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dei cambiamenti eventualmente da apportarvi, dei ritocchi di cui potrebbe
aver bisogno.
Cercheremo di trovare una soluzione al quesito nel corso di questa
tesi, anticipando però sin da ora quella che, secondo me, potrebbe essere una
possibile risposta: la forza della nostra Costituzione sta nel difficile,
certamente incompiuto, ma importante equilibrio che i costituenti seppero
realizzare all’interno di essa, tra la prima e la seconda parte della Carta. Nel
tempo questo equilibrio è stato spiegato, soprattutto da parte dei costituenti e
degli studiosi di diritto costituzionale e non solo, con nomi e appellativi
diversi: lo Stato del valore umano, l’al di là della politica, l’anteriorità della
persona umana allo Stato. Tutte formule che non avrebbero senso se non
fossero ricondotte a quello spirito di reciproca comprensione e disponibilità
all’ascolto che sessanta anni fa, malgrado il clima di tensione anche
internazionale, accompagnò i lavori dell’Assemblea costituente e fece della
nuova Costituzione il fondamento della convivenza democratica e della
ritrovata unità nazionale.
La nostra Costituzione sessant’anni fa seppe essere momento di
compromesso alto non solo e non tanto tra forze politiche (per definizione
destinate, nel tempo, ad essere sostituite da altre), ma tra culture politiche,
capaci di mantenere, anche a distanza di anni, forza di orientamento. In essa
c’è “tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre
speranze, le nostre gioie”, ma anche il nostro futuro. In essa sono contenuti i
principi e i valori che costituiscono le condizioni indispensabili di un'Italia
democratica, moderna ed evoluta.
Da tempo è aperto un dibattito riformatore. Ritengo che la
Costituzione necessiti di alcuni mirati adeguamenti, perché la nostra
democrazia possa incidere più efficacemente di fronte ai tanti problemi che
incalzano. D'altronde, la Carta del '48 non è mai stata considerata del tutto
intoccabile. Si dimentica talvolta che in questi sessant'anni - tra il 1963 e il
8
2005 - sono stati modificati, sostituiti, aggiunti 38 articoli o commi della
Costituzione. Nella prima parte, l'articolo in cui è stato introdotto il "diritto
di voto dei cittadini residenti all'estero", e, più di recente, l'articolo nel quale
è stato inserito il comma sulle "pari opportunità tra donne e uomini". Nella
seconda parte della Costituzione, l'intero Titolo V, e articoli di particolare
significato e rilievo come quello che ha sancito, nel 1999, i principi del
giusto processo.
Sull'ordinamento della Repubblica, il Parlamento è dunque
intervenuto, attraverso apposite leggi costituzionali, ripetutamente, in
legislature lontane e vicine ai nostri giorni. Ma ben al di là di ciò si è più
volte aperto il confronto su revisioni di assai più ampia portata, tali da
investire anche la forma di governo disegnata nella Costituzione del '48.
Questa Tesi si occupa proprio del problema della revisione
costituzionale, concentrandosi, in particolar modo, sul rapporto tra le
modifiche espresse della Carta, poste in essere secondo il procedimento di
cui all’art. 138 Cost., e le c.d. modifiche tacite, cioè quelle modifiche
“invisibili” che eludono l’art. 138 ma che sono parimenti capaci di innovare
la Costituzione pur non apportando ad essa nessuna modifica al testo.
Inizieremo analizzando dettagliatamente, nel primo capitolo, il
procedimento di revisione costituzionale previsto dall’art. 138, accennando
all’origine e al significato della previsione di una simile disposizione
all’interno della Carta; poi ci occuperemo di quali possono essere i limiti
formali e sostanziali ad una revisione della Costituzione, e infine ci
chiederemo se l’art. 138 possa essere modificato o derogato nonché se esso
sia idoneo ad una modifica totale del testo costituzionale o serva solamente
per modifiche puntuali e dettagliate.
Nel corso del secondo capitolo, invece, faremo un breve excursus
sugli interventi di revisione costituzionale effettuati o tentati in questi
sessant’anni, soffermandoci in particolare sulle commissioni bicamerali
9
istituite con le leggi costituzionali 1/1993 e 1/1997, ma senza trascurare la
riforma del titolo V del 2001 e la vicenda della legge di modifica dell’intera
parte seconda della Costituzione approvata nel 2005 dal Parlamento a
maggioranza ma respinta nel successivo referendum popolare.
Nel terzo ed ultimo capitolo, infine, ci concentreremo sulle
modificazioni tacite, analizzando gli atti o i fatti normativi dai quali possono
scaturire, i loro rapporti con l’interpretazione, in particolar modo evolutiva,
della Costituzione, nonché una loro possibile ricognizione nel corpo
dell’intera Carta costituzionale.
Durante questo lavoro mi sono convinto, non tanto che la Costituzione
abbia bisogno di modifiche puntuali o adeguamenti, ma quanto sia difficile
ritrovare e ritornare allo “spirito” di essa. Le basi dell’unità del Paese e della
sua riforma sono custodite, infatti, nella Costituzione della Repubblica
italiana e nella testimonianza di civiltà che vi hanno impresso i Costituenti,
consegnandola alla responsabilità nostra e delle generazioni che ci
seguiranno. Questo mio lavoro dunque vuole essere il mio umile modo per
rinnovare il personale sentimento di profonda riconoscenza per un’eredità
tanto preziosa ed esigente, realizzata nel passaggio più drammatico della
storia del Paese attraverso il concorso delle forze politiche democratiche,
differenti nelle opzioni di fondo, ma tutte accomunate nella medesima
speranza: la costruzione di una nuova convivenza civile, fondata sul lavoro e
sorretta dal primato della democrazia, della libertà e della giustizia, maturato
nell’antifascismo e nella Lotta di liberazione, e vissuta dal popolo italiano.
La Costituzione non è solo la memoria, non è solo la radice della
nostra storia. Quando la tragedia investe la nostra umanità con le terribili
morti sul lavoro, viene subito alla mente l’articolo 1 della Costituzione:
“L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Quando la
precarietà corrode il futuro di un’intera generazione, quella del nostro
domani, per cercarne la linea di uscita dobbiamo andare a quello
10
straordinario articolo 3 della Costituzione che recita: “Tutti i cittadini hanno
pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di
sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza
dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e
sociale del Paese”. E quando, come nel nostro tempo, il mondo diventa
instabile e la violenza della guerra e del terrorismo lo segnano ancora, la
bussola della nostra Costituzione - la pace - è una guida per una nuova
navigazione.
Mi piace pensare alla Costituzione come un palazzo di sessant’anni fa,
bello e affascinante, ma che può essere reso più funzionale dalle nuove
scoperte scientifiche e tecniche: una linea telefonica, una rete ADSL,
un’antenna parabolica… Però la struttura architettonica regge: per metterla
su, sono morti degli operai; ha sessant’anni, ma è solida. Sarà difficile
inventarne una migliore. Certo, ogni venti, quarant’anni forse, il palazzo ha
bisogno di una restaurazione, ma non le fondamenta o i pilastri, perché essi
sono la nostra storia, quella dei nostri padri…
11
Capitolo 1
Il procedimento di revisione costituzionale ex art. 138
1.1 Origine e significato della rigidità della Costituzione Repubblicana
Nel preciso momento in cui nascono le Costituzioni moderne, intese
come atti normativi ai quali soggiacciono tutti i soggetti dell’ordinamento,
che definiscono la titolarità e disciplinano l’esercizio del potere sovrano,
sorge anche la questione relativa alla procedura da seguire per la loro
modifica.
L’idea di Costituzione come atto in cui vengono descritti gli elementi
caratterizzanti di un sistema politico, così come di fatto esso è organizzato,
ma anche come manifesto politico nonché ancora come fonte del diritto da
cui derivano diritti e doveri, obblighi e divieti giuridici, attribuzioni di poteri
e regole per il loro esercizio, si afferma alla fine del XVIII secolo con le
grandi rivoluzioni in Francia e in America, come una delle espressioni
concrete di quell’insieme di dottrine che ponevano al centro della loro
indagine l’assoggettamento del potere a regole giuridiche e che si è soliti
ricondurre al termine di costituzionalismo.
Le Costituzioni moderne si pongono in linea di principio come non
modificabili con legge ordinaria, poiché hanno la pretesa di durare nel tempo
nonché di imporsi a tutti i soggetti dell’ordinamento. Pertanto supremazia
della Costituzione e sua continuità e durata sono concetti strettamente attigui,
e questo fa sì che tutti i poteri debbano essere vincolati alle disposizioni ivi
contenute, compreso quello legislativo
194
. Tali Costituzioni, che si collocano
194
Così Bartole, Costituzione (dottrine generali e diritto costituzionale) in Dig.disc.pubbl., IV, Torino,
1989, 290.
12
al di sopra delle leggi ordinarie e non possono essere modificate dall’autorità
legislativa ordinaria, sono definite “rigide”. Il termine si pone come
sinonimo di immobili, solide, cristallizzate, i cui “lineamenti sono duri e
stabili”
195
.
Fin dall’inizio però si avverte il problema che l’aspirazione alla
stabilità di tali Costituzioni rischia di dar luogo ad una vera e propria tirannia
delle stesse per le generazioni future. Vengono in rilievo due questioni tanto
opposte quanto essenziali: quella della fissità e quella del rinnovamento. Da
un lato vi è la necessità di garantire stabilità e certezza al nuovo ordine,
dall’altro l’idea che tale ordine sia capace di evolversi per adeguarsi
continuamente alle future esigenze. Nella maggior parte dei casi, prevale una
via intermedia: “le procedure speciali per il mutamento costituzionale
presentano una doppia faccia, l’una che guarda al mutamento e l’altra alla
conservazione: una doppiezza che storicamente è destinata a suscitare il
timore o l’impazienza dei partiti dei conservatori e degli innovatori”
196
.
Rispetto al problema dell’alternativa tra assoluta modificabilità e totale
modificabilità, l’introduzione nella Costituzione di clausole di revisione offre
una via d’uscita. Infatti le disposizioni di revisione costituzionale, che si
esplicano in procedimenti aggravati, diversi dall’ordinario procedimento
legislativo, sono un modo per rendere modificabile un testo scritto che in
loro assenza sarebbe del tutto immodificabile. Allo stesso tempo, tali formule
consentono al medesimo testo di durare nel tempo, eliminando la radicale
alternativa tra il rigetto in blocco di una Costituzione e il suo eventuale
progressivo allontanamento dalla realtà della vita costituzionale: la stabilità
dell’ordine politico deriva anche dalla continuità e linearità delle forme del
suo mutamento.
195
Cfr Pace, Costituzioni rigide e flessibili, Milano, 1998, 10 ss.
196
Zagrebelsky, Storia e costituzione, (1993), in Zagrebelsky, Portinaro, Luther, Il futuro della
Costituzione. 1996, 47.
13
Di solito, dalla presenza in un testo costituzionale di clausole che
prevedono procedimenti aggravati per la sua modifica si fa discendere il
carattere rigido; pertanto, le Costituzioni sprovviste di tali procedure
sarebbero flessibili, in quanto modificabili liberamente dal legislatore
ordinario.
Allontanandosi da tali posizioni, si è invece sostenuto che tutte le
moderne costituzioni scritte hanno una vocazione alla rigidità,
indipendentemente dalla presenza o dall’assenza di clausole per la loro
modifica: le Costituzioni che ne sono sprovviste (si pensi a molte
Costituzioni ottocentesche, tra cui lo Statuto Albertino), si porrebbero anzi
come assolutamente immodificabili
197
. Secondo questo orientamento, la
rigidità delle costituzioni moderne (scritte e prescrittive), conseguirebbe,
sotto un profilo formale, dalla superiorità con la quale esse si pongono,
prescrivendone regole formali e sostanziali, nei confronti di tutti gli altri atti
giuridici che compongono l’ordinamento. Da qui la loro immodificabilità, a
meno che la Costituzione stessa non preveda le modalità del suo mutamento.
Sotto un profilo sostanziale, la superiorità di esse deriverebbe invece dalle
scelte politiche fondamentali, in esse positivizzate, nelle misura in cui tali
scelte esprimano valori generalmente condivisi o che siano suscettibili di
essere condivisi. I procedimenti aggravati di revisione della Costituzione,
piuttosto che costituire la causa della rigidità, ne rappresenterebbero una
conferma, o, in altri termini, un temperamento della loro naturale
immodificabilità, nel senso che la possibilità di sottoporre a revisione una
Costituzione documentale è una vicenda successiva all’“invenzione” della
Costituzione rigida. Tali formule si pongono come strumenti di garanzia
della rigidità, in quanto tramite esse si cerca di evitare, incanalando le
esigenze di rinnovamento in forme giuridiche, il loro rovesciamento
198
.
197
Pace, Potere costituente, rigidità costituzionale, autovincoli legislativi, Padova, 1997, 11.
198
Lo stesso Pace, in Potere costituente, rigidità costituzionale, autovincoli legislativi, cit., segnala che
nella vigente Costituzione italiana la revisione costituzionale è disciplinata tra le “garanzie costituzionali”.
In questo senso v. anche Cervati, La revisione costituzionale ed il ricorso a procedure straordinarie di
14
La revisione costituzionale costituirebbe pertanto una garanzia per la
relativa stabilità delle regole della Costituzione scritta e, allo stesso tempo,
consentirebbe di rispettare il principio che ogni generazione deve essere in
grado di affrontare tutte le decisioni richieste dalle circostanze del suo
tempo
199
.
Concentrandoci adesso in maniera più specifica sulla nostra
Costituzione Repubblicana, risulta senz’altro significativo che nel 1950,
Costantino Mortati, nel presentare al pubblico francese la Costituzione
italiana da poco approvata, affermi che “l’innovazione più importante
introdotta dalla Costituente al sistema precedente è consistita nell’assicurare
anche nei riguardi dello stesso legislatore l’integrità dei principi
costituzionali, adottando un principio di revisione costituzionale”
200
. Di
sicuro ben altri istituti sostanzialmente innovativi avrebbero potuto essere
indicati, ma evidentemente Mortati coglieva a pieno il profondo mutamento
introdotto nel complessivo quadro costituzionale dalla configurazione della
nuova Costituzione come una fonte rigida e pertanto sovraordinata agli stessi
atti dei supremi organi dell’ordinamento repubblicano.
In verità, scorrendo gli atti della Costituente, si evince che la scelta per
la rigidità non sia stata discussa funditus : si discute della procedura da
seguire, dando per scontata la superiorità della Costituzione sulle altre fonti e
la necessità di un procedimento più complesso di quello legislativo per
modificarla. Se Ruini, nella relazione di accompagnamento al progetto di
Costituzione, ne parla come di una naturale reazione dopo le dure lezioni
storiche delle Costituzioni flessibili, lo stesso Vittorio Emanuele Orlando,
riforma delle istituzioni, in Cervati,Panunzio,Ridola, Studi sulla riforma costituzionale, Torino, 2001, 27.
Uno dei primi commentatori, il Presidente della Commissione dei 75, Meuccio Ruini, affermava già nel
1953 che la procedura aggravata è da considerare un effetto più che una causa della rigidità.
199
Pace, Potere costituente e revisione costituzionale, lez.introd. del 13 dicembre 2001, su www.unisi.it
200
L’evolution constitutionelle italienne, in La Constitution italienne de 1948, diretta da Crosa, Colin, Paris,
1950, 37.
15
nel suo critico intervento sul progetto di Costituzione, non può che prendere
atto che adesso ci si trova dinanzi ad una Costituzione rigida.
201
La scelta in favore di una Costituzione rigida appare in larga parte già
compiuta dalle forze politiche nel periodo precedente alla Costituente. La
ragione di fondo sembra radicarsi nell’idea che la flessibilità dello Statuto
Albertino avesse agevolato l’avvento del fascismo, anche se non è mancato
chi, lucidamente, ha fatto notare che “se durante il periodo in cui il fascismo
ha dato l’assalto allo Stato italiano fosse esistita una Costituzione rigida, il
fascismo avrebbe ugualmente dato l’assalto anziché alle Camere
legislative,alla Corte di garanzia”
202
.
Sarebbe vano soprattutto cercare nei lavori preparatori traccia del
nesso profondo tra procedura di revisione costituzionale, costituzione rigida,
forma di Stato, come evidenziato in seguito dalla dottrina
costituzionalistica
203
. La Costituzione italiana del 1947, infatti, è ritenuta il
risultato di un accordo tra forze politiche e sociali al fine di dettare,
attraverso esso, un disegno economico e sociale complessivo; un accordo
rispetto al quale ciascuna forza politica non rappresenta altro che un
frammento
204
.
Una Costituzione del genere ha una valenza di integrazione dei gruppi
sociali, attraverso la consacrazione di una serie di valori condivisi: in essa
sono iscritti quei principi che si vogliono mettere al riparo dalla volontà della
maggioranza politica contingente e dalla stessa dialettica democratica, quei
principi in cui ciascuna delle parti può riconoscersi, in quanto sono il frutto
201
Cfr. La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, vol.I,
LXXXVII, 289 ss.
202
Così Calamandrei, in A.C., seconda sezione, seconda sottocommissione, 14 gennaio 1947,in La
Costituzione della Repubblica , cit.
203
V. Zagrebelsky, Adeguamenti e cambiamenti della costituzione, in AA.VV., Scritti in onore di V.
Crisafulli, Padova, 1985, 933, secondo il quale “l’art. 138 della Costituzione, che prevede un procedimento
necessariamente coinvolgente, dal punto di vista politico, molto al di là della semplice maggioranza di
governo, è la trascrizione formale di tale principio, fondato, al di là della regola espressa, sulla logica stessa
della riforma costituzionale proveniente dall’interno di un sistema politico pluralistico-compromissorio”.
204
Così Zagrebelsky, Il sistema costituzionale delle fonti del diritto, Torino, 1990, 57 ss. V. anche Luciani,
Corte costituzionale e unità in nome dei valori, in La giustizia costituzionale a una svolta, a cura di
Romboli, Torino, 1991, 170 ss; Onida, Le costituzioni, in Manuale di diritto pubblico, a cura di Amato e
Barbera, Bologna, 1997, I, 77 ss.
16
di un processo nel quale ciascuna parte rinuncia a ciò che divide in favore di
ciò che unisce. Proprio per questi caratteri nella nostra Costituzione si
riscontra un procedimento di revisione che richiede il consenso di una
maggioranza parlamentare particolarmente ampia e, in determinati casi,
anche l’intervento del corpo elettorale, affinché essa sia sottratta ad ogni
modifica unilaterale e il suo mutamento sia consegnato alla volontà dei
protagonisti dell’accordo costituente.
Tracce di questa impostazione sono presenti nell’intervento di Aldo
Moro in sede di discussione generale sul progetto, ove si afferma che “fare
una Costituzione significa cristallizzare le idee dominanti di una civiltà,
significa esprimere una formula di convivenza, significa fissare i principi
orientatori di tutta la futura attività dello Stato”. Tali principi, una volta posti
nella Costituzione, sono “superiori alla legge ordinaria e inattingibili da
essa… ciò significa stabilire la superiorità della determinazione in sede di
costituzione di fronte alle effimere maggioranze parlamentari”
205
.
Nel dibattito sulla formula di revisione costituzionale emergono varie
ragioni a sostegno della rigidità della Costituzione, intesa come supremazia
rispetto alle altre fonti del diritto e principalmente alla legge del parlamento.
La relazione di Conti (relatore nella seconda sottocommissione della
Commissione dei 75 sul potere legislativo)
206
collega la superiorità della
Costituzione sulla legge ordinaria a due ordini di esigenze: a) assicurare che
l’ordinamento costituzionale sia stabile e che le modificazioni siano
realizzate con un procedimento speciale adeguato all’importanza della
materia; b) che i principi enunciati nella Costituzione come guarentigie per i
cittadini siano muniti di effettiva efficacia giuridica, consentendo di
annullare anche le leggi ordinarie contrastanti.
La maggior parte del dibattito è dedicata alla procedura da seguire, alla
ricerca di una formula che concili “le istanze opposte di certezza e costanza
205
A.C. , 13 marzo 1947, in La Costituzione italiana nei lavori preparatori, Roma, 1970, I, 373.
206
A.C. , seconda sottocommissione, 4 settembre 1946, in La Costituzione italiana, cit., VII, 911 ss.
17
della legge costituzionale e di adattabilità al tempo che preme con le sue
continue mutevoli esigenze”, come evidenziato, di fronte all’Assemblea da
Paolo Rossi, relatore sulla revisione costituzionale, che immaginificamente
continuava: “la Costituzione non deve essere un masso di granito che non si
può plasmare e che si scheggia; e non deve essere nemmeno un giunco
flessibile che si piega ad ogni alito di vento. Deve essere, dovrebbe essere,
vorrebbe essere, una specie di duttile acciaio che si riesce a riplasmare
faticosamente sotto l’azione del fuoco e sotto l’azione del martello di un
operaio forte e consapevole!”
207
.
La seconda sottocommissione della Commissione dei 75 si orienta in
un primo tempo verso una formula ispirata a quella della Costituzione belga,
secondo la quale all’approvazione a maggioranza assoluta del progetto,
avrebbe dovuto far seguito lo scioglimento delle camere; dopo le elezioni, il
primo atto delle nuove camere avrebbe dovuto essere la votazione, senza
emendamenti e a maggioranza semplice, del testo già approvato dalle
precedenti. A questa proposta del relatore Rossi si contrappone quasi fin
dall’inizio quella di Perassi, basata su doppia lettura e referendum.
Il dibattito in seconda sottocommissione si incentra quasi
esclusivamente sulla farraginosità della procedura, sul ruolo che deve essere
svolto dal corpo elettorale, sulla preferibilità di un sistema che preveda il
referendum piuttosto che nuove elezioni. Dopo aver approvato in un primo
momento il modello belga, la seconda sottocommissione opta il 16 gennaio
1947 per la proposta di Perassi, sulla cui base si delinea l’art. 130 del
progetto che con pochi ritocchi, sarà poi assunto nell’art. 138
208
.
Il dibattito in Assemblea plenaria è circoscritto. Rossi enuncia il
tentativo compiuto dalla Commissione: rendere la Costituzione modificabile
attraverso un procedimento che, a un tempo, consenta l’approvazione
207
Così l’intervento nella seduta pomeridiana del 14 novenmbre 1947, in La Costituzione italiana, cit., V,
3893.
208
A.C. , 3 dicembre 1947, in La Costituzione italiana, cit., V, 4328.
18
soltanto di modifiche sufficientemente meditate e sottragga alle minoranze il
potere di veto (diversamente da quanto sarebbe avvenuto se si fosse richiesta
in ogni caso una maggioranza dei due terzi o dei tre quinti). La doppia lettura
dovrebbe evitare gli impulsi momentanei o demagogici; la maggioranza
assoluta i colpi di mano minoritari; il referendum dovrebbe costituire una
garanzia per le minoranze, per le quali resta in ogni caso aperta la via
dell’appello al popolo. L’esclusione del ricorso al referendum quando la
revisione è stata approvata nelle due camere con la maggioranza dei due terzi
è messa in relazione all’esistenza di un sistema elettorale proporzionale e di
un quadro partitico frammentato, per cui la maggioranza dei due terzi in
parlamento rispecchia senz’altro una maggioranza analoga o ancora più
ampia nel paese. Rossi peraltro, acutamente profetizza che “in un paese dove
vigesse il sistema del collegio uninominale o dove le correnti politiche si
polarizzassero intorno a due soli partiti, una maggioranza qualificata dei due
terzi potrebbe eventualmente non rispondere alla maggioranza reale del
paese”
209
.
Emergono a questo punto tutte le incertezze dei Costituenti sulla
rigidità della Costituzione, frutto di una scelta compiuta a priori, in
mancanza di un’idea condivisa del suo significato. A fronte della eventualità
di una riforma approvata in parlamento a larga maggioranza, ma non
conforme alla volontà dell’elettorato, il relatore Rossi non può che rifugiarsi
nella prospettiva di nuove elezioni generali, e di una nuova maggioranza che,
come primo atto, revochi la riforma “impopolare”, per concludere infine
mettendo in dubbio la rigidità stessa di una siffatta Costituzione: non sarebbe
meglio, si chiede, definirla “semi-rigida”, o “garantita”?
209
A.C. , 14 novembre 1947, in La Costituzione italiana, cit., V, 3894.