La presenza per il territorio trentino di un’indagine capillare e molto ricca riguardante
in particolare e per la prima volta i toponimi di tradizione popolare (Dizionario
toponomastico trentino) ha permesso inoltre di effettuare molti confronti tra le forme
antiche e quelle contemporanee, permettendo tra l’altro di localizzare alcuni dei
toponimi storici presenti nelle pergamene.
La creazione di una banca – dati contenente i risultati di più ricerche di questo tipo
(allargate se possibile agli antroponimi) può risultare di sicuro interesse per lo
studioso di toponomastica, ma anche per il paleografo e l’editore di documenti
antichi, per i quali il dato onomastico rappresenta da sempre uno dei problemi di
interpretazione più ostici.
In tempi di grande espansione edilizia, inoltre, crediamo che la raccolta e lo studio di
toponimi antichi e contemporanei sia di sicuro interesse anche per gli architetti e gli
urbanisti sensibili a questo tipo di testimonianze, che possono aiutare a ‘leggere’ il
territorio e ad adattare e armonizzare l’opera e le esigenze umane con l’ambiente
naturale.
10
1. PREMESSE TEORICHE E METODOLOGICHE
1. Introduzione storico - teorica
Il termine toponomastica fu introdotto nel mondo scientifico italiano nella seconda
metà del 19° secolo1 per indicare una nuova disciplina avente per oggetto lo studio
dei nomi di luogo. Essa era ed è ancora oggi considerata in primo luogo una scienza
linguistica, perché l’organizzazione e suddivisione dello spazio geografico si realizza
per mezzo di atti linguistici. D’altro canto, fin da subito la toponomastica si è
dimostrata una scienza multidisciplinare e di ampio respiro, poiché in essa
confluiscono vari altri settori di studio: in primo luogo le scienze geografiche e
storiche, le prime perché i nomi di luogo descrivono e si riferiscono al territorio; le
seconde perché i dati toponimici sono testimoni (a volte gli unici) che ci informano
dei mutamenti di tradizione linguistica, dei passaggi e degli spostamenti di
popolazioni in un dato territorio2.
Lo studio dei nomi di luogo è però saldamente ancorato allo sviluppo delle scienze
linguistiche in quanto la sostanza fonica del toponimo, ancorché spesso opaca per
quanto riguarda il significato, sopravvive nel tempo ma è soggetta a variazioni
diacroniche al pari di tutte le altre componenti del linguaggio. Se dobbiamo
riconoscere che gran parte dei nomi di luogo non possiede più un significato
trasparente, altrettanto intuitivamente dobbiamo ammettere che ognuno di essi in
principio è stato senza dubbio motivato: uno degli obiettivi della toponomastica è
quello di trovare la motivazione originaria dei nomi di luogo.
Le leggi fonetiche individuate dalla linguistica storica sono state e sono tuttora di
grande aiuto per chiarire l’origine e il significato di molti nomi, ma ci si è presto resi
conto che per una corretta interpretazione dei toponimi non si può prescindere dallo
1
Il primo ad utilizzare questo termine nel 1871 fu lo studioso piemontese G. Flechia in una lettera a G. I.
Ascoli [Marcato 2002].
2
Su questo argomento, si veda in particolare Pellegrini 1990, pagg. 7 – 18 e Zamboni 1994.
11
studio dei dialetti parlati in loco, dalla creazione e consultazione di repertori
comprendenti i toponimi di tradizione popolare, da un’attenta osservazione dei
caratteri morfologici del territorio e da un’altrettanto rigorosa indagine sulle
testimonianze scritte antiche, risalenti ad un tempo più vicino a quello in cui il
toponimo doveva avere un significato trasparente. Quest’ultimo campo di ricerche
dipende dal tipo di documentazione che è pervenuta fino ai nostri giorni; se quella,
piuttosto rara, di epoca preromana e romana (in particolare le epigrafi) è stata
analizzata in modo accurato ed ha potuto suggerire e indirizzare molte ricostruzioni
etimologiche, quella di età medievale, essendo molto più ricca quantitativamente, è di
difficile accesso allo studioso di toponomastica, che deve spesso affidarsi a
trascrizioni effettuate per altri fini, di cui è a volte difficile verificare l’attendibilità. I
nomi di luogo presenti nei documenti antichi, per poter essere correttamente decifrati,
richiedono infatti una estrema perizia paleografica, una appropriata preparazione
linguistica e una approfondita conoscenza storico – geografica del territorio. Poiché il
più delle volte i documenti medievali sono stati consultati e analizzati per ricerche di
carattere storico, è comprensibile che il trascrittore abbia posto l’attenzione più sulla
sostanza del dato toponimico che sulla sua forma, modernizzandone (spesso
inconsciamente) la grafia.
Ma anche ammettendo ottimisticamente di poter contare su trascrizioni complete e
precise, bisogna tener conto di un’ulteriore complicazione: i documenti medievali
sono stati redatti quasi unicamente in una lingua (il latino) che si era ormai
profondamente discostata dalla lingua parlata. Se è vero che gli atti scritti erano
costituiti in gran parte da formule contrattuali e clausole che solo il latino permetteva
di esplicitare, il notaio chiamato a redigere il documento aveva anche il compito di
riportare alcuni elementi chiaramente estranei al codice scritto in uso: in particolare
gli antroponimi e i toponimi; la ricerca e la codifica di una forma sentita come più
appropriata alla lingua scritta è avvenuta per moltissimi toponimi e si è realizzata in
primo luogo con quelli di uso frequente e di chiara origine latina (o percepiti come
tali): è da queste premesse che prende l’avvio il fenomeno della ‘doppia tradizione’,
colta e popolare, di molti toponimi, che rende più complessa una ricostruzione
12
univoca dell’etimo. Il confronto con le attestazioni antiche può essere invece molto
utile per quanto riguarda i microtoponimi, che per il minore bacino di utenza e la
bassa frequenza d’uso hanno subìto in misura più contenuta le ‘contaminazioni’ tra
codice scritto e parlato. E’ importante sottolineare che la parola “microtoponimo” non
implica assolutamente una minore importanza linguistica del nome di luogo: con
questo termine si indicano convenzionalmente i nomi di località conosciute da un
ristretto numero di persone, spesso designanti località molto piccole, ma non per
questo meno interessanti e significativi per lo studioso: essendo presenti in
grandissima quantità, permettono molte volte di avanzare o confermare una ipotesi di
ricostruzione etimologica mediante il confronto con altri toponimi. Anche in
quest’ottica, è perciò di grande importanza scientifica e culturale in senso lato,1 lo
sforzo della moderna toponomastica teso alla registrazione dalla viva voce dei
parlanti di tutti i nomi di luogo, compresi quelli popolari senza tradizione scritta. La
formazione di un repertorio che comprenda il maggior numero di toponimi,
supportato da un diligente e consapevole lavoro di studio sui dati storici, potrà essere
una solida base per il difficile compito di illustrare la storia e l’evoluzione dei
toponimi stessi.
2. Genesi e motivazioni della ricerca
Lo spunto del presente lavoro proviene dalla lettura di una nota introduttiva al
progetto del Dizionario Toponomastico Trentino2 (DTT), che individua due direttrici
di ricerca sostanzialmente autonome tra di loro, finalizzate all’avvio di un’indagine
complessiva per “l’interpretazione e l’illustrazione etimologica dei toponimi
raccolti”3: una prima direttrice di carattere geografico, con ricerche sul campo
condotte con l’ausilio di informatori locali per la raccolta del maggior numero di
1
Il rapido cambiamento del rapporto uomo – territorio, con l’abbandono di un’economia tradizionale, comporta
infatti la rapida erosione di un patrimonio millenario che, una volta scomparso, non potrà più essere
documentato. Per un approfondimento di questi aspetti, cfr. Cassi – Marcaccini 1998.
2
Flöss 1995.
3
Ibidem, pag. 12.
13
toponimi usati dalla gente del posto; una seconda direttrice di carattere storico,
attraverso la consultazione di documenti antichi. Di fatto
L’urgenza di procedere alla raccolta geografica prima che gli utenti ne perdano la
memoria ha spinto a dare per ora maggiore spazio alle ricerche geografiche,
rispetto a quelle storiche [...]1
A dieci anni di distanza, possiamo affermare che questa scelta è stata la più
opportuna, anche in considerazione del fatto che la documentazione antica non rischia
di essere compromessa dallo scorrere del tempo con la stessa rapidità della cultura di
tradizione orale.
Ora questa prima fase può dirsi pressoché conclusa (eccettuate le aree urbane di
Trento e Rovereto), con la raccolta di un corpus davvero imponente di circa 150.000
toponimi localizzati nel territorio della Provincia di Trento, in corso di pubblicazione
da parte della Soprintendenza per i Beni librari e archivistici della P.A.T.
Da queste premesse è partita l’idea che fosse utile e possibile effettuare uno studio
sulla toponomastica nei documenti antichi, ed è cominciata una ricerca nell’archivio
comunale di Arco, città di residenza di chi scrive, principalmente per avere
conoscenza diretta dei documenti ivi conservati2 e del loro stato materiale. In un
secondo tempo la nostra attenzione si è rivolta con più soddisfazione al fondo
pergamenaceo dell’archivio della Pieve di S. Maria di Arco.
3. Individuazione e selezione del materiale
Il fondo pergamenaceo dell’archivio capitolare di Arco presenta caratteristiche
particolarmente adatte per questo tipo di ricerca: si tratta infatti di un corpus ‘chiuso’,
chiaramente delimitato per le caratteristiche del materiale del supporto (pergamena
appunto) e per motivi storici (il numero delle pergamene non può essere
implementato né diminuito).
1
Ibidem.
2
Si ringrazia particolarmente la responsabile dell’archivio, Marialisa Avi.
14
Il fondo, custodito nella biblioteca del Capitolo della Collegiata di Arco, è formato da
190 pergamene per un totale di 220 documenti (alcune pergamene accolgono infatti
più di un documento) dall’anno 1188 fino al 1704. Questa grande estensione
temporale tra il primo e l’ultimo documento (516 anni) ci ha spinto a fare una prima
selezione di ordine cronologico e a porre l’attenzione su quelli più antichi, vale a dire
fino a tutto il XIV sec. Il fondo così delimitato possedeva un insieme di
caratteristiche ideali ai fini di uno studio di toponomastica storica. In particolare:
1) ANTICHITA’ DELLE PERGAMENE: ben 154 sono i documenti antecedenti il
1400 che sono stati analizzati nel presente studio. Questi sono valori relativi di tutto
rispetto per un archivio parrocchiale in territorio trentino, inferiori per numero
soltanto alle pergamene dell’archivio del Capitolo del Duomo di Trento.
2) FACILITA’ DI CONSULTAZIONE: le pergamene (custodite ora nella chiesa
Collegiata di Arco nella Biblioteca del Capitolo) sono state fotografate,
informatizzate e fornite di un breve corredo descrittivo nel corso degli anni 2003 –
2004 a cura del Servizio Beni librari e archivistici della P.A.T. Questo ci ha permesso
di poter consultare le pergamene con semplicità, comodità e libertà, senza doverle
manipolare e sgualcire.
3) DISPONIBILITA’ DI TRASCRIZIONI: esiste una trascrizione di gran parte delle
pergamene prese in esame, edita nel 1985 a cura di D. Gobbi1: un’opera di grande
aiuto soprattutto per chi è poco competente di paleografia. Va detto però che questa
trascrizione non può dirsi del tutto affidabile per quanto riguarda i dati toponomastici
(non essendo uno studio specifico); perciò abbiamo deciso di basarci esclusivamente
su un’attenta lettura degli originali, utilizzando la pur utilissima edizione come
supporto. Vi è inoltre una trascrizione più antica ma inedita, compilata per mano
dell’arciprete F. Santoni nella seconda metà del 18° secolo, custodita nella canonica
di Arco e consultata solo al termine di questa ricerca .
4) TIPOLOGIA DEI DOCUMENTI: i documenti consistono per la maggior parte di
contratti di locazione di terreni o case (circa 100 documenti); vi sono inoltre tre urbari
1
Gobbi 1985.
15
molto corposi ed alcuni testamenti. Queste categorie di documenti contengono di
fatto un altissimo numero di microtoponimi: sono circa 120 quelli qui raccolti che si
possono localizzare nell’attuale territorio comunale di Arco, 15 – 20 in quello di Dro,
10 in Val di Gresta e 5 nel comune di Riva del Garda.
5) CONTINUITA’ GEOGRAFICA E DI CODICE LINGUISTICO: su 154
documenti, 144 sono stati redatti ad Arco o nel contado di Arco, i restanti a Trento (8)
e a Castel Pradaglia nei pressi di Isera (2). Inoltre, la lingua usata è sempre il latino.
4. Costituzione del repertorio dei toponimi
Per una prima organizzazione e presentazione dei dati abbiamo deciso di attenerci a
sistemi di trascrizione codificati e condivisi. Da qualche decennio infatti le varie
scuole paleografiche europee hanno cercato, nei limiti del possibile, di uniformare i
criteri di presentazione dei manoscritti antichi e a tal fine sono state concordate delle
linee – guida per la trascrizione, regestazione e pubblicazione dei documenti (tali
sono ad esempio i Folia Caesaraugustana1); le prescrizioni ivi contenute sono state
fondamentali e utilissime per chi scrive, ma alcune di esse sono state rifiutate, altre
adattate ai fini della presente ricerca, per permettere di focalizzare l’attenzione sui
dati toponomastici2. In particolare:
1) i toponimi e gli antroponimi non vengono trascritti con l’iniziale maiuscola, se non
nel caso in cui questa sia realmente attestata; la prassi suggerisce di trascrivere tali
nomi con l’iniziale maiuscola per rendere il documento fruibile dal più alto numero di
utenti. Questa regola è stata però scartata dallo scrivente: anche l’uso dell’iniziale
maiuscola o minuscola è un fatto degno di nota che deve essere riportato e analizzato
dallo studioso di toponomastica storica.
2) Viene indicata la data di effettiva redazione del documento, e in questo ci
discostiamo dalle regole di datazione in uso fra gli archivisti: alcuni dei documenti
1
Cfr. bibliografia.
2
Allo stesso modo, il dato toponomastico è spesso un punto critico per l’editore o il regestatore che vuole
rendere fruibile al pubblico il contenuto dei documenti antichi e spesso non ha modo di interpretare al meglio i
toponimi per la fluttuazione della forma ortografica, per le frequenti abbreviazioni, la mancanza di elenchi e
raccolte di toponimi storici.
16
infatti sono copie di atti precedenti, riconoscibili per la dicitura exemplum ex
autentico relevatum che precede la data. In questi casi, si è deciso di riportare non la
data cronica presente sul documento e riportata anche nell’inventario della P.A.T., ma
la data (vera o ricostruita) di effettiva redazione dell’atto: per esempio, il documento
24.2 (una copia autentica) è stato inventariato con la data [1198, maggio 18], ma i
documenti originali 24.1 e 24.3 presenti sulla stessa pergamena riportano
rispettivamente la data [1282 luglio 26] e [1282 luglio 31]: è stato possibile così avere
un riferimento molto preciso sulla data di effettiva redazione del documento 24.2. Dei
toponimi in esso contenuti si può affermare che esistessero già nel 1198, ma che sono
stati riportati sul mezzo scrittorio nel 1282, questa è perciò la data che noi riferiremo,
poiché il notaio che ha redatto la copia (in questo caso 84 anni dopo) potrebbe aver
sentito il bisogno di modernizzare la resa grafica di alcuni toponimi contenuti nel
documento da copiare, a maggior ragione se si pensa che in quel periodo non si era
ancora raggiunta una grande stabilità ortografica.
3) i toponimi trentini attestati per la prima volta vengono presentati con il carattere
grassetto, così da poterli individuare con rapidità e poter fare confronti con le
attestazioni successive dello stesso toponimo.
5. Riconoscimento dei toponimi
Il repertorio dei toponimi è costituito dalla trascrizione di tutti i nomi di luogo che è
stato possibile rinvenire nelle 146 pergamene originali anteriori all’anno 1400
presenti nel fondo capitolare di Arco (i pochi documenti in duplice copia sono stati
inseriti nel repertorio una sola volta).
Sembra ora opportuno illustrare, mediante esempi riferiti al nostro materiale, i criteri
usati per riconoscere ed isolare i vari toponimi nei documenti antichi, ricordando che
non esiste una regola assoluta che possa aiutare a distinguere un nome comune
(appellativo) da un nome proprio:
- per i luoghi abitati, il toponimo (che indicheremo d’ora in avanti con la lettera T)
viene di norma introdotto con la formula [in + T] nel caso della data topica, ad
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esempio: in arcu1; oppure con la formula [antroponimo + de + T] per indicare il paese
di provenienza di una persona, ad esempio: lanfrancum filium quondam pecili de
ripa2. A questo proposito, ci preme segnalare che a volte le persone potevano
prendere il nome dal loro paese o zona di provenienza (per esempio,
→VARGNANO), ma questa possibilità, oltre che rara, si realizza con pochi toponimi
e i casi di ambiguità sono spesso risolvibili con una attenta lettura del contesto.
- per i nomi di appezzamenti di terreno (Flurnamen), il riconoscimento è avvenuto
nella maggior parte dei casi per la presenza di una formula introduttiva, come [in loco
ubi dicitur + T] oppure [ad + T] oppure [in pertinenciis de + T] oppure [in contrata +
T].
Del resto, non ci sembra inutile ricordare che il toponimo rappresentava uno dei dati
essenziali del contratto (specialmente di locazione), e nei documenti consultati la
accurata descrizione e delimitazione del terreno (con l’elencazione dei confinanti) è
sempre preceduta o seguita dal nome di quel terreno. Solo in due casi il limite tra
nome comune e nome proprio è sembrato molto più labile:
- nella pergamena 23, righe 60 – 61, si legge: unum olivum quam tenet ribaldus
nepos petri de clarano iacens in capite campi blanchi est dicte plebis3; qui si era
creduto in un primo momento che gli elementi sottolineati rappresentassero un
toponimo, ma dopo un’attenta lettura della pergamena ci siamo accorti che blancus
era il nome di un testimone dell’atto che veniva nominato più volte come possessore
di terreni, e abbiamo deciso di non inserire questi elementi nella schedatura;
- nella pergamena 29, riga 7, si legge: una petia terre aratorie iacente in patono in
clesura casali quondam ser gontei4; anche in questo caso abbiamo concluso di non
poter considerare le parole sottolineate un vero e proprio toponimo.
1
Pergamena 1.
2
Pergamena 5.
3
Trad.: un olivo lavorato da Ribaldo nipote di Pietro di Chiarano sito all’inizio del campo di Bianco appartiene
alla predetta Pieve.
4
Trad.: un appezzamento di terra arativa sita in Patono nella cesura (terreno recintato) del casale del fu Ser
Gonteo.
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