Oltre a tale legame, mi induce a studiare la storia del mio comune un
motivo culturale, determinato in particolare da un intimo desiderio di capire la
realtà di oggi anche sulla base della storia della prima metà di questo secolo,
quando si pensava e si agiva con prospettive e orientamenti molto diversi da
quelli attuali.
Mi è sembrato interessante centrare la mia ricerca sul periodo fascista,
che costituisce un momento storico, a mio avviso ancora poco studiato a
livello locale. Chi l’ha vissuto l’ha precipitosamente accantonato,
psicologicamente rimosso, forse per allentarne il ricordo, o fors’anche per
paure e remore, non ancora sopite, di un suo eventuale ritorno, magari sotto
altre spoglie. Chi ha tentato e tenta di ricostruirlo storicamente,
interpretandolo nel modo più sereno possibile, si è trovato e si trova di fronte
ad un’opera complessa e difficile, a causa delle scarse testimonianze che si
possono raccogliere e degli ostacoli che frappongono i responsabili degli
archivi veronesi per la consultazione dei documenti e carteggi concernenti
anche argomenti e temi ampiamente studiati altrove. Da queste constatazioni
nasce in me il convincimento di aver aperto, con questo mio studio, la strada
ad altri che volessero cimentarsi nella ricostruzione della storia di Bovolone,
considerandola sotto tutti gli aspetti di quell’epoca. Infatti la mia ricerca si
riferisce alla storia della scuola elementare, ma restano da studiare e
ricostruire tanti altri aspetti della vita del paese nel ventennio fascista.
Ho cercato di scrivere una storia della scuola bovolonese basandomi
essenzialmente sulla documentazione che ho potuto consultare e sulle
testimonianze di persone anziane, ma ancora lucide e capaci di raccontare le
loro vicissitudini esistenziali. Ho abbandonato il luogo comune della
sottolineatura, puramente retorica, dell’impegno antifascista, che in loco è
stato molto blando, soprattutto per motivi culturali, oltre che economici.
Dopo una veloce panoramica sulla situazione scolastica nazionale del
tempo, il discorso che intendo proporre è finalizzato a mettere in luce quella
vasta gamma di rapporti interpersonali e interistituzionali che ha determinato il
modo di vivere delle persone e, in un certo senso, ha definito la fisionomia
storica del paese.
Nel corso della ricerca mi sono avvalso principalmente dei documenti
raccolti presso gli archivi delle Direzioni Didattiche di Bovolone e Oppeano,
del Comune e della Parrocchia “San Giuseppe” di Bovolone.
Nell’archivio della Scuola Elementare di Bovolone ho potuto analizzare i
“Giornali delle classi “ del ventennio, ad eccezione di quelli dell’anno
scolastico 1937/38, probabilmente perduti. Li ho comunque cercati, con esito
negativo, presso la Direzione Didattica di Oppeano, le cui scuole erano state
a lungo accorpate nell’amministrazione scolastica di Bovolone. Oltre ai registri
ho esaminato quello che rimane del carteggio del direttore didattico con il
Provveditorato agli Studi, con il Comune capoluogo e gli altri enti ed istituti
pubblici e privati operanti nel Circolo.
Non mi è stato permesso, invece, accedere alle cartelle personali dei
maestri, dove magari sarebbero potute emergere interessanti note sui
rapporti interpersonali fra il direttore didattico e gli insegnanti, sull’andamento
del servizio scolastico e sulla posizione di ciascun maestro col regime.
Nell’archivio comunale ho consultato integralmente la documentazione
conservata nelle cartelle sull’istruzione pubblica e sull’educazione nazionale,
e qualche altro fascicolo a completamento della ricerca. Ritengo interessante
segnalare il fatto che siano raccolti nelle cartelle non solo i documenti ufficiali
a protocollo, ma anche singoli appunti, minute, calcoli, considerazioni
personali di impiegati, funzionari e politici, deposizioni e corrispondenza, che
oggi rappresentano un valido aiuto nella ricostruzione storica.
L’archivio parrocchiale, invece, non offre attualmente tanto consistenti
possibilità di consultazione sul periodo oggetto di questo studio, poiché non è
stato ancora compiuto il lavoro di separazione dei documenti riguardanti
persone, soggetti a vincolo ecclesiastico di segretezza per settant’anni, con
gli altri di carattere più generale sulla vita della parrocchia come, ad esempio,
le relazioni pastorali e le cronache dei parroci. Mi sono stati offerti in
consultazione studi, peraltro preziosissimi, compiuti da Lino Turrini per conto
della chiesa locale, e altra documentazione che mi ha consentito di formarmi
una visione più ampia della realtà sociale del primo dopoguerra.
Il desiderio di approfondire la conoscenza della realtà socio-culturale di
quel periodo, mi ha portato ad avvalermi anche del contributo di diverse
testimonianze orali, pur tenendo conto della loro relativa validità interpretativa,
al fine di completare alcuni tasselli, là dove la documentazione ufficiale era
incompleta o non consultabile.
Così attraverso una minuziosa analisi e raccolta di materiale inerente
l’arco di tempo che va dal 1923 al 1943, intendo presentare alcune situazioni
particolari che sono emerse e che hanno di fatto caratterizzato la vita della
scuola elementare di Bovolone in quel periodo, che per molti resta ancora un
po' troppo misterioso ed oscuro, anche se molte realtà nate allora hanno
prodotto situazioni che viviamo oggi.
LA SCUOLA ELEMENTARE IN ITALIA
ALL’EPOCA DELLA RIFORMA GENTILE (1923)
Alla vigilia della riforma operata dal filosofo Giovanni Gentile,
l’organizzazione scolastica italiana fu interessata da tutta una serie di nuovi
provvedimenti legislativi, che la resero sostanzialmente diversa dalla scuola
del secolo precedente. I programmi di studio per le scuole elementari
vennero rinnovati più volte: nel 1888, per l’apporto di Aristide Gabelli
1
, con la
firma del ministro della Pubblica Istruzione Paolo Boselli
2
; nel 1894, a firma
del ministro Guido Baccelli
3
, sempre sulla linea del pensiero di Gabelli, che
era però già defunto, ma sotto l’influsso della Scienza dell’Educazione di
Roberto Ardigò
4
; nel 1905, redatti da Francesco Orestano
5
e sottoscritti dal
ministro Vittorio Emanuele Orlando
6
.
Accanto all’emanazione dei programmi didattici, la scuola italiana fu
inoltre interessata all’applicazione di nuove disposizioni legislative ad essa
inerenti. Con la legge 19 febbraio 1903, n. 45, dovuta al ministro della
Pubblica Istruzione Nunzio Nasi, lo Stato ridusse l’autonomia dei Comuni in
materia di istruzione elementare, definendo lo status giuridico ed economico
degli insegnanti, e istituendo la figura del direttore didattico.
Di notevole rilievo sociale fu la legge 8 luglio 1904, n. 407, conosciuta
come legge Orlando, dal nome del ministro che allora reggeva le sorti della
1
Gabelli diede un’impronta positivistica ai suoi programmi. La ragione (illuminata dalla scienza
sperimentale), la libertà e la moralità, costituiscono le fondamenta dell’educazione e dell’istruzione. (Cfr.
F. LOMBARDI, Aristide Gabelli, La Scuola Editrice, Brescia, 1964, pp. 189-200)
2
Cfr. R.D. 24 ottobre 1888, n. 251
3
Cfr. R.D. 29 novembre 1894, n. 525
4
Per Ardigò l’educazione è una somma di abitudini acquisite tramite esercitazione, la quale deve essere
opportunamente stimolata. L’essenza del fatto educativo è racchiusa in questa stimolazione metodica.
5
Orestano ispirò il testo dei suoi programmi alla dottrina pedagogica herbartiana, che si presenta come una
teoria degli interessi. L’aspetto della didattica herbartiana che ebbe più larga affermazione riguarda i “gradi
formali” dell’istruzione, cioè una gradualità nell’apprendimento da uno studio di “penetrazione” a uno di
“riflessione”. (Cfr. B. BELLERATE, I. F. Herbart, La Scuola Editrice, Brescia, 1964, pp. 140-159)
6
Cfr. R.D. 29 gennaio 1905, n. 43
Minerva. Questo provvedimento elevò l’obbligo scolastico al dodicesimo anno
di età e articolò la scuola in due corsi: un corso comune di quattro classi, al
termine del quale coloro che erano intenzionati a proseguire gli studi
potevano accedere alla scuola secondaria; un corso “popolare” di due classi
(la quinta e la sesta) per chi doveva avviarsi al lavoro.
Nel 1905 una Commissione ministeriale fu incaricata di elaborare uno
schema di riforma della scuola media, prevedendo un diverso assetto
giuridico ed economico per i docenti delle scuole secondarie. Il nuovo
Regolamento esecutivo, però, venne approvato soltanto nel 1908
7
.
Il processo di indebolimento delle autonomie locali, con la conseguente
statizzazione progressiva della scuola elementare, ebbe il suo momento
culminante a seguito dell’inchiesta condotta nel 1908 dall’allora direttore
generale dell’istruzione primaria e popolare, Camillo Corradini. I “... risultati
sulla realtà dell’analfabetismo, la carenza di edifici e di insegnanti, specie nel
Sud d’Italia, diedero un quadro così negativo della situazione ...”
8
da indurre il
ministro di turno, Edoardo Daneo, ad elaborare un disegno di legge, che
venne perfezionato e reso esecutivo dal suo successore Luigi Credaro
9
.
Questa legge fu particolarmente innovativa perché sancì il passaggio di
gestione delle scuole elementari dai Comuni allo Stato, tramite i Consigli
provinciali scolastici
10
.
Questo fervore di innovazioni introdusse delle novità anche negli asili
infantili che, pur lasciati all’iniziativa privata, vennero riordinati nei programmi
7
Cfr. R.D. 3 agosto 1908, n. 623
8
Cfr. E. BUTTURINI, La religione a scuola. Dall’Unità ad oggi, Queriniana, Brescia, 1987, p. 51
9
Cfr. R.D. 4 giugno 1911, n. 487 (legge Daneo - Credaro)
10
La legge Daneo - Credaro lasciò la possibilità ai municipi capoluoghi di provincia e di circondario di
continuare ad amministrare direttamente le loro scuole. Si ebbero così scuole avocate, gestite dal Consiglio
provinciale scolastico, e scuole non avocate, che furono tutte le altre. Il Provveditore agli studi, istituito
dalla legge Casati, divenne l’effettivo coordinatore dell’amministrazione scolastica provinciale, primaria e
secondaria, alle dirette dipendenze del ministro della Pubblica Istruzione. La vigilanza sull’andamento
dell’obbligo scolastico passò dal Prefetto al Provveditore.
e negli orari con la promulgazione di un decreto rimasto poi operante fino al
1958
11
.
Le modifiche normative riguardanti il mondo della scuola, qui appena
accennate, diedero luogo ad “... approfonditi dibattiti non solo fra cattolici e
‘laici’ (ora robustamente affiancati dai socialisti), ma anche all’interno dei
diversi schieramenti ...”
12
. Il chiarirsi di posizioni divergenti costituì il
presupposto per la formazione di nuovi gruppi di intellettuali che nel primo
dopoguerra ebbero modo di costituirsi in forme organizzate, come fu, ad
esempio, per la formazione del Partito Popolare.
Queste spinte innovatrici furono di fatto bloccate con il penoso periodo
bellico e con quello immediatamente seguente. Così l’organizzazione
scolastica italiana, prima della riforma di Gentile, rimase immutata nelle linee
fondamentali, mentre invece cambiarono notevolmente le condizioni politico-
sociali e culturali.
La crisi economica provocata dalla guerra ebbe profonde ripercussioni
sulle condizioni soprattutto delle classi sociali meno abbienti, le quali si
trovarono a dover affrontare un aumento considerevole del costo della vita.
La paura di agitazioni popolari indusse imprenditori, proprietari terrieri e, in
generale, la borghesia ad appoggiare il fascismo, che attuò una politica
economica e sociale favorevole ai gruppi capitalistici. I primi fascisti, eletti a
livello amministrativo nel 1920 e politico nel 1921, lo furono nell’ambito del
Partito Liberale.
In campo culturale, dopo il fiorire del positivismo, i gruppi intellettuali
mostrarono di propendere per le posizioni dell’attualismo gentiliano. Per
questa corrente filosofica idealista, figlia dell’hegelismo, “la categoria è una
sola: quella dello Spirito. Vi è un solo ed unico concetto, e questo è
11
Cfr. R.D. 4 gennaio 1914, n. 27, Istruzioni, programmi e orari per gli asili infantili e i giardini d’infanzia
12
Cfr. E. BUTTURINI, La religione ... Op. cit., p. 33
propriamente atto puro, autoconcetto, e in esso tutta la realtà si risolve”
13
. La
concezione gentiliana di Stato etico “postulava la subordinazione (ma al
tempo stesso il perfezionamento e la vera libertà) dell’individuo all’interesse
collettivo espresso attraverso la legge”
14
. Dunque, questo ramo dell’idealismo
“portava acqua al mulino fascista, con la glorificazione dell’atto puro e con
l’identificazione tra l’idea e la sua organizzazione statuale”
15
.
Tornando ad esaminare il mondo della scuola elementare italiana dello
Stato liberale, nonostante fosse già trascorso più di mezzo secolo dalla
proclamazione dell’unità d’Italia, i tentativi messi in atto per combattere la
piaga dell’analfabetismo fino alla Legge Daneo - Credaro del 1911 e al
radicarsi dell’associazionismo (specie, ma non solo, quello cattolico),
ottenevano risultati solo parziali, dovendo lo Stato misurarsi con le difficoltà
finanziarie che attanagliavano il Paese e con la cronica mancanza di locali
scolastici. Le classi erano sovraffollate e i maestri mal retribuiti.
Anche negli altri ordini di scuola sussistevano difficoltà analoghe: la
scuola media era incapace di accogliere il numero sempre crescente di
studenti nelle sue strutture vecchie e inadeguate; l’insegnamento secondario,
“incapace di assicurare una vita decente ai suoi professori, ma pieno
d’indulgenza per gli studenti”
16
, si rivelava sempre meno adeguato ai tempi;
l’insegnamento universitario non era esente da problemi, ma le sue difficoltà
apparivano meno gravi, dato che si rivolgeva a un ristretto numero di eletti,
ma già si parlava di “pletora universitaria”
17
.
13
Cfr. G. REALE - D. ANTISERI, Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, Editrice La Scuola,
Brescia, 1983, vol. 3, p. 415.
14
Cfr. A. ASOR ROSA, Storia della letteratura italiana, La Nuova Italia, Scandicci, FI, 1985, p. 580.
15
Cfr. D. VENERUSO, L’Italia fascista, Il Mulino, Bologna, 1981, p. 132
16
Cfr. M. OSTENC, La scuola italiana durante il fascismo, Laterza, Roma-Bari, 1981, p. 5
17
Cfr. M. BARBAGLI, Disoccupazione intellettuale e sistema scolastico in Italia, Il Mulino, Bologna, 1974,
p. 160 e seg.
L’ordinamento di riforma scolastica operato da Gentile nel 1923
18
,
chiamata da Benito Mussolini “la più fascista delle riforme”, “ma solo per
adornare di quel ‘fiore dell’idealismo’ il vuoto culturale ed ideologico del
fascismo”
19
, è stata in realtà una riforma liberale a carattere conservatore:
Gentile è stato un fascista solo per “un processo di adattamento”; le sue idee,
miranti “alla fondazione di una vera e propria scuola nazionale, che desse
un’anima all’opera educativa”
20
, erano ben distanti da quelle dei fascisti.
La riforma scolastica di Gentile non sorgeva certo dal nulla, ma
riprendeva i lavori precedenti, iniziati poco più di sessant’anni prima con la
legge Casati (R.D. 13 novembre 1859, n. 3725), dove erano state poste le
fondamenta della scuola italiana, e sviluppati dai vari interventi (o proposte
d’intervento) seguiti nei decenni successivi. Il filosofo-ministro, non senza una
certa dose di autoritarismo, riformò l’amministrazione scolastica, snellendo il
numero dei funzionari del Ministero e riorganizzando i Provveditorati, che da
provinciali divennero regionali
21
; istituì l’esame di stato per tutti gli allievi della
scuola secondaria; introdusse il concorso per titoli ed esami per l’assunzione
degli insegnanti; strutturò, senza obbligo di frequenza, il “grado preparatorio
dell’istruzione elementare”.
Il corso elementare fu articolato in due gradi: quello inferiore, di tre
classi, e quello superiore, di due. Si estese l’obbligo scolastico fino al
quattordicesimo anno di età, per cui si istituirono dei corsi integrativi, chiamati
classi sesta, settima e ottava, per chi non avesse proseguito gli studi nelle
diverse scuole medie
22
. Nel 1929 cominciarono a funzionare le tre classi di
avviamento al lavoro di tipo agrario o industriale.
18
Cfr. RR.DD. 8 febbraio 1923, n. 374; 6 maggio 1923, n. 1054; 16 luglio 1923, n. 1753; 30 settembre 1923,
n. 2102; 1 ottobre 1923, n. 2185; 31 dicembre 1923, n. 2909
19
Cfr. E. BUTTURINI, La religione ... Op. cit., p. 73
20
Cfr. M. OSTENC, La scuola ... Op. cit., p. 10
21
La regionalizzazione fu un’idea cara alla tradizione federalista dei cattolici, sostenuta allora dal Partito
Popolare.
22
“Tale decisione rispondeva agli accordi di Washington sulle condizioni internazionali del lavoro infantile e
alle esigenze dei funzionari americani dell’emigrazione. In realtà, una frequenza accettabile nelle scuole
La stesura dei programmi e delle prescrizioni didattiche è opera di un
collaboratore del ministro, Giuseppe Lombardo Radice, direttore generale
dell’istruzione primaria, attivo promotore del movimento delle “scuole nuove”
in Italia, e attento osservatore della realtà scolastica e del mondo dell’infanzia
in particolare.
Il suo programma, pur condividendo l’atteggiamento di Gentile di fronte
ad importanti problemi, come la preparazione dell’insegnante e l’educazione
religiosa, si rivelava in alcuni punti profondamente divergente: ad esempio,
“non aveva nulla in comune con la concezione gentiliana dello Stato etico e
auspicava al contrario un ampio decentramento”
23
.
Su altri temi, invece, il suo pensiero era molto vicino a quello del
ministro: il suo ideale di “Scuola serena” portava massimo “rispetto per la vita
individuale, interiore, irriducibile di ogni bambino, per il carattere spontaneo,
autonomo e originale del suo sviluppo”
24
; nell’apprendimento rifiutava il puro
nozionismo, mentre enfatizzava il fanciullo-poeta, l’osservazione
dell’ambiente circostante interpretato esteticamente, il gioco e l’espressività
che doveva essere “alimentata con il disegno, il canto, il dialetto, il folclore e i
lavori manuali”
25
. Per Lombardo Radice, compito della scuola era quello di
dare al bambino avviamenti, non elementi, in modo da ampliare
progressivamente il suo campo d’esperienza. Ecco, allora, la necessità per il
maestro nei primi anni della scuola elementare di legarsi all’episodicità degli
avvenimenti, per preparare il terreno a futuri insegnamenti specialistici.
La religione, considerata in precedenza un insegnamento del tutto
trascurabile, divenne “fondamento e coronamento dell’istruzione elementare”,
primarie fino a dieci anni sarebbe già stata un progresso notevole”. (Cfr. M. OSTENC, La scuola ... Op.
cit., p. 64) Infatti i corsi integrativi vennero più avanti soppressi con R.D. 6 ottobre 1930, n. 1379,
convertito in legge 22 aprile 1932, n. 490.
23
Cfr. M. OSTENC, La scuola ... Op. cit., p. 63
24
Cfr. L. GEYMONAT - R. TISATO, Filosofia e pedagogia nella storia della civiltà, Garzanti, Milano,
1977, vol. 3, p. 499
25
Cfr. M. OSTENC, La scuola ... Op. cit., p. 64
“in modo da ‘pervadere’ l’intera attività scolastica”
26
. Al riguardo, Gentile
riconobbe a questa disciplina, nel suo Sommario di pedagogia, la virtù di
moralizzare ogni altro sapere, assegnandole stabilmente il suo posto
all’interno dell’intero panorama dello scibile. Queste disposizioni in materia di
religione ripresero alcune parti di provvedimenti e espressioni dell’articolo
315 della legge Casati (1859), che già aveva inserito l’istruzione religiosa
nella scuola primaria; però nel nuovo ordinamento di riforma si precisò che
l’insegnamento della dottrina cristiana doveva essere impartito “secondo la
forma ricevuta dalla tradizione cattolica”
27
. La materia di studio fu affidata a
maestri riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica, la quale esercitò il diritto
d’ispezione su di loro e di controllo dei manuali.
Indubbiamente i programmi e le prescrizioni furono ambiziosi, specie se
rapportati all’effettiva preparazione della classe magistrale per attuarli, ma il
vero problema della riforma fu costituito dal “paradosso di porre rimedio
all’analfabetismo diminuendo il numero delle scuole pubbliche”
28
. Per
esempio, le scuole rurali, generalmente poco frequentate, furono le più
esposte ai provvedimenti di soppressione.
Il ministro Gentile operò allora una divisione delle scuole primarie
elementari in “classificate” e “non classificate”. Le prime per non essere
soppresse dovevano essere frequentate con le loro cinque classi elementari
da almeno quaranta alunni; le seconde venivano invece abolite se non
fossero state “provvisorie” o “sussidiate”. Queste scuole “non classificate”
erano gestite da associazioni private e sussidiate dallo Stato “ovunque fosse
possibile riunire quindici alunni in età scolare”
29
. A partire dal 1928, “il
26
Cfr. E. BUTTURINI, La religione ... Op. cit., p. 74
27
Cfr. R.D. 1 ottobre 1923 n. 2185, art. 3
28
Cfr. M. OSTENC, La scuola ... Op. cit., p. 64
29
Cfr. M. OSTENC, La scuola ... Op. cit., p. 65
fascismo non tarderà tuttavia a sopprimere queste associazioni trasferendo le
loro scuole all’autorità dell’Organizzazione nazionale Balilla”
30
.
Al termine di ogni anno scolastico, tutti gli alunni dovevano sostenere un
esame di ammissione alla classe successiva, sotto il controllo dell’insegnante
della classe coadiuvato da un collega di una classe superiore. Per essere
ammessi alla quarta elementare (passaggio dal primo al secondo ciclo) e alla
sesta (passaggio dal secondo ciclo alle classi integrative) si costituivano
commissioni d’esame con due docenti della scuola pubblica e il maestro della
classe interessata. Per ogni esame superato lo scolaro riceveva un certificato
o un diploma, modalità tipica della mentalità fascista, che, come scrive Michel
Ostenc, “poteva dare la sensazione del dovere compiuto a discapito della
cultura”
31
. Il rigore degli studi, introdotto con la riforma, aumentava a
dismisura la ripetenza, e il certificato di studi elementari inferiori concludeva
la carriera scolastica di tre alunni su quattro.
A fronte della scomparsa di circa tremila istituti statali, Gentile e
Lombardo Radice tentarono di risolvere il problema affidando, con esiti però
assai modesti, molte scuole abbandonate dallo Stato all’Opera contro
l’analfabetismo, ente fondato nel 1921 dall’allora presidente del Consiglio dei
ministri Ivanoe Bonomi e dal ministro della Pubblica Istruzione Orso Mario
Corbino, e trasformato due anni dopo da Gentile in un più ampio Comitato. Il
maestro della scuola rurale doveva svolgere un programma ridotto e prestava
servizio per l’intera giornata, dovendo anche essere il maestro di tutto il
borgo.
I consensi alla riforma “furono inizialmente più numerosi dei dissensi”
32
e
non provennero tutti da persone vicine all’ideologia fascista, quanto piuttosto
da cattolici idealisti e da molti liberali. Numerose, però, le critiche, avanzate
sia dalle associazioni magistrali, sia dagli esponenti politici del mondo
30
Cfr. M. OSTENC, La scuola ... Op. cit., p. 167
31
Cfr. M. OSTENC, La scuola ... Op. cit., p. 65
32
Cfr. E. BUTTURINI, La religione ... Op. cit., p. 77
liberale, dei democratici e dei socialisti, ma anche dello stesso movimento
fascista
33
. I giovani fascisti, infatti, si schierarono apertamente contro la
riforma di Gentile, tanto che dovette intervenire direttamente lo stesso
Mussolini, il quale nell’Appello agli studenti fascisti, apparso su “Il Popolo
d’Italia” del 7 dicembre 1923, minacciò la chiusura delle scuole per l’intero
anno scolastico
34
.
Le associazioni dei maestri rimproverarono principalmente la mancanza
di una scuola popolare, l’arretramento della scuola statale e le precarie
condizioni materiali e lavorative degli insegnanti. Molti altri polemizzarono
sull’introduzione della religione cattolica nella scuola elementare: i
democratici, con Credaro, criticarono il “precoce accaparramento delle
coscienze (o sarebbe più esatto dire delle incoscienze) giovanili”
35
; i socialisti
di Filippo Turati vi intravidero pericoli di divisioni religiose, e con Giacomo
Matteotti denunciarono l’insegnamento della religione come “lesivo della
libertà di formazione delle coscienze”
36
. Anche il mondo cattolico espresse al
riguardo delle riserve, specialmente i popolari, i quali obiettarono a Mussolini
di essere passato “dall’anticlericalismo demagogico al clericalismo
nazionalista”
37
e sottolinearono i pericoli “di un insegnamento concesso a
livello elementare ma solo come ‘propedeutica ad una formazione
hegeliana’”
38
. La gerarchia ecclesiastica invece accettò di buon grado “la
restaurazione religiosa offerta dalla riforma”
39
, ma precisò anche di non
accettare “i principi e le ragioni filosofiche e politiche dei riformatori”
40
. Non
mancarono, tuttavia, accesi sostenitori di questo aspetto della riforma:
33
Cfr. E. BUTTURINI, La religione ... Op. cit., p. 73 e seg.
34
Cfr. E. BUTTURINI, La religione ... Op. cit., pp. 87-88, nota n. 31
35
Cfr. E. BUTTURINI, La religione ... Op. cit., p. 78
36
Cfr. E. BUTTURINI, La religione ... Op. cit., p. 79
37
Cfr. E. BUTTURINI, La religione ... Op. cit., p. 80
38
Cfr. E. BUTTURINI, La religione ... Op. cit., p. 80
39
Cfr. M. OSTENC, La scuola ... Op. cit., p. 96
40
Cfr. M. OSTENC, La scuola ... Op. cit., p. 96
l’idealista cattolico Mario Casotti, ad esempio, arrivò addirittura ad escludere
che al maestro non cattolico potessero sorgere problemi di coscienza, perché
“il maestro che trascurava la religione era ‘un idiota’”
41
, incapace d’insegnar
bene qualsiasi altra disciplina.
Nonostante l’opposizione delle loro associazioni, la quasi totalità dei
maestri accettò le direttive del regime e recepì con immediatezza “i temi della
grandezza e della prosperità della patria, promosse da un uomo eccezionale,
il duce”
42
.
Sostanzialmente la riforma scolastica di Gentile può essere solo in parte
riportata a una matrice fascista; in realtà essa sposa meglio l’ideologia
idealistica e le posizioni liberali e conservatrici. Certamente la riforma rinforzò
la selettività della scuola e sottovalutò la cultura scientifica, ma aumentò
anche la libertà didattica degli insegnanti, migliorò la qualità degli studi e finì
di fatto, paradossalmente, per rafforzare “quei valori umanistici che avrebbero
permesso alla scuola di resistere per molto tempo alla fascistizzazione”
43
.
Quando alla fine di giugno del 1924 Giovanni Gentile lasciò il ministero
della pubblica istruzione, Mussolini, che aveva accettato la riforma “sperando
di guadagnarsi l’appoggio degli ambienti intellettuali e del Vaticano”
44
, rivolse
le sue maggiori attenzioni alla fascistizzazione della scuola, la quale “doveva
essere il luogo dove veniva costruito il futuro uomo fascista”
45
.
41
Cfr. M. OSTENC, La scuola ... Op. cit., p. 95
42
Cfr. D. VENERUSO, L’Italia fascista, Op. cit., p. 126
43
Cfr. M. OSTENC, La scuola ... Op. cit., p. 98
44
Cfr. M. OSTENC, La scuola ... Op. cit., p. 100
45
Cfr. D. VENERUSO, L’Italia fascista, Op. cit., p. 128
LA FASCISTIZZAZIONE DELLA SCUOLA
ELEMENTARE IN ITALIA
Nel secondo semestre del 1924, il fascismo subì uno sbandamento,
poiché lo stesso Mussolini, presidente del Consiglio, era sospettato di
complicità nell’uccisione di Giacomo Matteotti, segretario del Partito
Socialista Unitario dall’ottobre del 1922
46
. All’apertura della Camera dopo le
elezioni politiche (24 maggio 1924), Matteotti denunciò turbative subite in
campagna elettorale dalle opposizioni e chiese nella seduta del 31 maggio di
invalidare l’elezione dei deputati della maggioranza
47
. L’opposizione e buona
parte della stampa si schierò contro il governo, ma trovandosi senza
l’appoggio della Corona e della Santa Sede, molti parlamentari di minoranza
decisero di abbandonare la Camera, ritirandosi sul cosiddetto Aventino,
finché un nuovo governo non avesse provveduto a ripristinare la legalità
democratica, soffocando i fenomeni di illegalismo ed eliminando la milizia di
parte. La vana attesa di uno sbocco positivo provocò la dissidenza dei
comunisti, che nell’ottobre 1924 decisero di tornare alla Camera.
In questo teso clima politico, l’impopolarità della riforma scolastica
gentiliana rappresentava “un pericolo per l’intero governo”
48
. Così Mussolini
sostituì il ministro Gentile, dimissionario, con Alessandro Casati, nipote di
quel Gabrio Casati, già ministro della Pubblica Istruzione all’indomani
dell’armistizio di Villafranca (11 luglio 1859), il quale seppe stendere in soli
46
Il Partito Socialista Unitario si costituì successivamente alla spaccatura avvenuta al Congresso di Roma
del 1922 fra il troncone socialista massimalista e quello riformista, al quale aderirono esponenti di spicco
come Turati, Treves, Modigliani e lo stesso Matteotti.
47
Da un recente studio di Mauro Canali (Il delitto Matteotti: affarismo e politica nel primo governo
Mussolini, Il Mulino, Bologna, 1997) emerge con dovizia di documentazione finora inedita e con minuzia
di elementi ricostruttivi, che Matteotti era a conoscenza e in possesso di documentazione di affari loschi e
finanziamenti illeciti che coinvolgevano il Partito Fascista, lo stesso Mussolini e forse anche Vittorio
Emanuele e la Casa Reale. Secondo la tesi di Canali, Matteotti dovette la sua condanna a morte all’aver
scoperto questa faccenda e non all’accusa di brogli elettorali.
48
Cfr. M. OSTENC, La scuola ... Op. cit., p. 118