successivamente al periodo di degenza un disturbo comportamentale pu persistere
ed in certi casi aggravarsi, ad esempio i risultati scolastici tendono a mostrare un
abbassamento delle potenzialit del bambino (Ibidem ). Lo stress che viene
accumulato pu rendere l individuo molto vulnerabil e, ma non sempre viene
delineato un quadro sintomatico piø specifico da un punto di vista clinico. Come
sostiene Lau (2002) nel suo articolo . lo stress negli adulti viene riconosciuto
facilmente , nei bambini invece Ł piuttosto diffici le da percepire, soprattutto in quei
comportamenti che vengono definiti ordinari e comuni (Ibidem).
In realt , il disturbo post traumatico da stress Ł un disturbo vero e proprio che
interferisce con le aree importanti del funzionamento (Ammaniti, 2001) e non
semplicemente un comportamento aggressivo ed irritato o isolante. Infatti, egli teme
per la propria integrit (Ibidem).
L ospedale Ł un luogo in cui si cerca il proprio benessere, ma nello stesso
tempo un luogo di conferma alla perdita dello stesso. La paura piø grande Ł la
consapevolezza di doversi allontanare dalla propria casa perchØ non basta piø la
visita domiciliare o una consulenza veloce nello studio del proprio medico di
famiglia. La decisione di ricoverare un bambino deve essere ben ponderata, come
sostiene anche la European Association for Childre n in Hospital che al primo
punto della Carta dei diritti del bambino ospedalizzato afferma: Il bambino deve
essere ricoverato in ospedale soltanto se l assistenza di cui ha bisogno non pu essere
prestata altrettanto bene a casa o in trattamento ambulatoriale (Filippazzi, 1997).
La mancanza di questa sicurezza e l ingresso in ospedale ingigantiscono i timori del
bambino che cerca di adattarsi e di rispondere all ambiente secondo le proprie risorse
e soprattutto rifugiandosi nel sostegno genitoriale, colonna portante di una struttura
psicologica sana. L appoggio e la comprensione delle figure parentali rappresentano
una base solida su cui costruire un SØ stabile e forte, favorito dal comportamento
amorevole della madre o del caregiver che promuove uno sviluppo adeguato (Spitz
citato in Mitchell, Black, 2002).
Nel contesto ospedaliero per non Ł importante solo la presenza della madre,
sia fisica che psicologica, ma anche la possibilit di portare il gioco, la musica e .se
possibile anche un pizzico di teatro. E questo il mondo dei bambini, che pu aiutarli
a superare una fase cos delicata come quella dell ospedalizzazione. La paura e lo
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stress sono tematiche sempre presenti durante la degenza, ma medici, infermieri e
animatori possono cercare di attutirlo ed elaborarlo attraverso un contatto non
esclusivamente professionale. Con questa teoria molte strutture ospedaliere hanno
aperto le porte a clown attori e dottori del sorriso, animatori ludici, musicisti e
teatranti. Il giocattolo in sØ pu perdere valore, essere svalutato se il bambino non
costruisce qualcosa insieme ad un adulto, una fav ola, una storia fantastica, dove il
piccolo potr dare sfogo alle proprie proiezioni ne l tentativo di liberarsi dai mostri
interni che lo spaventano ed essere aiutato a manifestare i propri sentimenti di
generosit e di collera (Nucchi, 1990). La figura d ell animatore appare allora come
un raggio di sole in una stanza buia e fredda, oppure la bacchetta magica della fata
turchina, o il flauto fatato del pifferaio magico. Il suo ruolo acquista una grande
importanza nel momento in cui diventa una sorta di personaggio risolutivo, colui che
pu aiutare ed in parte salvare i piø piccoli e deb oli dalle grinfie dell orco cattivo,
impersonato dall evento stressante dell ospedalizza zione.
Molti autori si sono interessati alla degenza nell infanzia; la letteratura ci offre
diverse prospettive su cui basare tale ricerca. Filippazzi ha trattato gli aspetti
dell ospedalizzazione nei tempi recenti, mentre Quadrio e Ravaccia si sono occupati
del tema intorno agli anni 70 con altre ricerche sull adattamento e disadattamento.
Anche oltreoceano si sono dedicati alle paure dei piccoli degenti durante il ricovero,
soprattutto Lau che nel suo articolo Stress in Chi ldren: Can Nurses Help? incastra
magistralmente la visione di diversi autori statunitensi all interno della sua ottica
secondo cui il bambino ospedalizzato pu manifestar e al pari di un adulto il PTSD
anche se difficilmente riconosciuto e le infermiere pediatriche sono le prime ad
occuparsi dello stress in situazioni cliniche, promuovendo una relazione benefica tra
paziente e medico ed aiutando le famiglie attraverso una piena conoscenza dello
stress in base alle varie tappe di sviluppo e agli approcci psicodinamici. La dott.sa
Nucchi, direttrice nella Scuola Infermieri Professionali di Tradate, afferma che gli
operatori sanitari devono erogare un assistenza gl obale considerando i bisogni fisici
al pari dei bisogni psico-sociali (Ibidem, 1990). Infatti, continua la dott.sa Vacchini,
Ł importante offrire ai membri dell equipe pediatr ica delle modalit
comportamentali e organizzative per accogliere veramente insieme il bambino
ospedalizzato (Ibidem, 1991).
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1. La paura dell ospedale
L ospedale Ł da sempre considerato una fonte di paura e di ansia perchØ
riecheggia parole come dolore, sofferenza, malattia e nei peggiori dei casi anche
morte. I vissuti che vengono sperimentati da coloro che subiscono un ricovero in
ospedale riguardano l allontanamento da casa, dagli affetti familiari, dalla
quotidianit , a volte anche un senso abbandonico e una forte ansiet , angoscia,
insicurezza.
Se nell adulto questo si verifica spesso, nel bambino si verifica sempre, data la sua
giovane et , le sue limitate esperienze e le sue ri strette capacit di adattamento, in
quanto piø il bambino Ł piccolo, piø sar difficile per lui fronteggiare l evento. I
bambini, infatti, presentano tempi lunghi di adattamento (Rocco, 2000).
Per un bambino Ł difficile comprendere le vere cause che sottendono il suo ingresso
in ospedale e il forzato allontanamento da casa. Utilizzare dei termini tecnici per
spiegare cosa succede nel suo corpo risulta complicato non solo per il medico, ma
soprattutto per il bambino stesso che non Ł ancora in grado di recepire le
informazioni che lo riguardano. Pertanto Luciani R. (2002) ha elaborato un libretto
operativo per bambini ospedalizzati fino ai 10 anni intitolato Che ci faccio in
ospedale? dove l autore tenta di rispondere alle d omande piø frequenti dei piccoli
pazienti inerenti al nuovo contesto ospedaliero.
A volte, per , neanche la famiglia riesce a compren dere ci che i medici comunicano
ed Ł fondamentale che trovino entrambi la capacit di venirsi incontro, creando
un alleanza, avvalendosi dell aiuto reciproco per r aggiungere insieme e nel modo
migliore lo stesso obiettivo: guarire il bambino. A loro hanno pensato altri autori,
Masera e Tonucci (1998) con un testo ricco di vignette intitolato Cari Genitori
per dare consigli e proposte a coloro i cui figli sono affetti da leucemia.
Nei dieci punti della carta di Leida, ora denominata anche di EACH (1993), il quarto
recita: il bambino e i genitori hanno il diritto d i essere informati in modo adeguato
all et e alla loro capacit di comprensione. Occor re fare quanto possibile per
mitigare il loro stress fisico ed emotivo (Filippa zzi, 1997).
Il linguaggio medico, infatti, spesso tecnico e preciso pu risultare incomprensibile
per un genitore che non s intende di scienza medica, che non lavora o studia in tale
settore ed anche il bambino stesso pu sentirsi sch iacciato dalla pesante terminologia
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medica che lo getta ancora di piø nel buio dell ignoto, mentre dovrebbe conoscere la
propria malattia ed la battaglia che si sta tentando di vincere contro di essa.
Conoscere meglio il proprio stato di salute e ci c he succede intorno e a riguardo del
proprio corpo contribuisce a diminuire lo stress, l ansia e la paura dell ospedale. Il
bambino ha bisogno di dare un nome ed una spiegazione a ci che sta accadendo.
Solitamente fa fatica ad accettare i cambiamenti e quando si verificano in modo cos
brusco e radicale, anche se temporaneamente, pu te ntare di spiegarseli come una
punizione.
Ci che non va dimenticato, ma al contrario riconos ciuto Ł la considerazione
del bambino in quanto persona e come tale avr dete rminate esigenze, desideri e
paure. E necessario ascoltarlo, cercando di capire il suo stato d animo, di accogliere,
nonostante non sia un compito facile, le sue paure e tranquillizzarlo, partendo dal
presupposto che non Ł incapace di intendere e di volere come si pensava in passato.
1.2 Il ricovero in ospedale come fattore di rischio
Diversi studi e ricerche hanno considerato l ospedalizzazione un fattore di
rischio, per quanto concerne il comportamento del bambino, che pu portare
all insorgenza di diversi disturbi come, ad esempio, il disturbo della condotta,
dell adattamento, oppure il disturbo distimico, oppositivo-provocatorio, il disturbo
d ansia di separazione associato al fenomeno dell e ncopresi, agli attacchi di panico e
infine il disturbo post-traumatico da stress che in tale sede rappresenta l argomento
centrale.
In base ai dati raccolti in una ricerca volta ad individuare un associazione tra
tipi di trauma differenti e specifiche sindromi psichiatriche e le eventuali variabili
che potrebbero incidere sulla sintomatologia clinica di soggetti esposti ad un evento
traumatico (Tardiola, Camillo, Piperno, 2003), Ł stato rilevato che in un campione di
5 bambini ospedalizzati, tra i 4 e i 10 anni, 1 presentava un disturbo distimico, 2
dell adattamento, 1 il PTSD (affetto da leucemia linfatica acuta di tipo pre-B) e 1 il
disturbo della condotta (Ibidem). I bambini che vengono ricoverati in ospedale nella
maggior parte dei casi appaiono ansiosi, mostrano un comportamento difficile,
dormono male, regrediscono nelle abitudini igieniche, cadono in preda al panico se la
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