neuromotorie che il bambino metterà in atto in conseguenza alle richieste
ambientali: si potrà modificare il grado di disabilità ossia gli effetti che
conseguono alle diverse e complesse funzioni tonico-posturo-motorie
richieste dall’ambiente al bambino.
Il disturbo più evidente di questa sindrome cerebrale infantile è il disturbo
della motilità -ossia una coordinazione anomala dell’azione dei muscoli
(Bobath K. 1980) che gli causa una maggiore o minore difficoltà nel
mantenere posture e nel compiere movimenti.
Questo, associato ad altri deficit, causa alterazioni di tutto il vissuto
tonico-posturo-motorio del bambino, con una conseguente alterazione
anche del suo schema corporeo.
La caratteristica essenziale è che la lesione agisce su un cervello ancora
immaturo e quindi, inevitabilmente, interferisce con lo sviluppo e la
graduale maturazione del Sistema Nervoso Centrale. Inoltre, a seconda
della zona in cui si è instaurata la lesione e della gravità del danno, si
possono sviluppare quadri differenti di PCI, ciascuno richiedente una
valutazione ed un trattamento specifico.
Il trattamento precoce di questi disordini è necessario per rendere meno
infausta e grave la prognosi. Diventa essenziale, quindi, una diagnosi
precoce che necessariamente includa un attento esame delle funzioni
neuro motorie che, come già detto, non interessano solo gli arti superiori
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ed inferiori ma anche il tronco e il capo con annesse la motricità
fonoarticolatoria, masticatoria, deglutitoria, ecc..
In passato si era pensato che, data l’irreparabilità della struttura anatomica
del tessuto nervoso, l’unica possibilità di poter ottenere dei miglioramenti
funzionali nel quadro della PCI - sia pure parziali - fosse di intervenire
chirurgicamente. Attualmente, però, con lo sviluppo delle neuroscienze, è
noto che il sistema nervoso possiede delle capacità plastiche sia a livello
sinaptico che cellulare per cui, è vero che il tessuto nervoso non si
autorigenera, tuttavia mette in atto degli adattamenti sostitutivo-
funzionali, cioè dei meccanismi di recupero (vicarianza/ridondanza dei
circuiti nervosi/ri-generazione assonica/sprounting collaterale), molto
attivi ed efficaci specialmente in età evolutiva precoce, che è possibile
favorire ed influenzare positivamente (Gorio A., 1985).
Per tale motivo è fondamentale intervenire precocemente con un’adeguata
rieducazione neuromotoria e, quanto più sarà tempestivo l’intervento,
tanto più numerose saranno le possibilità di recuperare ed arginare il
danno.
Anche se il termine p.c.i. è entrato nella pratica ed è accettato dalla
maggioranza degli studiosi, bisogna porre una scrupolosa attenzione sul
significato di questi tre termini.
La parola "paralisi", definisce solo la perdita parziale o totale dell’attività
motoria. Questo termine, non comprende nel suo significato la presenza
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di atti parassitari che vanno a disturbare quelli volontari, né quella di un
deficit qualitativo della motricità, consistente nell’incoordinazione tonico-
posturale. Dato che il termine paralisi è un po’ riduttivo, quello più
appropriato sarebbe, discinesia intendendo un movimento anormale o
involontario dei muscoli del corpo dovuto ad una alterazione del Sistema
Nervoso Centrale.
Definire "cerebrale" il disturbo motorio è limitativo in quanto il
cervelletto od il tronco encefalico possono essere una sede del danno.
Sarebbe più corretto utilizzare il termine encefalico.
Infine anche l’utilizzo di “infantile” è pressoché imprecisato, poiché
esiste una seconda infanzia che si protrae molto più dei tre anni di vita,
precoce pertanto sembrerebbe la parola più adatta.
Secondo tale analisi la formula più precisa per riferirci a tale sindrome è
discinesia encefalica precoce non evolutiva.
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1.2 Cenni storici sui primi studi clinici
Il termine “paralisi cerebrale” ebbe origine nel 1861 per merito di Little,
un chirurgo ortopedico inglese, che per primo descrisse la diplegia
spastica, della quale si era occupato da un punto di vista ortopedico e per
la quale aveva ipotizzato un’eziopatogenesi connessa con disturbi della
gravidanza e del parto. La sindrome, da tale epoca, fu indicata
come”Morbo di Little”.
Dopo alcuni anni Osler in un importante lavoro, descrisse le
caratteristiche cliniche di 150 bambini affetti da disturbi motori di origine
cerebrale, avanzando ipotesi neuropatologiche.
Nel 1897, S. Freud, nel suo classico lavoro sulla paralisi cerebrale
infantile, mise in evidenza la frequente associazione del disordine motorio
ad altri disturbi come il ritardo mentale, l’epilessia, le alterazioni visive e
del linguaggio. I successivi contributi degli studi sulle PCI portarono ad
un ampliamento delle conoscenze sugli aspetti clinici e sulle modalità del
trattamento.
Nel 1957, per raggiungere un accordo sui criteri di classificazione, fu
indetta la conferenza dell’Accademia Americana per la Paralisi Cerebrale
(AACP) durante la quale fu elaborata una definizione universalmente
accettata, che considera la PCI come un disturbo permanente ma non
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immodificabile della postura e del movimento, dovuto ad un difetto o ad
una lesione cerebrale non progressiva, determinatasi prima che
l’encefalo abbia compiuto i principali processi di maturazione morfo-
funzionale; il disturbo motorio è prevalente, ma non esclusivo e può
essere variabile per tipo e gravità.
Negli ultimi anni l’interesse per le PCI è stato alimentato da una serie di
problemi ad esse connesse, sviluppando proposte di nuovi metodi di
trattamento riabilitativo, che, partendo dal riconoscimento delle strette
interconnessioni tra funzioni motorie e funzioni psichiche, hanno spostato
l’attenzione dagli esercizi diretti al recupero dei singoli muscoli ad un
approccio più globale sul controllo della postura e del movimento ed
hanno orientato le metodologie di trattamento non più al recupero della
massima efficienza strumentale, ma alla maggiore realizzazione possibile
di tutto il potenziale del soggetto.
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1.3 Fattori etiologici delle P.C.I.
I fattori determinanti le p.c.i. sono molteplici e a volte è difficile stabilire
le cause per ogni singolo caso. Ciò si verifica perché spesso tale patologia
è determinata da varie lesioni per cui è molto difficile stabilire una
correlazione fra la causa e la lesione organica.
I fattori etiologici si possono distinguere in:
- fattori agenti prima della nascita “ prenatali”;
- fattori agenti durante la nascita “ perinatali”;
- fattori agenti dopo la nascita “postnatali”.
FATTORI PRENATALI
I fattori prenatali (10-40%) sono rappresentati da tutte quelle noxae che
interferiscono sullo sviluppo dell’embrione e del feto dal momento del
concepimento fino al sesto mese della gestazione e che spesso danno
luogo a difetti agenesici o/e malformativi. Tali fattori possono essere
direttamente causa di danno cerebrale o determinare nel feto una
maggiore vulnerabilità nei confronti di altri eventi, che isolatamente non
avrebbero determinato conseguenze significative.
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ξ Al primo posto si colloca l’anossia cerebrale, che è indotta da
alterazioni placentari (distacco intempestivo, impianto anomalo, infarto
della placenta), oppure da compressione del cordone ombelicale in fase
intrauterina o da vari disturbi materni, come l’ipotensione e l’anemia.
L’anossia del feto provoca quadri di grave ipotensione arteriosa con
conseguente danno cerebrale, perché si viene a determinare una grossa
diminuzione di apporto sanguigno nel sangue placentare e di
conseguenza fetale.
ξ Le infezioni virali o batteriche contratte dalla madre durante la
gravidanza (per es: da citomegalovirus, da toxoplasmosi, da rosolia, -in
particolare nei primi tre mesi di gravidanza- l’herpes simplex, l’HIV
ecc.) che hanno una fondamentale responsabilità sulla determinazione
della p.c.i. In generale tutte le infezioni virali della madre possono
causare delle lesioni encefaliche. Anche i disturbi dismetabolici
materni (ipotiroidismo e diabete) sono da considerarsi come
un’ulteriore causa di p.c.i.
ξ Specifiche malattie ereditarie, come la paraplegia spastica, i tremori
congeniti e l’atetosi familiare, che sono determinate da alterazioni di
natura genetica dello sviluppo del sistema nervoso.
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ξ L’ esposizione ai raggi x della donna incinta, soprattutto nel primo
trimestre di gravidanza, causa cospicue alterazioni cerebrali del feto.
Proprio per questo sono sconsigliati gli esami radiologici alle donne in
gravidanza. Tra i fattori chimici ambientali sono considerate tutte le
sostanze nocive, che vengono assunte durante la gestazione: l’alcool, il
fumo, le droghe, farmaci ad azione teratogena, tra i quali vanno segnati
alcuni antiepilettici.
ξ Vi è poi il cosiddetto ittero nucleare, anch’esso causa di p.c.i., in
quanto si viene ad instaurare un processo tossico a carico del sistema
nervoso. Generalmente gli itteri neonatali sono dovuti alla
incompatibilità sanguigna materno-fetale,( Fattore Rh.).
ξ Inoltre le deficienze vitaminiche o proteiche hanno una grossa
influenza sulla morbosità del feto e sull’immaturità. Sono state
ampiamente accertate le conseguenze delle carenze nutritive, che
agiscono nelle prime settimane di vita, determinando
microencefalopatie.
Tutte queste cause prenatali danno origine ad alterazioni nervose del feto
di tipo malformativo.
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FATTORI PERINATALI
I principali fattori perinatali(34-50%), compresi nel periodo che va dal
settimo mese di gestazione al momento immediatamente successivo alla
nascita, sono rappresentati principalmente dalla prematurità, dall’asfissia
e dai traumi.
ξ La nascita pretermine, a causa della condizione di immaturità del
neonato, costituisce un evento di gran rischio per lo sviluppo di
patologie neuromotorie. Il rischio è tanto più grande quanto più basso è
il peso del neonato. -tuttavia non è la causa diretta di lesioni cerebrali
ma fattore predisponente-.
ξ Fra il gruppo di fattori connatali, l’asfissia del neonato è la causa più
considerevole di p.c.i. ed é spesso associata a lesioni vascolari, che
determinano emorragie e necrosi dell'encefalo. Infatti, non esiste
bambino prematuro che abbia un efficace meccanismo di regolazione
del flusso sanguigno cerebrale.
Anche se l'encefalo del bambino appena nato può resistere per un
maggior tempo alla mancanza di ossigeno che irrora i tessuti(ipossiemia)
rispetto agli adulti, un'anossia di lunga durata che interessa una vasta zona
cerebrale, provoca danni irreversibili che possono interessare anche l'area
che comanda il movimento.
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