” delle crisi aziendali: esso
evidenzia quattro stadi, rappresentanti momenti del graduale processo di degrado
delle condizioni globali di equilibrio, con le relative manifestazioni12.
Il primo stadio coincide con il manifestarsi di un iniziale segnale negativo, non
ancora espressione di prima disfunzione, e si definisce di incubazione: in tale fase
sono presenti accennati fenomeni di inefficienza13, ed è possibile attivare una
gestione che prevenga l’avvio di un processo disfunzionale. Peculiarità di tale
stadio è data dal fatto che i risultati di periodo sono sostanzialmente in pareggio,
le tensioni finanziarie lievi e non si ha erosione patrimoniale.
12
Cfr. GUATRI L., Turnaround. Declino, crisi e ritorno al valore, op. cit., pag. 111 e ss.
13
Sintomi di tali inefficienze si possono dedurre da elementi quali l’andamento del fatturato, il
margine operativo lordo e la composizione del circolante: circa quest’ultimo, in tale fase si
rilevano, tipicamente nelle imprese in crisi, elevati debiti e rimanenze, nonché scarsità di crediti e
di liquidità immediate.
Crisi d’impresa: gli interventi tecnici di risanamento
11
Il secondo stadio (“declino” per Guatri) si identifica con la maturazione della
crisi: si assiste alla manifestazione dell’iniziale disfunzione accompagnata da
perdite economiche, e dunque da riduzione del capitale di rischio. In tale fase,
nonostante l’andamento economico negativo, tipicamente quello finanziario non
risulta ancora compromesso, anche se tra le fonti di finanziamento si evidenzia la
presenza sempre maggiore di debiti a medio/lungo termine e debiti finanziari a
breve. La crisi latente che si origina in questo stadio non è dunque tale da mettere
in pericolo la sopravvivenza dell’impresa, mantenendosi intatto il nucleo delle
risorse aziendali, ma deve essere opportunamente bloccata, evitandone
l’avanzamento, attraverso una puntuale e mirata azione preventiva14.
Il terzo stadio (“crisi” per Guatri) coincide con la diffusione delle disfunzioni
aziendali: in un primo momento l’impresa tende ad assumere comportamenti
inadempienti nei confronti dei fornitori c.d. “non essenziali”, nonché delle partite
debitorie relative a contributi sociali e tributi. In queste condizioni, però, l’impresa
tende a perdere forza contrattuale, si riducono le dilazioni di pagamento concesse
dai fornitori e di conseguenza la capacità di autofinanziamento, così come si perde
la fiducia dei clienti. È questa la fase in cui dunque le perdite economiche si
14
«Anche se il declino può costituire il preambolo di una crisi vera e propria, accade
frequentemente che aziende sostanzialmente solide possano incontrare periodi di difficoltà e di
perdite economiche che non segnalano un male profondo, ma solo che è giunto il momento di
procedere ad una ridefinizione delle strutture aziendali e dell’impostazione strategica». PIVATO S.-
GILARDONI A., Elementi di economia e gestione delle imprese, EGEA, Milano, 2000, pag. 181.
Crisi d’impresa: gli interventi tecnici di risanamento
12
ripercuotono sui flussi di cassa che si attenuano e divengono negativi, generando
squilibri in ambito monetario (illiquidità) e finanziario (mancata correlazione
temporale tra finanziamenti ed investimenti) che agiscono negativamente sul
patrimonio aziendale e sulla sua integrità; ne conseguono diminuzione di credito e
di affidabilità dell’impresa. In questo stadio in definitiva si ha la manifestazione
esterna della crisi che, pur grave e diffusa, risulta ancora controllabile e sanabile
nel caso in cui i creditori concedano all’impresa il tempo necessario per mettere in
atto un piano di ristrutturazione, che deve però prevedere il ritorno alla normalità
in breve termine ed essere ritenuto efficace dai creditori stessi.
L’ultimo stadio è quello dello squilibrio globale causato da disfunzione genera-
lizzata, che lede in modo evidente più o meno tutti gli stakeholders dell’impresa:
le possibili manifestazioni, in ordine di gravità, sono l’insolvenza e il dissesto.
Lo stato di insolvenza, conseguenza del crescere e dell’intensificarsi delle perdite,
è dato dall’incapacità duratura dell’azienda di assolvere regolarmente le
obbligazioni assunte e quindi i pagamenti in scadenza. Ci si trova in una fase in
cui l’intero organismo aziendale viene profondamente sconvolto, al punto che
ogni intervento di risoluzione appare problematico, spesso tardivo e con scarse
probabilità di successo; in ogni caso, per tentar il salvataggio, vanno implementati
interventi profondi inerenti innanzitutto la struttura del capitale e il management.