10
confluiscono nella teoria globale delle opportunità criminali3. La trattazione
prende in considerazione anche la criminologia ambientale, approccio che
viene ricostruito a partire dai contributi della Scuola di Chicago e dei suo
successivi sviluppi, quale la broken window theory4 e l’ipotesi delle
inciviltà5. Il primo capitolo si conclude con la presentazione dell’approccio
del defensible space6.
Il secondo capitolo si concentra sull’approccio CPTED, presentandone
inizialmente i concetti fondamentali7 e i contributi precedenti alla loro
definizione8. In seguito vengono trattate le strategie principali di
prevenzione9 e il linguaggio di base dell’approccio10, attraverso l’analisi
delle esperienze straniere, con un accenno all’urbanistica italiana e alla
proposta di principi di disegno anticrimine11. Il capitolo termina con la
presentazione della metodologia della ricerca che si adotta nella prassi
comune (Site Assessment e Safety Audit)12, e con una riflessione sui
principali limiti dell’approccio CPTED.
La presentazione dell’area di studio è l’argomento del terzo capitolo.
Attraverso la ricognizione sul campo e l’analisi di fonti comunali e
3
Mayhew et al., 1976.
4
Wilson e Kelling, 1982.
5
Chiesi, 2004.
6
Newman, 1972.
7
Jeffery, 1971; Crowe, op. cit.
8
Robinson, 1996.
9
City of Virginia, 2000; Dept. of Transport and Urban Planning South Australia, 2004;
10
National Crime Prevention Council of Singapore, 2003
11
Segato, 2006.
12
Attorney-General’s Department of South Australia, 2001; Ministry of Justice of New
Zealand, 2005
11
provinciali si descrive il complesso abitativo del “Magnete” e si ricostruisce
la sua storia urbanistica; vengono inoltre presentati i dati statistici relativi
alla popolazione residente, con lo scopo di inquadrare il profilo dell’utenza,
e si offre una panoramica sugli spazi, gli usi e le attività presenti nella zona.
Al termine della descrizione vengono esplicitate le ragioni che hanno
portato alla scelta di quest’area come oggetto di uno studio della sicurezza
dei luoghi, secondo l’approccio CPTED.
Il quarto capitolo presenta la ricerca svolta sul campo, analizzando i
risultati ottenuti dalla somministrazione del questionario “Rilevazione del
senso di sicurezza nello spazio urbano”, che ha permesso di focalizzare
l’attenzione su quali problematiche di sicurezza siano percepite come
prioritarie dalla popolazione residente, e quali siano gli interventi
sull’arredo urbano che possano essere progettati per diminuire da un lato le
opportunità criminali dell’ambiente, dall’altro il senso di insicurezza. Il
capitolo si conclude con la riflessione sulla metodologia scelta e su quella
preferibile.
Nel quinto e ultimo capitolo, acquisiti i risultati dell’indagine sul
campo, e del lavoro di elaborazione dei dati, si propongono interventi
CPTED possibili nello spazio del “Magnete”, finalizzati all’aumento del
senso di sicurezza, ricollegandoli all’impostazione teorica e adattandoli alle
esigenze espresse dalla popolazione e alle risorse presenti nell’area.
12
13
ITRODUZIOE
Occuparsi di sicurezza urbana, di questi tempi è un lavoro delicato:
mai come ora, la questione è suscettibile di strumentalizzazione a servizio
delle diverse ideologie della sicurezza. Nel nostro panorama nazionale, la
sicurezza è considerata un’emergenza, e in quanto tale comporta azioni
emergenziali, guidati dagli allarmi sociali che di volta in volta sono proposti
dal circuito mediatico.
Così concepita, la sicurezza diviene domanda di difesa dall’esterno, e
comporta l’adozione di strategie che coinvolgono le forze del controllo
formale: la sicurezza è nell’ordine. Sono poche le riflessioni sulla
prevenzione, orientate al problema e alla previsione-prevenzione, e si
preferiscono azioni ad hoc, incentrate sull’incidente.
L’attualità della questione sicurezza urbana è terreno fertile di studio,
data la constatabile accelerazione dei ritmi di sviluppo delle aree cittadine,
in seguito alla domanda sempre maggiore di abitazioni, a sua volta
conseguenza del sempre più intenso flusso di immigrazione. La costruzione
di nuovi quartieri e nuovi complessi, così come le problematiche che
emergono da quei quartieri e quei complessi già edificati, pone interrogativi
sulla qualità della vita dei residenti, e la dimensione sicurezza acquista
sempre maggiore importanza nella definizione degli standard insediativi.
La trattazione che segue sviluppa la riflessione su un approccio che in
Italia non ha ancora avuto modo di presentarsi nella sua forma compiuta,
ma che annovera numerose esperienze straniere, in particolare nei paesi di
tradizione anglosassone. In queste realtà, la riflessione sulla prevenzione
14
della criminalità contempla da tempo le possibilità di strategie alternative a
quella formale tradizionale: la Crime Prevention Through Environmental
Design (CPTED), prevenzione della criminalità attraverso il design
ambientale, è una modalità di progettazione della prevenzione che àncora
gli interventi allo spazio fisico, e all’influenza di questo sui tassi di
criminalità.
Questo lavoro vuole presentare tale approccio, i suoi fondamenti
teorici e le sue strategie di intervento, non tanto come alternativa, quanto
come valida integrazione degli approcci tradizionali alla prevenzione,
inglobando nel discorso sui fattori di sicurezza una riflessione, innovativa
rispetto alla prassi nazionale, sullo spazio fisico.
La prospettiva CPTED può così costituire un valido apporto nei
processi decisionali che riguardano la pianificazione dello sviluppo urbano,
contribuendo a prevenire la criminalità, o a ridurne il rischio, sia in fase di
progettazione che nella trasformazione dell’esistente.
15
Capitolo I
LA RIFLESSIOE TEORICA
L’approccio prevalente nella prevenzione della criminalità è stato per
diverso tempo incentrato sul cambiamento dell’individuo criminale,
piuttosto che sul cambiamento della situazione criminale, partendo
dall’assunto che il criminale differisca dal resto della società per alcuni
tratti che lo predisporrebbero a commettere atti devianti: fattori genetici o
ereditari, o correlati alle cure parentali, all’educazione in famiglia e ai livelli
di istruzione. Sebbene queste possano essere considerate delle cause
radicali della criminalità, si è visto che le politiche sociali possono ben poco
nella loro eliminazione, o nella modifica degli atteggiamenti. Si è sperato di
ridurre la criminalità attraverso altre politiche generali, per esempio la
diminuzione della povertà e un generale aumento della prosperità, ma il
crimine tende ad aumentare particolarmente nei periodi di ricchezza e
benessere (Wilson, 1975). Un'altra strategia di riduzione della criminalità è
passata attraverso la giustizia penale: si credette di poter riformare
l’offender attraverso diverse forme di custodia, invece di limitarsi alla
semplice punizione. Il valore di questo approccio risultò limitato, in quanto
solo una parte minoritaria di delinquenti viene arrestata e istituzionalizzata.
Il mancato successo di queste due forme di intervento ha portato ad un
maggiore interesse per approcci di prevenzione diretti più alle circostanze
del crimine, che a fattori sociali e personali: intervenire ad esempio sul
comportamento delle vittime, in modo da renderle meno vulnerabili,
promuovendo l’attuazione di pratiche elementari di precauzione, per quanto
16
resti difficile persuadere il pubblico ad attuare comportamenti diversi da
quelli abitudinari (Poyner, 1983). Ulteriori strumenti sono stati il
pattugliamento della polizia di routine e la community-based crime
prevention, che sono validi nel breve periodo, e richiedono “ricariche” a
intervalli regolari, nonché una ben definita organizzazione a livello locale.
Questi metodi di prevenzione restano di certo utili, laddove non vi sia la
possibilità di adottarne altri.
A partire dagli anni Settanta del Novecento, in seguito ad un
inasprimento delle politiche penali, e ad una stagnazione teorica denunciata
da più voci, gli studiosi americani tornarono ad alcune idee centrali della
scuola classica: razionalità, deterrenza e punizione. L’enfasi era posta
nuovamente sulla responsabilità individuale, e sull’azione razionale. Le
teorie razionali, anche note come teorie neoclassiche, arricchirono la
riflessione criminologica di concetti propri dell’approccio economico13:
costi, benefici e opportunità. L’approccio economico allo studio della
criminalità è quindi paradigmatico di un nuovo sentimento nei confronti del
tema.
La funzione
O = O (p, f, u)
proposta da Becker per analizzare l’efficienza della giustizia penale, o il suo
impatto sul numero di reati (O), già presenta una riflessione sul tema delle
opportunità. Il numero di reati sarebbe funzione della probabilità della
condanna (p), dell’intensità della punizione prevista (f), e di una variabile u,
13
Becker, 1974.
17
definibile appunto come “ambientale”, che rappresenterebbe le opportunità
di delinquere, siano esse di tipo situazionale o legislativo.
1.1 Approccio delle attività di routine
La prospettiva, che nacque dallo studio dei reati predatori, afferma che
il crimine è un evento che si verifica qualora ci sia una convergenza, nel
tempo e nello spazio, di tre condizioni fondamentali: un aggressore
motivato, un obiettivo desiderabile e l’assenza di un guardiano capace.
Dando per scontato l’offender, l’approccio di Cohen e Felson (1979) si
concentra sugli altri due elementi.
A “vittima” è preferito il termine target, potendo essere questo una
persona o un oggetto, la cui posizione nello spazio e nel tempo lo espone in
misura maggiore o minore al rischio di un attacco14. Per “guardiano” si
intende qualsiasi forma di controllo, formale e informale. Per quanto
concerne i reati di tipo predatorio, un aggressore motivato cerca un
obiettivo non sorvegliato: ciò significa che questo genere di crimine può
aumentare anche senza che aumenti il numero di aggressori, nel caso in cui
aumenti il numero di possibili obiettivi, o se manca una qualche forma di
14
Le caratteristiche di un suitable target sono espressa dall’acronimo VIVA: value
(valore monetario e simbolico), inertia (peso dell’oggetto), visibility (esposizione), access
(vie di accesso, posizionamento).
18
sorveglianza che impedisca l’accesso al target. Questo implica anche che la
vita sociale può produrre opportunità criminali senza che vi sia un
incremento nella motivazione degli aggressori.
1.2 Teoria degli stili di vita
Questa formulazione è strettamente legata alle indagini di
vittimizzazione: perché alcune persone rischiano più di altre di rimanere
vittime di atti criminali? La risposta (Hindenlang, Gottfredson e Garofalo,
1978) è che sono gli schemi d’azione degli individui, o stili di vita (attività
ricreative e lavorative), a comportare diversi tassi di vittimizzazione. Gli
stili di vita sono influenzati da tre elementi: il ruolo sociale, la posizione
nella struttura sociale e la componente razionale che fa decidere quale
comportamento sia desiderabile. Questa prospettiva si intreccia con la
cosiddetta crime pattern theory, la quale include la riflessione sullo spazio e
sul movimento.
19
1.3 Crime Pattern Theory
Nell’ambito della criminologia ambientale, la teoria dei crime pattern
(Brantingham e Brantingham, 1977) considera come i target criminali si
muovano nello spazio e nel tempo, riservando particolare attenzione alla
distribuzione geografica del crimine e al ritmo delle attività giornaliere. I
concetti fondamentali sono quelli di nodo, percorso e margine. “Nodo”,
mutuato dal linguaggio dei trasporti, si riferisce al luogo di intersezione dei
percorsi individuali: gli aggressori cercano obiettivi intorno a questi punti
(case, scuole, aree di intrattenimento); “margine” si riferisce al confine di
un’area di vita, di lavoro, di consumo: molti crimini (attacchi xenofobi,
rapina, taccheggio) sembrano avvenire soprattutto al margine, in cui
persone provenienti da vicinati differenti si incontrano, senza conoscersi. La
distinzione fra insiders e outsiders aiuta a comprendere meglio l’importanza
del margine: i primi sono soliti commettere reati nei dintorni del proprio
vicinato, mentre i secondi trovano più sicuro colpire al margine, per poi
ritornare nella propria area. I teorici della crime pattern theory hanno
dimostrato come il design e il management dello spazio cittadino possano
incidere sui cambiamenti dei tassi criminali.
20
1.4 Teoria della scelta razionale
Una prospettiva più generale, che racchiude gli approcci sopra
descritti, è quella della rational choice theory (Cornish e Clarke, 1986;
1987), la quale si concentra sul processo di decision making
dell’aggressore. La principale assunzione è che il comportamento criminale
è un comportamento orientato, finalizzato a fornire un beneficio
all’offender. La razionalità è il processo decisionale con cui si stabiliscono:
le opportunità per soddisfare bisogni ordinari, i potenziali costi dell’azione,
e i benefici previsti. Tale processo è costituito da due componenti: le
decisioni di coinvolgimento, in cui si sceglie di venire coinvolti in un reato,
continuare nel reato o ritirarsi da esso, che sono strumentali nel calcolo
costi-benefici; le decisioni di evento, in cui si stabilisce la tattica: se questa
è semplice, la decisione di coinvolgimento guadagna potenziali benefici,
altrimenti ne perde15. Si tratta quindi di una razionalità limitata dalla
disponibilità della risorsa “tempo” e dallo sforzo che l’individuo è disposto
a sostenere, nonché dalla qualità delle informazioni disponibili. La
comprensione della scelta criminale deve partire quindi dalla
consapevolezza dell’elevata specificità delle categorie di crimine, in quanto
i comportamenti hanno differenti scopi e sono influenzati dai più diversi
fattori situazionali, e ogni criminale compie un particolare calcolo durante il
processo decisionale. Questo modello fonda quindi la prevenzione del
crimine sulla riduzione delle opportunità e della desiderabilità di reati
specifici.
15
Williams e McShane, 1999, pp. 196-197.