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tempo può avere ancora la capacità e la forza contrattuale di agire ed incidere nel
contesto della nuova società dei lavori. Analizzare le nuove proposte di rappresentanza
sindacale in una prospettiva comparata a livello europeo, scopo principale di questa tesi,
è dunque utile per osservare quali sono convergenze e le divergenze delle diverse
esperienze nazionali. Dopo aver fotografato nel primo capitolo la situazione europea in
generale, cercando di inquadrare le diverse strategie sindacali secondo modelli
idelatipici, nei seguenti capitoli mi occuperò di due esperienze specifiche a livello
nazionale: il nostro paese e il caso spagnolo, analizzando in ognuno dei due paesi
un’esperienza paradigmatica più in profondità. Per l’Italia ci occuperemo dell’opera
decennale di NIDIL-CGIL, per la Spagna la più giovane Federazione Sindacale TRADE-
CC.OO di Catalunya. La scelta non è giustificata solo da personali percorsi di studio in
occasione del Master Europeo in Scienze del Lavoro, ma anche e soprattutto da motivi di
opportunità. In primo luogo c’è da sottolineare che i due paesi sembrano aver oggi un
modello di sviluppo socio-economico molto più assimilabile rispetto ad altri paesi
dell’eurozona, tanto che la letteratura spesso li inserisce nel c.d. modello sociale
mediterraneo. In secondo luogo sono messe a comparazione iniziative sindacali delle due
più grandi confederazioni dei due paesi, che tra l’altro a livello internazionale sono tra
loro più affini per tradizione storica. Ciò ci permetterà di isolare l’analisi alle sole
confederazioni sindacali più rappresentative. Altra motivazione di fondamentale
importanza nella scelta è che, nonostante le differenze alle quali si darà ampio spazio in
seguito, NIDIL e F.S.TRADE sembrano essere le uniche organizzazioni sindacali a
livello europeo create appositamente per tutelare lavoratori atipici che si discostano dal
lavoratore subordinato a tempo indeterminato e quindi rientrano in una strategia
sindacale del tutto alternativa
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1 Sindacati europei e nuovo lavoro autonomo
Da circa un trentennio tutti i sistemi socioeconomici europei sono immersi in una nuova
grande trasformazione delineata dalla crisi del paradigma fordista-taylorista che per
circa un secolo aveva rappresentato l’universo cognitivo per comprendere la società
capitalista (Sabel, Piore, 1987, Revelli, 1995, Castells, 2002). I nuovi scenari post-
fordisti caratterizzati dal declino della grande industria e dall’emergere della società dei
servizi (Sanchez, 2003) hanno profondamente mutato il mondo della produzione e del
lavoro. Si assiste infatti al progressivo declino della figura social tipica dell’operaio
massa, cioè di quel lavoratore dell’industria inserito a vita nell’organizzazione
fortemente gerarchizzata della grande fabbrica, nella maggior parte dei casi di sesso
maschile e impegnato in operazioni manuali, dequalificate e standardizzate per otto ore
giornaliere (Accornero, 2000). Il lavoro che cambia è caratterizzato dall’universo
cognitivo della flessibilità contrapposto a quello della rigidità tipico del taylor-fordismo,
che sta portando al proliferare dei c.d. lavori atipici o non-standard (Reyneri, 2002). Si
passa dunque dalla società del Lavoro, con la elle maiuscola (Romagnoli, 1995), alla
società dei lavori (Accornero, 2002). Non si assiste semplicemente alla crescita del
lavoro a tempo determinato, al lavoro somministrato o part-time, ma anche ad una
progressiva crescita della responsabilizzazione e discrezionalità delle prestazioni. In
questa sede ciò che interessa maggiormente è la tendenza alla crescita di quei rapporti e
prestazioni che possono essere considerati atipici per via della difficoltà nel ricondurli
tanto al classico lavoro subordinato quanto al lavoro e alle professioni tipicamente
autonome. Nuovi modelli organizzativi e strumenti tecnologici da una parte fanno
emergere un nuovo lavoro dipendente con ampi margini di discrezionalità
nell’esecuzione della prestazione (Reyneri, 2006a) che tuttavia a livello giuridico ricade
nel lavoro autonomo, mentre dall’altra parte crescere un nuovo universo del lavoro
autonomo non assimilabile alle professioni liberali e commerciali, quello che alcuni
hanno chiamato lavoro autonomo di seconda generazione (Bologna, Fumagalli, 1997).
Nonostante riguardo alle cause ci siano posizioni contrapposte (Vettor, 2006, 166-167),
la tendenza del mercato del lavoro dell’eurozona che porta all’emergere di una sorta di
zona grigia tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, è un processo registrato in diversi
paesi europei già da molti anni (Supiot, 1998, EIRO, 2002). Il problema è stato posto in
primo luogo dai giuristi. Infatti in tutti i paesi europei questi lavoratori sono esclusi dalle
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tutele tipiche del lavoro subordinato perché considerati autonomi dai sistemi giuridici
nazionali. Tuttavia gran parte di questa zona grigia non può certo essere assimilata ai
lavoratori autonomi nel senso tradizionale del termine perché la loro forza contrattuale
nel mercato non è paragonabile a un lavoratore autonomo di prima generazione. Inoltre il
limbo giuridico in cui si trovano spesso nasconde vere e proprie elusioni della
legislazione sociale e del lavoro, tanto che alcuni giuristi hanno parlato di vera e propria
fuga dal lavoro subordinato e dal diritto del lavoro troppo garantista (Pallini, 2006, p.
104). Così molti giuristi negli anni hanno cercato di elaborare nuove categorie giuridiche
a metà strada tra lavoro subordinato e lavoro autonomo. Nonostante in nessun pese
europeo si sia passati da una logica binaria ad una ternaria, molti giuslavoristi hanno
fatto riferimento ad un tertium genus tra occupazione dipendente e indipendente (Perulli,
2003a). Si va dal concetto di lavoro parasubordinato nel caso italiano e francese
(parasubordonné), a quello di dependent self-employed, nel caso britannico, dal lavoro
semi-dipendente di provenienza tedesca a quello, più recente, di trabajo autonomo
dependiente in Spagna (Vettor, 2006). Bisogna comunque sottolineare che non ci si trova
davanti ad un aumento del lavoro autonomo a scapito del lavoro subordinato, al contrario
la centralità del lavoro dipendente in Europa pare non essere scalfita (Gallino, 2007,
Commissione Europea, 2006). Anzi, recenti studi in merito a livello europeo dimostrano
che il lavoro autonomo pare scendere di qualche punto percentuale sul totale degli
occupati (BusinessEurope, Etuc et al., 2007). Dunque ciò che bisogna registrare non è un
aumento generale del lavoro autonomo a scapito del lavoro dipendente ma una crescita
consistente dei lavori autonomi di nuova generazione (Bologna, 2007a, Accornero,
Anastasia, 2006, Reyneri, 2006b).
I processi di destrutturazione e frammentazione del lavoro dipendente causati dai nuovi
scenari post-fordisti sembrano essere una delle cause principali della crisi di
rappresentanza sociale che da circa un trentennio caratterizzano la parabola discendente
del sindacato (Accornero, 1992). E’ un processo che investe tutti i sindacati confederali
europei a cui fanno eccezione solo i sindacati scandinavi (Lenoardi, Megale, 2005). Oltre
a cause più congiunturali o istituzionali, sembra che la crisi sia da imputare a cause
strutturali. Tra queste un ruolo determinante è ricoperto dalla frammentata struttura
dell’occupazione e dall’emergere dei c.d. lavori atipici o non-standard. In effetti,
nonostante i diversi modelli e culture sindacali a livello europeo (Kohler, Antonio
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Martín, 2006, pp. 586-589), tutti i sindacati europei nel corso del XX secolo avevano
costruito il proprio ruolo di rappresentanza politica e sociale facendo perno sulla figura
social-tipica dell’operaio massa militante delle grandi federazioni industriali.
Quest’ultimo, generalmente dequalificato e inserito nel contesto organizzativo della
catena di montaggio della grande industria, era inquadrato nel lavoro subordinato a
tempo pieno e indeterminato. Il sindacato si è preoccupato quindi di costruire la propria
rappresentatività sociale e politica attorno a questa figura dominante del mercato del
lavoro, le cui condizioni di lavoro erano fortemente omogenee. Di fronte alla
differenziazione delle prestazioni, alla frammentazione del processo produttivo che ha
notevolmente ridotto le dimensioni delle imprese e alla proliferazione di forme
contrattuali diverse tra loro, il sindacato vede entrare in crisi tutte le caratteristiche
socioeconomiche sulle quali aveva costruito il suo potere di rappresentanza sociale e
politica (Leonardi, 2001, Cerviño, 2000).
L’emergere di nuovi lavori indipendenti è un fenomeno di non poco conto che
contribuisce alle difficoltà di rappresentanza sociale dei sindacati europei. Con
l’aumento della loro visibilità sociale vanno emergendo nuovi fenomeni associativi che
vanno anche al di là delle tradizionali coalizioni di tipo professionale del lavoro
autonomo di prima generazione. Nonostante le difficoltà nella creazione di associazioni
di tipo professionale (Fullin, 2004, 67), esperienze come quella italiana del progetto
Pegaso o dei gruppi di pressione costituiti alla fine degli anni ’90 nei Paesi Bassi, come
anche il crescente interesse delle tradizionali associazioni del lavoro autonomo spagnole
per le condizioni dei nuovi lavori indipendenti, sembrano far emergere un interessante
universo associativo, volto soprattutto alla fornitura di servizi e assistenza e
caratterizzato secondo gli schemi tipici dei gruppi di pressione (Regalia, 2003). Alcuni
autori esaltano anche la tendenza all’aggregazione e creazione di nuove identità
collettive attraverso la rete, vista come strumento vitale per l’autorganizzazione e la
democrazia dal basso (Bologna, 2007b, 11-49). Dal punto di vista strettamente sindacale
è convinzione diffusa che a questi lavoratori, pur trovandosi in una condizione di
dipendenza economica e di sottoprotezione sociale, non si addicano forme di
organizzazione e tutela collettiva degli interessi (Regalia, 2003, Fullin, 2004, 63-68).