2
s'intende, e con quelle idee più o meno anarchiche, le stesse che
hanno portato i suoi nonni ad esplorare terre sconosciute. Riscrive il
Mito, gli mette un segno negativo davanti, e in modo molto più
realistico del Western Istituzionale racconta di come l'America sia
nata tra speculazioni e massacri, in una società violenta che tale è
rimasta ancora oggi (magari con una maschera di democrazia
davanti), e per questo guarda al Messico, come luogo non del tutto
intatto è vero, però dove ancora quelle idee si possono ritrovare.
Leone è completamente diverso. Nato e cresciuto nel mondo del
cinema (regista suo padre, Vincenzo Leone, con il quale già da
piccolo frequentava i set, ed attrice sua madre, Edvige Valcarenghi),
ha una cultura prettamente visiva, un cinefilo accanitissimo con una
smisurata ammirazione per l'America, ma un'ammirazione dal di fuori
ovviamente. Racconta storie che si rifanno al Mito, ma senza trattarlo
in senso critico o cambiandolo di segno (anche se ciò è discutibile per
le opere più mature, che come si vedrà si avvicinano non poco a
Peckinpah). Attraverso la tecnica e lo stile ne costruisce un altro (di
Mito) sopra: quello del Western, ovviamente morente.
Lo Spaghetti Western, invece, iniziato sì da Leone con Per un pugno
di dollari (1964), ma poi proseguito su strade diverse rispetto ad un
regista che aveva obiettivi più alti e generali, risulta in definitiva una
raccolta di alcuni clichés ben amalgamati, come la creazione di Miti
(Django, Sartana, Tresette, Alleluja, ecc...), la violenza esplicitata, la
società arrivista e legata al denaro, la parodia, la politica, il tutto
cambiando radicalmente, attraverso le tecniche di rappresentazione, la
popolarità di un genere che mai come attraverso questo filone, si era
immerso nella vera e propria cultura di massa come enorme
fenomeno commerciale.
Quindi, se Leone rimane come sospeso tra Modernità e Postmodernità
(difatti i suoi film più maturi, attraverso lo stile grandioso e rituale,
rendono proprio quest'idea), Peckinpah sta decisamente nella prima, e
lo Spaghetti nella seconda, con poetiche, tecniche ed influenze che
mai risultano univoche, ma al massimo legate da intenti più o meno
comuni, come la constatazione della fine di un’epoca. Tante le cause,
tante le soluzioni, tante le scelte poetiche: a partire da Il mucchio
selvaggio (The wild bunch, 1969), col quale tutti devono fare i conti
prima o poi, anche chi è venuto prima, per passare al Western di casa
3
nostra ed alla sua focalizzazione sul Mito. Seguono le opere più
mature, dove l’intertestualità è meno casuale e a volte esplicita, come
in Il mio nome è Nessuno (Tonino Valerii, 1973), vero e proprio
punto di arrivo.
4
CREPUSCOLARITA' - IL MUCCHIO SELVAGGIO
Una fotografia sgranata, immobile, in bianco e nero diventa subito
viva e a colori: cinque ufficiali a cavallo, che vengono identificati, in
un altro fermo-immagine con il titolo del film: Il mucchio selvaggio.
Dei bambini sono intenti, in cerchio, a fare qualcosa negato (per ora)
alla vista dello spettatore, ma non a quella di William Holden, che
incrocia i loro sguardi divertiti, così come li incrocia Ernest Borgnine.
Finalmente ci viene mostrato cosa fanno i bambini: hanno messo due
o tre scorpioni sopra ad un formicaio, e si divertono a vedere questi in
netta difficoltà data la superiorità numerica esagerata delle formiche.
Montaggio alternato tra scorpione ormai in una lotta inutile e volti dei
bambini diabolicamente (è il caso di dire) divertiti e sorridenti.
Sull'ultima inquadratura dell'animale si inizia a sentire il discorso del
predicatore della lega proibizionista, al fianco della quale passano gli
ufficiali; "Solo 5 cents al bicchiere! Riuscite a rendervi conto di
quanto è basso il prezzo del peccato?" Queste parole fanno da
sottofondo alla tranquilla e distesa cavalcata degli uomini. Altri due in
uniforme si alzano dalla panchina su cui sedevano e salutano gli
ufficiali a cavallo. "Sembra tutto tranquillo", dice il capo,
"Seguitemi". Lo stesso urta una signora, si scusa e si offre di aiutarla
assieme agli altri, accompagnandola. Stacco su un tetto con primo
piano di un certo Thornton, a cui viene fatto presente che arrivano i
soldati. Questi intanto entrano in una banca, sempre in un clima molto
disteso, e, puntando i cannoni, il capo intima: "Chi si muove è
morto!", con un immediato fermo-immagine (sempre in bianco e nero
e sgranato) con scritto: Directed by Sam Peckinpah. Stacco
nuovamente sul tetto, dove si avverte di non sparare finché non sono
usciti. Intanto quelli della lega promettono di non bere mai bevande
fermentate, e iniziano la marcia al ritmo di Shall we gather at the
river. I rapinatori si uniranno al corteo, mentre sul tetto Thornton
avrebbe voluto avvertire la lega dei pericoli incombenti. I banditi si
accorgono dei fucili e degli uomini sul tetto, e pensano ad un piano:
farsi largo con la forza, in mezzo al corteo di civili, cercando quindi
scudo. Ma per ora c'è solo tensione latente nell'aria, le inquadrature si
moltiplicano, preannunciando la vicinanza di una soluzione. Il
5
banchiere viene spinto di fuori, ed inizia la sparatoria furibonda,
nonostante la massiccia presenza di civili, parecchi dei quali infatti
verranno uccisi. Seguono una serie incredibile di inquadrature, alcune
rallentate, altre fulminee, dove a summa di tutto rende bene il
commento di Bo Hopkins (l'uomo ancora dentro alla banca): "Lo
faranno a pezzi questo paese". I bambini sono spettatori di un crudele
ed insensato massacro. A conclusione della meravigliosa sequenza, i
poveri scorpioni di prima, assieme alle formiche, vengono bruciati dai
bambini in un unico fuoco, mentre i banditi (quelli rimasti) scappano
passando nuovamente proprio di fianco a loro, e lasciando indietro Bo
Hopkins, che verrà crivellato di colpi. Gli uomini pagati dalla ferrovia
(cioè quelli che stavano sul tetto), litigano per rubare gli oggetti e gli
averi dei morti in strada.
"Non si tratta di soldati bensì di banditi travestiti. Attraverso questa
consapevole ambiguità il regista anticipa uno dei concetti portanti del
film: non esiste differenza tra i difensori dell'ordine ed i fuorilegge; i
loro metodi e la loro condotta morale sono identici"
2
. In senso
generale questo è vero, ma nel particolare la differenza si vede: questi
difensori dell'ordine in realtà l'ordine non lo difendono, ma semmai
vorrebbero piegarlo ai propri interessi (il capitale privato), passando
sopra a tutto e tutti. I banditi, se da un lato fanno anche loro i propri
interessi privati (rubano), dall'altro non impiccano nessuno, come dice
Dutch a Pike in Messico, e hanno ancora cari i valori dell'amicizia
fino in fondo e della pace. Sono uomini davvero, ma l'uomo per
Peckinpah "è destinato a soccombere, poiché il consorzio 'civile'
manovra una violenza cieca e possente e vota alla rovina chi non
accetta le sue regole elaborate nello spirito di una prevaricazione
sottile e segreta". Così, "Il mucchio selvaggio è l'America,
quell'America votata sin dalla nascita al proprio sfacelo, che ha
educato ed educa le proprie generazioni al gioco del massacro"
3
.
Proprio in questo sta la "crepuscolarità": invece di raccontare un
mondo dove ogni gesto, anche un omicidio, ha una ragione ed è
votato al futuro, il regista californiano canta la morte di quel mondo.
Ovvero la morte del Mito di quel mondo, un tempo narrato dal
Western Classico, ma che ora non è più possibile raccontare allo
2
A.Giaime Alonge, Mito e storia nel Western di Sam Peckinpah, in Quaderni di Cinema,
n.44, Sett-Dic 1989, pag. 48.
3
A.Frezzato, Sam Peckinpah. Il mucchio selvaggio, in Cineforum, n.94, Sett 1970, pag. 231.
6
stesso modo perché vorrebbe dire mentire, e mentire a se stessi. Sulle
ceneri di quel Mito Peckinpah ne costruisce un altro, molto più
realistico, ma altrettanto mitico, che giustamente a Claver Salizzato fa
venire in mente il teatro epico di Bertolt Brecht, ed in particolare la
Santa Giovanna dei Macelli, quando la stessa dice verso la fine: "Solo
la violenza può servire dove regna la violenza"
4
. Infatti il film può
essere visto come un cerchio aperto e concluso da due scene di una
violenza estrema, che lo racchiudono. Ma non si fraintenda, l'universo
di Peckinpah non è governato in senso assoluto dalla violenza fisica
delle armi, come invece già sembra di più esserlo quello dello
Spaghetti Western, infatti "può sembrare paradossale, ma nel cinema
di Sam Peckinpah, infine, si resta convinti che la violenza risulti uno
stato di eccezione." [...] "gli eroi di Peckinpah non coltivano alcun
gusto per la violenza"
5
. Il problema è che questa sta alla base della
società, tanto che non si sa bene, un po' come l'uovo e la gallina, chi
sia nato prima e chi sia stato conseguenza dell'altro. Non c'è
attrazione morbosa (come incredibilmente asserito da una quantità
non indifferente di recensori e pensatori), ma bisogno di indagare con
acuto senso critico. "Non puoi rendere realistica la violenza agli
spettatori di oggi se non li costringi a sbatterci il naso contro. Ogni
giorno in televisione vediamo le guerre e le persone che muoiono, che
muoiono davvero, ma non sembrano reali. Non pensiamo mai che
quelle persone che muoiono siano reali. Siamo stati anestetizzati dai
media"
6
. Le parole del regista chiariscono il suo intento critico
attraverso un iperealismo comune anche al Western Italiano, ma, a
differenza di questo, che stravolge le regole di un genere un po' per
gioco postmoderno, un po' per bisogno di innovazione, Peckinpah lo
usa (e al massimo livello: i suoi film sono tra quelli della storia del
cinema con più stacchi ed inquadrature) per riflettere sulla società.
"Forse io mostro la vera essenza del sogno americano, del mito del
4
C.Salizzato, The howl, ovvero solo violenza aiuta dove violenza regna, in F.La Polla (a cura
di), Sam Peckinpah. Il ritmo della violenza, Le Mani, Genova, 2006, pag. 41.
5
F.de Bernardinis, Sam Peckinpah: il resto di niente, in F.La Polla (a cura di), Sam
Peckinpah. Il ritmo della violenza, Le Mani, Genova, 2006, pag. 25.
6
Una candida conversazione con il "Picasso della violenza", Playboy, Ago 1972, in F.La
Polla (a cura di), Sam Peckinpah. Il ritmo della violenza, Le Mani, Genova, 2006, pag. 199.
Davvero stupenda questa conversazione col regista, ideale per capire a fondo il suo pensiero
profondo.
7
successo. Il sogno americano è un qualcosa avvolto nella plastica, un
bell'imballaggio con l'etichetta appiccicata sopra"
7
.
GLI OUTSIDER E IL MESSICO
Non ho parlato di New Hollywood volutamente, perché Peckinpah
non si sentiva parte di un movimento; era un individualista. Proprio
come i suoi eroi del West. Procedeva per il suo passo, spesso contro
critica e produttori (molto più spesso con questi ultimi: parecchi suoi
film, come è noto, ed in parte anche Il mucchio selvaggio, sono stati
più o meno dilaniati da questi sia in sede di montaggio, sia proprio in
sede di riprese). Non gli interessavano le etichette. Si apre così un
tema importante e totale nell'Opera del regista: i personaggi, gli eroi
protagonisti, come outsider. Dai due protagonisti di Sfida nell'Alta
Sierra (Ride the High Country, 1962), al maggiore Dundee di Sierra
Charriba (Major Dundee, 1964), e ancora Cable di La ballata di
Cable Hogue (The ballad of Cable Hogue, 1970), David di Cane di
paglia (Straw dogs, 1971), Junior di L'ultimo buscadero (Junior
Bonner, 1972), Doc di Getaway! (The getaway, 1972), Billy di Pat
Garrett e Billy the Kid (Pat Garrett and Billy the Kid, 1973), Bennie
di Voglio la testa di Garcia (Bring me the head of Alfredo Garcia,
1974), il sergente Steiner di La croce di ferro (Cross of iron, 1977) e
Anatra di gomma di Convoy - trincea d'asfalto (Convoy, 1978). "Io
amo gli outsider. Senti, chi non si adegua, chi non si arrende
completamente, rischia di essere solo a questo mondo. Ma se ti
arrendi, perdi la tua indipendenza di essere umano. Per questo ho un
debole per i solitari"
8
. Sono individui ai margini della società, dei
Tom Doniphon che non ci stanno ai tempi che cambiano, che sanno
però che cambieranno comunque, e che quindi giocano la loro partita
fino alla fine: la loro fine. "I miei eroi sono sempre dei perdenti,
perché sono sconfitti in anticipo" [...] "Da molto tempo si sono messi
d'accordo con la morte e la disfatta, per cui non gli resta nulla da
perdere"
9
. Lo sanno che a rimanere coerenti con se stessi prima o poi
arriva la resa dei conti (come nella fine de Il mucchio selvaggio), ma
non mollano e vanno incontro alla morte, se dev'essere. Infatti oltre
7
V.Caprara, Sam Peckinpah, Il Castoro, 1997, pag. 5.
8
Una candida conversazione..., Playboy, op. cit., pag. 206.
9
V.Caprara, Sam Peckinpah, op. cit., pag. 13.
8
che perdenti sono "dei consapevoli. A loro, una volta che abbiano
accettato di vivere entro l'orizzonte della propria morte, può
succedere di tutto, anche di vincere (lo sanno: temporaneamente) e
farsi un sacco di soldi"
10
. Lo sono certamente anche quelli del
"mucchio" che, dopo aver visto il loro colpo fallire miseramente,
essere stati inseguiti per tutto il paese, essersi legati gli uni agli altri in
quell'esperienza (e soprattutto in Messico), al pensiero delle
sofferenze di Angel, dicono: "Andiamo!" e si lanciano nell'ultima
sparatoria della loro vita. E lo è anche Deke, costretto a stare a
braccetto con gli esponenti di spicco di quella società corrotta come i
bounty killer, veri e propri avvoltoi (anche se così risulta offensivo
per gli animali), e gli speculatori della ferrovia, ma con lo spirito è
sempre col suo vecchio amico Pike.
Tra i fattori che hanno unito così tanto la loro amicizia c'era appunto
la sosta in Messico, rarissimo momento di vera felicità per loro.
"L'idea di mondo libero ed innocente in cui l'uomo può rifugiarsi in
qualsiasi momento per sfuggire alle leggi sociali e alla rigida morale
sessuale, e che abbandona non senza tristezza, come nella scena della
partenza dal villaggio, al suono della Golondrina"
11
. Canzone che
infatti si sentirà anche alla fine, mentre le immagini saranno "in
memoria" degli eroi del film, nostalgia per i vecchi tempi. Peckinpah
racconta (in Playboy) che tutti i suoi ricordi migliori sono legati al
Messico (per esempio i matrimoni) e che quando può, e se vuole
sentirsi davvero a casa, va in Messico. Questione di terra, ma
soprattutto di mentalità di quella terra: "il Messico è precisamente il
luogo, lo spazio residuale dell'America. Ciò che rimane dell'America
sta in Messico." [...] "In cui c'è senz'altro il potere, ma non l'ideologia
del potere. C'è il sesso, ma non l'ideologia del sesso. C'è la violenza,
ma non l'ideologia della violenza"
12
. E' ovvio quindi che personaggi
che non si sentono a casa in una società falsa e malata, lo siano a tutti
gli effetti in Messico che, essendo soprattutto uno stato interiore, può
essere anche ricreato in America (come si vedrà per Fort Summer in
Pat Garrett e Billy the Kid). Si potrebbe dire (con una Sineddoche)
che il Messico è esso stesso un outsider, perché fa parte di quella
10
B.Fornara, Uomini a cavallo, in E.Martini, B.Fornara, A.Piccardi, A.Signorelli, Il Mucchio
cavalca ancora, in Cineforum, n.351, Gen-Feb 1996, pag. 10.
11
U.Mosca, Sam Peckinpah. Il mucchio selvaggio, Lindau, Torino, 1997, pag. 101.
12
F.de Bernardinis, Sam Peckinpah: il resto di niente, op. cit., pag. 33.
9
condizione esistenziale, nonché un perdente, perché per le sue sorti a
volte sceglie di essere guidato da gente come Mapache, generale
tirannico e crudele, e di morire per lui, ritagliandosi quindi un pezzo
di "società americana" entro i propri confini, e arrivando fino in fondo
alle conseguenze.
I BAMBINI E GLI ANIMALI
Così come gli eroi perdenti, anche i bambini e gli animali sono
presenti in tutti (o quasi) i film di Peckinpah. Per quanto riguarda i
secondi il discorso è più semplice: la loro presenza nell'incipit è come
un'anticipazione, molto spesso, come un riassunto per metafora ed
immagini di quello che avverrà dopo: i cavalli e il cammello nella
gara di Sfida nell'Alta Sierra, il lucertolone ucciso da Cable Hogue
per la fame, il coyote alla fine dello stesso film che va a bere alla
fonte del defunto, il cane che gioca con dei ragazzi in Cane di paglia,
i cavalli e i tori nell'Ultimo buscadero, i cerbiatti rinchiusi proprio
come i detenuti (e forse come tutti) all'inizio di Getaway!, le anatre in
Voglio la testa di Garcia, i polli in Pat Garrett e Billy the Kid,
l'uccellino che salta per aria per lo scoppio di una bomba in Killer
Elite (The killer elite, 1975), ed ovviamente le formiche e gli
scorpioni ne Il mucchio selvaggio. (Per quanto riguarda gli altri titoli,
Sierra Charriba è stato martoriato dalla produzione tanto che
Peckinpah non ha potuto girare le scene più importanti e, dalla Croce
di ferro in poi non ci sono neanche più gli animali: ci sono i nazisti, le
macchine, i simulacri televisivi, gli animali sono scomparsi.) Queste
sono "immagini che istituiscono un rapporto squilibrato tra uomini e
natura e che prefigurano l'altro e uguale rapporto di sopraffazione tra
uomini e uomini"
13
.
Discorso simile per i bambini, ma più profondo, probabilmente
perché sono comunque esseri umani, e quindi già dentro quell'ottica
di sopraffazione che sta alla base della società. Sono davvero
dovunque: già in La morte cavalca a Rio Bravo (The deadly
companions, 1961) la storia inizia con un ragazzino ucciso, tanti ce ne
sono nelle folle delle città e delle fiere (come in Sfida nell'Alta Sierra
e L'ultimo buscadero), o per le strade (in Convoy, Getaway!, Voglio
13
B.Fornara, Uomini a cavallo, op. cit., pag. 8.
10
la testa di Garcia, Il mucchio selvaggio, La ballata di Cable Hogue)
che magari osservano divertiti a qualche evento o sono costretti a
partecipare ad un massacro, oppure addirittura giocano con la forca
sul patibolo in Pat Garrett e Billy the Kid, o possono essere anche co-
protagonisti come in Osterman weekend (The Osterman weekend,
1983) e La croce di ferro, oppure solo voci fuori campo in Killer
elite.
"Nei film di Peckinpah, i bambini, i ragazzini, sono lo specchio della
violenza, e contemporaneamente ne sono già i portatori. Raramente
mancano all'appuntamento con essa e puntualmente sono lì ad
assistervi, tra l'interrogativo e il divertito, o a subirla, anche
direttamente"
14
. Sono una prefigurazione davvero crudele (e quindi
realistica per il regista) del gioco più grande degli uomini. Ma non
solo, a Peckinpah interessano proprio anche in senso esistenziale, un
po' come andare a ritroso per cercare la prima scintilla dei conflitti e
della malattia che poi si studia: "Per me il bambino è nello stesso
tempo Dio e il Diavolo ed in lui sono mischiate la crudeltà e l'infinita
bontà." [...] "Il problema è che, essendo il nostro avvenire riposto in
loro, un vecchio sistema di morale o d'educazione ci impedisce di
guardare in faccia ad un sacco di verità, per esempio che esiste già nel
ragazzino tutto il lato fosco dell'uomo, tutto un potenziale di violenza
che non si cerca affatto di esplorare - né, più spesso ancora, di
riconoscere - perché siamo impegnatissimi ad insegnare gentilezza e
cortesia"
15
. Da non dimenticare il fatto che ad uccidere Pike nel film
è proprio un bambino, che gli dà il colpo di grazia. Infatti le milizie di
Mapache contano anche donne e bambini, che non muoiono certo
"meglio" di quelle e di quelli all'inizio della storia.
14
U.Mosca, Sam Peckinpah. Il mucchio selvaggio, op. cit., pag. 89.
15
V.Caprara, Sam Peckinpah, op. cit., pag. 6.