8
Di tutti questi problemi occorre tener conto quando si affronta questo particolare
argomento.
Oggetto specifico della tutela penale è l’interesse generale al buon funzionamento
della Pubblica Amministrazione, gravemente offeso dalla venalità di pubblici fun-
zionari che tradiscono il dovere di fedeltà all’amministrazione stessa.
Oggigiorno, infatti, la Pubblica Amministrazione del nostro paese è certamente
disastrata, e questo deriva da una immaturità dei soggetti pubblici in cui ancora non
è fortemente radicato il senso dello Stato, sicché il prestigio della Pubblica Ammini-
strazione non può che soffrirne.
Per tali motivi, il tema della riforma delle norme penali concernenti la Pubblica
Amministrazione è di viva attualità: tutela dell’efficienza, rafforzamento del prestigio
e regolare funzionamento dell’amministrazione sembrano costituire i poli di attra-
zione della polemica a livello scientifico e politico. La sconfitta della corruzione è
dunque un obiettivo economico e sociale. Dai primi anni Novanta a oggi, il reato è
stato combattuto con successo, ma la giustizia da sola non ce la può fare.
Per tenere a freno il fenomeno, perciò, sarebbe necessaria una riforma strutturale
della politica, ed uno sforzo comune dell’intera società.
Tale modifica dovrebbe rendere la Pubblica Amministrazione sempre meno re-
pressiva dell’abuso e sempre più capace di offrire servizi, con personale educato alla
funzione e sistemi di incentivi meglio ripartiti.
La configurazione giuridica del reato di corruzione, nonostante gli innumerevoli
sforzi compiuti dalla dottrina e dalla giurisprudenza nel tentativo di evidenziarne i
tratti essenziali, rimane ancora avvolta da ombre che impediscono di individuare,
nella realtà dei fatti, il reale ed effettivo disvalore del fatto, al fine di differenziarlo da
figure contigue, come la concussione, la truffa aggravata dall’abuso dei poteri o dalla
violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio
2
.
L’interesse del presente lavoro nasce, quindi, da un desiderio di chiarezza e di ap-
profondimento, al fine di gettare luce su una delle problematiche più complesse e
2
G. COLOMBO, Sulle regole, Feltrinelli, Milano, 2008.
B
O
Z
Z
A
9
travagliate nel campo del diritto penale, che ancora oggi non trova punti certi di rife-
rimento.
Saranno, infatti, affrontati i punti maggiormente salienti del reato di corruzione in
atti giudiziari ex art. 319-ter c.p., in particolare: il bene giuridico tutelato da parte del
legislatore, il fatto tipico, l’elemento soggettivo e i soggetti attivi, e, infine, alcuni ac-
cenni alla istigazione e al tentativo nella corruzione in atti giudiziari.
Si noterà, infatti, come il reato di corruzione in atti giudiziari, nella sua struttura
normativa, non si distingue dalla corruzione “comune” sia per quanto riguarda il
soggetto attivo, sia per gli elementi costitutivi, sia per la tipologia delle condotte ri-
chieste per la configurazione del reato.
Come accade per la corruzione “generica”, il compimento dell’atto non è elemen-
to costitutivo del reato ed è indifferente che l’atto “comprato” sia contrario o con-
forme ai doveri dell’ufficio rivestito.
Il favore o il danno vengono considerati oggettivamente dalla norma incrimina-
trice.
Ciò che caratterizza, sostanzialmente, tale tipo di reato è il rapporto della pattui-
zione illecita con il processo, rapporto che rende la condotta conforme alla fattispe-
cie tipica.
1.2 L’art. 319-ter c.p.
Nella stesura originale del codice penale non era prevista una norma specifica-
mente dedicata al reato di corruzione in atti giudiziari, ma, l’art. 319 c.p., in tema di
corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio, ai commi secondo e terzo di-
sponeva:
“La pena è aumentata, se dal fatto deriva il favore o il danno di una parte in un processo civile,
penale o amministrativo.
Si applica la pena della reclusione da sei a venti anni e della multa non inferiore a lire cinque
milioni, se dal fatto deriva una sentenza di condanna all’ergastolo o alla reclusione”.
B
O
Z
Z
A
10
Il delitto in oggetto è stato previsto come fattispecie distinta di reato, dunque, so-
lo dal legislatore del 1990, che con la legge n. 86 del 26 aprile, dopo un tormentato
iter, fatto di un susseguirsi continuo di proposte di legge di riforma, ha introdotto
modifiche sostanziali ad un intero capo del codice penale del 1931, quello riguardan-
te “i delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione”.
La materia era di notevole rilievo, e si presentava come il banco di prova per
l’introduzione di modificazioni importanti in un settore essenziale per il buon fun-
zionamento dell’ordinamento amministrativo dello Stato.
Lo scopo dichiarato della legge 86/90 era quello di migliorare la precedente nor-
mativa anche alla luce dei suggerimenti provenienti dalla lunga elaborazione dottri-
nale e dalla prassi interpretativa della giurisprudenza.
L’inadeguatezza della legislazione previgente era marcata e sentita negli ambienti
politici e giuridici, e le sue cause andavano ricercate nel fatto che le norme in que-
stione erano state emanate tenendo presente, come parametro di riferimento,
l’immagine di una Pubblica Amministrazione nettamente diversa da quella attuale.
Il modello seguito nel 1930 era quello di una Pubblica Amministrazione accentra-
trice, braccio esecutivo della legge, ma tale modello era stato quasi del tutto ribaltato
durante il corso degli anni, cosicché si è arrivati oggi ad una Pubblica Amministra-
zione con interessi nei principali settori economici, che ha abbandonato un dirigi-
smo centralizzato e assolutistico che la caratterizzava in passato.
Come si legge nella relazione della Commissione Giustizia del Senato della Re-
pubblica, “…il crescente ampliarsi della sfera dello Stato nella vita sociale comportava
l’accrescersi delle pubbliche funzioni e dei pubblici servizi. Del pari l’articolarsi dell’organizzazione
statuale, con il consolidarsi di un vero e proprio sistema delle autonomie arricchiva di nuove figure
la tradizionale qualificazione del pubblico ufficiale”
3
, sicché il sistema previsto dal codice
Rocco era divenuto “abito troppo stretto” per una Pubblica Amministrazione che ri-
spetto al 1930, anno di redazione del codice, era profondamente mutata.
Ancora, in relazione alle situazioni di vivo contrasto, più volte verificatesi a segui-
to dell’intervento del giudice penale in settori di pertinenza della Pubblica Ammini-
3
Senato della Repubblica, Relazione della II Commissione Permanente (Giustizia), relatore Battello,
atto n° 2078/A.
B
O
Z
Z
A
11
strazione, e del conseguente sindacato del medesimo, esercitato su scelte ritenute ri-
servate alla sfera discrezionale dell’amministrazione, si precisava: “…si è creata nel no-
stro paese una frizione tra la crescente importanza assunta dal sistema della Pubblica Ammini-
strazione e l’incidenza di un intervento penale guidato, talvolta, da norme a struttura talmente
sganciata da necessari criteri di tassatività e determinatezza da rendere possibile vere e proprie sup-
plenze dell’autorità giudiziaria”.
Il fenomeno della “supplenza giudiziaria” a detta di Scordamaglia, nel nostro codi-
ce, è stato favorito dal fatto che nella sezione dedicata ai reati dei pubblici ufficiali
contro la Pubblica Amministrazione siano stati utilizzati dal legislatore del 1930 ter-
mini generici come “abuso”, “utilità”, termini che, vista l’indeterminatezza semanti-
ca, hanno portato alla concreta incrinatura del principio della certezza del diritto
4
.
Queste furono, in particolare, le ragioni che animarono prima il difficoltoso e
lungo iter legislativo, e poi la legge N. 86 del 26 Aprile 1990 entrata in vigore il 12
maggio 1990
5
; così, una “miniriforma del sistema penale”
6
nata da iniziative di am-
ministratori locali per ridurre l’area d’intervento dei giudici in relazione ai reati più
contestati, si è trasformata nei cinque anni di dibattiti che hanno preceduto
l’approvazione, in una riforma che, come sottolineato dal Guardasigilli Martinazzoli,
“ha potenziato la risposta punitiva dell’ordinamento di fronte a condotte illecite poste in essere da
soggetti rivestiti di funzioni pubbliche, evita un ingiustificato sindacato del magistrato penale sul
merito delle scelte amministrative, e limita l’ambito della repressione penale ai fatti veramente lesivi
degli interessi della Pubblica Amministrazione e dei cittadini”
7
.
All’interno di tale iter legislativo, la previsione in forma autonoma del reato di
corruzione in atti giudiziari, risale alla proposta di legge n. 1250, presentata dal sena-
tore Vassalli nella IX legislatura, con riferimento alla corruzione propria sia antece-
dente che susseguente, previsione dallo stesso riproposta anche nel corso della X le-
gislatura con il disegno di legge governativo n. 2441.
4
V. SCORDAMAGLIA, Peculato e malversazione, in La riforma dei delitti contro la Pubblica
Amministrazione, Jovene, Napoli, 1987, p. 245.
5
Legge 26 aprile 1990, n. 86, pubblicata in G.U. n. 97 del 27 aprile 1990.
6
Così F. BRICOLA, in Atti del Convegno sui delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica ammi-
nistrazione, Siracusa 2 giugno 1989.
7
Relazione al d.d.l. n. 2844/C IX legislatura.
B
O
Z
Z
A
12
L’obiettivo dell’autonomia di tal tipo di reato era stato seguito anche dal ministro
Martinazzoli, durante la IX legislatura, con il disegno governativo n. 2844.
Ricercando l’intenzione di chi ha proposto l’indicata modifica, si rileva che si è
voluta la “creazione”, in luogo delle attuali circostanze aggravanti, della specifica figu-
ra della corruzione in atti giudiziari, oggetto di autonoma incriminazione in molte
legislazioni.
Nella relazione del Ministro Martinazzoli al disegno di legge 2844 si legge: “le ag-
gravanti previste nell’attuale art. 319 c.p. sono state, in parte, trasfuse in un nuovo titolo di reato,
avente a specifico oggetto la corruzione in atti giudiziari. Tale diversa sistemazione consente, tra
l’altro, di evitare, in considerazione della particolare gravità delle fattispecie regolate, che i sensibili
aggravamenti di pena già oggi previsti possano essere vanificati dal gioco della comparizione delle
circostanze”.
L’intento era dunque quello di creare un’autonoma figura di reato, che da sola
consentiva di mantenere alta la misura della pena, escludendo la possibilità di appli-
care la pena prevista per il reato base, per effetto del giudizio di equivalenza o preva-
lenza con le circostanze attenuanti eventualmente riconosciute.
Nella relazione al disegno di legge Vassalli si richiama pure l’esempio di “molti or-
dinamenti stranieri”, nonché “la necessità di una tutela particolare in tema di correttezza
nell’esercizio delle funzioni giudiziarie”, attesa la particolare delicatezza del ruolo che la
magistratura è venuta ad assumere nell’ambito delle istituzioni.
La configurazione autonoma è stata, inoltre, giustificata in ragione “della peculiarità
degli interessi coinvolti e della esigenza di una tutela particolare in tema di correttezza nell’esercizio
delle funzioni giudiziarie”.
Il legislatore, quindi, con la nuova formulazione, allineandosi, cosi come detto
nella relazione Vassalli, agli ordinamenti europei, ha costruito la fattispecie prevista
dall’art. 319-ter c.p. come reato autonomo, disponendo che:
“Se i fatti indicati negli artt. 318 e 319 sono commessi per favorire o danneggiare una parte in
un processo civile, penale o amministrativo, si applica la pena della reclusione da tre a otto anni.
B
O
Z
Z
A
13
Se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni la
pena è della reclusione da quattro a dodici anni; se deriva l’ingiusta condanna alla reclusione supe-
riore a cinque anni o all’ergastolo, la pena è della reclusione da sei a venti anni”.
Si può notare, quindi, che sono previste un’ipotesi base, concernente gli atti di cor-
ruzione che non abbiano determinato una condanna alla reclusione, e due ipotesi ag-
gravate, per i fatti che abbiano comportato una condanna rispettivamente alla reclu-
sione fino a cinque anni o ad una pena ancora più grave.
Inoltre, mentre la prima ipotesi si caratterizza rispetto agli altri atti di corruzione
per l’elemento soggettivo (dolo specifico consistente nello scopo di favorire o dan-
neggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo)
8
, per le altre – in
considerazione sia dell’entità delle pene comminate sia della difficoltà di configurare
un dolo specifico riferito alla misura della condanna conseguente alla corruzione – è
anche richiesto che sia stata effettivamente cagionata una ingiusta condanna.
Tuttavia, la formulazione di tale norma ha avuto come effetto l’apertura di una
disputa, sia giurisprudenziale che dottrinaria, circa la effettiva autonomizzazione del
reato in oggetto.
La prima pronuncia giurisprudenziale relativa alla fattispecie in esame
9
, emanata a
“caldo”, a poca distanza dall’introduzione dell’art. 319-ter c.p., propende per conside-
rare la corruzione in atti giudiziari come circostanza aggravante delle ipotesi previste
negli artt. 318 e 319 c.p., argomentando dalla descrizione per relationem della corru-
zione in atti giudiziari, che effettivamente esordisce con un rinvio ai fatti di cui agli
artt. 318 e 319 c.p.
In tale decisione il dolo specifico, dato dallo scopo di favorire o danneggiare una
parte in un processo era, d’altro canto, visto come “specificazione” della condotta tipi-
ca, irrilevante, peraltro, ai fini dell’elevazione della corruzione in atti giudiziari ad au-
tonoma fattispecie incriminatrice.
8
G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale: parte speciale. Appendice: La riforma dei delittti
dei pubblici ufficiali contro la pubblica Amministrazione. (Legge 26 aprile 1990, n° 86), 1991, Zani-
chelli, Bologna, p. 112.
9
Tribunale di Messina, sentenza del 22 novembre 1990, Minore, in Giurisprudenza di Merito,
Giuffrè, Milano 1992, p. 696.
B
O
Z
Z
A